SENTENZA N. 33
ANNO 1962
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente
Prof. Gaspare AMBROSINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti promossi con i seguenti ricorsi:
1) ricorso del Presidente della Regione siciliana, notificato il 24 giugno 1961, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 4 luglio successivo ed iscritto al n. 9 del Registro ricorsi 1961, per conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato, sorto a seguito del decreto 12 aprile 1961 del Ministro del tesoro col quale é stato nominato il liquidatore della Cassa rurale "San Giuseppe" di Mezzoiuso;
2) ricorso del Presidente della Regione siciliana, notificato il 24 giugno 1961, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 4 luglio successivo ed iscritto al n. 10 del Registro ricorsi 1961, per conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato, sorto a seguito del decreto 12 aprile 1961 del Ministro del tesoro col quale é stato nominato il liquidatore della Cooperativa agricola di Roccamena;
3) ricorso del Presidente della Regione siciliana, notificato il 24 giugno 1961, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 4 luglio successivo ed iscritto al n. 11 del Registro ricorsi 1961, per conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato, sorto a seguito del decreto 13 aprile 1961 del Ministro del tesoro col quale é stato nominato il liquidatore della Cassa rurale ed artigiana di Roccapalumba.
Udita nell'udienza pubblica del 21 febbraio 1962 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;
uditi l'avv. Feliciano Benvenuti, per il Presidente della Regione siciliana, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con decreto del 12 aprile 1961 il Ministro del tesoro, considerato che il liquidatore della Cassa rurale "San Giuseppe" di Mezzoiuso (Palermo), nominato ai sensi dell'art. 86 bis del D. L. 12 marzo 1936, n. 375, aveva declinato l'incarico ed occorreva pertanto sostituirlo, provvedeva al riguardo nominando altro liquidatore della predetta Cassa in persona dell'avv. Arturo Morreale, ai sensi del citato art. 86 bis e dell'art. 9 del D.P.R. 27 giugno 1952, n. 1133, contenente le norme di attuazione dello Statuto siciliano in materia di credito e risparmio.
Il decreto venne pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 aprile 1961, n. 104.
Il Presidente della Regione siciliana, con atto in data 21 giugno 1961, notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 24 dello stesso mese e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 4 luglio seguente, sollevava conflitto di attribuzione, ai sensi degli artt. 134 della Costituzione, 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 27 delle Norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale, affermando che il decreto ministeriale suddetto invadeva la sfera di competenza amministrativa della Regione, e chiedendone quindi l'annullamento.
2. - Nelle deduzioni poste a base della domanda il Presidente della Regione premetteva che il ricorso era stato direttamente da lui proposto, senza la previa delibera della Giunta regionale, richiesta a norma dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, non essendo ancora stata costituita la nuova Giunta, che avrebbe dovuto sostituire quella dimissionaria da lui presieduta, in vista della superiore esigenza di tutelare gli interessi di natura costituzionale che assumeva lesi dall'impugnato decreto. L'impugnativa direttamente da lui fatta sarebbe giustificata da uno stato di necessità tale da prevalere sull'esigenza formale prevista dall'art. 39 suddetto, il cui rispetto avrebbe finito col comportare il superamento del termine di sessanta giorni dalla pubblicazione del provvedimento, pure previsto dalla legge per la proposizione del ricorso, ed ormai prossimo a scadere.
Come risulta dalla copia del verbale di riunione del 4 luglio 1961, versata in atti il 10 successivo, la Giunta regionale siciliana deliberava poi, in quella seduta, di ratificare, a tutti gli effetti, il ricorso suddetto, che, come si legge nel verbale stesso, bene il Presidente della Regione aveva proposto "nella carenza dell'organo collegiale di Governo", "ad evitare un irreparabile pregiudizio per gli interessi della Regione, attesa l'imminente scadenza dei termini processuali".
3. - A sostegno del ricorso si afferma che, a norma dell'art. 17, lett. c. dello Statuto siciliano, spetta alla Regione la competenza legislativa complementare in materia di credito e risparmio, e che, a norma dell'art. 20, primo comma, dello Statuto stesso, spetta al Presidente ed agli Assessori regionali svolgere nella Regione le funzioni amministrative concernenti, tra l'altro, la detta materia.
