Sentenza n. 39 del 1984

 

 

 

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SENTENZA N. 39

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione Friuli - Venezia Giulia, notificato il 3 febbraio 1983, depositato l'11 successivo ed iscritto al n. 3 del registro 1983, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del provvedimento di autotutela 26 novembre 1982 enunciato nella lettera 26 novembre 1982 n. 2159 del Ministero delle Finanze concernente l'IGE all'importazione;

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 1983 il Giudice relatore Prof. Ettore Gallo;

Uditi l'avvocato Gaspare Pacia, per il ricorrente e l'Avvocato generale dello Stato Giorgio D'Amato, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso 2 febbraio 1983, notificato il 3 e depositato l'11 febbraio successivo, il Presidente pro tempore della Giunta regionale del Friuli - Venezia Giulia ricorreva contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la risoluzione del conflitto di attribuzione determinato dal provvedimento enunciato nella lettera 26 novembre 1982 n. 2159 dal Ministero delle Finanze - Direzione Generale per la finanza locale.

Sosteneva il ricorrente che, in applicazione dell'art. 119, secondo comma, Cost., alla Regione furono attribuite quote fisse di alcuni tributi erariali, elencati nell'art. 49 dello Statuto speciale di autonomia (Legge cost. 31 gennaio 1963 n. 1). Fra tali quote erano compresi anche i cinque decimi dell'IGE, di competenza dello Stato, riscossa nel territorio della regione. Dal 26 maggio 1964 sino al 1 gennaio 1973, data in cui l'IGE ha cessato di avere applicazione, i detti cinque decimi sono stati pacificamente calcolati comprendendosi nel gettito dell'IGE (riferito naturalmente all'ambito regionale) anche i proventi derivanti dall'IGE all'importazione. Gli stessi cinque decimi, del resto, così determinati, sono stati sempre inclusi nelle previsioni di entrata dei bilanci regionali per gli esercizi dal 1964 al 1972 nei relativi rendiconti consuntivi, approvati (questi ultimi previa parificazione della Corte dei Conti) con leggi regionali, sottoposte al controllo governativo senza che nulla mai venisse eccepito. Dal 1973, dopo l'abolizione dell'IGE, é entrato in vigore un regime transitorio di finanziamento (non ancora cessato) disciplinato dall'art. 8 primo e secondo comma D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 638: in base a tale regime, sono stati da allora devoluti alla Regione somme pari a quelle attribuite per l'ultimo anno di vigenza dell'IGE, e quindi somme pari a quei cinque decimi, comprensivi anche dei proventi derivanti dall'IGE all'importazione. Per 18 anni, pertanto, lo Stato ha dato attuazione nel senso suddetto, all'art. 49 n. 5 dello Statuto di autonomia F.V.G.

Senonché con la lettera n. 2159 del 26 novembre 1982 il Ministro delle Finanze, su conforme parere dell'Avvocatura dello Stato, ha improvvisamente sovvertito siffatta pacifica interpretazione, pretendendo che i proventi derivanti dall'IGE all'importazione non dovessero essere ricompresi nel computo delle somme da corrispondere alla Regione, e perciò addebitando quanto versato in più nel corso degli anni dal 1973 al 1982, disponendone senz'altro il recupero secondo criteri unilateralmente fissati.

2. - Lamenta preliminarmente la Regione l'erronea interpretazione: a) dell'art. 49 n. 5 Statuto speciale di autonomia, in quanto l'IGE é tributo unico e colpisce sia gli scambi nazionali, mediante autoaccertamento e altri sistemi, sia gli scambi internazionali, col metodo dell'accertamento all'importazione. Se l'art. 49 n. 5 avesse inteso escludere il provento derivante dall'IGE all'importazione, lo avrebbe detto espressamente, mentre il riferimento é all'IGE nel suo concetto unitario;

b) dell'art. 8, primo e secondo comma, D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 638, in quanto, riferendosi la norma alle quote dei tributi effettivamente devoluti alla Regione nell'ultimo anno di loro vigenza, dopo la soppressione dell'IGE alla Regione sono state attribuite, in via transitoria, somme pari a quelle in precedenza riscosse per quota IGE. In altri termini, dopo il 1973 la spettanza della Regione sarebbe stata determinata con riferimento ad una res facti, contro cui non sarebbero oggi opponibili errori di interpretazione.

