Sentenza n. 15 del 1957
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SENTENZA N. 15

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Avv. Enrico DE NICOLA, Presidente

Dott. Gaetano AZZARITI

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELLI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunziato la seguente

 

SENTENZA

 

sui sei ricorsi, notificati il 20 febbraio 1956, depositati nella cancelleria della Corte costituzionale il 28 successivo, iscritti rispettivamente ai numeri 21, 22, 23, 25, 26 e 27 del Registro ricorsi 1956 e pubblicati, i primi cinque, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 84 del 7 aprile 1956 ed il sesto nella Gazzetta Ufficiale n. 98 del 21 aprile 1956, proposti dalla Regione autonoma della Sardegna per la dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, che reca norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna, per la sola parte concernente gli articoli sottoindicati:

ricorso 1 ) art. 7;

ricorso 2 ) art. 11;

ricorso 3 ) art. 12;

ricorso 4 ) art. 15;

ricorso 5 ) art. 17, commi, l, 2, 4 e 5 ;

ricorso 6 ) art. 19, comma 1.

Viste le costituzioni in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 7 novembre 1956 la relazione del Giudice Mario Bracci;

uditi gli avvocati Egidio Tosato e Pietro Gasparri per la Regione ricorrente ed il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna.

 

Ritenuto in fatto

 

Con sei ricorsi, notificati il 20 febbraio 1956 e depositati il 28 detto, la Regione autonoma della Sardegna ha promosso davanti alla Corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale degli artt. 7, 11, 12, 15, 17 e 19 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, contenente "norme d'attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna". Questi ricorsi sono stati regolarmente pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, difesa dalla Avvocatura dello Stato, si é regolarmente costituita in giudizio, depositando il 12 marzo 1956 separate deduzioni per ogni ricorso, illustrate successivamente da separate memorie, depositate il 24 ottobre 1956.

Tutti i ricorsi propongono due motivi di impugnazione che hanno carattere generale.

Col primo si sostiene che le norme d'attuazione impugnate, in quanto contengono modificazioni dello Statuto, sarebbero costituzionalmente illegittime per essere stato omesso il procedimento Costituzionale per la revisione dello Statuto della Sardegna di cui all'art. 54 dello Statuto stesso.

Col secondo si sostiene che sarebbe stata invasa la competenza legislativa della Regione, in quanto con le norme d'attuazione impugnate lo Stato avrebbe legiferato in materie di competenza legislativa regionale; questo sarebbe un vizio d'incostituzionalità a sé stante, per il solo fatto della posizione della norma in una materia di generale competenza legislativa regionale, a prescindere dall'esame del convenuto specifico delle norme stesse.

L'Avvocatura dello Stato osserva, tanto sul primo quanto sul secondo punto, che le norme d'attuazione, previste dall'articolo 56 dello Statuto, sono state emanate in virtù di delega legislativa proprio per integrare ed adattare lo Statuto stesso alle esigenze concrete dell'autonomia regionale. Perciò non soltanto é fuori luogo parlare d'invasione della competenza regionale, ma quelle modificazioni dello Statuto, nel senso dell'integrazione, che sono state rese necessarie dalle esigenze dell'attuazione hanno natura giuridica particolare tanto che per queste il limite della costituzionalità é diverso da quello delle leggi ordinarie.

Le particolari censure d'illegittimità costituzionale, relative ad ogni singolo ricorso sono poi le seguenti:

1) Quanto all'art. 7 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327 (ricorso n. 21), la Regione sostiene che sono stati violati l'art. 6, in relazione agli artt. 3 lett. d e 4 lett. c, e l'art. 56 dello Statuto. Questo art. 7, mentre dispone il passaggio alla Regione di tutti gli uffici e servizi del Ministero dell'agricoltura esistenti in Sardegna, eccettua l'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura e l'Osservatorio fitopatologico perché, pur adempiendo ai compiti regionali secondo le direttive della Regione, questi organi rimangono alle dipendenze del Ministero per l'esercizio delle funzioni statali. Secondo la Regione, che ha minutamente analizzato le funzioni amministrative spettanti per legge agli ispettorati agrari e agli osservatori fitopatologici, le due eccezioni dell'art. 7 sarebbero costituzionalmente illegittime perché, di fronte alla piena potestà amministrativa regionale in materia d'agricoltura, nessuna funzione agraria di carattere generale sarebbe rimasta a questi organi dall'amministrazione statale nella Regione, salvo forse qualche limitatissimo compito inerente allo Osservatorio fitopatologico.

