Sentenza n. 58 del 1958
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SENTENZA N. 58

ANNO 1958

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dal Consiglio regionale della Regione autonoma della Sardegna il 7 novembre 1956, recante "disposizioni per l'ordinamento dei servizi nella Regione relativamente al credito", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri notificato il 20 marzo 1958, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 26 marzo 1958 ed iscritto al n. 2 del Registro ricorsi 1958.

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente della Regione autonoma della Sardegna;

udita nell'udienza pubblica dell'8 ottobre 1958 la relazione del Giudice Mario Bracci;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò per il ricorrente, e gli avvocati Egidio Tosato e Pietro Gasparri per la Regione sarda.

 

Ritenuto in fatto

 

La Regione autonoma della Sardegna emanò una legge 7 novembre 1956, contenente disposizioni per l'ordinamento dei servizi della Regione relativamente al credito.

Con l'art. 1 furono dichiarate aziende di credito di carattere regionale tutte quelle che hanno nel territorio della Regione la loro sede centrale o che svolgono quivi la loro attività prevalente. Con l'art. 2, comma primo, fu affermato che i provvedimenti di carattere generale, adottati per tutto il territorio dello Stato dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio o dalla Banca d'Italia, sarebbero stati efficaci anche in Sardegna, fino a quando non fossero emanate apposite norme con successive leggi regionali.

Con l'art. 2, comma secondo, furono attribuite al Comitato tecnico consultivo per la finanza, il credito ed il risparmio, istituito con legge regionale 27 giugno 1950, n. 32, le funzioni di consulenza relative alla materia dell'art. 1.

Con l'art. 3 fu sancita la competenza dell'Amministrazione regionale, previo parere del suddetto Comitato tecnico, per i provvedimenti nelle materie di cui all'art. 4, lett. b, dello Statuto speciale per la Sardegna (istituzione e ordinamento di enti ed aziende di credito di carattere regionale). Fu altresì disposto che tutte le funzioni che lo Stato attribuisce al Comitato interministeriale per il credito e per il risparmio spettassero alla Giunta regionale, per quanto attiene alla Sardegna.

Con l'art. 4 fu istituito un albo degli enti e delle aziende di credito regionali, di cui al ricordato art. 1, con facoltà dell'Amministrazione regionale di determinare il capitale e il fondo minimo di dotazione delle nuove aziende di credito a carattere regionale.

Con l'art. 5 fu disposto che gli enti e le aziende di credito, di cui all'art. 1, dovessero trasmettere all'Assessorato alle finanze situazioni periodiche, bilanci ed altri dati concernenti la propria attività, con la garanzia del segreto d'ufficio anche nei riguardi delle pubbliche amministrazioni.

Con l'art. 6 fu sancito un ampio potere d'ispezione dell'Amministrazione regionale sugli enti e sulle aziende di credito, di cui all'art. 1, con facoltà d'impartire disposizioni di carattere organizzativo, contabile e amministrativo, da convalidarsi dall'Assessore alle finanze.

Con l'art. 7 fu attribuito alla Giunta regionale il potere di revocare le autorizzazioni di cui all'art. 3, di ordinare la chiusura di filiali e di sportelli, di ordinare o di provvedere direttamente alla convocazione delle assemblee dei soci e dei loro Consigli d'amministrazione, di ordinare procedure esecutive contro debitori morosi nei casi in cui sembrasse eccessivo il ritardo degli organi competenti e di fissare modalità per l'eliminazione o la sistemazione degli immobilizzi riconosciuti eccessivi.

Con l'art. 8 fu disposto che i verbali delle sedute dei Consigli d'amministrazione, i nomi dei funzionari abilitati ad impegnare gli istituti, la copia mensile del libro dei fidi, i verbali del Collegio sindacale e degli organi di vigilanza fossero trasmessi all'Amministrazione regionale.

Con l'art. 9 fu sancita la competenza della Giunta regionale, sentito il Comitato tecnico, per i provvedimenti relativi alla fusione degli enti e aziende di cui all'art. 1 e per la nomina dei liquidatori, amministratori e commissari di cui all'art. 50 del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375.

Con l'art. 10 fu disposto che in caso di inosservanza delle norme suddette si applicassero pene pecuniarie e sanzioni da fissarsi con decreto del Presidente della Giunta regionale, salvo le maggiori pene previste dal Codice penale.

