Sentenza n. 17 del 1965
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SENTENZA N. 17

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 260 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, promosso con ordinanza emessa il 28 aprile 1964 dalla seconda Sezione giurisdizionale della Corte dei conti nel giudizio in materia di responsabilità contabile a carico di Calvitti Donato ed altri, iscritta al n. 110 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 169 dell'11 luglio 1964.

Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'atto di costituzione in giudizio di Calvitti Donato ed altri;

udita nell'udienza pubblica del 17 febbraio 1965 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi gli avvocati Leopoldo Piccardi e Michele Lanzetta, per Calvitti ed altri, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò. per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel giudizio di appello in materia di responsabilità contabile, pendente innanzi alla Corte dei conti a istanza del signor Calvitti Donato, con l'adesione di altri, contro il Comune di Campomarino, la seconda Sezione giurisdizionale di quel consesso, a richiesta delle parti private, ha sollevato taluni dubbi circa la legittimità costituzionale dell'art. 260 del T.U. comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383, con riferimento all'art. 103, secondo comma, della Costituzione, e ne ha deferito l'esame a questa Corte.

Con l'attribuire in primo grado ai Consigli di prefettura e solo in grado di appello alla Corte dei conti la risoluzione delle controversie in materia di responsabilità previste degli artt. 251-259 del T.U. comunale e provinciale e di ogni altra responsabilità dipendente dalla conservazione e gestione del patrimonio comunale, provinciale e consorziale, la norma denunciata violerebbe infatti la "riserva assoluta di giurisdizione della Corte dei conti nella materia di contabilità pubblica" che sarebbe enunciata nel secondo comma dell'art. 103 della Costituzione, la quale implicherebbe la sottrazione ad ogni altro giudice di qualsiasi cognizione a tal titolo, ancorché semplicemente in primo grado. A tal fine l'ordinanza argomenta anche dagli altri commi dell'art. 103, il primo dei quali, a differenza dal secondo (relativo alla giurisdizione della Corte dei conti), contempla accanto al Consiglio di Stato "altri organi di giustizia amministrativa", mentre il terzo - che si occupa, con carattere riconosciuto immediatamente operativo, della giurisdizione dei tribunali militari di pace e di guerra - testimonierebbe il valore precettivo, permanente e organico di tutte le disposizioni dell'articolo (e perciò anche di quella del secondo comma). Essa aggiunge che l'immediato venir meno della competenza di primo grado dei Consigli di prefettura sarebbe confermato anche dal fatto che l'inizio dei procedimenti innanzi ad essi, ai sensi del secondo comma dell'art 260, d'ufficio o sopra richiesta dell'autorità di vigilanza (e cioè del prefetto, presidente del consesso giudicante), contrasterebbe col principio costituzionale di imparzialità della funzione giurisdizionale.

Dopo aver osservato che, alla stregua della legislazione vigente, l'eliminazione della competenza giurisdizionale dei Consigli di prefettura non produrrebbe alcuna lacuna nell'ordinamento, l'ordinanza nota ancora che la VI disposizione transitoria della Costituzione non varrebbe a legittimare la sopravvivenza di tale competenza all'entrata in vigore della Costituzione, data la completezza e la precettività immediata della riserva assoluta in favore della Corte dei conti enunciata nel secondo comma dell'art. 103 - riserva affatto inconciliabile, del resto, con la trasformazione (che sarebbe contemplata dalla citata disposizione transitoria correlata con l'art. 102 della Costituzione) dei Consigli di prefettura in sezioni specializzate dei tribunali ordinari.

L'ordinanza é stata notificata alle parti in causa il 26 e 27 maggio 1964 e al Presidente del Consiglio dei Ministri il 27 maggio, é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 23 maggio 1964; é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'11 luglio 1964, n. 169.

2. - Innanzi a questa Corte si sono costituiti i sigg. Calvitti Donato, Viola Giuseppe, Lattanzio Oreste, Di Renzo Luigi, Girardo Vincenzo, Montazzoni Maria, Carriero Chiara e Lucia, depositando in data 31 luglio 1964 mandato e deduzioni, e chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 260 impugnato. In aggiunta agli argomenti contenuti nell'ordinanza della Corte dei conti, essi sottolineano la mancanza di indipendenza dei Consigli di prefettura - composti di elementi in posizione di dipendenza gerarchica rispetto al prefetto, presidente del consesso, e destinati a operare come strumenti dell'ingerenza governativa nelle Amministrazioni locali in contrasto col principio costituzionale dell'autonomia di queste - e fanno appello a quel precetto di adeguamento delle leggi alle esigenze delle autonomie locali, che é enunciato dalla IX disposizione transitoria della Costituzione, con l'assegnazione di un termine ancor più breve di quello prescritto nella disposizione VI.