La difesa dello Stato eccepisce invece che la competenza dell’amministrazione regionale in materia d'agricoltura concorre con quella statale, essendo riservate alla prima le funzioni d'interesse regionale e all'altra quelle d'interesse unitario e nazionale: le due eccezioni dell'art. 7 sarebbero state disposte proprio in considerazione delle funzioni di interesse nazionale che sono prevalentemente proprie degli ispettorati compartimentali e degli osservatori fitopatologici, rimasti perciò alle dipendenze dello Stato.

2) Il secondo ricorso (numero di ruolo 22) prende in considerazione l'art. 11 delle citate norme d'attuazione che riserva alla competenza del Ministero dei LL.PP. la compilazione dell'elenco dei comuni per i quali deve essere adottato un piano di ricostruzione a termini del D.L.L. 1 marzo 1945, n. 154, sui danni bellici. Questa norma é ritenuta costituzionalmente illegittima dalla Regione per violazione dell'art. 6 dello Statuto in relazione all'art. 3 lettere a ed f, in quanto l'amministrazione regionale é piena anche in materia di edilizia e d'urbanistica.

Secondo la difesa dello Stato la compilazione del suddetto elenco dei comuni é invece il primo atto d'un complesso procedimento destinato a concludersi essenzialmente in lavori pubblici statali; questa é materia sottratta alla competenza regionale e sotto questo profilo l'art. 11 sarebbe del tutto conforme allo Statuto.

3) L'art. 12 delle suddette norme d'attuazione dispone poi che i regolamenti edilizi comunali siano approvati dalle autorità regionali "udito il parere del Provveditorato alle opere pubbliche per la Sardegna". La Regione ha impugnato questo articolo col ricorso n. 23 per violazione dell'art. 6 dello Statuto, in relazione all'art. 3 lettere a ed f, in quanto il Provveditorato, organo statale, non poteva essere inserito con legge ordinaria nell'organizzazione amministrativa regionale e in quanto un'attività consultiva statale verrebbe ad invadere in tal modo una sfera di piena ed esclusiva competenza regionale. La difesa dello Stato, osservato che questa norma, accolta a suo tempo dalla Commissione paritetica, non é in contrasto con nessun articolo dello Statuto, eccepisce che il parere del Provveditorato alle 00. PP. non é vincolante e che il Provveditorato stesso, oltre ad essere tenuto, per legge, a svolgere funzioni in base alle direttive della Regione é anche organo di vigilanza urbanistica ai fini statali. Tutto ciò escluderebbe, secondo la difesa dello Stato, l'illegittimità costituzionale dell'art. 12.

4) Circa l'art. 15, oggetto del ricorso n. 25, la Regione ne censura l'illegittimità per violazione dell'art. 5 dello Statuto in relazione agli artt. 3 lettere a ed e, e 4 lett. a, in quanto dispone che l'attività amministrativa concernente i giacimenti minerari di interesse nazionale sia svolta dall'amministrazione regionale secondo le direttive che all'uopo saranno impartite dal Ministero dell'industria e del commercio.

Secondo la Regione, questa distinzione tra giacimenti di interesse nazionale e locale, adottata di recente anche da un decreto legislativo delegato per il decentramento dei servizi del Ministero dell'industria, é del tutto arbitraria specialmente se é riservata al potere discrezionale dell'amministrazione statale. D'altra parte gli "interessi nazionali", ai quali allude l'art. 3 dello Statuto, sono limiti posti alla legislazione regionale che non possono riflettersi, in virtù di atti del potere esecutivo, sull'amministrazione regionale. Questa, nell'ambito della legge e del proprio potere discrezionale, deve potere esercitare liberamente i diritti relativi alle miniere, ai sensi dell'art. 3 lett. m dello Statuto.

