Sentenza n.211 del 1972

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SENTENZA N. 211

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Prof. Giulio GIONFRIDA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, notificato il 17 gennaio 1972, depositato in cancelleria il 5 febbraio successivo ed iscritto al n. 3 del registro conflitti 1972, per conflitto d’attribuzione sorto a seguito dell'atto di citazione 24 settembre 1971 della Procura generale della Corte dei conti (e dei relativi decreti di fissazione di sezione e d’udienza) con cui sono stati convenuti in giudizio, per responsabilità amministrativa, il Presidente e otto componenti della Giunta regionale.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 ottobre 1972 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi gli avvocati Gaspare Pacia, Stefano Varvesi e Feliciano Benvenuti, per la Regione, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso notificato il 17 gennaio 1972, il Presidente della Giunta regionale del Friuli-Venezia Giulia ha proposto conflitto d’attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all'atto di citazione del 24 settembre 1971 (e ai relativi decreti di fissazione di sezione e d’udienza) con cui la Procura generale della Corte dei conti aveva convenuto in giudizio, per responsabilità amministrativa, oltre ad un dipendente della Regione, il Presidente e otto componenti della Giunta regionale, responsabili di aver omesso di denunciare al Procuratore generale della stessa Corte il fatto dannoso cagionato dal dipendente; e ciò in ottemperanza alla deliberazione di massima n. 2861 del 6 agosto 1969, da essi adottata. Tale deliberazione disponeva che, per quanto atteneva ai danni procurati alla Regione dai propri dipendenti in occasione della circolazione dei veicoli affidati alla loro guida, non si dovesse presentare denuncia al Procuratore generale della Corte dei conti perché la competenza a decidere in materia era della magistratura ordinaria.

Nel contestare la legittimità dei provvedimenti emessi dalla Corte dei conti, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 1, 4, primo comma, 37, 38, secondo comma, 45, secondo comma, e 46 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, nonché dei principi generali di autonomia e di responsabilità collegiale contenuti negli artt. 5 e 95, secondo comma, della Costituzione e 33 e 34 della legge 10 febbraio 1953, n. 62. Al riguardo la difesa della Regione rileva che il provvedimento della Corte dei conti diretto a sottoporre a giudizio di responsabilità il Presidente e i componenti della Giunta, per l'attività da essi svolta nell'esercizio delle loro funzioni, lede l'autonomia della Regione, perché trasforma la responsabilità dei componenti della Giunta, che é collegiale e politica, in responsabilità individuale e amministrativa e considera la loro attività di alta amministrazione, a contenuto meramente direttivo, alla stregua di un’attività esecutiva ed applicativa delle direttive emanate ai singoli casi correnti.

Inoltre, secondo il ricorrente, le norme (artt. 53 r.d. n. 1214 del 1934; 83 r.d. n. 2440 del 1923; 20 d.P.R. n. 3 del 1951) che stabiliscono a carico dei funzionari statali e dei Ministri, per l'omessa denunzia del fatto dannoso, una sanzione patrimoniale di importo corrispondente al danno da altri cagionato allo Stato, non sarebbero applicabili a soggetti diversi da quelli espressamente indicati dalla legge (quali ad esempio, i capi servizio, i direttori generali e gli assessori dell'Amministrazione regionale).

E con riferimento alla dedotta estensione di tali disposizioni, che prevedono sanzioni di natura disciplinare e di contenuto patrimoniale, il ricorrente deduce la loro illegittimità costituzionale, da accertarsi in via incidentale dalla Corte, sotto il profilo della violazione delle riserve di legge poste dagli artt. 23 e 25, secondo comma, della Costituzione.

Rileva poi che l'estensione della responsabilità a tutti i componenti della Giunta, individualmente considerati, aggrava comunque l'invasione da parte dello Stato della sfera di competenza riservata all'autonomia della Regione, perché l'eventuale dichiarazione di responsabilità degli amministratori regionali, determinerebbe la decadenza e l’ineleggibilità per cinque anni di tutto il Governo regionale, con indubbie conseguenze di carattere politico in ordine al funzionamento degli organi regionali.

