Sentenza n. 57 del 1957
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SENTENZA N. 57

ANNO 1957

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità Costituzionale della legge della Regione Trentino-Alto Adige 16 novembre 1956, n. 18, concernente "agevolazioni alle piccole e medie imprese industriali della Regione per operazioni di credito", promosso con ricorso della Giunta provinciale di Bolzano, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 21 dicembre 1956, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 del 12 gennaio 1957 ed iscritto al n. 65 del Registro ricorsi 1956.

Udita nell'udienza pubblica del 20 marzo 1957 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

uditi l'avv. Karl Tinzl per la Giunta provinciale di Bolzano ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi per la Regione Trentino-Alto Adige.

 

Ritenuto in fatto

 

Con deliberazione del 6 dicembre 1956, adottata d'urgenza a sensi dell'art. 48, n. 7, dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige e ratificata dal Consiglio provinciale di Bolzano in data 29 dello stesso mese, la Giunta provinciale di Bolzano decideva di impugnare davanti alla Corte costituzionale la legge della Regione Trentino-Alto Adige 16 novembre 1956, n. 18, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione del 16 novembre 1956, n. 24, riguardante "agevolazioni alle piccole e medie imprese industriali della Regione per operazioni di credito".

Il ricorso, notificato al Presidente della Giunta regionale ed al Presidente del Consiglio dei Ministri rispettivamente il 13 e il 18 dicembre 1956 e depositato nella cancelleria della Corte il 21 dicembre 1956, veniva pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 12 gennaio 1957, n. 11.

La legittimità costituzionale della citata legge 16 novembre 1956, n. 18, é contestata sotto il riflesso che la stessa, in mancanza di approvazione da parte dei Consiglieri della Provincia di Bolzano, é stata approvata dal Ministero dell'interno con decreto 22 settembre 1956, a sensi dell'art. 73 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, mentre il controllo sostitutivo del Ministero dell'interno doveva, se mai, limitarsi soltanto alla approvazione o meno delle norme formali contenute nella legge medesima (art. 7, secondo comma, e art. 8, che concernono il bilancio e variazioni allo stesso). Pertanto, l'approvazione o meno di tutto il resto della legge, e cioè delle sue disposizioni materiali, eccedeva completamente il potere del Ministero dell'interno, e la sua approvazione non poteva avere effetto alcuno sulle medesime, con la conseguenza che il Presidente della Giunta regionale non poteva promulgare una legge che non era stata ritualmente approvata.

Inoltre, la legge in parola, per quanto concerne le disposizioni di carattere materiale, non é stata messa in votazione finale, come prescritto dall'art. 83 del regolamento interno del Consiglio regionale, e non vi é stata alcuna deliberazione a scrutinio segreto del Consiglio regionale, come corpo unico, a norma degli artt. 75 e seguenti del regolamento stesso.

In linea subordinata, la difesa della Giunta provinciale di Bolzano, atteso che il Ministero dell'interno con il suo atto di approvazione della legge in toto, avrebbe invaso la sfera di competenza della Regione, solleva espressamente anche tale questione, a sensi degli artt. 39 e 42 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente della Giunta regionale, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo (deduzioni del 31 dicembre 1956, depositate nella cancelleria della Corte il 2 gennaio 1957), in linea pregiudiziale, la inammissibilità del ricorso, sotto il riflesso che la facoltà di impugnare le leggi della Regione spetta, a norma dell'art. 82 dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige, esclusivamente al Consiglio provinciale e non anche alla Giunta provinciale, la quale non potrebbe esercitarla neanche in via di urgenza e salvo ratifica. La deliberazione d'urgenza adottata dalla Giunta provinciale di Bolzano non sarebbe valida, in quanto la norma contenuta nell'art. 48, n. 7, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige ha riguardo alla attività ordinaria, amministrativa, della Provincia e non all'esercizio di potestà costituzionali, che possono essere esplicate esclusivamente dagli organi tassativamente indicati dall'ordinamento costituzionale: in questo caso il Consiglio provinciale. Né, d'altra parte, sarebbe concepibile un ricorso condizionato alla ratifica del Consiglio provinciale; senza dire che nella specie non sussisteva alcuna ragione di urgenza, avendo il Consiglio provinciale 60 giorni per deliberare la proposizione del ricorso, ai sensi dell'art. 33 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Né potrebbe invocarsi, nella specie, il secondo comma del citato art. 33, sia perché il ricorso non risulta proposto dal Presidente della Giunta, la cui sottoscrizione, peraltro, era necessaria, sia perché l'art. 33 regola gli ordinari ricorsi per vizio di competenza e da parte dell'ente che lamenta la invasione della sua sfera di attribuzioni, non gli speciali ricorsi previsti dall'art. 82 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, che, appunto per la eccezionalità del caso, dichiara legittimati alla proposizione del ricorso esclusivamente i massimi organi della Regione o della Provincia.