L'Avvocatura dello Stato eccepisce invece che il limite degli interessi nazionali, richiamato per l'amministrazione regionale dal combinato disposto degli artt. 3 e 6 dello Statuto, legittima pienamente una norma d'attuazione che coordini l'amministrazione regionale con l'amministrazione statale proprio in funzione della diversa importanza locale o generale degli interessi che sono inerenti ai giacimenti minerari.

5) Un altro articolo impugnato é il 17, che contiene norme relative alle Camere di commercio della Sardegna. La Regione ha contestato col ricorso n. 26 la legittimità costituzionale dei commi 1, 2, 4 e 5 di questo articolo in virtù dei quali le funzioni ispettive sulle Camere di commercio sono esercitate dall'amministrazione regionale secondo le direttive del Ministero; alla nomina dei presidenti provvedono i Ministeri del commercio e dell'agricoltura su proposta del Presidente della Giunta regionale; i bilanci sono approvati dall'amministrazione regionale d'intesa col Ministero dell'industria; l'aliquota dell'imposta camerale circoscrizionale é fissata con decreto del Presidente della Regione d'intesa col Ministro dell'industria.

Quest'ingerenza dell'amministrazione statale sull'amministrazione regionale é contrastata dal ricorso della Regione per motivi analoghi a quelli dei ricorsi precedenti.

Difatti, secondo la Regione, l'amministrazione regionale nelle materie di legislazione esclusiva é piena ed esclude qualunque ingerenza statale (perciò violazione dell'art. 6 dello Statuto in relazione all'art. 3 lettere a e d), mentre nelle materie di legislazione concorrente l'amministrazione potrebbe incontrare tutt'al più i limiti dei principi che sono stabiliti dalle leggi dello Stato. Ma nel caso, secondo la Regione, non esisterebbero nella legislazione statale principi capaci di giustificare le ingerenze statali previste dall'art. 17 (perciò violazione dell'art. 6 anche in relazione all'art. 4 lett. a dello Statuto). La difesa dello Stato eccepisce che la disciplina dell'art. 17 sarebbe proprio determinata dai principi delle leggi statali che, affidando alle Camere di commercio funzioni locali e nazionali strettamente connesse, impongono un ragionevole coordinamento dell'amministrazione regionale con quella statale.

6) L'ultimo articolo delle norme d'attuazione di cui al D.P.R. n. 327 del 1950, impugnato dalla Regione col ricorso n. 27, é il 19 che riserva agli "uffici e organi provinciali dello Stato" le funzioni in materia di igiene e di sanità affidando all'amministrazione regionale soltanto il compito di coordinare queste funzioni secondo le direttive dell'Alto Commissariato per l'igiene e per la sanità, ferma restando la dipendenza dal Commissariato stesso degli uffici ed organi predetti per le funzioni d'esclusiva competenza dello Stato.

La Regione rileva che con questa norma non soltanto viene praticamente eliminata l'attività amministrativa regionale in materia di sanità, ma viene addirittura escluso il passaggio alla Regione degli uffici per l'igiene e per la sanità, previsto dall'art. 56 dello Statuto. Ciò costituirebbe, secondo la Regione, violazione dell'art. 6 dello Statuto, in relazione agli artt. 3 lett. a, 4 lett. i e 56 dello Statuto per la Sardegna.

La difesa dello Stato eccepisce invece che in luogo del passaggio degli uffici ed organi dallo Stato alla Regione fu preferito, conforme all'avviso della Commissione paritetica, un duplice rapporto funzionale degli uffici verso lo Stato e verso la Regione; ciò sarebbe del tutto conforme allo Statuto e non escluderebbe affatto che questi organi, in virtù di tale rapporto, esercitassero alle dipendenze della Regione tutte le funzioni a questa spettanti, sia pure secondo le direttive dell'Alto Commissariato per la sanità. Queste "direttive" costituirebbero rispetto all'amministrazione regionale l'equivalente dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato che sono previsti dall'art. 4 quali limiti alla legislazione regionale concorrente. D'altra parte, secondo la difesa dello Stato, la suprema responsabilità per la tutela della salute pubblica, spetterebbe esclusivamente allo Stato ai sensi dell'art. 32 della Costituzione.