Sulla base di tali erronee premesse, il provvedimento del Ministero delle Finanze risulterebbe lesivo dell'autonomia della Regione perché in contrasto:

1) con l'art. 134 Cost., in quanto, prevedendo essa norma che i conflitti fra Stato e Regione vengano definiti dalla Corte costituzionale, implicitamente escluderebbe che lo Stato possa esercitare, nei rapporti colla Regione, una qualsivoglia forma di autotutela.

Tale, invece, sarebbe l'impugnato provvedimento che, insorgendo su di una situazione di lunga e pacifica certezza, la capovolge unilateralmente e ne dispone l'esecuzione d'ufficio.

Ma la Regione non é un qualsiasi privato soggetto, e perciò un siffatto comportamento integrerebbe un palese eccesso di potere, denunciabile alla Corte costituzionale perché lesivo della posizione costituzionale della Regione.

2) Con l'art. 65 dello Statuto speciale di autonomia della Regione F.V.G. che, per l'attuazione dello Statuto, prevede appositi decreti legislativi, su parere di una commissione paritetica. Secondo la Regione, una norma di attuazione si appaleserebbe necessaria anche quando, riguardo all'applicazione di una norma statutaria, insorge dissenso fra Stato e Regione. Tale sarebbe appunto quello insorto in relazione all'art. 49 n.5 dello Statuto, visto che, secondo la tesi dello Stato, si dovrebbero innovare quelli che, per ben 18 anni, sono stati ritenuti i pacifici contenuti di detto articolo. Sarebbe stato, perciò, indispensabile - ad avviso della Regione - predisporre una norma di attuazione, alla cui formulazione avrebbe partecipato anche la Regione, attraverso la prevista Commissione paritetica.

3) Con l'art. 29 dello Statuto speciale F.V.G., in quanto, come s'è rilevato, le quote di IGE all'importazione sono state sempre incluse sia nelle previsioni di entrata dei bilanci regionali sia nei rendiconti consuntivi, entrambi approvati con leggi regionali, sulle quali mai il Governo ha eccepito alcunché. Si sarebbe, perciò, determinata una preclusione al riesame a causa dell'intangibilità di dette leggi.

Soggiungeva peraltro il ricorso che i bilanci regionali, a prescindere dal loro valore di leggi formali, documentano i bisogni della Regione per le spese necessarie all'adempimento delle sue ordinarie funzioni (art. 119 cpv. Cost.). A tali bisogni corrispondono le previsioni dell'entrata ordinaria sulla base dei proventi indicati nell'art. 49 n. 5 dello Statuto: essendo stati i bisogni soddisfatti e le spese correttamente erogate secondo previsioni di bilancio mai contestate, si sarebbe determinata una situazione irreversibile, analoga a quella che la giurisprudenza amministrativa ritiene validamente opponibile alle richieste di ripetizione d'indebito per somme percepite in buona fede.

Concludeva la Regione chiedendo l'annullamento del provvedimento impugnato e, frattanto, la sua sospensione in via preliminare, a, sensi dell'art. 40 L. 11 marzo 1953 n. 87.

3. - Con atto 16 febbraio, depositato il 22 successivo, si costituiva, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che il ricorso venisse dichiarato inammissibile o, comunque, respinto.

Nelle deduzioni l'Avvocatura Generale, per quanto riguarda i rilievi preliminari della Regione, oppone innanzitutto che la previsione dell'art. 49 n. 5 dello Statuto speciale F.V.G., col suo semplice riferimento all'IGE, non può ritenersi estesa all'IGE sulla importazione, in quanto, sul piano normativo, l'IGE é sempre stata considerata a sé stante rispetto all'imposta sull'importazione.

L'uso normativo, infatti, sarebbe contrario ad una pretesa considerazione "unitaria" dell'IGE, come dimostrerebbe la formulazione di specifiche norme estensive all'imposta sull'importazione della disciplina già disposta per l'imposta interna. L'autonomia normativa delle due imposte sarebbe d'altronde confermata dalla distinta considerazione fattane nella disposizione che sopprime l'IGE (art. 90 n. 1 D.P.R. 633/1972).

Occorre poi ricordare, per quanto riguarda specificamente gli ordinamenti finanziari regionali, che solo nello Statuto speciale della Val d'Aosta é detto espressamente che alla Regione sono devoluti i nove decimi "dell'imposta generale nell'entrata, compresa quella all'importazione, riscossa nel territorio regionale". Negli statuti delle altre Regioni a Statuto speciale manca questo specifico riferimento. Il che significa che, quando si é voluto attribuire in via eccezionale alla Regione anche il provento da IGE all'importazione, lo si é detto espressamente.