Con l'art. 11 fu altresì disposto che le casse comunali di credito agrario, operanti nella Regione, passassero sotto la diretta sorveglianza dell'Amministrazione regionale, con l'entrata in vigore di questa legge.

Ed infine con l'art. 12 fu disposto che all'attuazione delle disposizioni di questa legge regionale si provvedesse d'intesa con i competenti organi dello Stato.

Questa legge, approvata dal Consiglio regionale ai sensi dell'art. 4, lett. b, dello Statuto speciale per la Sardegna in data 7 novembre 1956, fu rinviata dal Governo al Consiglio regionale per un nuovo esame, secondo gli artt. 33 dello Statuto e 127 della Costituzione. Ma il Consiglio regionale nella seduta del 6 marzo 1958 approvò nuovamente il testo della legge sopra ricordata.

Allora il Consiglio dei Ministri nella seduta del 17 marzo 1958 deliberò d'impugnare dinanzi alla Corte costituzionale questa legge 7 novembre 1956 della Regione autonoma della Sardegna e conseguentemente il Presidente del Consiglio dei Ministri il 20 marzo 1958 notificò al Presidente della Regione suddetta il ricorso col quale la legge é stata impugnata nel suo complesso e nei singoli articoli che la compongono (escluso l'art. 12).

Secondo la difesa dello Stato la legge sarebbe viziata da illegittimità costituzionale, sotto l'aspetto generale, per violazione degli artt. 4, 6 e 56 dello Statuto per la Sardegna in quanto la Regione difetterebbe di effettivi poteri legislativi ed amministrativi per la materia della lett. b dell'art. 4, in quanto non sarebbero state emanate le norme d'attuazione relative e non sarebbe avvenuto il passaggio degli uffici e del personale dallo Stato alla Regione.

In particolare poi l'art. 1 conterrebbe una errata interpretazione della dizione statutaria - "altre aziende di credito a carattere regionale" - in quanto la regionalità sarebbe stata determinata in base al solo criterio della territorialità della sede o della prevalente attività, mentre entrambi i requisiti avrebbero dovuto essere richiesti congiuntamente.

Inoltre i limiti della competenza segnati dall'art. 4, lett. b, dello Statuto - "istituzione ed ordinamento degli enti e delle aziende di credito regionale" - sarebbero stati superati dalla Regione, provocando l'incostituzionalità degli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 11 della legge impugnata.

L'art. 10, infine, sarebbe costituzionalmente illegittimo perché attribuisce al Presidente della Giunta regionale il potere di fissare sanzioni e pene pecuniarie, contro il principio costituzionale che non si possono comminare sanzioni non espressamente contemplate dalla legge.

Del deposito del ricorso, regolarmente effettuato nella cancelleria della Corte il 26 marzo 1958, fu data notizia nella Gazzetta Ufficiale n. 89 del 12 aprile e nel Bollettino della Regione sarda n. 12 del 10 aprile 1958.

La Regione autonoma della Sardegna si costituì in giudizio, col deposito delle proprie deduzioni, il 5 aprile 1958 in persona del proprio Presidente, debitamente autorizzato dalla Giunta regionale con deliberazione 26 marzo 1958.

Secondo la Regione la censura di portata generale, circa l'esigenza della previa emanazione delle norme d'attuazione, sarebbe destituita di fondamento, non essendo una simile condizione sancita da nessuna norma costituzionale, mentre sembrerebbe illogico che l'effettiva autonomia regionale dovesse dipendere da atti di normazione unilaterale dello Stato.

Quanto alla censura particolare, relativa all'art. 1, la Regione ritiene che la definizione delle aziende di credito regionali, data dall'impugnato art. 1, sia corretta: le aziende con la sede principale nella Regione sarebbero quelle create per operare esclusivamente o prevalentemente nel territorio regionale e l'estensione della norma a quelle che operassero prevalentemente sul territorio della Regione, ma avessero sede altrove, sarebbe stata determinata dall'esigenza di non lasciare sfuggire ai controlli previsti dalla legge le aziende di credito operanti prevalentemente nella Regione, ma che eventualmente ponessero la loro sede fittizia nel continente.