Il Presidente, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 15 delle Norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte, ha disposto che le sei cause promosse con i sopra indicati ricorsi e chiamate alla stessa udienza siano congiuntamente discusse.

 

Considerato in diritto

 

La Corte ha ritenuta opportuna la riunione dei ricorsi per la loro decisione con un'unica sentenza: vi é identità di parti, alcune questioni sono comuni ai vari ricorsi e tutte sono relative alle norme d'attuazione del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327.

Per quanto riguarda il ricorso n. 22, relativo all'art. 11 delle ricordate norme d'attuazione, occorre rilevare pregiudizialmente che, secondo ciò che risulta dagli atti, la Giunta regionale non ha deliberato di promuovere la questione di legittimità costituzionale.

Difatti la convenienza o meno di questo ricorso fu ampiamente dibattuta dagli organi regionali, ma la Giunta regionale, nella sua deliberazione conclusiva del 3 febbraio 1956, relativa all'impugnazione di molteplici norme, si espresse chiaramente in senso negativo: non incluse l'art. 11 fra quelli di cui fu deliberata l'impugnativa e dichiarò nella motivazione "non doversi fare luogo all'impugnativa davanti la Corte costituzionale del citato art. 11 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, per ovvie regioni d'opportunità".

Poiché non vi é dubbio che la deliberazione della Giunta regionale é necessaria, ai sensi dell'art. 32 della legge 11 marzo 1953, n. 87, affinché la Regione possa promuovere in giudizio una questione di legittimità costituzionale, il ricorso non può essere ammesso. Inoltre, nella fattispecie, risulta addirittura dagli atti la volontà negativa della Giunta regionale al riguardo.

Da ciò deriva che il ricorso registrato al n. 22 e concernente l'art. 11 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, deve essere dichiarato inammissibile.

Quanto alle questioni di carattere generale, sollevate dalla Regione autonoma della Sardegna nei ricorsi n. 21, 23, 25, 26 e 27 e relative alla violazione dell'art. 54 dello Statuto per essere stato omesso il procedimento costituzionale per la revisione statutaria, e alla violazione degli artt. 3 e 4 dello Statuto stesso in quanto le norme impugnate avrebbero disciplinato materie comprese nella competenza legislativa regionale, questa Corte ha già avuto occasione di pronunziarsi in proposito con la sentenza n. 20 del 29 giugno 1956, negando il fondamento di questi motivi d'impugnazione che non tengono conto della natura e dello scopo delle norme d'attuazione, espressamente previste dall'art. 56 dello Statuto.

La Corte non può che confermare la propria giurisprudenza anche in questo caso e, conseguentemente, ritenere infondati i ricordati motivi di gravame.

Per quanto riguarda le questioni particolari relative ai singoli ricorsi la Corte osserva quanto appresso. In relazione all'art. 7 (ricorso n. 21) la censura della Regione, che ravvisa una violazione della propria potestà amministrativa nel fatto che l'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura e l'Osservatorio fitopatologico della Sardegna restano alle dipendenze del Ministero per l'esercizio delle funzioni riservate allo Stato, non é fondata.

A parte l'importanza maggiore o minore che di fatto possono avere attualmente le funzioni statali, in quanto la maggior parte dell'amministrazione agraria periferica é divenuta di competenza regionale, non vi é dubbio che nessuna norma costituzionale impone allo Stato di trasferire tutti i propri uffici alla Regione o gli vieta di conservare alle proprie dipendenze e a proprio carico quelli esistenti.

Vero é che questi uffici rimasti alle dipendenze dello Stato dovranno adempiere, in base alle direttive impartite dalla Regione, anche i compiti a questa affidati. Ciò sembra conforme ai principi della collaborazione tra Stato e Regione dai quali dipende, in definitiva, il buon funzionamento delle autonomie regionali.