Sostiene infine l'Avvocatura che "tenendo conto del criterio della localizzazione territoriale nell'ambito regionale del fenomeno giuridico - economico, cui sono correlate le imposizioni che normalmente vengono attribuite alle Regioni, l'imposta all'importazione, stante la sua correlazione con un presupposto impositivo (importazione) che non é localizzabile se non con ampio riferimento a tutto il territorio nazionale..."., non si presta ad essere compresa fra i tributi devoluti alle Regioni...".

Quanto poi all'art. 8 D.P.R. 638/1972, oppone l'Avvocatura che la disciplina in via transitoria dei rapporti finanziari Stato - Regione successivi al 1972 non si riferisce ad una "res facti" (vale a dire all'ammontare delle somme in concreto affluite alle Casse regionali nel 1972, comunque ed anche se erroneamente computate) ma bensì alla effettiva spettanza alle Regioni di un determinato tributo, e cioé al titolo, non al fatto della devoluzione alla Regione. Né - secondo l'Avvocatura - col provvedimento in esame lo Stato avrebbe in alcun modo violato un asserito principio costituzionale di divieto di autotutela nei rapporti di Stato - Regione.

Si precisa, infatti, che lo Stato non ha autonomamente deciso una questione, ma solo rettificato un proprio comportamento, alla cui definizione normativa e attuativa la Regione non avrebbe per alcun verso partecipato. Una rettifica, perciò, che lungi dall'alterare rapporti già delimiti dalla legge, avrebbe provveduto soltanto a riparare un manifesto errore. Il problema dell'autotutela si rivela allora un falso problema.

Tanto meno - ad avviso dell'Avvocatura - si verifica violazione dell'art. 65 dello Statuto speciale del F.V.G., posto che é stata la Regione a manifestare il dissenso sull'interpretazione dell'art. 49 n. 5 proprio con la proposizione del presente ricorso. Sarebbe abnorme, perciò, postulare ora una norma d'attuazione "interpretativa", specie se si tien conto che, nella materia finanziaria, funzione delle norme di attuazione é soltanto quella di stabilire le modalità tecniche per l'applicazione pratica delle norme statutarie. Del tutto fuori luogo, infine, secondo il resistente, l'appello all'art. 29 dello Statuto speciale F.V.G.: nessuna preclusione, infatti, potrebbe mai essere opposta all'accertamento del credito statale, dovuto ad errore nel computo dei finanziamenti, e alla sua stessa esigibilità, a causa dell'avvenuta approvazione, con leggi regionali, dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi della Regione, per il periodo cui attiene la rettifica in questione. L'Avvocatura si é anche opposta alla sospensione della esecuzione del provvedimento.

La Corte, con ord. 13 aprile 1983 pronunziata in Camera di Consiglio, sentite le parti, ha respinto la domanda incidentale di sospensione per carenza delle gravi ragioni richieste dall'art. 40 l. 11 marzo 1953 n. 87, riservando ogni pronunzia sul rito e sul merito.

Con memoria 24 maggio 1983, depositata il 25 successivo, la difesa della Regione, rispondendo diffusamente alle obiezioni dell'Avvocatura, ribadiva le ragioni esposte nell'atto introduttivo, approfondendole e ulteriormente sviluppandole.

Considerato in diritto

1. - Quantunque la soluzione del conflitto s'imponga su altro versante, la Corte rileva anzitutto che il quesito su cui le parti controvertono (se, cioé, l'IGE all'importazione rappresenti soltanto una species del più ampio genus IGE, oppure una distinta imposta dalla ben diversa natura) é tuttora di incerta risposta.

Lo é in dottrina, dove - pur con qualche leggera prevalenza dell'orientamento favorevole alla seconda alternativa - si sostiene generalmente che comune ad ambo i tributi é la causa o funzione dell'imposta, che é quella di colpire l'entrata proveniente da scambio di merci o di servizi. Ciò che diversificherebbe il contenuto dell'art. 17 della legge 762/40 da quello dell'art. 1 sarebbe, perciò, soltanto l'accertamento: che é autoaccertamento (o accertamento cogli altri sistemi indicati nella legge citata) per gli scambi all'interno del territorio nazionale, ed é, invece, accertamento obiettivo dell'importazione, come presupposto dell'imposta, per gli scambi internazionali. Si vuole, tuttavia, in contrario, che l'importazione vada considerata come fatto obiettivo, indipendentemente dal trasferimento di ricchezza che riguarda invece le entrate che si verificano sul territorio nazionale: per cui la sola relazione esistente fra l'art. 1 e l'art. 17 sarebbe rappresentata dai parametri per la determinazione dell'aliquota dell'imposta da applicarsi al momento dell'importazione.