Riguardo all'art. 2, comma primo, non esisterebbe attualmente alcuna invasione della competenza statale non avendo la legge regionale emanato per il momento nessuna norma che modifichi le disposizioni del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio. Quanto poi al comma secondo dell'art. 2 la Regione rivendica il potere di emanare norme per disciplinare l'attività di un organo amministrativo regionale quali che siano le sue funzioni.

Del pari infondata sarebbe la censura rivolta contro l'art. 3 perché le funzioni del Comitato interministeriale alle quali si riferisce quest'articolo sarebbero soltanto quelle che concernono la materia di competenza regionale.

Quanto poi alle censure relative agli artt. 4, 5, 6, 7, 8 e 11, la Regione sostiene che trattasi di disciplina di propria competenza, che non esclude affatto l'esercizio d'un concorrente potere dello Stato.

Ed a proposito dell'art. 10, la resistente contesta che si tratti di sanzioni penali: l'art. 10 prevederebbe sanzioni puramente amministrative e perciò la riserva di legge, propria delle sanzioni penali, sarebbe invocata del tutto fuori luogo.

L'Avvocatura dello Stato e la Regione sarda, con memorie depositate rispettivamente il 22 e 24 settembre 1958, svilupparono ulteriormente i punti principali delle deduzioni precedentemente formulate.

Alla pubblica udienza dell'8 ottobre 1958 i difensori dello Stato e della Regione hanno poi oralmente svolto i motivi delle proprie conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - La legge regionale della Sardegna 7 novembre 1956 sarebbe costituzionalmente illegittima, secondo la difesa dello Stato, in primo luogo perché la Regione, in difetto di norme di attuazione, non potrebbe svolgere attività legislativa ed amministrativa nella materia dell'art. 4, lett. b, dello Statuto speciale per la Sardegna: i settori dell'attività statale e regionale sarebbero così interdipendenti, nella materia dei servizi relativi al credito, che s'imporrebbe un coordinamento tra gli organi delle diverse istituzioni, destinati ciascuno ad operare in sfere diverse della stessa materia e ciò non potrebbe avvenire che in virtù delle norme d'attuazione.

Sul piano pratico le osservazioni della difesa dello Stato sono indubbiamente giuste. Senza norme d'attuazione e con i limiti propri della legislazione regionale ex art. 4 dello Statuto della Sardegna, é estremamente improbabile che la Regione possa riuscire ad emanare una disciplina costituzionalmente legittima e, al tempo stesso, praticamente efficace. Difatti la legge regionale deve rispettare i principi della Costituzione, quelli dell'ordinamento giuridico e delle leggi dello Stato, non deve superare i limiti della competenza territoriale della Regione e non può interferire nell'organizzazione dello Stato, essendole inibito di disporre il passaggio di uffici e di servizi dallo Stato stesso alla Regione. Se si considerano la complessa disciplina statale del credito e del risparmio e gli inevitabili conflitti che sorgerebbero fra l'Amministrazione statale e l'Amministrazione regionale, qualora concorressero nella stessa materia due discipline legislative non coordinate, sembra che in un caso come questo le norme d'attuazione siano, più che opportune, praticamente necessarie. Ma sul piano giuridico queste considerazioni di opportunità non hanno peso.

La lett. b dell'art. 4 dello Statuto sardo determina con precisione la materia legislativa di competenza della Regione, limitandola all'organizzazione (istituzione e ordinamento) di alcuni enti ed aziende di credito di carattere regionale ed indica persino le forme (autorizzazioni) con le quali deve svolgersi l'attività amministrativa della Regione al riguardo. Perciò in questa fattispecie non é dubbio che la fonte statutaria deve ritenersi sufficiente ad attribuire direttamente alla Regione i poteri legislativi e amministrativi relativi alla materia. Resta da vedere se la Regione li abbia legittimamente esercitati.

É opportuno rilevare, a questo proposito, che i provvedimenti d'attuazione, richiamati dall'art. 12 della legge impugnata - "per l'attuazione delle disposizioni della presente legge, l'Amministrazione regionale provvede d'intesa con i competenti organi dello Stato" - non hanno nulla a che vedere con le norme d'attuazione di cui all'art. 56 dello Statuto, alle quali si riferisce il ricorso dello Stato. Quest'inconsueta norma dell'art. 12 citato sembra alludere ad un qualche regolamento o a particolari provvedimenti che dovrebbero essere emanati dalla Regione d'intesa con lo Stato, secondo ignote norme di competenza e di procedimento. Comunque si tratta di una norma che non ha rilevanza costituzionale e che, se mai, serve a segnalare che anche la Regione ha la consapevolezza dell'esigenza pratica e giuridica di coordinare la propria attività con quella statale.