3. - Nega invece ogni fondamento all'impugnativa il Presidente del Consiglio dei Ministri, nell'atto d'intervento, a cura dell'Avvocatura generale dello Stato, depositato il 17 luglio 1964.

L'art. 103 della Costituzione, secondo l'Avvocatura, non fonda alcuna riserva assoluta di giurisdizione, e si limita a conservare gli organi di giurisdizione in esso considerati, tra i quali la Corte dei conti. Comunque non potrebbe recarsi in dubbio l'applicabilità della VI disposizione transitoria anche ai Consigli di prefettura.

Fino alla revisione prevista da questa, osserva l'Avvocatura, il legislatore costituente volle la conservazione di tutte le giurisdizioni speciali preesistenti, "quali che fossero le rispettive particolarità di struttura", sottraendole a ogni sindacato di legittimità costituzionale "almeno per quanto attiene alle norme che ne regolano la composizione e la competenza".

Quand'anche dovesse ammettersi che il secondo comma dell'art. 103 della Costituzione enunci una riserva di giurisdizione in favore della Corte dei conti, e che tale riserva valga a escludere persino la possibilità di una competenza di primo grado di un giudice diverso; e quand'anche dovesse ammettersi che l'attuale composizione dei Consigli di prefettura non soddisfi il principio costituzionale dell'indipendenza dei giudici; nondimeno la VI disposizione transitoria della Costituzione basterebbe a escludere che la giurisdizione di tali consessi possa considerarsi senz'altro venuta meno.

Né sarebbe esatto che la revisione prevista dalla VI disposizione transitoria non potrebbe essere ammessa se non in presenza di una possibilità alternativa di soppressione o di conservazione dell'organo: infatti l'art. 125 della Costituzione prevede la conservazione di "organi di giustizia amministrativa" diversi dal Consiglio di Stato, e tuttavia gli organi di giustizia amministrativa esistenti sono anch'essi soggetti a revisione. Comunque, nel sopprimere i Consigli di prefettura in attuazione della VI disposizione transitoria della Costituzione il legislatore avrebbe sempre la scelta tra l'alternativa di devolverne la competenza giurisdizionale di primo grado alla Corte dei conti così com'é attualmente ordinata e quella di devolverla a sezioni provinciali o regionali di essa, di nuova istituzione.

4. - In una memoria depositata il 4 febbraio 1965 la difesa delle parti private precisa, in limine, in primo luogo, che la dichiarazione di illegittimità dell'art. 260 del T.U. comunale e provinciale deve essere estesa, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, agli artt. 23, 310 e 311 dello stesso T.U. , riguardanti, il primo, la composizione dei Consigli di prefettura per l'esercizio della giurisdizione contabile, e, gli altri due, la procedura dei giudizi; in secondo luogo, che l'ordinanza della Corte dei conti non investe soltanto il contrasto della Sopravvivenza della giurisdizione dei Consigli di prefettura con l'art. 103, secondo comma, della Costituzione, ma anche il contrasto delle regole sul funzionamento, di tali organi col principio costituzionale della imparzialità dei giudizi, e quindi con gli artt. 24 e 108 della Costituzione.

Nell'illustrare ampiamente i motivi dell'ordinanza di rinvio, la memoria adduce, tra l'altro, a sostegno della tesi dell'immediata operatività del precetto del secondo comma dell'art. 103 della Costituzione, in virtù del quale sarebbe venuta automaticamente meno la giurisdizione contabile dei Consigli di prefettura, l'osservazione che, ove così non fosse, le decisioni di questi ultimi non potrebbero sfuggire al ricorso per cassazione per violazione di legge previsto dal secondo comma dell'art. 111 della Costituzione per tutte le sentenze degli organi giurisdizionali ordinari o speciali (fatta eccezione per quelle dei tribunali militari in tempo di guerra, nonché per quelle del Consiglio di Stato e della Corte dei conti): e ciò snaturerebbe completamente la posizione dei Consigli di prefettura quali organi giurisdizionali di primo grado in materia di contabilità pubblica.