Né minore é l'incertezza della giurisprudenza della Corte di cassazione per la quale, ad un primo indirizzo che riconosceva nelle due imposte forme impositive autonome e distinte, é seguito un contrario insegnamento, poscia consolidato dalle Sezioni Unite con numerose sentenze. Il che non ha impedito qualche ritorno alle originarie posizioni; anche se poi le Sezioni Unite, nuovamente intervenute ma incidenter tantum, non sembrano averlo confermato.

Nell'unica sentenza in cui la giurisprudenza di questa Corte, ha lambito il problema (ma a proposito di caso ben diverso dall'attuale), si é data premura di avvertire espressamente, riverberando quell'incertezza, che "i dubbi, apparsi in dottrina, sulla natura dell'IGE all'importazione, non toccano la controversia, per risolvere la quale basta aver considerato il collegamento delle due imposte coi fatti di importazione - esportazione e con le operazioni doganali. Ché se una più rigorosa impostazione teorica e qualche fine pratico consigliassero di inquadrare i due tributi, come specie a genere, nelle imposte sugli affari e quell'imposta generale sull'entrata, la soluzione sarebbe irrilevante in questa sede" (sent. 12 dicembre 1967 n. 146). In realtà, colla citata sentenza, questa Corte non ha ravvisato incompatibilità fra la qualificazione dell'IGE all'importazione di cui all'art. 17 quale "provento" doganale (non però, quale "dazio" doganale) e il suo rapporto di specie a genere coll'imposta generale sull'entrata di cui all'art. 1 della legge 762/1940.

2. - Ma - come si é accennato - il presente conflitto di attribuzione necessariamente prescinde dalla soluzione di un siffatto quesito. Se questa, infatti, e soltanto questa, fosse la regiudicanda, potrebbe addirittura dubitarsi che un siffatto oggetto costituisca materia di conflitto, giacché la mera rivendicazione di beni, la pretesa a contenuto prettamente patrimoniale, e l'interpretazione della normativa che ad esse si riferisce, sono sicuramente materia di competenza della giurisdizione ordinaria (cfr. Corte cost. 24 maggio 1970 n. 97; 23 aprile 1976 n. 111; 15 giugno 1979 n. 61).

Vero é che, spostando l'accento dal contenuto economico della pretesa alla "categoria dei beni" attorno a cui si controverte, potrebbe già su questo piano rilevarsi che il decidere sulle categorie dei beni spettanti o non alla Regione rappresenta di per se stesso un profilo che investe la competenza e la funzione istituzionale della Regione, costituzionalmente protette (Corte cost. 8 maggio 1959 n. 31).

In realtà, nel caso di specie, la rivendicazione patrimoniale é soltanto il momento conseguenziale di più delicati problemi che stanno a monte e che concernono la tematica di un atto asseritamente invasivo o, comunque, lesivo della competenza della Regione, il che é, invece, sicuramente oggetto di conflitto di attribuzione. Del che sarà subito detto.

Non prima, però, di avere constatato che l'atto amministrativo contestato non si presta a dubbi sulla sua impugnabilità. La giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito che non occorrono atti definitivi, essendo impugnabili anche atti preparatori (Corte cost. 18 dicembre 1972 n. 211), né sull'impugnabilità influisce il carattere formale dell'atto: si é ritenuto, infatti, proponibile il ricorso de quo anche nei confronti di una circolare (Corte cost. 2 ottobre 1979 n. 120). E sufficiente, perciò, un qualsiasi atto di organo statale che affermi in concreto la propria competenza ad esercitare un certo potere (Corte cost. 12 dicembre 1967 n. 153), e ciò ovviamente, anche se l'atto integri un provvedimento revocativo di altro provvedimento (Corte cost. 30 maggio 1968 n. 69).

Tutti tali requisiti sono ravvisabili nella nota 26 novembre 1982 n. 2159 del Ministero delle Finanze - Direzione generale per la finanza locale - diretta alla Regione Friuli - Venezia Giulia.