Da ultimo, il ricorrente propone in via incidentale questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 5, 24, 25, 33, 42, 97, 102 e 103 della Costituzione, degli artt. 44 e segg. del testo unico sull'ordinamento della Corte dei conti; degli artt. 43 e segg. del regolamento di procedura dinanzi alla stessa Corte; degli artt. 82 e 83 della legge di contabilità dello Stato e degli artt. 18 e 19 del testo unico sugli impiegati civili dello Stato, limitatamente a quanto attiene alla loro applicazione nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia. Ciò perché tale applicazione contrasterebbe con le norme costituzionali che garantiscono l'autonomia regionale, in quanto, nei confronti degli enti territoriali costituiti dall'ordinamento regionale, dovrebbe farsi riferimento, in ordine ai giudizi di responsabilità, al sistema legislativo in vigore per gli enti territoriali minori che li sottopone alla competenza del giudice ordinario.

Il ricorrente conclude chiedendo che la Corte dichiari l’incompetenza dello Stato ad emanare gli atti impugnati e, ove occorra, l’illegittimità costituzionale delle norme denunciate.

2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate il 4 febbraio 1972, chiede che la Corte dichiari inammissibile o comunque infondato il ricorso proposto dalla Regione.

Secondo la difesa dello Stato, il ricorso é inammissibile: invero, con gli atti impugnati, non si sarebbe verificata alcuna invasione delle competenze attribuite alla Regione, perché il conflitto in esame si pone in realtà come un problema di giurisdizione, da risolvere secondo le norme vigenti nell'ordinamento giuridico dello Stato. Comunque, anche ammettendo che gli atti impugnati siano idonei a ledere la competenza regionale, l'Avvocatura deduce un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso, sostenendo che, allo stato, si tratterebbe di una lesione meramente eventuale, potendo un attentato alle prerogative della Giunta derivare soltanto da una sentenza della Corte dei conti, confermata dalle sezioni unite della Corte di cassazione.

Anche nel merito il ricorso sarebbe infondato, in quanto l'Avvocatura ritiene che il problema della responsabilità solidale dei componenti della Giunta regionale consista in una questione di merito da affrontare nella sede giurisdizionale competente e cioé nel giudizio davanti alla Corte dei conti.

Nel giudizio di costituzionalità, invece, occorre esaminare solo il problema della assoggettabilità degli amministratori regionali alla giurisdizione della Corte dei conti: ma, poiché su questo problema la Corte costituzionale ha già espresso la sua opinione con le sentenze nn. 110 del 1970 e 68 del 1971, deve essere dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità sollevata dalla difesa regionale in via incidentale.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Friuli-Venezia Giulia é proposto in riferimento alla citazione (e successivi decreti di fissazione di udienza) intimata dal Procuratore generale della Corte dei conti nei confronti di un autista dipendente della Regione per danni arrecati ad un’autovettura affidata alla sua guida, e nei confronti del Presidente della Giunta e degli Assessori regionali che, con la deliberazione in data 6 agosto 1969, n. 2861, avrebbero impedito che la denunzia del danno venisse sporta da chi di dovere allo stesso Procuratore generale, e sarebbero perciò a tal titolo responsabili.

Tale deliberazione disponeva infatti che non dovessero essere presentate a quel Procuratore generale, che le sollecitava, denuncie per danni procurati da autisti dipendenti dalla Regione per effetto della circolazione dei veicoli, perché doveva ritenersi in materia competente l'autorità giudiziaria ordinaria, avanti la quale la Giunta regionale si riservava, dopo l'esame del caso, di decidere in merito alla proposizione dell'azione. Trattavasi quindi di una deliberazione di massima che la Giunta aveva creduto di adottare per segnare la condotta da tenersi in materia dai dipendenti uffici e che si ispirava ai principi allora ammessi, e ritenuti anche da questa Corte nella sentenza n. 17 del 1965, circa la necessità che, per sottoporre settori, prima non compresi, alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, occorressero apposite norme legislative da emanarsi in ottemperanza all'art. 103, comma secondo, della Costituzione, ma non emanate.

Quella deliberazione venne poi revocata con altra in data 3 maggio 1971, n. 1611, dopo che la Corte di cassazione prima e questa stessa Corte poi (sentenza n. 110 del 1970), andarono in contrario avviso, ritenendo l’immediata precettività in materia del richiamato art. 103.