D'altra parte é certo che esistono tuttora funzioni caratteristicamente statali dell'Ispettorato compartimentale dell'agricoltura e dell'Osservatorio fitopatologico (basti ricordare il controllo sull'utilizzazione dei contributi statali per pascoli e per sistemazioni montane, la lotta contro le malattie delle piante, contro gli insetti ecc. ed in genere le funzioni che si svolgono mediante atti la cui efficacia superi il limite territoriale della Regione) e comunque non sembra discutibile che in qualunque momento lo Stato potrà affidare nuove funzioni a questi uffici. Inoltre l'art. 7 parla genericamente di "esercizio di funzioni statali": é ovvio che questa dizione non potrà ledere in alcun caso la competenza della Regione perché queste funzioni sono e potranno essere soltanto quelle che secondo la norma della Costituzione e dello Statuto spettino effettivamente allo Stato e non alla Regione.

Perciò il ricorso della Regione sarda relativo all'art. 7 deve essere respinto.

Del pari infondata é la questione d'illegittimità costituzionale sollevata dalla Regione sarda col ricorso n. 23 relativamente all'art. 12 delle ricordate norme d'attuazione.

La Regione lamenta che i regolamenti edilizi comunali debbano essere approvati "udito il parere del Provveditorato alle opere pubbliche per la Sardegna", che sarebbe organo statale e non regionale. In realtà non é agevole apprezzare la portata di questa censura perché l'art. 9, non impugnato, delle norme d'attuazione in esame sancisce che il Provveditore alle opere pubbliche per la Sardegna adempie in base a direttive della Regione le funzioni a questa demandate. Perciò può essere fondatamente sostenuto che il Provveditore alle OO. PP. nell'esercizio dell'attività consultiva di cui all'articolo impugnato espleti funzioni regionali e non funzioni statali;col pieno rispetto non soltanto della competenza, ma anche del prestigio della Regione autonoma della Sardegna.

Ciò rilevato, occorre tenere presente che i regolamenti edilizi comunali hanno una particolare importanza perché sono previsti dal Codice civile quali fonti di diritto (art. 871) ed in alcuni casi (artt. 873 e segg. ) possono prevalere addirittura sulle norme del Codice.

Perciò i regolamenti comunali edilizi sono sottoposti, secondo la legislazione statale, a particolari controlli centrali (parere del Consiglio superiore della sanità: art. 230 del T.U. 27 luglio 1934, n. 1265; art. 36 legge 17 agosto 1942, n. 1152, sull'urbanistica).

Sembra perciò del tutto ragionevole che la norma impugnata, che appunto per essere stata emanata in sede d'attuazione dello Statuto doveva assicurare il rispetto dei principi dell'ordinamento giuridico dello Stato e degli interessi nazionali, abbia imposto in una materia di tanta importanza il parere, del resto non vincolante, d'un organo tecnico particolarmente specializzato e collegato con l'amministrazione centrale dello Stato.

Le norme d'attuazione, come quella che é stata infondatamente impugnata, servono appunto a coordinare, anche dal punto di vista tecnico, l'amministrazione regionale con quella statale e sono necessarie per assicurare lo svolgimento delle autonomie regionali nell'unità dello Stato.

Perciò anche il ricorso della Regione sarda, relativo allo articolo 12 é da respingersi.

L'art. 15 é impugnato perché l'attività amministrativa concernente i giacimenti minerari di interesse nazionale deve essere svolta dall'amministrazione regionale secondo le direttive da impartirsi dal Ministero dell'industria e del commercio.

Secondo la Regione questa distinzione, stabilita in base all'interesse nazionale o locale dei minerali, sarebbe del tutto arbitraria e la subordinazione dell'attività amministrativa regionale alle direttive del Ministero dell'industria sostituirebbe la discrezionalità dell'amministrazione statale all'autonomia regionale. Questa doglianza sembra fondata.