3. - Ritiene la Corte che la ministeriale ora richiamata sia effettivamente lesiva della competenza della Regione ricorrente, tanto sotto l'aspetto formale quanto sotto quello sostanziale.

Il D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, che detta norme di attuazione dello Statuto speciale Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza locale, dopo aver dato atto nell'esordio che é stata sentita la commissione paritetica di cui all'art. 65 dello Statuto speciale, dispone all'art. 10 che "alla determinazione..." delle somme spettanti alla Regione per le quote fisse di proventi erariali indicate nell'art. 49 dello Statuto" "sarà provveduto con decreto del Ministro per le finanze di concerto con il Ministro per il Tesoro, di intesa con il Presidente della Giunta regionale". E difatti il D.M. 18 aprile 1967, premesso che "il Presidente della Giunta regionale ha manifestato la propria intesa sul presente decreto ", recita all'art. 1 "é approvato l'unito prospetto - che é parte integrante del presente decreto - per la liquidazione delle quote di proventi erariali spettanti alla Regione Friuli - Venezia Giulia ai sensi dell'art. 49 dello Statuto per il primo esercizio finanziario regionale...".

Va rilevato, dunque, che l'art. 10 del D.P.R. 114/65 sembra preoccuparsi di pretendere l'intesa col Presidente della Regione sulla determinazione in concreto delle somme spettanti alla Regione proprio nell'intento di predisporre una sede in cui trovassero soluzione concordata eventuali disparità di vedute in ordine all'uno o all'altro accredito: ed in realtà il prospetto allegato al successivo Decreto ministeriale, alla voce "Imposta generale sull'entrata", determinava effettivamente proprio le somme che, per essa voce, si era convenuto pacificamente di assegnare alla Regione.

Ben é vero che una siffatta determinazione si rendeva tanto più necessaria in quanto il primo esercizio, a causa del momento in cui andava in vigore, restava limitato al periodo 26 maggio - 31 dicembre 1964. Tale circostanza, però, non diminuisce il valore significativo della disposizione, giacché per calcolare le somme spettanti, ritagliandole nel più limitato periodo del primo esercizio, le parti hanno dovuto necessariamente tener conto di quanto lo Stato aveva incassato nel territorio della Regione per il titolo di cui alla voce "Imposta generale sull'entrata": ed é pacifico, proprio per il fatto che ora lo Stato ne pretende la restituzione, che in quel primo calcolo sicuramente le parti, di comune intesa, determinarono le somme spettanti sulla base di un preciso criterio: calcolando, cioè, in quella voce anche l'ora contestata IGE all'importazione. Qualunque fosse all'origine la corrispettiva interpretazione delle norme presupposte dall'intesa del 1967, é certo, comunque, che essa in linea di fatto fu raggiunta in tal senso: e si trattò di intesa nemmeno tanto anomala rispetto alle tendenze degli orientamenti ordinamentali, se ora il legislatore va estendendo esplicitamente anche ad altre Regioni differenziate la compartecipazione nel gettito dell'IGE all'importazione (cfr. da ultimo per la Sardegna la l. 13 aprile 1983 n. 122, art. 1 lett. G, dove é anche precisato che la quota fissa dovuta si riferisce all'imposta riscossa nel territorio della Regione: col che il legislatore mostra di voler superare anche le obiezioni concernenti l'asserito valore di riferimento nazionale proprio dall'IGE all'importazione).

Né quell'intesa può essere assunta con effetti limitati alla determinazione del primo periodo di esercizio, come si potrebbe essere tentati di arguire dalla qualifica di "transitoria" che la rubrica sembrerebbe attribuire alla disposizione di cui all'art. 10 del citato D.M. 18 aprile 1967; e ciò perché - a parte la considerazione secondo cui la norma sembra avere carattere piuttosto "finale" che transitorio - l'intesa col Presidente della Regione informa come principio generale il contenuto del D.P.R. 23 gennaio 1965 n. 114.

Così l'art. 4 prevede l'intesa per la determinazione dell'ammontare dei proventi, derivanti alla Regione da maggiorazioni di aliquote o da altre modificazioni successive al Decreto, quando quei proventi siano stati destinati per legge a copertura di nuove o maggiori spese a carico del bilancio statale.