Le norme di attuazione dello Statuto, approvate con D.P.R. 27 giugno 1952, n. 1133, - afferma la Regione - hanno conferito (artt. 1 e 2) all'Assessore regionale per le finanze le attribuzioni già proprie del Ministro del tesoro e del Governatore della Banca d'Italia in materia di nomina di amministratori e sindaci degli istituti e aziende di credito operanti esclusivamente nel territorio regionale.
L'art. 9 delle stesse norme di attuazione, dopo aver attribuito all'Assessore regionale per le finanze, su proposta della Banca d'Italia, la competenza a deliberare sia lo scioglimento degli organi amministrativi dei predetti istituti nei casi previsti dall'art. 57 del D.L. 12 marzo 1936, n. 375 (amministrazione straordinaria), sia la revoca dell'autorizzazione all'esercizio del credito e la messa in liquidazione nei casi previsti dall'art. 67 dello stesso decreto, aggiunge che restano però ferme, "anche per quanto riguarda la competenza", le altre disposizioni contenute nei capi II e III del titolo VII del R.D. 12 marzo 1936, n. 375, e successive modifiche, concernenti appunto, rispettivamente, le modalità dell'amministrazione straordinaria stabilita con lo scioglimento degli organi amministrativi, e della liquidazione conseguente alla revoca della autorizzazione all'esercizio del credito.
Questa norma contenuta nel secondo comma dell'art. 9 - prosegue la Regione - investe indubbiamente anche le disposizioni dell'art. 86 bis del citato R.D. 375 (nel quale fu introdotto con la successiva legge 7 aprile 1938, n. 636), secondo cui la sostituzione dei liquidatori, nei casi di liquidazione ordinaria, é disposta con decreto dell'allora Capo del Governo, ed oggi del Ministro del tesoro.
Secondo la Regione, si tratterebbe di provvedimento che, come precisa lo stesso art. 86 bis, non importa mutamento nella procedura di liquidazione, e verterebbe, quindi, nell'ambito degli interventi di ordinaria amministrazione in materia, di natura e portata analoghe a quelli che l'art. 2, lett. e, delle citate norme di attuazione attribuisce alla Regione, in esecuzione appunto degli artt. 17, lett. e, e 20 dello Statuto, ed in conformità del sistema di trasferimento della competenza amministrativa, desumibile dalle norme stesse.
Con ciò - osserva la Regione - si viene a profilare un contrasto fra la detta disposizione di attuazione e gli artt. 17 e 20 dello Statuto siciliano, la cui risoluzione é necessaria e strumentale per la definizione del conflitto di attribuzione.
A tale fine, il ricorrente - Presidente della Regione ha sollevato formalmente, in via incidentale, la questione di legittimità costituzionale nei termini suddetti, chiedendo dichiararsi costituzionalmente illegittimo il secondo comma del citato art. 9, nella parte in cui comprende, fra le disposizioni che restano ferme, l'art. 86 bis del D.L. 12 marzo 1936, n. 375, e successive modificazioni.
4. - Subordinatamente sostiene la Regione che, in ogni caso, il provvedimento impugnato costituirebbe violazione dell'art. 20, primo comma, seconda parte, dello Statuto siciliano, giacché questa disposizione prevede che, per le materie comprese nella competenza propria della Regione, il Presidente e gli Assessori regionali svolgono attività amministrativa secondo le direttive del Governo dello Stato.
Dovrebbe, perciò, intendersi che, ferma restando la natura statale della funzione, il suo esercizio sarebbe devoluto agli organi dell'amministrazione regionale, onde sempre, ed in ogni caso, dovrebbero ritenersi in contrasto con la Costituzione, e quindi illegittimi, i provvedimenti di amministrazione diretta da parte dello Stato adottati nella Regione nella subietta materia, in quanto costituenti invasione della sfera di potestà amministrativa decentrata della Regione stessa.
5. - Con altri due ricorsi notificati in pari data, il Presidente della Regione ha poi impugnato altri due decreti del Ministro del tesoro, pubblicati nella stessa Gazzetta Ufficiale, n. 104 del. 1961, concernenti, rispettivamente, la nomina del liquidatore della Cooperativa agricola di Roccamena, in sostituzione del precedente, dimissionario, e la nomina del liquidatore della Cassa rurale ed artigiana di Roccapalumba, per la sostituzione dei liquidatori di nomina assembleare, ritenuta necessaria al fine di imprimere alla procedura di liquidazione la dovuta speditezza.
In entrambi i ricorsi la Regione svolge argomentazioni e formula richieste identiche a quelle contenute nel ricorso innanzi riferito.
6. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si é costituito in giudizio e, con deduzioni depositate l'8 luglio 1961 nella cancelleria della Corte, ha resistito ai tre ricorsi, eccependo, in via pregiudiziale, l'inammissibilità degli stessi sotto due distinti profili.
In primo luogo, i ricorsi sarebbero inammissibili perché presentati dal Presidente della Regione senza la previa deliberazione della Giunta.
Invero, la giustificazione secondo cui sarebbero stati proposti senza la detta deliberazione in via di urgenza, data l'imminente scadenza dei termini, e "non essendo ancora costituita la nuova Giunta", partirebbe dall'erroneo presupposto che, in quel periodo, non esistesse la Giunta regionale, mentre, in base al principio della perpetuatio iurisdictionis, la Giunta dimissionaria doveva considerarsi tuttora in carica, sia pure per gli atti di ordinaria amministrazione e per i provvedimenti d'urgenza, e ben poteva e doveva, quindi, emettere la deliberazione in questione.
Né potrebbe contrastare con tale assunto l'affermazione della Corte (sentenza 13 aprile 1957, n. 57) circa l'ammissibilità del ricorso proposto in via d'urgenza dal Presidente del Consiglio provinciale di Bolzano senza la previa deliberazione del Consiglio stesso, che ne curò poi la ratifica anteriormente all'udienza di discussione, data la diversità delle situazioni, ravvisabile sia nella mancanza della urgenza di proporre gli attuali ricorsi, sia nella esistenza, nel caso presente, dell'organo collegiale competente per la deliberazione.
L'altro motivo di inammissibilità dedotto dall'Avvocatura si fonda, poi, sulla già avvenuta decisione della questione di competenza ora proposta.
Con sentenza n. 44 del 26 giugno 1958 la Corte avrebbe pronunciato appunto in materia identica, e precisamente sul conflitto di attribuzione proposto contro il decreto del Ministro del tesoro 28 maggio 1957, concernente la nomina del liquidatore della Cassa rurale "La Previdenza" di Valguarnera, dichiarando che spetta allo Stato di procedere alla sostituzione dei liquidatori prevista dall'art. 86 bis della legge n. 636 del 1938.
Con ciò, poiché oggetto della pronuncia della Corte in materia di conflitto di attribuzione é la statuizione sulla competenza in determinata materia, e solo mediatamente l'annullamento del procedimento impugnato, resterebbe ormai precluso, in forza della autorità del giudicato, ogni ulteriore esame della questione, anche se sollevata in relazione ad ulteriori e formalmente diversi provvedimenti.
Comunque, l'Avvocatura, nel merito, sostiene la infondatezza dei ricorsi e della questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale dalla Regione.
Invero, come già avrebbe ritenuto la Corte con la citata sentenza n. 44 del 1958, l'art. 9 delle norme di attuazione 27 giugno 1952 non sarebbe in contrasto con il sistema adottato per regolare i rapporti fra lo Stato e la Regione in materia di credito e risparmio. Il che sarebbe confermato, poi, dai principi fissati con la successiva sentenza n. 58 del 1958 che, pur se affermati in relazione allo Statuto sardo, valgono anche per la Sicilia.
Con la detta sentenza, infatti, la Corte avrebbe stabilito che i poteri della Regione sarda in materia di credito non possono escludere i poteri che la legge bancaria conferisce agli organi statali circa l'istituzione e l'ordinamento degli istituti di credito; che la funzione creditizia, essendo di pubblico interesse immediato, impone una disciplina unitaria; che, in ogni caso, in applicazione dei principi vigenti nella legislazione statale, devono essere riservati all'organo statale i poteri di controllo e di direzione sull'attività bancaria, in funzione dell'interesse nazionale, al quale quello regionale dev'essere subordinato.
Quanto poi alla tesi gradatamente prospettata dal ricorrente, osserva l'Avvocatura che l'art. 20 dello Statuto non prevede una competenza esclusiva degli organi regionali per l'esercizio decentrato di funzioni amministrative statali, ma ammette solo la possibilità che ciò avvenga.
Onde inesistente sarebbe, nella specie, l'assunta invasione della sfera di attribuzione regionale. E ciò anche perché l'eventuale competenza degli organi regionali, in ogni caso, sorgerebbe solo per effetto delle direttive del Governo dello Stato, in cui sarebbe implicita una delega di esercizio di talune funzioni statali.