La distinzione dei minerali, a seconda del loro interesse nazionale o locale, non é arbitraria perché é sancita nel D.P.R. 28 giugno 1955, n. 620, e comunque non vi é dubbio che in qualunque momento lo Stato può determinare legislativamente il preminente interesse nazionale d'una o di più sostanze minerali. Né la Regione potrebbe dolersi dei principi eventualmente limitativi della propria competenza in materia mineraria che derivassero dal mutamento della legislazione statale in relazione al diverso interesse nazionale che possono assumere determinati minerali: il rispetto di questi principi e di questi interessi é un limite statutario dell'autonomia regionale della Sardegna.

Ma altra cosa é determinare un adeguato coordinamento dell'attività regionale con quella statale in funzione di questi interessi in materia mineraria mercé norme di legge che diano preventiva certezza alle competenze amministrative della Regione e dello Stato ed altra cosa é subordinare l'attività amministrativa regionale alle discrezionali direttive dell'amministrazione statale.

Nel primo caso i principi dell'autonomia regionale sono rispettati e sono rispettate le competenze legislative ed amministrative della Regione ex art. 3 lett. m ed eventualmente ex art. 4 lett. a e dell'art. 6.

Difatti in tale ipotesi non soltanto sono possibili i controlli sulla legittimità costituzionale delle norme statali che eventualmente impongano un particolare coordinamento dell'attività amministrativa regionale con quella statale, ma la Regione stessa di propria iniziativa potrebbe valersi del potere legislativo, che le compete in materia, per porsi le maggiori limitazioni o per assoggettarsi ai più severi controlli che fossero resi necessari dalla mutata legislazione statale, salvo si intende il controllo giurisdizionale sulla costituzionalità di queste norme.

Invece l'assoggettamento della Regione alle direttive del Ministero dell'industria, cioè agli ordini dell'amministrazione statale da stabilirsi caso per caso, costituisce indubbiamente una grave violazione non soltanto della competenza amministrativa della Regione ex art. 6 in relazione agli artt. 3 lett. n e 4 lett. a, ma degli stessi principi fondamentali dell'autonomia regionale.

Perciò il ricorso n. 25, relativo all'art. 15, deve essere accolto sotto il profilo sopra delineato.

Quanto all'art. 17, impugnato col ricorso n. 26, la Regione lamenta anzitutto l'illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 17, la cui prima parte é del seguente tenore: "Le funzioni ispettive sulle Camere di commercio, industria ed agricoltura della Sardegna sono esercitate secondo le direttive del Ministero dell'industria e del commercio dall'amministrazione regionale".

Questa censura é fondata, limitatamente alla prima parte, per le ragioni che hanno portato all'accoglimento del precedente ricorso. La competenza in materia d'agricoltura, d'industria e di commercio spetta alla Regione (art. 3 lett. d, art. 4 lett. a) ed inoltre le Camere di commercio sono enti d'interesse prevalentemente regionale. Comunque i limiti posti alla legislazione regionale sarda ex artt. 3 e 4 ai quali fa riferimento l'art. 6 dello Statuto, non giustificano che le funzioni amministrative della Regione siano gerarchicamente subordinate alle discrezionali direttive dell'amministrazione dello Stato.

Non ha invece alcun fondamento, come é ovvio, l'impugnazione della Regione per quanto attiene alla seconda parte del primo comma che probabilmente non fu esclusa perché compresa nello stesso periodo della prima parte del comma: "salvo quelle riguardanti servizi d'interesse nazionale per le quali il Ministero ritenga di dovere compiere indagini dirette".

La Regione ha anche impugnato il secondo comma dell'art. 17, la cui prima parte é del seguente tenore: "Sono altresì svolte dall'amministrazione regionale le funzioni di spettanza del Ministero dell'industria e del commercio circa la nomina degli organi camerali e l'istituzione e la gestione di aziende speciali". É evidente che la Regione ricorrente non ha alcun interesse ad impugnare questa norma.

Perciò il ricorso, limitatamente alla prima parte del secondo comma dell'art. 17, é inammissibile. La seconda parte del secondo comma é del seguente tenore: "alla nomina dei Presidenti delle Camere di commercio provvede il Ministero dell'industria e del commercio di concerto con quello dell'agricoltura e delle foreste su proposta del Presidente della Giunta regionale".