Ciò precisato, devesi, prima di affrontare l'esame del merito, risolvere un duplice ordine di questioni: quelle attinenti alle eccezioni di inammissibilità del ricorso, proposte dall'Avvocatura dello Stato, e quelle di legittimità costituzionale, prospettate dalla Regione.

2. - Sostiene l'Avvocatura che il ricorso sarebbe "inammissibile perché diretto contro atti di natura giurisdizionale dello Stato, relativamente ai quali né la Regione ha titolo a una vindicatio potestatis, né essa, come Ente fornito di autonomia e svincolato dalle persone fisiche dei suoi organi rappresentativi, ha titolo a lamentare una lesione della sua competenza".

Ma la duplice eccezione proposta non ha fondamento. Nulla vieta che un conflitto di attribuzione possa trarre origine da un atto giurisdizionale, se ed in quanto, come é nel caso, si deduca derivarne un’invasione della competenza costituzionale garantita alla Regione (sentenza n. 110 del 1970). Né occorre che, per dar luogo a un conflitto di attribuzione, vi sia una contestazione sull'appartenenza di un medesimo potere, essendo sufficiente che dall'illegittimo esercizio del potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto (stessa sentenza).

Come pure é certo che un attentato ai poteri spettanti ai rappresentanti di un Ente fornito di autonomia costituzionalmente protetta non può, in tesi, non offendere l'autonomia dell'Ente.

Deduce ancora l'Avvocatura che, nel caso, mancherebbe l'attualità di una lesione, in quanto si é in presenza soltanto di un atto introduttivo di un giudizio che potrebbe, in tesi, determinare la lesione che la Regione lamenta, solo se e quando le domande contenute nell'atto venissero accolte.

Ma la Corte, poiché non vengono dedotte nuove e convincenti ragioni contrarie, non ritiene vi sia motivo per rivedere sul punto la propria giurisprudenza, secondo la quale qualsiasi atto, anche preparatorio, può dar luogo a conflitto purché sia idoneo ad affermare una competenza ed a negare, o menomare, l'altrui (sent. n. 171 del 1971). Tanto più che, nel caso, la Regione, oltre che la competenza della Corte dei conti, contesta soprattutto il potere, ed impugna l'atto, del suo Procuratore generale volto a promuovere d'ufficio l'instaurazione di un'azione giudiziaria, in merito alla cui proposizione essa rivendica l'esercizio di una sua autonoma facoltà di decidere.

Pertanto nessuna delle proposte eccezioni di inammissibilità ha fondamento e può essere accolta.

3. - La Regione solleva due gruppi di questioni di legittimità costituzionale che vanno qui distintamente esaminate ai fini di accertarne, con la rilevanza, che non é dubbia, la non manifesta infondatezza.

Col primo gruppo si denunciano gli articoli:

a) 53 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, contenente il testo unico sulla Corte dei conti (emanato in virtù della delega di cui all'art. 35 della legge 3 aprile 1933, n. 255); b) 83 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, contenente norme sull'amministrazione del patrimonio e la contabilità generale dello Stato (emanato in virtù della delega contenuta nella legge 3 dicembre 1922, n. 1601);

c) 20 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, contenente il testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati dello Stato (emanato in virtù della delega contenuta nell'art. 4 della legge 20 dicembre 1954, n. 1181); i quali sarebbero illegittimi nella parte in cui dispongono la responsabilità per omessa denunzia da parte dei direttori generali, capi servizio e, in determinati casi, dei singoli ministri, relativamente a danni da altri arrecati allo Stato. Le citate norme non sarebbero illegittime di per sé, ma in quanto se ne faccia applicazione estensiva a soggetti non contemplati in quelle norme, quali appunto, nel caso, i direttori generali, i capi servizi e gli assessori delle Regioni. In tal caso quelle stesse norme, applicate in via interpretativa, poiché contengono sanzioni di natura disciplinare e di contenuto patrimoniale, violerebbero gli artt. 23 e 25 della Costituzione, i quali dispongono che tali sanzioni possano essere imposte soltanto con legge.