7. - La difesa della Regione ha depositato, nei termini, una memoria illustrativa, con la quale ribatte anzitutto l'eccezione pregiudiziale sollevata dall'Avvocatura in ordine alla inammissibilità del ricorso per l'omissione della previa deliberazione della Giunta.
A dire della Regione, nella specie si sarebbe trattato non tanto di carenza di diritto della Giunta, quanto di carenza di fatto, giacché nonostante la convocazione disposta per il 13 giugno 1961 per provvedere anche in ordine all'impugnazione dei decreti in questione, ogni deliberazione della Giunta sarebbe stata resa impossibile, in mancanza del numero legale. Di fronte a tale situazione, collegata con le note difficoltà di Governo sorte allora in Sicilia, non rimarrebbe che riconoscere al Presidente un potere extra ordinem di procedere all'adozione di provvedimenti indilazionabili, quali appunto erano divenuti i ricorsi in esame, per la ormai imminente scadenza del termine: potere fondato sul principio per cui, in caso di urgenza, la deliberazione necessaria deve essere presa dall'organo che ha maggiori possibilità di esercizio del potere.
Quanto all'altra eccezione pregiudiziale, circa la intervenuta pronuncia della Corte in merito al precedente ricorso per conflitto di attribuzione di cui alla sentenza n. 44 del 1958 che, secondo l'Avvocatura, avrebbe riguardato la stessa questione oggi in discussione, osserva la difesa della Regione, che, invece, i ricorsi ora in discussione differirebbero da quello precedentemente esaminato e deciso, sotto vari profili.
Infatti, ora si farebbe valere una questione di legittimità in via incidentale non proposta nel primo giudizio, e la eventuale dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi condurrebbe alla preclusione anche della detta questione. Inoltre, in virtù dei limiti di efficacia del giudicato, il conflitto in esame dovrebbe senz'altro ritenersi diverso da quello deciso con la sentenza della Corte n. 44 del 1958, che si riferisce ad un atto diverso da quelli ora impugnati, e comunque non potrebbe, in ogni caso, spiegare efficacia quanto alla statuizione circa la competenza, in conformità dei principi processualistici in materia.
Queste considerazioni sarebbero avvalorate anche dalla diversità dei motivi addotti oggi a sostegno dei ricorsi, che si fondano soprattutto sulla "illegittimità derivata", dipendente dalla assunta incostituzionalità dell'art. 9 delle norme di attuazione di cui al decreto presidenziale 27 giugno 1952, n. 1133, nonché sulla richiesta di annullamento dei decreti impugnati per il motivo indicato in via subordinata, in relazione cioè all'art. 20, comma primo, parte seconda, dello Statuto siciliano, non proposto nel giudizio al quale si riferisce la ripetuta sentenza n. 44 del 1958 della Corte.
Quanto poi al merito della questione di legittimità costituzionale dell'art 9 delle norme di attuazione dello Statuto siciliano, la difesa regionale insiste negli argomenti già svolti, ponendo particolarmente in evidenza come la nomina dei liquidatori degli enti di credito regionale, ai sensi dell'art. 86 bis del R.D. n. 375 del 1936, non possa non rientrare fra le funzioni amministrative di competenza della Regione siciliana, alla quale, infatti, sono devolute tutte le funzioni in materia di disciplina del credito, e quindi anche quelle concernenti l'attività delle aziende medesime. Si rivelerebbe così manifestamente inconferente il richiamo dell'Avvocatura dello Stato alla sentenza n. 58 del 1958 della Corte, anche perché concernente la Regione sarda, il cui ordinamento statutario sarebbe assai più restrittivo di quello siciliano quanto ai poteri regionali in materia di credito e risparmio.
La difesa regionale, infine, insiste nella tesi subordinata di illegittimità dei decreti impugnati, rilevando, in particolare, che la devoluzione dell'esercizio delle funzioni amministrative agli organi regionali, in virtù dell'art. 20, primo comma, seconda parte, dello Statuto siciliano, non potrebbe ritenersi subordinata all'emanazione delle direttive da parte del Governo dello Stato, così come afferma l'Avvocatura, poiché l'eventuale mancanza delle direttive stesse non potrebbe mai costituire legittimazione dell'invasione della competenza regionale, ma soltanto, se mai, causa di responsabilizza per gli organi statali tenuti ad emanarle.