Ciò premesso il motivo d'incostituzionalità prospettato dalla difesa dello Stato sotto il profilo della violazione degli artt. 4 e 6 in relazione all'art. 56 dello Statuto non é fondato.

2. - Circa la portata dell'art. 4, lett. b, dello Statuto sardo non vi é dubbio, secondo la lettera della norma, che la competenza regionale si riferisce soltanto all'"istituzione e all'ordinamento" degli enti e delle aziende di credito di carattere regionale, cioè al momento organizzativo di questi soggetti. Ciò é confermato anche dall'espressa indicazione statutaria "della competenza regionale per le "relative autorizzazioni", che bene si addice all'attività amministrativa che sia diretta a riconoscere ad un soggetto la capacità a svolgere la funzione creditizia - che é d'interesse pubblico generale, ma che può avere profili di particolare interesse regionale - e ad autorizzarlo, per quanto riguarda la Regione, ad esercitare la funzione stessa, senza interferire per questo sullo svolgimento dell'attività relativa.

Ma se anche la dizione dell'art. 4, lett. b, fosse meno chiara di quanto sembra, l'interpretazione potrebbe essere diversa.

Come sarà esposto in seguito, é nell'ordine logico delle cose, prima ancora che nei principi delle leggi, che il potere di dirigere e di controllare l'attività creditizia sia unitario, cioè statale.

Difatti la funzione creditizia é di interesse pubblico, soprattutto perché la circolazione creditizia influisce direttamente sulla stabilità del potere d'acquisto della moneta. Ma poiché il mercato monetario é nazionale e non regionale, ovviamente non possono spettare alla Regione decisivi poteri di supremazia e di controllo sull'attività degli enti e delle aziende di credito, quale che sia il loro carattere.

Quando poi alla definizione degli enti e delle aziende di carattere regionale di cui all'art. 4, lett. b, dello Statuto, la Corte ha già avuto occasione d'interpretare questa norma, affermando (sentenza 50 del 1958) che trattasi degli istituti e delle aziende che svolgono un'attività specializzata e che, per le categorie delle persone nel cui interesse operano e per i fini particolari che perseguono, possono qualificarsi "regionali". A ciò si aggiunga, d'altra parte, che anche per questa materia deve essere rispettato il limite che il carattere territoriale della Regione impone all'efficacia delle sue leggi.

Secondo questa interpretazione dell'art. 4, lett. b, dello Statuto sardo appare evidente l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge regionale in esame, che ha definito quali enti ed aziende di credito di carattere regionale gli enti e le aziende che abbiano nel territorio della Regione "la loro sede centrale ovvero ivi svolgono la loro attività prevalente" e che ha sancito norme che attribuiscono alla Regione poteri di supremazia e di controllo sull'attività di questi enti. In tal modo la Regione ha violato la norma statutaria in quanto ha trascurato i caratteri che devono essere propri degli enti e delle aziende di credito regionali, ha esteso l'efficacia della propria legge oltre il territorio della Regione per quegli enti che non esercitino la propria attività esclusivamente in Sardegna ed ha dettato norme che esorbitano dai limiti della propria competenza, che riguarda soltanto l'istituzione e l'ordinamento degli enti e delle aziende di credito di carattere regionale e non anche l'attività degli enti stessi.

3. - Ma a prescindere dai rilievi che precedono e che da soli rendono evidente l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 e della maggior parte delle norme impugnate, che dipendono da detto art. 1, tutta la legge appare viziata da grave illegittimità costituzionale, solo che si considerino i principi ai quali si ispira la legge regionale circa l'ordinamento dei servizi della Regione, relativamente al credito con i principi che sono propri delle leggi statali in materia bancaria e che costituiscono uno dei limiti posti alla legislazione regionale dall'art. 4 dello Statuto per la Sardegna.