Benché, dunque, una legge segni il destino di quei proventi, che sicuramente, perciò, dovranno essere riversati allo Stato, il legislatore impone tuttavia che la determinazione del loro ammontare avvenga d'intesa col Presidente della Regione: evidentemente proprio perché il provvedimento incide sulle entrate regionali toccando la sfera di competenza della Regione.

Altrettanto dicasi per quanto concerne i servizi relativi all'accertamento e alla riscossione dei tributi istituiti dalla Regione (servizi disimpegnati dallo Stato), le cui modalità di esecuzione devono essere determinate con Decreto del Ministro delle finanze, ma sempre previa intesa col Presidente della Giunta regionale (art. 7). Ancora una volta il legislatore esige l'intesa perché quelle procedure interessano da vicino le entrate regionali.

Parimenti in ordine alla determinazione dell'ammontare delle spese che spettano in rimborso alla Regione per l'esercizio, mediante suoi uffici, di funzioni di competenza statale (art. 9).

Tutte norme queste certamente non transitorie, come appare dalla stessa collocazione, e tuttavia improntate allo spirito di comune intesa che domina la disciplina generale del Decreto. Spirito, del resto, che presiede anche ad altra norma fra quelle definite "transitorie e finali": si vuole alludere alla disposizione di cui all'art. 13, la quale pure prescrive la stessa intesa per la liquidazione delle spese che dovranno essere addebitate alla Regione, in ordine a quegli uffici statali che adempiono a funzioni regionali e che alla Regione dovranno poi essere trasferiti.

Ebbene, il criterio adottato concordamente nel 1967 (ma con efficacia dal 26 maggio 1964) non fu più evidentemente abbandonato dalle parti se - come si evince dalla stessa ministeriale - esso fu osservato, e senza obiezioni, per ulteriori cinque anni ed oltre, fino a quando, cioè, il tributo fu sospeso dall'art. 90 n. 1 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633. Cinque anni e più durante i quali lo Stato ha mantenuto fede ai criteri adottati nell'intesa raggiunta col Presidente della Regione in occasione della determinazione delle somme spettanti sul primo bilancio di esercizio.

Una siffatta concordia, peraltro, perdura ulteriormente per altri dieci anni ancora, ma va rilevato che, dopo l'avvento della citata legge soppressiva, sopravviene una situazione nuova che consolida e fissa nel tempo quell'intesa: si allude al procedimento novativo introdotto dal legislatore coll'art. 8, primo comma, del coevo D.P.R. n. 638. Dispone, infatti, questa norma che alle Regioni differenziate vengano corrisposte somme d'importo pari a quelle devolute per l'anno 1972 per tributi e compartecipazioni a tributi erariali soppressi. Dove manifestamente il riferimento al titolo di devoluzione svolge ruolo di mero criterio d'identificazione delle somme in concreto effettivamente corrisposte. Lo attesta eloquentemente la rubrica del Decreto che testualmente recita: " Disposizioni per l'attribuzione di somme agli enti indicati nell'art. 14 della l. 9 ottobre 1971 n. 825, in sostituzione di tributi, contributi e compartecipazioni".

Non può esservi dubbio, pertanto, a questo punto che il legislatore si é preoccupato di predisporre adeguata normativa per assicurare nel tempo la continuità della concreta erogazione di quelle stesse somme (parzialmente indicizzate negli anni) che fino a quel momento erano state pacificamente corrisposte sulla base delle intese raggiunte: e ciò fino a quando non sarebbe stato attuato il coordinamento della disciplina delle entrate tributarie delle Regioni a Statuto speciale, così come previsto dalla l. 9 ottobre 1971 n. 825 (Delega al Governo per la riforma tributaria). E poiché il coordinamento tarda a venire, il Parlamento con successivi provvedimenti proroga di anno in anno la continuità della novazione (l. 27 gennaio 1978 n. 43; l. 8 gennaio 1979 n. 3; l. 7 luglio 1980 n. 299; l. 23 aprile 1981 n. 153; l. 26 febbraio 1982 n. 51; l. 26 aprile 1983 n. 131).

Vero é che quella preoccupazione del legislatore muoveva da intenti sostanziali di cui subito sarà detto ma appare evidente frattanto che, già sul piano formale, l'intervento unilaterale del Ministero delle finanze ha violato una precisa competenza della Regione: quella che prevedeva l'intesa col Presidente della Giunta regionale in ordine alla determinazione delle somme spettanti per la compartecipazione nei tributi.