Con riferimento poi agli artt. 24 e 108 della Costituzione la memoria richiama l'attenzione sul fatto che i Consigli di prefettura sono composti unicamente di funzionari amministrativi dello Stato, privi di garanzia di indipendenza e "tradizionalmente considerati come una longa manus del Governo"; e si sofferma particolarmente sulla partecipazione alla camera di consiglio - sia pure soltanto "con voto consultivo" - del "funzionario di ragioneria che ha compilato la relazione sul conto" (art. 23 T.U.), il quale sarebbe "istituzionalmente, un accusatore", per giunta interessato alla decisione, poiché la legge lo considera "personalmente responsabile degli errori che non siano ritenuti scusabili" e "personalmente obbligato" a rilevare le irregolarità contabili e i casi di responsabilità degli amministratori sottoposti al giudizio (art. 311). La partecipazione di tale funzionario alla camera di consiglio sarebbe poi tanto più grave, in quanto ne sono escluse le parti interessate, le quali anzi, in evidente violazione del diritto di difesa, non avrebbero neppure la possibilità di esporre oralmente le proprie ragioni, giacché l'art. 225 del regolamento comunale e provinciale del 1911 consentirebbe al Consiglio di sentirle solo "quando lo creda opportuno".

5. - A propria volta l'Avvocatura dello Stato, in una memoria depositata anch'essa il 4 febbraio, insiste nelle precedenti conclusioni, osservando, precipuamente: a) che l'art. 103 della Costituzione, se riserva alla Corte dei conti la giurisdizione in materia di contabilità pubblica, lo fa all'unico fine di sottrarre tale giurisdizione, da un lato, al Consiglio di Stato ed agli altri organi di giustizia amministrativa, e dall'altro al giudice ordinario, ma non anche al fine di far venir meno la giurisdizione di primo grado dei Consigli di prefettura; b) che il giudizio contabile, una volta promosso dal Prefetto (che é "l'autorità più qualificata a mettere in moto il procedimento stesso"), si svolge "in piena autonomia ed indipendenza, senza che per questo solo fatto risultino ridotte o limitate le garanzie di giustizia e di imparzialità del procedimento"; c) che la soppressione della competenza giurisdizionale dei Consigli di prefettura porrebbe - contrariamente all'assunto dell'ordinanza di rinvio - delicati problemi di adeguamento, "essendo nella materia contabile la funzione giurisdizionale intimamente collegata alla funzione di controllo": onde tale soppressione non potrebbe aver luogo "senza aver prima provveduto alle necessarie trasformazioni istituzionali": non diversamente dalle altre disposizioni costituzionali, che, pur prevedendo la soppressione di enti ed organi, sono state considerate non immediatamente operative "fin quando non si fosse provveduto, in modo effettivo ed organico, alle necessarie trasformazioni istituzionali", le disposizioni costituzionali ora invocate non potrebbero, senza urtare contro insuperabili esigenze strutturali e funzionali del sistema, essere intese nel senso di un automatico venir meno della giurisdizione dei Consigli di prefettura indipendentemente dalla emanazione di apposite norme di adattamento.

6. - All'udienza di trattazione i patroni delle parti hanno insistito nelle rispettive tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Secondo l'ordinanza di rimessione la disposizione del secondo comma dell'art. 103 della Costituzione, in base alla quale "la Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica", avrebbe inteso riservare in modo assoluto, e con operatività immediata, a quell'alto consesso, la competenza a conoscere di tutti i giudizi attinenti alla "contabilità" tanto dello Stato, che degli altri enti pubblici. Ciò importerebbe l'automatico venir meno, fin dall'entrata in vigore della Carta costituzionale, della competenza dei Consigli di prefettura in ordine ai "giudizi contabili" in precedenza rientranti nella loro giurisdizione; e comporterebbe perciò, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale dell'art. 260 del T.U. della legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, il quale attribuisce a quei Consigli la risoluzione, in primo grado, delle controversie in materia di responsabilità previste dagli artt. 251-59 dello stesso testo unico.

La tesi non é fondata.