Considerato in diritto
1. - I tre giudizi, congiuntamente discussi all'udienza, possono essere decisi con unica sentenza: essi, infatti, sono identici sia nei loro presupposti di fatto, sia nei motivi e nelle argomentazioni difensive svolte dall'una e dall'altra parte in causa.
2. - Pregiudiziale é l'esame della prima questione sollevata in limine litis dall'Avvocatura dello Stato: la inammissibilità dei ricorsi, che non sono stati preceduti da delibera della Giunta regionale. Il Presidente della Regione, infatti, propose i tre ricorsi senza che fosse intervenuta la previa deliberazione della Giunta, così com'é richiesto dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che, in riferimento e in attuazione del disposto dell'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, espressamente stabilisce, nel terzo comma, che il ricorso per conflitto di attribuzione é proposto "per la Regione dal Presidente della Giunta regionale 'in seguito a deliberazione della Giunta stessa".
Tale omissione é stata giustificata dalla difesa della Regione con la inderogabile necessità di assicurare la tutela dell'interesse della Regione all'integrità della propria sfera di competenza amministrativa proponendo i ricorsi entro il termine di decadenza previsto dall'art. 39, che scadeva pochi giorni dopo; e con la impossibilità di ottenere la deliberazione della Giunta, perché dimissionaria. Ha poi comprovato, con la esibizione del verbale, che la Giunta, d'altra parte, fu convocata prima della scadenza del termine per produrre i ricorsi, ma non poté legalmente riunirsi per mancanza del numero legale. In ogni modo, l'operato del Presidente venne approvato e ratificato dalla nuova Giunta.
Ritiene, tuttavia, la Corte che l'eccezione di inammissibilità dei ricorsi, per il motivo sopra accennato, sia fondata.
3. - Come ha osservato all'udienza la difesa dello Stato, la ricordata espressione del terzo comma dell'art. 39 della legge n. 87: il ricorso della Regione per conflitto di attribuzione é proposto... "in seguito a deliberazione della Giunta", non é dissimile da quella adoperata negli artt. 31 e 32, a proposito della proposizione dei ricorsi con i quali si faccia questione della legittimità costituzionale di una legge di una Regione o dello Stato: "la questione (della legittimità costituzionale di una legge di una Regione) é sollevata, ' previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, dal Presidente del Consiglio mediante ricorso ecc." (art. 31, comma secondo); "la questione (della legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge dello Stato), 'previa deliberazione della Giunta regionale, é promossa dal Presidente della Giunta mediante ricorso, ecc." (art. 32, secondo comma). Che la proposizione del ricorso, in tali casi, debba essere preceduta da deliberazione, rispettivamente, del Consiglio dei Ministri o della Giunta regionale, é esigenza non soltanto formale, ma sostanziale. Il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Presidente regionale sono gli organi rappresentativi del Governo dello Stato e, rispettivamente, della Regione, e attribuendosi ad essi la legittimazione attiva ad agire dinanzi alla Corte costituzionale si adempie bensì ad una esigenza di natura formale, ma, sostanzialmente, occorre che sia preceduta dalla determinazione dei membri del Governo o dei componenti la Giunta regionale, e ciò per l'importanza dell'atto e per gli effetti costituzionali ed amministrativi che l'atto stesso può produrre. Infatti, la conseguente pronuncia della Corte costituzionale può avere l'effetto di dichiarare l'inefficacia di una legge dello Stato o di una Regione (art. 136 della Costituzione), e non minore importanza ha la pronuncia della Corte in materia di conflitti di attribuzione, in quanto la Corte costituzionale risolve il conflitto dichiarando il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione (art. 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87; art. 134 della Costituzione; v. sentenze della Corte 18 gennaio 1957, n. 11; 19 gennaio 1957, n. 18; 26 giugno 1958, n. 44).