Nel merito, l'Avvocatura generale dello Stato sostiene che l'approvazione del Ministero dell'interno si riferirebbe esclusivamente alle disposizioni di carattere formale contenute nella impugnata legge 16 novembre 1956, n. 18, mentre le disposizioni di carattere materiale sarebbero state regolarmente approvate con la maggioranza semplice di tutti i Consiglieri regionali. E in tal modo sarebbe stato rispettato il precetto della legge, in quanto, ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, non occorrevano due distinte votazioni, bastandone, invece, una sola, il cui esito andava distintamente valutato in riferimento ai due gruppi di norme.

Vero é, afferma la difesa della Giunta regionale, che nei verbali del Consiglio e nella promulgazione della legge non é stato dato espressamente atto dell'avvenuta approvazione a maggioranza assoluta delle norme sostanziali contenute nella legge impugnata, ma ciò costituirebbe una mera omissione materiale, che non può inficiare la validità e l'efficacia della volontà del Consiglio regionale, manifestata con l'approvazione, e di quella del Presidente, estrinsecata con la promulgazione della legge.

In ordine alla richiesta subordinata del ricorso, con cui si denuncia un conflitto di attribuzioni fra Stato e Regione, la difesa di quest'ultima sostiene che il ricorso, su questo punto, é inammissibile per difetto di legittimazione attiva della Provincia, in quanto i ricorsi, di cui alla seconda parte dell'art. 134 della Costituzione, e agli articoli 39 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, possono essere proposti esclusivamente dall'ente che abbia subito o assuma di aver subito la invasione della sua sfera di competenza costituzionale e contro l'ente che, con l'atto impugnato, tale invasione abbia posto in essere.

Con memoria depositata il 7 marzo 1957, la difesa della Provincia deduce che la facoltà di sostituirsi al Consiglio provinciale in un atto di carattere amministrativo, qual é quello della proposizione di un ricorso contro una legge regionale, non può essere negata alla Giunta.

Non é vero che non sussistesse alcuna ragione di urgenza. A parte che la valutazione dell'urgenza spettava alla Giunta provinciale, salvo il giudizio del Consiglio in sede di ratifica, questa urgenza nel caso concreto sussisteva. Difatti, la legge 11 marzo 1953, n. 87, non contiene una norma esplicita circa il termine entro il quale la Provincia deve proporre l'impugnazione di una legge regionale. Poteva nascere il dubbio se questo termine era di 30 giorni, come previsto dall'art. 32 di detta legge, o di 60, secondo l'art. 33. Per precauzione, la Provincia doveva tener conto della eventualità che si ritenesse applicabile il termine di 30 giorni.

Comunque, ogni questione é completamente superata dalla deliberazione del Consiglio provinciale del 29 dicembre 1956, con la quale venne ratificata la deliberazione della Giunta, relativa all'impugnazione, dimodoché esiste una regolare deliberazione del Consiglio, adottata entro il termine di 60 giorni, termine che, anche per la difesa della Regione, deve ritenersi stabilito per la impugnazione da parte della Provincia di una legge regionale, in analogia a quanto é previsto per l'impugnazione di una legge regionale da parte di un'altra Regione.

Nel merito la difesa della Provincia contesta che la promulgazione della legge in questione sia avvenuta con la formula: "Il Consiglio regionale ha votato senza approvare. Il Ministero dell'interno ha approvato ai sensi dell'art. 73 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5". Queste parole non si trovano nella formula di promulgazione: la formula di promulgazione é quella indicata nel ricorso della Provincia. Comunque, sta in fatto che tanto nella formula di promulgazione quanto nel verbale della seduta del Consiglio regionale del 3 agosto 1956 é accertato che "la legge, quindi, non é stata approvata". In questi due atti, che hanno indubbiamente il carattere di atto pubblico, é accertato che il Consiglio regionale non ha approvato la legge. O questi atti fanno fede e quindi é inutile ogni discussione circa la mancata approvazione della legge da parte del Consiglio regionale, o questi atti debbono essere impugnati di falso, restando a far fede fino alla relativa pronuncia. Ma la Corte costituzionale non potrebbe sostituirsi agli organi competenti chiamati ad accertare se la legge sia stata approvata, dichiarando approvata una legge che i predetti organi hanno dichiarato come non approvata.