La questione é manifestamente infondata, perché l'art. 25 (commi secondo e terzo), riguardando unicamente la materia penale, non ha attinenza con l'argomento di causa; mentre non può parlarsi, a proposito dell'art. 23, di una violazione della riserva di legge in esso contenuta solo perché, utilizzando legittimamente lo strumento della interpretazione, si estendono le ipotesi di cui alle norme impugnate ad altre prima non previste, in quanto non prevedibili, ma identiche nei presupposti.

Col secondo gruppo di questioni, la Regione denuncia poi altri articoli dei già citati provvedimenti legislativi, e cioé 44 e seguenti del r.d. n. 1214 del 1934, 82 e 83 del r.d. n. 2440 del 1923, 18 e 19 del d.P.R. n. 3 del 1957 e denuncia altresì gli artt. 43 e seguenti del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, contenente il Regolamento per la procedura innanzi alla Corte dei conti, sul cui valore di atto avente o no forza di legge non é qui il caso di indugiare.

Queste norme sono denunziate in riferimento agli artt. 5, 24, 25, 33, 42, 97, 102 e 103 della Costituzione, ma limitatamente a quanto attiene alla loro applicazione nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia.

Con tale ampio raggio di impugnative, la Regione sostanzialmente sostiene che essa ed i suoi amministratori e i suoi dipendenti, non sono assoggettabili alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa, né, tanto meno, essa é tenuta a sottostare alla iniziativa del Procuratore generale di detta Corte nella proposizione delle relative azioni, perché tutto il sistema predisposto per lo Stato e altri enti pubblici non si attaglierebbe a essa Regione in quanto lesivo della sua autonomia.

Anche tale questione é manifestamente infondata, essendo già stata ampiamente esaminata dalla Corte, e risolta nel senso della non fondatezza, nella sentenza n. 110 del 1970 quanto all'ambito di applicazione della norma dell'art. 103, comma secondo, della Costituzione; ed essendo già stata ritenuta la competenza della Corte dei conti, in materia di contabilità pubblica, anche nei confronti delle Regioni, sia a Statuto ordinario che a Statuto speciale, e senza che occorrano particolari norme legislative di applicazione.

Essendo superfluo ripetere le ragioni esposte nella sentenza richiamata, qui conviene soltanto aggiungere qualche parola sul nuovo rilievo proposto, e cioé che, ammessa pure la competenza in materia della Corte dei conti, non dovrebbe però riconoscersi il potere del suo Procuratore generale ad agire d'ufficio nei confronti della Regione, cui spetterebbe autonomia di decisione nella proposizione delle azioni.

Ma nemmeno entro questi più ristretti limiti la questione può non essere ritenuta manifestamente infondata, essendo ovvio che l'art. 103, comma secondo, della Costituzione, allorché ha riconfermata, e, secondo si ritiene da molti, anche ampliata, la giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, ha richiamato tutto l'istituto così come esso era ed é regolato dalle norme relative, e nel quadro delle quali l'iniziativa del Procuratore generale si colloca come ovviamente necessaria per evitare lassismi e contrasti di posizioni e di interessi: relativamente ai quali, anche sul piano giuridico, ricorrerebbero notevoli difficoltà per una diversa regolamentazione.

4. - Venendo infine all'esame del merito, deve osservarsi che, pur ritenendosi corretto il comportamento della Giunta regionale riguardo all'adozione della deliberazione n. 2861 del 1969, che ora viene assunta come fonte di responsabilità per i componenti della stessa, non può accogliersi il ricorso della Regione, in quanto nell'azione del Procuratore generale della Corte dei conti non si rinviene alcun aspetto di illegittimità, dovendosi riconoscere che egli ha agito nell'ambito dei poteri a lui segnati dalle leggi e nell'esercizio degli stessi. Mentre é ovvio che solo da un atto illegittimo può derivare una invasione di competenza.

Se l'azione da lui proposta é o no fondata, dirà la Corte adita, la cui competenza a decidere in proposito, per quanto si é detto, non può essere posta in dubbio.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara che spetta alla Procura generale della Corte dei conti promuovere l'azione di responsabilità, sia nei confronti dei dipendenti della Regione del Friuli-Venezia Giulia per i danni causati alla Regione nell'esercizio delle loro attribuzioni, sia nei confronti dei Componenti la Giunta della stessa Regione per omissione della denunzia di tali danni.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Ercole ROCCHETTI

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1972.