La inderogabilità di siffatta esigenza é confermata dal rilievo che ben poteva il legislatore, ove lo avesse voluto, stabilire, in via generale, nella legge n. 87 e, in via particolare, nello Statuto speciale per la Regione siciliana, intorno al quale si discute nel presente giudizio, una disposizione che avesse autorizzato quegli organi rappresentativi a produrre, nei casi di urgenza o comunque di contingenze eccezionali, ricorso, salvo convalida degli organi collegiali. Il non averlo fatto é indizio di volontà contraria; e lo si può argomentare anche dalla legge 10 febbraio 1953, n. 62, riguardante la costituzione e il funzionamento delle Regioni a statuto ordinario, nella quale il legislatore avrebbe ben potuto attribuire, qualora l'avesse ritenuto necessario, un potere sostitutorio della Giunta al Presidente delle Regioni, nei casi di urgenza, mentre nell'art. 25, determinando le attribuzioni del Presidente, si é limitato a dargli la facoltà di promuovere di propria iniziativa, e salvo sempre a riferirne alla Giunta nella prima seduta, solo "i provvedimenti cautelativi e le azioni possessorie", cioè soltanto quei provvedimenti e quelle azioni che si presentano come mezzi di tutela in relazione a situazioni di fatto urgenti che, per la loro peculiarità, postulano interventi immediati, non compatibili con la preventiva consultazione della Giunta regionale.
Non vale, poi, richiamare la sentenza 13 aprile 1957, n. 57, con la quale la Corte ritenne ammissibile il ricorso per la impugnazione di una legge regionale del Trentino-Alto Adige proposta in via di urgenza dalla Giunta provinciale anziché dal Consiglio, perché, come espressamente si rileva dalla relativa motivazione, la decisione rispecchia le particolari disposizioni dettate al riguardo dallo Statuto di quella Regione, e precisamente l'art. 48, n. 7, che consente tale potere sostitutorio. Si tratta, quindi, di una decisione basata sopra una espressa disposizione, non applicabile al caso in esame.
Negli indicati casi speciali le disposizioni di legge sono quindi tassative, il che implica l'esclusione del Presidente dalla legittimazione ad agire, di sua iniziativa, negli altri casi.
Deve, dunque, ritenersi imprescindibile l'esigenza della previa deliberazione della Giunta regionale, come prescrive l'art. 39 della legge 11 marzo 1953, confermandosi in tal senso, quanto già ebbe a decidere questa Corte con la sentenza 19 gennaio 1957, n. 15, con la quale venne dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Regione sarda senza la previa deliberazione della Giunta regionale.
4. - Non si può in contrario opporre, per quanto riguarda i casi di cui ora si discute, che la Giunta fu convocata, ma non poté deliberare per mancanza del numero legale, e che, in ogni modo, la nuova Giunta ratificò l'operato del Presidente.
L'avere convocato la Giunta, per quanto dimissionaria, per deliberare, fra le altre cose poste all'ordine del giorno, la proposizione dei ricorsi per conflitto di attribuzione, significa riconoscere, senza possibilità di equivoco, che venne ritenuta necessaria, e giustamente, anche in tale situazione del Governo della Regione, la necessità della deliberazione della Giunta; il che vale negare il potere diretto e autonomo del Presidente a proporre i ricorsi. Dal fatto, poi, che fu determinata dai componenti la Giunta la mancanza del numero legale può anche inferirsi una volontà forse contraria a produrre i ricorsi.
Non può poi valere, come si é sostenuto, la successiva ratifica della nuova Giunta. A parte il rilievo che essa, come risulta dal documento esibito, ha tutto il carattere di una sanatoria generale dell'operato del Presidente, riferita a vari provvedimenti, resta pur sempre la violazione della norma che impone, in via preventiva e in modo inderogabile, la deliberazione della Giunta. Dando valore ad una successiva ratifica potrebbe giungersi ad avallare il principio per cui, ad libitum del Presidente, la deliberazione della Giunta può seguire, invece che precedere, la proposizione del ricorso, in aperto contrasto con la ricordata norma dell'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell'art. 39 della legge n. 87 del 1953.
5. - Dovendosi, in base alle esposte considerazioni, dichiarare inammissibili i ricorsi, rimane assorbito l'esame di ogni altra questione e del merito dei ricorsi stessi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
pronunciando con unica sentenza sui ricorsi, indicati in epigrafe, promossi dal Presidente della Regione siciliana contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, per conflitto di attribuzione fra la Regione e lo Stato, sorto a seguito dei decreti del Ministro del tesoro con i quali erano stati nominati i liquidatori della Cassa rurale "San Giuseppe" di Mezzoiuso, della Cooperativa agricola di Roccamena e della Cassa rurale ed artigiana di Roccapalumba:
dichiara inammissibili i ricorsi stessi, ai sensi del disposto del terzo comma dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per difetto della preventiva deliberazione della Giunta regionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 1962.
Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI
Depositata in cancelleria il 10 aprile 1962.