Se la Regione é d'accordo che il Ministro per l'interno era autorizzato soltanto ad approvare le norme formali che incidevano, modificandola, sulla legge di approvazione del bilancio, ma non le norme sostanziali della legge e che queste avevano bisogno dell'approvazione regolare da parte del Consiglio regionale, con la procedura fissata dallo Statuto e dal regolamento, e se é poi accertato che tale approvazione non é avvenuta, dovrebbe essere evidente e incontestabile che il disegno di legge, in mancanza di questa approvazione necessaria, non é mai diventato legge.

La difesa della Regione afferma che effettivamente la legge sarebbe stata approvata e che si trattava di una mera omissione materiale che non potrebbe inficiare la validità e l'efficacia della deliberazione del Consiglio regionale. Ma anzitutto non si tratta di una omissione ma di una esplicita constatazione in contrario, ed in secondo luogo non basta una espressione qualsiasi della asserita volontà di un corpo deliberante, ma questa espressione deve avvenire nelle forme stabilite dalla legge e dai regolamenti. Se lo Statuto prescrive nell'art. 73 una forma specifica e particolare per la votazione in certi casi, e il regolamento, negli articoli 83 e seguenti, 89 e seguenti, prescrive, per le altre votazioni, una forma diversa, e cioè una votazione finale a scrutinio segreto da parte del Consiglio come corpo unico, non si può sostituire l'una forma all'altra, od estendere l'efficacia di una votazione, avvenuta in una determinata forma, ad un caso per il quale é prescritta una forma diversa. Ciò non ha soltanto importanza formale o teorica, perché una votazione fatta in una forma può dare un risultato differente da quella fatta in una forma diversa. Nel nostro caso, se la legge impugnata fosse stata sottoposta a regolare votazione finale unica a scrutinio segreto per le sue disposizioni materiali, vi era sempre la possibilità che per astensioni, assenze, cambiamenti di parere di qualche consigliere ecc., il risultato poteva essere diverso da quello che emergeva semplicemente dall'assommare le cifre delle due votazioni separate. Anche sotto questo aspetto, la votazione, eseguita secondo le norme particolari dell'art. 73 dello Statuto, non poteva sostituire quella prescritta nella procedura normale.

Per quanto riguarda il conflitto di attribuzioni tra Stato e Regione, la Provincia non ha proposto un ricorso in questo senso, ma ha impugnato la validità di una legge regionale. Le relative osservazioni contenute nel ricorso in ordine alla facoltà del Ministro per l'interno di approvare soltanto le disposizioni che riguardano variazioni o norme incidenti sul bilancio, questioni che la Provincia aveva proposto in linea incidentale, diventano senza oggetto dal momento che la Regione ammette che il Ministro per l'interno aveva solo tale limitata facoltà. Ciò non toglie, secondo l'avviso della difesa della Provincia, che questa Corte abbia facoltà di esaminare la questione stessa d'ufficio; ma questo non cambia il carattere del ricorso diretto alla impugnazione di una legge regionale, alla quale la Provincia é legittimata in base all'art. 82 dello Statuto.

 

Considerato in diritto

 

L'eccezione di inammissibilità proposta nell'interesse della Regione si articola sotto due aspetti.

In primo luogo, l'Avvocatura dello Stato deduce che il ricorso non risulta proposto dal Presidente della Giunta provinciale, la cui sottoscrizione era necessaria. Questa deduzione é infondata, in quanto il ricorso é stato firmato dall'avv. Karl Tinzl, il quale era stato delegato a sottoscrivere il ricorso con mandato speciale del Presidente della Giunta provinciale del 12 dicembre 1956. Non c'é alcuna ragione di ritenere che per i giudizi davanti a questa Corte in generale, ed in particolare per le controversie che hanno per oggetto impugnazioni di leggi regionali, debbasi richiedere la firma della persona fisica competente a proporre il ricorso, e che a questa sia inibito di conferire un regolare mandato nel quale sia attribuito espressamente al mandatario il potere di sottoscrivere il ricorso.