Dai lavori preparatori risulta che dal disfavore con cui gli autori della Costituzione considerarono le giurisdizioni speciali andò esente (unitamente al Consiglio di Stato) la Corte dei conti. In aggiunta ai compiti di controllo sull'amministrazione statale e su quella degli "enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria" (art. 100), la Costituzione volle perciò conservare a questo istituto anche la veste di organo di giurisdizione, che era propria della sua tradizione, particolarmente in relazione alle controversie attinenti alla "contabilità pubblica". Di qui l'enunciazione del secondo comma dell'art. 103, secondo cui la Corte "ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica" (oltre che "nelle altre specificate dalla legge"). Nulla autorizza però a ritenere che in tal modo i costituenti abbiano inteso riservare alla Corte la competenza a conoscere di tutti i giudizi comunque vertenti nella materia della "contabilità pubblica".

Questa affermazione appare tanto più evidente, quando si consideri che la materia delle controversie relative alla "contabilità pubblica" é di quelle il cui ambito non si riesce a definire - tanto per ciò che riguarda l'oggetto, quanto per ciò che riguarda i soggetti - se non in base a puntuali specificazioni legislative. Basti tener presente, in proposito, che mentre per tradizione vengono considerati attinenti alla "contabilità pubblica", e deferiti alla Corte dei conti, i giudizi in materia di comune responsabilità civile, verso lo Stato, dei funzionari, impiegati ed agenti di esso (art. 52 del T.U. sulla Corte dei conti 12 luglio 1934, n. 1214), gli analoghi giudizi di responsabilità (di entità peraltro non identica), verso i rispettivi enti, degli amministratori e dipendenti degli enti locali vengono (dall'art. 265 del T.U. comunale e provinciale) deferiti all'autorità giudiziaria ordinaria (diversamente dai giudizi di responsabilità ex artt. 251 - 259, sui quali sono invece competenti i Consigli di prefettura, ai sensi dell'art. 260).

Dunque, se può dirsi esatto che nel nostro ordinamento la Corte dei conti é il principale organo della "giurisdizione contabile" - la quale suole accompagnarsi alla funzione di controllo ed esercitarsi ex officio - , non appare invece esatto ritenere - come pretenderebbe l'ordinanza di rimessione - incompatibile col secondo comma dell'art. 103 della Costituzione che alla Corte dei conti sia conferita, in un settore della "giurisdizione contabile" relativo ad enti locali, una competenza limitata al secondo grado. L'esistenza, in materia, di una competenza di primo grado di un organo diverso non sottrae infatti alla Corte qualcosa che la Costituzione abbia voluto riservarle.

2. - Quanto si é detto non esclude che la competenza giurisdizionale di primo grado in materia di "contabilità pubblica" attribuita a un organo diverso dalla Corte dei conti possa urtare con altri precetti costituzionali ed essere perciò illegittima a titolo diverso.

Fermo il concetto che, per le considerazioni che precedono, la "giurisdizione contabile" dei Consigli di prefettura non può ritenersi venuta meno pel solo effetto del secondo comma dell'art. 103 della Costituzione, é peraltro da ricordare che tale giurisdizione - non rientrante tra quelle coperte dalle disposizioni conservatrici dell'art. 103 - é soggetta alla "revisione" cui la VI disposizione transitoria della Costituzione vuole che sia sottoposta la generalità delle giurisdizioni speciali.

Per tale "revisione" quest'ultima disposizione assegnava al Parlamento un termine di cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione. Questo termine, al pari di altri termini ed adempimenti prescritti dalla Carta costituzionale, non é stato osservato. Si é determinato così uno stato di incompiutezza, e perciò di alterazione, del sistema concepito dall'Assemblea costituente, che questa Corte ritiene doveroso segnalare ancora una volta.

La lamentata inosservanza del termine costituzionale non ha prodotto tuttavia - come ripetutamente la Corte ha avuto occasione di affermare - il venir meno delle giurisdizioni speciali soggette a revisione (sentenze nn. 41 del 1957, 42 del 1961, 92 del 1962).