La censura della Regione non é fondata.

Difatti l'organizzazione delle Camere di commercio interessa anche lo Stato. Ad esempio l'ufficio provinciale del commercio e dell'industria é un organo statale inserito nelle Camere di commercio (legge 5 gennaio 1953, n. 22), le cui spese sono a carico del bilancio dell'ente mentre il personale, pure essendo a carico dello Stato, dipende disciplinarmente dal Presidente della Camera di commercio. D'altra parte l'interesse preminente della Regione é rispettato perché la nomina del Presidente della Camera di commercio avviene su proposta del Presidente della Giunta regionale.

Perciò non può riconoscersi fondamento all'impugnazione della Regione neppure per la seconda parte del secondo comma dell'art. 17.

Il quarto comma dell'art. 17, del pari impugnato dalla Regione, stabilisce: "A decorrere dall'esercizio 1950 i bilanci di previsione e i conti consuntivi delle Camere predette saranno approvati dall'amministrazione regionale d'intesa col Ministero dell'industria e del commercio". La questione d'illegittimità costituzionale, sollevata al riguardo, é fondata.

Non vi é dubbio che, per il preminente interesse regionale e per le considerazioni già esposte, il controllo sui bilanci delle Camere di commercio della Sardegna rientri nella competenza dell'amministrazione regionale.

Gli interessi statali, che non sono estranei né all'organizzazione, né alle funzioni delle Camere di commercio, giustificano certamente l'intervento anche dello Stato in una delle molte forme che sono consuete al sistema dei controlli fra enti diversi.

Ma l'approvazione dei bilanci, "d'intesa" fra la Regione e il Ministero, importa l'attribuzione permanente di questa funzione allo Stato e alla Regione congiuntamente.

Questa Corte non ritiene costituzionalmente legittimo, conforme alla propria giurisprudenza, che l'esercizio d'una funzione statutariamente attribuita alla Regione venga estesa anche allo Stato e perciò il ricorso della Regione é da ritenersi fondato, sotto questo profilo, per quanto riguarda il quarto comma dell'art. 17.

Infine la Regione ha impugnato il quinto comma dell'art. 17 che é del seguente tenore: "L'aliquota d'imposta camerale da applicare nella circoscrizione di ciascuna Camera sarda, nei limiti massimi stabiliti dalla legge dello Stato, sarà fissata con decreto del Presidente della Giunta camerale d'intesa col Ministero dell'industria e del commercio".

La censura della Regione non é fondata.

Difatti nel caso dell'imposta camerale é da ritenersi che concorrano la competenza dello Stato e la competenza della Regione. Trattasi di materia tributaria che la legislazione statale riservava alla competenza statale (art. 54 R.D. 20 settembre 1934, n. 2011, e successive modificazioni) e che nessuna norma statutaria, appunto per la natura tributaria della materia stessa, può ritenersi che attribuisca alla Regione.

La Regione non può perciò lamentare una violazione della propria competenza per il fatto che lo Stato si sia spogliato parzialmente della propria ai fini d'una più intensa collaborazione con la Regione stessa.

Ne consegue che il ricorso della Regione é da ritenersi infondato rispetto al quinto comma dell'art. 17.

La Regione ha impugnato infine, con il ricorso n. 27, l'art. 19. La questione é nei seguenti termini: mentre l'art. 6 dello Statuto, in relazione all'art. 4 lett. i, attribuisce alla Regione l'amministrazione in materia di igiene e di sanità pubblica, sia pure entro i limiti posti dai principi delle leggi della Stato oltre quelli propri dell'art. 3 dello Statuto sardo, l'art. 19 delle norme d'attuazione ha capovolto il sistema, affidando all'amministrazione regionale soltanto il compito di "coordinare" e di "integrare", secondo le direttive dell'Alto Commissariato per l'igiene e la sanità pubblica, le funzioni degli uffici ed organi provinciali dello Stato che rimangono alle dipendenze del detto Alto Commissariato.