In secondo luogo, la difesa della Regione sostiene che a deliberare la proposizione del ricorso sarebbe competente soltanto il Consiglio provinciale, senza alcuna possibilità di provvedere da parte della Giunta provinciale neanche in caso d'urgenza. Questa tesi non é accettabile, perché la norma contenuta nell'art. 48, n. 7, dello Statuto del Trentino-Alto Adige, secondo cui la Giunta provinciale adotta, in caso d'urgenza, i provvedimenti di competenza del Consiglio, ha una portata così generale che é arbitrario porvi dei limiti. Né l'atto con cui si delibera la proposizione del ricorso a questa Corte ha una natura così speciale da importare una deroga alla norma contenuta nell'art. 48, n. 7; anzi, in materia di formazione di atti che sono legati a termini perentori, come i ricorsi giurisdizionali, quella norma ha più che mai ragione di essere applicata.

Accertata la validità della deliberazione della Giunta, deliberazione che risulta regolarmente ratificata dal Consiglio, non c'é da esaminare altre questioni pregiudiziali. La difesa della Regione non contesta alla Provincia il potere di impugnazione ai sensi dell'art. 82 dello Statuto speciale ed é d'accordo con la difesa della Provincia nel ritenere che il termine per proporre il ricorso é di giorni 60 a norma dell'art. 33 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

La Corte non ha ragione di decidere in senso diverso. Il ricorso della Provincia é basato sopra violazioni dello Statuto speciale, e quindi é ammissibile ai sensi dell'art. 82 dello Statuto stesso.

Il ricorso é stato notificato entro il termine di giorni 60 dalla pubblicazione della legge; termine che deve ritenersi stabilito anche per l'impugnazione delle leggi regionali da parte della Provincia, e ciò a norma dell'art. 33 della legge 11 marzo 1953, in relazione all'art. 36 della legge stessa.

Passando all'esame del ricorso nel merito, si rileva, anzitutto, che la legge regionale 16 novembre 1956, n. 18, concernente agevolazioni alle piccole e medie imprese industriali della Regione per operazioni di credito, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Trentino-Alto Adige del 16 novembre 1956, n. 24, é stata promulgata dal Presidente della Giunta regionale con la seguente formula: "Accertato che, in mancanza di approvazione da parte dei Consiglieri della Provincia di Bolzano, l'approvazione é stata accordata dal Ministero dell'interno con decreto n. 1316/001530. R IV. 2A. 71 in data 22 settembre 1956 a sensi dell'art. 73 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5".

La detta legge contiene otto articoli dei quali sei hanno contenuto normativo, mentre i due ultimi concernono l'autorizzazione della spesa e le conseguenti variazioni di bilancio. L'art. 7 dispone che per il raggiungimento degli scopi previsti dalla legge é autorizzata la spesa di lire 200 milioni, ripartita in cinque esercizi, dal 1956 al 1960, e stabilisce che all'onere a carico dell'esercizio 1956 si farà fronte mediante prelevamento del fondo inscritto al cap. 49 dello stato di previsione della spesa della Regione per il detto esercizio finanziario. Si aggiunge che gli stanziamenti annuali, se eventualmente non impegnati, non decadono al termine dei rispettivi esercizi finanziari fino a quando, a giudizio della Giunta regionale, permanga la necessità delle spese relative. Con l'art. 8 si introduce, nello stato di previsione della spesa per l'esercizio finanziario 1956, una variazione di bilancio, in diminuzione, al cap. 49 ed una corrispondente variazione in aumento al cap. 137 bis, che viene istituito con la intitolazione "agevolazioni alle piccole e medie imprese industriali della Regione per operazioni di credito".

Il Ministro per l'interno, con il decreto del 22 settembre 1956, premesso che il Consiglio regionale, nell'approvare il disegno di legge di cui trattasi aveva adottato, ai sensi dell'art. 19 della legge regionale 24 settembre 1951, n. 17, la speciale procedura di votazione prevista dal secondo comma dell'art. 73 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5, e che detto disegno di legge aveva riportato il voto favorevole della maggioranza dei Consiglieri della Provincia di Trento ma non di quella dei Consiglieri della Provincia di Bolzano, come risultava dai verbali delle sedute del Consiglio regionale; ritenuto che tale circostanza profilava l'esistenza di un contrasto tra i Consiglieri delle due Province circa la deliberazione di una determinata spesa pubblica, il procedimento della sua erogazione ed i conseguenti riflessi finanziari, considerato che ricorrevano i presupposti per l'esercizio della potestà attribuita al Ministero dell'interno dal citato art. 73, secondo comma, della legge costituzionale n. 5; ritenuta l'opportunità di procedere all'approvazione della legge; decretava di approvare la legge nel testo allegato allo stesso decreto, di cui detto testo veniva a costituire parte integrante.