Ammesso, infatti, che fossero superabili gli effetti novativi del D.P.R. n. 638/72 e che si trattasse di verificare l'errore interpretativo alla base dell'intesa raggiunta nel 1967, non potevasi pretermettere un nuovo intervento del Presidente della Giunta regionale. Si tratta, in sostanza, di un meccanismo costituzionale di collaborazione fra Stato e Regione che non può essere eluso quando é espressamente previsto. La sua inosservanza comporta l'annullamento del provvedimento viziato, giusta costante giurisprudenza di questa Corte (si vedano le sentenze 25 maggio 1963 n. 80; 14 luglio 1976 n. 180; e, argomentando a contrario, la sent. 17 luglio 1980 n. 123

).

4. - Ma - come si é appena osservato - sia nel prevedere l'intervento della Regione nell'intesa, sia nel prorogare nel tempo la corresponsione delle somme già corrisposte alle Regioni differenziate fino al 1972 (in sostituzione della compartecipazione ai proventi dei tributi soppressi), il legislatore é stato ovviamente mosso da intenti sostanziali.

Una volta che, attraverso la compartecipazione ai tributi erariali riscossi nella Regione, lo Stato ne finanzia la parte essenziale delle entrate, ogni problema afferente alle fonti di queste non può essere evidentemente soltanto una questione riducibile ad una rettifica dei calcoli che si assumono errati, o di più corretta interpretazione di qualche norma ordinaria.

Come la dottrina ha correttamente rilevato, proprio in merito alle quote fisse attribuite alle Regioni sui tributi erariali, la validità di quelle quote si fonda essenzialmente sulla esattezza della valutazione dei costi delle funzioni regionali. In realtà, nel bilanciamento fra entrate e spese, di cui si sostanzia lo strumento contabile della Regione, esiste un rapporto ineliminabile nel quale trovano rappresentazione quei fatti amministrativi e di gestione che la Regione realizza in esecuzione dei suoi fini istituzionali. Ciò significa che le somme concordate fra Stato e Regione quali quote fisse di partecipazione alle imposte statali, e di cui poscia il legislatore ha prorogato l'erogazione, avevano una precisa finalizzazione nel contesto del bilancio regionale di cui rappresentavano la quasi totalità delle entrate ordinarie: esse, infatti, erano state calibrate, in occasione dell'intesa, nella prospettiva del concreto esercizio di quelle funzioni istituzionali, costituzionalmente rilevanti, che il bilancio consentiva.

Di ciò appunto evidentemente ha inteso preoccuparsi il legislatore, non solo nel predisporre il cennato meccanismo costituzionale di collaborazione fra Stato e Regione, ma anche e particolarmente dandosi carico di disporre l'ulteriore prosecuzione dell'erogazione delle stesse somme (salvo una modesta indicizzazione), nonostante la soppressione dei tributi.

Se questo, dunque, - come pare - é stato l'intento del legislatore, un intervento amministrativo del Governo che unilateralmente rettifica - a torto od a ragione - le somme concordate per la realizzazione delle finalità istituzionali della Regione, non si risolve in una mera questione di calcolo: al contrario, esso risulta invasivo della competenza regionale anche sul piano sostanziale, oltre che su quello già illustrato del processo formativo della comune volontà. Facendo mancare, infatti, alla Regione una parte notevole delle entrate, senza avere esperito un tentativo d'intesa, l'organo ministeriale incide anche sul conseguimento delle finalità costituzionalmente tutelate.

Certo, il legislatore statale ben potrebbe intervenire, se lo ritenesse opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia: ma dovrebbe farlo, comunque, dopo aver sentito la Regione (art. 65 Statuto Friuli - Venezia Giulia) e avendo i poteri per mettere ordine nella complessa vicenda senza turbare i delicati rapporti coll'Ente Regione.

La Corte, comunque, deve frattanto provvedere in ordine all'atto impugnato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato di escludere unilateralmente, in via amministrativa, l'IGE all'importazione dal calcolo delle somme da corrispondersi alla Regione Friuli - Venezia Giulia in applicazione dell'art. 8 del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 638, e successive modificazioni.

Di conseguenza

ANNULLA

il provvedimento enunciato nella lettera 26 novembre 1982 n. 2159 del Ministero delle finanze - Direzione generale per la finanza locale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 febbraio 1984.

 

Leopoldo ELIA, Presidente - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Virgilio ANDRIOLI -. Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 22 febbraio 1984.