Non vi é dubbio che l'amministrazione sanitaria, di particolare importanza sociale, tutela interessi che per la loro natura mal si prestano ad essere circoscritti rigorosamente in un ristretto ambito locale. Anzi gli interessi locali e gli interessi generale sono collegati e intrecciati, per quanto riguarda la sanità, così strettamente, come forse non avviene in nessun altro campo della pubblica amministrazione, che i principi della legislazione in materia - e può dirsi la materia stessa - impongono un particolare coordinamento fra l'attività regionale e l'attività statale.

Ma ciò non toglie che il legislatore costituente abbia ritenuto la Regione soggetto idoneo a svolgere questa attività, con propria organizzazione e sia pure con tutti i limiti che derivino e siano giustificati dai principi della legislazione dello Stato.

D'altra parte la funzione di coordinamento in genere dell'attività regionale con l'attività statale é attribuita sul piano amministrativo al Rappresentante del Governo (art. 48) e sul piano politico al Presidente della Giunta regionale mediante la sua partecipazione al Consiglio dei Ministri quando si trattino questioni che riguardano particolarmente la Regione.

Ora, a prescindere dalla considerazione che la Regione sembra privata, con la norma dell'art. 19 in esame, della potestà di darsi un'organizzazione sanitaria propria, entro i limiti statutari, non vi é dubbio che il detto art. 19 pone l'Alto Commissariato della sanità pubblica quale soggetto dell'amministrazione sanitaria in Sardegna in luogo della Regione e riduce l'attività amministrativa della Regione in materia a compiti secondari e marginali di coordinamento e d'integrazione, per di più gerarchicamente subordinati alle direttive statali che converrebbero se mai all'amministrazione che la Regione esercita per delega dello Stato (artt. 6 e 5 dello Statuto e art. 59 del D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250), ma che certamente non sono conformi alle regole dello Statuto speciale per la Sardegna e alla Costituzione per quanto riguarda l'amministrazione regionale ex art. 4.

Perciò il ricorso della Regione relativo all'art. 19 deve essere accolto.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza nei giudizi riuniti, relativi ai sei ricorsi elencati in epigrafe, proposti dal Presidente della giunta regionale della Sardegna contro il Presidente del Consiglio dei Ministri:

1) dichiara inammissibile, per difetto di deliberazione della Giunta regionale, ai sensi dell'art. 32 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso registrato al n. 22 concernente l'art. 11 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327 (norme d'attuazione dello Statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna);

2) respinge tutte le eccezioni d'inammissibilità dei ricorsi sollevate dall'Avvocatura generale dello Stato;

3) in accoglimento del ricorso registrato al n. 25, dichiara l'illegittimità costituzionale delle norme contenute nell'art. 15 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, nei sensi e nei limiti indicati nella motivazione;

4) in parziale accoglimento del ricorso registrato al n. 26, dichiara l'illegittimità costituzionale della prima parte del primo comma dell'art. 17 ("Le funzioni ispettive sulle Camere di commercio industria ed agricoltura della Sardegna sono esercitate, secondo le direttive del Ministero dell'industria e del commercio, dall'Amministrazione regionale") e del quarto comma dello stesso art. 17 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327;

5) in accoglimento del ricorso registrato al n. 27, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 19 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, nei sensi e nei limiti indicati nella motivazione;

6) dichiara inammissibile per difetto d'interesse il ricorso registrato al n. 26 in ordine alla prima parte del secondo comma dell'art. 17 del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327 ("Sono altresì svolte dall'Amministrazione regionale le funzioni di spettanza del Ministero dell'industria e del commercio circa la nomina degli organi camerali e l'istituzione e la gestione d'aziende speciali");

7) respinge il ricorso registrato al n. 21 relativo all'art. 7, il ricorso registrato al n. 23 relativo all'art. 12 e il ricorso registrato al n. 26 relativo alla seconda parte del primo comma dell'art. 17 ("salvo quelle riguardanti servizi d'interesse nazionale, per le quali il Ministero ritenga di dovere compiere indagini dirette"), alla seconda parte del secondo comma e al quinto comma dell'art. 17 stesso, tutti del D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 gennaio 1957.

 

Enrico DE NICOLA - Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELLI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 26 gennaio 1957.