Nel verbale della seduta 133, tenuta dal Consiglio regionale il 25 luglio 1956, si legge che, posto in discussione il disegno di legge n. 203, recante la stessa intitolazione della legge ora in esame, venne iniziata una discussione generale; dal verbale della 138 seduta, tenuta il giorno 3 agosto 1956, si rileva che vennero discussi e approvati i singoli articoli, previo accoglimento o reiezione di emendamenti. L'art. 7 fu soppresso, mentre ricevettero approvazione gli artt. 8 e 9, che sono venuti a formare gli artt. 7 e 8 della legge.

La votazione sopra i singoli articoli risulta fatta dal Consiglio nella sua unità, ossia senza divisione tra i Consiglieri delle due Province. Difatti, l'art. 3 fu approvato con 26 voti favorevoli e 16 contrari, l'art. 4 con 24 voti favorevoli e 17 contrari ecc., e gli stessi due articoli, relativi al bilancio, risultano approvati dal Consiglio, l'uno con 23 voti favorevoli, 15 contrari e 3 astensioni, e l'altro con 23 voti favorevoli, 15 contrari e 2 astensioni.

In sede di dichiarazione di voto, alcuni Consiglieri dichiararono di votare a favore della legge, mentre un altro Consigliere espose le ragioni per le quali un gruppo avrebbe dato voto contrario.

A questo punto, e solo a questo punto, il verbale della seduta enuncia che, esaurita le dichiarazioni di voto, il Presidente invita il Consiglio a procedere alla votazione segreta separatamente per Consigli provinciali.

L'assessore alle finanze - prosegue il verbale - "esprime le sue riserve circa la regolarità di tale procedura".

Il verbale, subito dopo, attesta che la votazione segreta dà il seguente risultato: i Consiglieri della Provincia di Trento, votanti in numero di 25, hanno dato 24 voti favorevoli ed una scheda bianca, mentre i Consiglieri della Provincia di Bolzano, in numero di 20, hanno votato 15 per il no e 5 per il sì.

Il verbale, nei riguardi del disegno di legge in questione, si chiude con la dichiarazione che "la legge é respinta".

La esposizione analitica di queste risultanze di fatto costituisce la premessa indispensabile per impostare e risolvere la questione di diritto. É sicuro che la legge venne discussa e votata nei singoli articoli dal Consiglio senza divisione per gruppi, mentre alla fine, nei riguardi della legge come testo unitario, la votazione fu fatta per gruppi separati, ai sensi dell'art. 73 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5. Risulta altrettanto sicuramente che, in base a tale votazione, la legge fu respinta e che tutta la legge, sia nella sua parte normativa sia nella sua parte afferente al bilancio, ricevette l'approvazione del Ministro per l'interno a norma dello stesso art. 73; e con tale espresso presupposto - come risulta senza equivoco dalla formula adoperata - la legge fu promulgata.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, l'unica deficienza addebitabile agli organi regionali é quella di non aver dato espressamente atto, nei verbali del Consiglio e nella promulgazione della legge, della intervenuta approvazione, a maggioranza assoluta, delle norme sostanziali contenute nella legge. La stessa Avvocatura sostiene che si tratterebbe di una mera omissione materiale, che non potrebbe inficiare la validità e l'efficacia della volontà del Consiglio regionale, manifestata con l'approvazione, e del Presidente della Giunta regionale, estrinsecata con la promulgazione.

L'opinione della difesa della Regione contrasta con un principio fondamentale che regola l'approvazione delle leggi presso le nostre assemblee legislative e che, per quanto concerne il Consiglio della Regione Trentino-Alto Adige, trova precisa enunciazione negli artt. 82 e 88 del suo regolamento interno, pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione del 13 marzo 1953, n. 4. Una legge non può dirsi approvata sol perché siano stati votati favorevolmente i singoli articoli del relativo progetto; ma occorre che, in seguito all'approvazione dei singoli articoli, il progetto sia sottoposto a votazione nel suo intero testo; solo dopo questa ultima votazione il progetto é approvato o respinto.

E poiché, nel caso attuale, é fuori dubbio che il disegno di legge, nella votazione finale, non fu approvato, non ha alcuna rilevanza il fatto che i singoli articoli abbiano riportato una votazione favorevole.