Per quanto riguarda l'istituzione, l'ordinamento la fusione e l'incorporazione degli enti e delle aziende di credito d'interesse regionale, la legge regionale 7 novembre 1956 (artt. 2, 3 e 9, ultimo comma) attribuisce la competenza alla Giunta regionale sentito il Comitato tecnico consultivo, istituito con la legge regionale 27 giugno 1950, n. 32. Trattasi di ampi poteri di amministrazione attiva e di controllo (artt. 3, 7, primo comma, e 9) da esercitarsi dalla Regione in luogo di "tutte le funzioni che le leggi dello Stato attribuiscono al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio ed al Ministro del tesoro".

Per quanto riguarda poi l'attività di questi enti e di queste aziende, i poteri della Regione sono non soltanto di vigilanza, ma addirittura di supremazia (ad es. art. 6: "i funzionari dell'Amministrazione regionale possono altresì impartire disposizioni di carattere organizzativo, contabile ed amministrativo che devono essere convalidate dall'Assessore alle finanze"). Fra l'altro gli organi regionali possono imporre determinate direttive all'attività bancaria anche per fattispecie concrete (art. 7, lettere a, b, c), i controlli sono previsti preventivi, repressivi e sostitutivi e l'osservanza delle norme regionali é assicurata da particolari sanzioni (artt. 5, 6, 8, 9 e 10). A questo riguardo la legge in esame afferma che nulla é innovato rispetto ai provvedimenti di carattere regionale e d'interesse nazionale che saranno adottati dal Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio o dalla Banca d'Italia per tutto il territorio dello Stato (ciò, del resto, "fino a quando non saranno emanate apposite norme con successive leggi regionali": art. 2), ma da vari articoli della legge (artt. 3, 4, terzo comma, 7, lettere a, b, c, e 10) appare evidente che le funzioni del Comitato interministeriale, del Ministero del tesoro e della Banca d'Italia - che é l'organo esecutivo - da esercitarsi in concreto sull'attività bancaria regionale, sono state sostituite dalle funzioni degli organi della Regione.

Queste norme sono in contrasto inconciliabile con i principi ai quali si ispirano le leggi dello Stato 7 marzo 1938, n. 141, e 7 aprile 1938, n. 636, e successive modificazioni, comunemente indicate come "legge bancaria".

Come é stato già ricordato la funzione creditizia é considerata da lungo tempo - e non soltanto in Italia - di pubblico interesse immediato, in tutta la sua estensione, perché la circolazione creditizia influisce decisamente sul mercato monetario, che é nazionale e che quindi impone una disciplina rigorosamente unitaria. Perciò in primo luogo, secondo la legge bancaria, la cura della funzione creditizia é rigorosamente accentrata in organi statali (artt. 11 e segg. legge 7 marzo 1938, n. 141, e legge 7 aprile 1938, n. 636, e successive modificazioni) attribuendosi alla Banca d'Italia, nelle funzioni indubbiamente statali dell'Ispettorato del credito, l'esercizio del controllo bancario (artt. 1, 2 e 6 D.L.C.P.S. 17 luglio 1947, n. 691). In secondo luogo - sempre per queste esigenze di disciplina unitaria - le funzioni creditizie possono essere esercitate soltanto da coloro che abbiano ottenuto dallo Stato il riconoscimento di tale potere (artt. 1 e 2 della legge bancaria sopra citata).

Ciò posto, appare chiaro che dall'art. 4, lett. b, dello Statuto derivano alla Regione poteri di iniziativa circa l'istituzione e l'ordinamento degli enti e delle aziende di credito di carattere regionale; può anche ammettersi che la Regione, attraverso le necessarie autorizzazioni, possa negare o consentire, proprio in funzione degli interessi regionali, l'istituzione degli enti e delle aziende sopra indicate. Ciò é conforme al principio della distribuzione funzionale del credito, che é proprio della legge bancaria e che é in armonia col sistema delle autonomie regionali, destinate ad adeguare l'ordinamento giuridico alle esigenze locali, secondo la diversità dei bisogni. Anche prima della legge bancaria non mancavano, del resto, in Italia fiorenti istituti di credito la cui disciplina statutaria doveva essere approvata da enti locali; e vi sono tuttora istituti di credito di diritto pubblico, sui quali gli enti locali esercitano vari poteri, col pieno rispetto della legge bancaria.