Tutto ciò premesso, non può, d'altro canto, escludersi in modo assoluto che la giurisdizione dei Consigli di prefettura sia, per la sua struttura o per differenti ragioni, incompatibile con la Costituzione. La "revisione" contemplata dalla VI disposizione transitoria fu voluta allo scopo di consentire al Parlamento di stabilire, attraverso un approfondito esame, se le singole giurisdizioni speciali siano meritevoli di essere conservate o debbano essere trasformate o soppresse, e di elaborare le indispensabili norme di adeguamento (senza le quali si produrrebbero inevitabilmente, nel sistema giurisdizionale, rallentamenti, disguidi ed altri inconvenienti). Ma - contrariamente all'assunto dell'Avvocatura dello Stato, e in conformità di quanto questa Corte ha pure avuto occasione di affermare più volte (sentenze nn. 92 del 1962, 132 e 133 del 1963, 103 del 1964) -, la previsione di essa non importa affatto che, prima della "revisione", le giurisdizioni speciali possano continuare a vivere così come sono, anche quando la loro struttura o il loro modo di operare contrasti coi precetti dettati dalla Costituzione per la giurisdizione in generale (quali quelli destinati ad assicurare il diritto di difesa, l'indipendenza dei giudici, il ricorso per violazione di legge: artt. 24, 108, 111 della Costituzione) e perciò validi per qualsiasi organo di giurisdizione.

Precisati questi concetti in via di principio, risulta chiaro che, non diversamente dalle altre giurisdizioni destinate a essere "revisionate", anche i Consigli di prefettura in sede giurisdizionale, in tanto possono continuare a operare legittimamente fino al momento della "revisione" prescritta dalla VI disposizione transitoria della Costituzione, in quanto la loro composizione e il loro funzionamento non contrasti con precetti costituzionali del tipo ora richiamato.

Questa Corte non può quindi esimersi dal prendere in esame le denuncie, formulate nell'ordinanza di rimessione, relative alla violazione, da parte di disposizioni sulla giurisdizione dei Consigli di prefettura, di precetti costituzionali generali in materia di giurisdizione.

Essa non può farlo però - ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 -, se non "nei limiti dell'impugnativa".

Orbene, la sola impugnativa proposta sotto il profilo in esame - enunciata anzi in modo quasi incidentale e a rinforzo dell'impugnativa fondamentale richiamantesi all'art. 103 della Costituzione - riguarda un unico e circoscritto problema. Afferma l'ordinanza che il disposto dell'impugnato art. 260 del T.U. comunale e provinciale, pel fatto che "vuole le relative procedure iniziate d'ufficio o sopra richiesta dell'autorità di vigilanza (e cioè lo stesso Prefetto)", ferirebbe il principio di imparzialità della giurisdizione. Entro tali limiti va dunque tenuto l'esame della Corte: il quale - diversamente da quanto pretenderebbe la difesa delle parti private - non può quindi portarsi né sul rispetto, da parte delle disposizioni sulla composizione di quei Consigli in sede giurisdizionale (non impugnate), del precetto costituzionale della indipendenza dei giudici (art. 108 della Costituzione), né sul rispetto, da parte delle regole del giudizio davanti ai Consigli di prefettura (anch'esse non impugnate), della garanzia costituzionale del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione), e dello stesso principio costituzionale della imparzialità del giudice.

Nei riferiti limiti, dai quali la Corte é tenuta a non discostarsi, la questione proposta non appare fondata.

É vero che i giudizi contemplati dall'art. 260 del T.U. comunale e provinciale possono essere iniziati dal Consiglio di prefettura d'ufficio, o su richiesta dell'autorità di vigilanza, che é lo stesso Prefetto, presidente di quel Consiglio: onde in essi non vale la regola ne procedat judex ex officio. Ma la esclusione di tale regola - esclusione riscontrabile, nel nostro ordinamento, in vari altri casi (tra i quali, oltre ai giudizi pretorili in materia penale e ai giudizi fallimentari, rientrano proprio i giudizi sui conti davanti alla Corte dei conti: art. 45 del T.U. 12 luglio 1934, n. 1214) - non importa lesione del principio della imparzialità del giudice (il cui primo fondamento risiede nell'art. 3 della Costituzione). Quest'ultimo infatti esige soltanto che ogni giudice operi in condizione di assoluta estraneità e indifferenza - e perciò di neutralità - rispetto agli interessi in causa. E nulla esclude che anche un giudizio promosso ex officio possa svolgersi in condizioni di assoluta imparzialità.

La norma denunziata non può esser considerata quindi, per sé sola, lesiva del principio di imparzialità della giurisdizione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, proposta con l'ordinanza indicata in epigrafe, dell'art. 260 del T.U. della legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934, n. 383, in riferimento all'art. 103 della Costituzione e al principio di imparzialità della funzione giurisdizionale.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 31 marzo 1965.