Non essendo possibile seguire la linea difensiva dell'Avvocatura dello Stato, occorre impostare il problema nei suoi termini giuridici, quali furono visti dal Presidente della assemblea regionale, che indisse la votazione finale di tutto il disegno di legge separatamente per gruppi, dal Ministero dell'interno, che approvò l'intera legge e non i soli suoi articoli concernenti il bilancio, e dal Presidente della Giunta regionale, che, sul fondamento di tale approvazione ministeriale, promulgò la legge, pur sapendo che essa non era stata approvata dal Consiglio: Presidente dell'assemblea, Ministro e Presidente regionale hanno certamente ritenuto che una legge del Trentino-Alto Adige, la quale contenga promiscuamente disposizioni normative e disposizioni di bilancio, può essere, nella votazione finale, sottoposta a votazione ai sensi dell'art. 73 dello Statuto speciale e, se non si formi la maggioranza ivi prevista, può essere approvata dal Ministero dell'interno a norma dello stesso articolo.

Ma, a giudizio della Corte, questo modo di vedere é manifestamente contrario a due principi fondamentali per l'autonomia della Regione.

L'art. 73 dello Statuto e l'art. 19 della legge regionale 24 settembre 1951, n. 17, sulla contabilità generale della Regione, prescrivendo, per la legge del bilancio e per le relative variazioni, una votazione separata da parte dei Consiglieri delle due Province, pongono una norma eccezionale. A parte la singolarità, verificatasi nella specie, di un disegno di legge che viene votato nei singoli articoli (anche nei due articoli relativi al bilancio) dal Consiglio come corpo unitario e poi alla fine viene sottoposto, nel suo intero testo, a votazione separata, non é ammissibile che il sistema eccezionale di votazione, previsto dall'art. 73, possa essere esteso ad altre leggi, che non siano quelle previste da questo articolo. La estensione urterebbe contro il principio fondamentale dell'unità della Regione, espressa attraverso l'unità del Consiglio regionale. Una riprova può essere data dagli inconvenienti gravissimi che ne deriverebbero. Siccome é frequente che nei disegni di legge non manchi qualche disposizione relativa al bilancio, essendo normale che la legge predisponga i mezzi finanziari per la propria attuazione, si avrebbe la conseguenza che gran parte dell'attività legislativa regionale potrebbe essere paralizzata per effetto del mancato raggiungimento della maggioranza dei singoli gruppi di Consiglieri regionali, i quali verrebbero ad esercitare, di fatto, un vero e proprio diritto di veto.

Vero é che per questo inconveniente l'art. 73 ha predisposto un rimedio, domandando al Ministero dell'interno l'approvazione della legge; ma questo rimedio mostra ancor più chiaramente il carattere eccezionale di un siffatto sistema di votazione e denunzia l'impossibilità di una applicazione estensiva di esso.

Sarebbe assolutamente contrario al principio dell'autonomia della Regione Trentino-Alto Adige il fatto che il Ministero dell'interno possa approvare non soltanto le leggi di bilancio ma anche tutte le altre leggi, quando in esse sia compresa qualche disposizione concernente il bilancio.

E pertanto la legge in esame é illegittima sia perché non é stata sottoposta nel suo intero testo a votazione finale da parte del Consiglio regionale nella sua unità, sia perché é stata approvata dal Ministro dell'interno anche nelle parti non relative al bilancio.

Per la odierna decisione basta la constatazione di queste due cause di illegittimità costituzionale e non é necessario procedere all'esame di altri problemi relativi al se e come debba procedersi, e da parte dell'Assemblea regionale e da parte del Ministro dell'interno, all'approvazione delle disposizioni di bilancio contenute in leggi non di bilancio.

Questa decisione preclude l'esame della richiesta subordinata della Provincia relativa ad un eventuale conflitto di attribuzioni tra Regione e Stato, richiesta che sembra proposta con il ricorso ma negata o ritirata con la memoria difensiva.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) respinge l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato;

b) accoglie il ricorso proposto dal Presidente della Giunta provinciale di Bolzano e dichiara la illegittimità costituzionale della legge della Regione Trentino-Alto Adige 16 novembre 1956, n. 18, concernente "agevolazioni alle piccole e medie imprese industriali della Regione per operazioni di credito", in riferimento all'art. 73 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 aprile 1957.

 

 Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA

 

Depositata in cancelleria il 17 aprile 1957.