Ma é ovvio che i poteri della Regione non possono escludere i poteri che la legge conferisce agli organi statali (artt. 5 e 28 della legge bancaria) circa l'istituzione e l'ordinamento degli enti e delle aziende di credito. Se la Regione sarda potesse a suo beneplacito istituire ed ordinare tutti gli enti e tutte le aziende bancarie di carattere regionale che le sembrassero opportune nel proprio interesse, verrebbe violato il principio fondamentale della cura unitaria della funzione creditizia, che deriva dall'esigenza di garantire la sicurezza del risparmio e di assicurare l'ordine monetario su base nazionale e che é caratteristico della vigente legge bancaria.

In sede di norme d'attuazione o in occasione dell'adeguamento della legislazione statale alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni, ai sensi della disposizione IX della Costituzione, la collaborazione fra la Regione e lo Stato potrà essere disciplinata a questo riguardo nel modo più opportuno, anche col riconoscimento alla Regione di poteri più vasti di quelli che oggi sono consentiti dai principi delle leggi vigenti. Ma non potrà mai avvenire che l'organo statale non si riservi in definitiva poteri decisivi circa la istituzione degli enti di credito di carattere regionale, a meno che non muti radicalmente tutto il sistema dell'attuale disciplina statale sul credito e sul risparmio.

Del resto le norme per l'attuazione dell'art. 17, lett. e, dello Statuto della Sicilia (D. P.R. 27 giugno 1952, n. 1133), che in materia di credito, di assicurazioni e di risparmio attribuisce alla Regione siciliana poteri assai più vasti di quelli statutariamente riconosciuti alla Regione sarda nella stessa materia, sono una conferma di questa esigenza. Infatti le norme d'attuazione del D.P.R. 27 giugno 1952, n. 1133, riconoscono alla Sicilia vasti poteri di iniziativa, istruttori ed anche d'amministrazione attiva, ma con vari accorgimenti giuridici (necessità di pareri vincolanti del Comitato interministeriale per il credito e per il risparmio per il tramite della Banca d'Italia, approvazioni del Presidente della Regione d'intesa col Ministro del tesoro, poteri della Regione, fermi restando tutti i poteri degli organi statali previsti dalla legge bancaria) é stato riservato allo Stato il potere di decidere, in definitiva, sull'opportunità d'attribuire le funzioni creditizie ad istituti e ad aziende operanti esclusivamente nel territorio regionale e sull'adeguatezza dei relativi ordinamenti "ai principi e agli interessi cui s'ispira la legislazione dello Stato sulla disciplina del credito e del risparmio" (art. 3 delle disp. att. citate).

Le stesse considerazioni valgono per i poteri di supremazia e per i controlli regionali sull'attività bancaria. Il principio a cui si ispira la legge statale é che la funzione di controllo sia esclusiva degli organi dello Stato e in primo luogo della Banca d'Italia (artt. 2, 10, 25 e segg. della legge bancaria; artt. 1, 2 e 6 D.L.C.P.S. 17 luglio 1947, n. 691), come é esclusivo dei competenti organi statali e della Banca d'Italia il potere di dirigere quest'attività in funzione dell'interesse nazionale più volte ricordato, al quale l'interesse regionale non può che essere subordinato.

Del resto anche le norme d'attuazione per la Sicilia, già ricordate, dispongono all'art. 10 che il controllo sull'attività degli istituti e delle aziende di credito operanti in Sicilia "resta devoluto esclusivamente alla Banca d'Italia".

Ciò non toglie, evidentemente, che a suo tempo la legislazione statale, ove ciò sia ritenuto opportuno, possa decentrare verso gli organi della Regione determinati poteri di controllo sull'attività bancaria regionale: ma i principi della legislazione vigente non consentono questa ipotesi che, perciò, potrebbe essere regolata soltanto da leggi dello Stato.

Allo stato dei principi delle leggi bancarie in vigore tutta la legge regionale 7 novembre 1956 é viziata da illegittimità costituzionale in quanto le sue norme sono in aperto contrasto con i principi stessi.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge approvata dal Consiglio della Regione autonoma della Sardegna il 7 novembre 1956 e riapprovata il 6 marzo 1958, recante "disposizioni per l'ordinamento dei servizi nella Regione relativamente al credito".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 1958.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI

 

Depositata in cancelleria il 24 novembre 1958.