SENTENZA N. 171
ANNO 1971
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione del Trentino-Alto Adige, notificato l'8 luglio 1970, depositato in cancelleria il 14 successivo ed iscritto al n. 8 del registro ricorsi 1970, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del d.P.R. 23 marzo 1970, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 maggio 1970, n. 115, avente ad oggetto il riconoscimento della denominazione di origine controllata del vino "Caldaro" o "Lago di Caldaro" e l'approvazione del relativo disciplinare di produzione.
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 1971 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;
uditi gli avvocati Giuseppe Guarino e Massimo Severo Giannini, per la Regione, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato l'8 luglio 1970, il Presidente della Regione del Trentino-Alto Adige ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al d.P.R. 23 marzo 1970, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 maggio 1970, n. 115, avente ad oggetto il riconoscimento della denominazione controllata del vino "Caldaro" o "Lago di Caldaro", e l'approvazione del relativo disciplinare di produzione.
Il ricorrente, dopo aver osservato che il citato provvedimento di riconoscimento é stato emanato sulla base della legislazione statale (legge 3 febbraio 1963, n. 116, e d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930) che stabilisce le norme per la tutela delle denominazioni di origine dei mosti e dei vini, ritiene che l'iter seguito per il riconoscimento del prodotto in questione sia lesivo della competenza stabilita dagli articoli 4, 5 e 13 dello Statuto speciale, con riferimento agli artt. 17 e seguenti, 23 e seguenti, e 86 del d.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, che contiene le norme di attuazione del predetto Statuto. Per la violazione di tali norme, il Presidente della Regione impugna il parere del Comitato nazionale e il decreto presidenziale di riconoscimento, sostenendo che la Regione, che ha competenza esclusiva in materia di agricoltura e competenza concorrente in materia di incremento della produzione industriale e delle attività commerciali, in virtù del trasferimento agli organi regionali delle attribuzioni già spettanti su tali materie agli organi statali, possiede una organizzazione amministrativa autosufficiente anche in ordine alla applicazione delle norme statali nelle materie di sua competenza, e che spetta perciò ad essa e non allo Stato di provvedere in materia.
Nella specie, dopo la istituzione, con legge regionale 2 settembre 1965, n. 7, del Comitato regionale dell'agricoltura secondo il ricorrente, non sarebbero stati più necessari il parere del Consiglio nazionale dell'agricoltura né, per il riconoscimento, il decreto del Presidente della Repubblica; infatti, con il trasferimento alla Regione delle competenze amministrative dello Stato, non sarebbe più consentito alcun intervento degli organi amministrativi centrali, perché la Regione disporrebbe della organizzazione amministrativa necessaria a definire l'intero procedimento previsto dalla legislazione in esame.
2. - Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, che, con deduzioni del 27 luglio 1970, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile o comunque infondato.
In via preliminare, l'Avvocatura osserva che l'impugnazione del parere del Comitato nazionale va dichiarata inammissibile, sia perché proposta fuori termine, contro un atto pubblicato (sulla Gazzetta Ufficiale) ben oltre i 60 giorni anteriori alla data di notificazione del ricorso, sia perché, qualora il parere venisse considerato come atto privo di autonomia, esso sarebbe rivolto verso un atto avente carattere preparatorio o subprocedimentale.
Anche nei confronti del decreto presidenziale di riconoscimento, secondo la difesa del Presidente del Consiglio, le censure del ricorrente appaiono inammissibili per varie ragioni: innanzi tutto per la preclusione derivante da atti legislativi precedenti, in particolare dalla legge 11 maggio 1966, n. 302, la quale avrebbe ribadito che i pareri prescritti nell'iter del procedimento di riconoscimento della denominazione di origine controllata dei vini sarebbero due, quello regionale e quello statale: ne deriverebbe che la mancata impugnazione di tale legge da parte della Regione precluderebbe il conflitto di attribuzione nei confronti di un atto strumentale esecutivo di quella legge non impugnata.
Un secondo motivo di inammissibilità sussisterebbe per la preclusione derivante dalla acquiescenza della Regione sul piano operativo ed applicativo della legislazione statale nello stesso procedimento di cui si impugna l'atto finale: invero, con la nota 16 agosto 1966, n. 4411/V-10, l'Assessorato per l'agricoltura e il commercio della Regione, nel trasmettere al Ministero dell'agricoltura le domande per il riconoscimento della denominazione del vino in esame, corredato del parere del Comitato regionale, avrebbe riconosciuto inequivocabilmente che la competenza a disporre del riconoscimento spettava allo Stato.
In via subordinata, l'Avvocatura sostiene che il ricorso é comunque infondato nel merito. L'esame della ratio della legislazione statale sul riconoscimento delle denominazioni di origine dei vini, dimostrerebbe che le norme relative devono avere uniforme applicazione in tutto il territorio nazionale e che pertanto non possono rientrare nelle attribuzioni legislative regionali. D'altra parte, le norme statutarie e di attuazione invocate nel ricorso per allegare la violazione della competenza amministrativa della Regione non consentono una interpretazione così lata da comprendere tutta la complessa disciplina del riconoscimento dei vini a denominazione di origine.
3. - Entrambe le parti hanno depositato tempestivamente memorie con cui illustrano ulteriormente le argomentazioni delle rispettive deduzioni.
Considerato in diritto
1. - La Regione Trentino-Alto Adige, con ricorso 8 luglio 1970, ha sollevato conflitto di attribuzione contro due atti del procedimento col quale lo Stato, in base alla legge delegata 12 luglio 1963, n. 930, ha effettuato il riconoscimento della denominazione di origine del vino "Caldaro" o "Lago di Caldaro" e ne ha approvato il relativo disciplinare di produzione.
Gli atti come sopra impugnati sono costituiti dal parere del Comitato nazionale per la tutela della denominazione di origine dei vini, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 settembre 1968, n. 240, e dell'atto terminale del procedimento, costituito dal decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1970, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 9 maggio 1970, n. 115.
La Regione sostiene che il compimento di questi atti era di competenza dei propri organi (Comitato regionale e Presidente della Regione) e non già di quelli dello Stato, che vi hanno invece provveduto, in quanto il riconoscimento della denominazione dei vini rientra nella materia dell'agricoltura, sulla quale essa ha competenza legislativa esclusiva, ai sensi dell'art. 4, n. 9, dello Statuto speciale, e altresì in quella dell'incremento della produzione industriale e delle attività commerciali, su cui ha competenza concorrente, ai sensi dell'articolo 5 n. 3 dello stesso Statuto. Ed aggiunge altresì la Regione che, anche se essa non ha emanato norme in materia, e deve perciò applicare quelle dello Stato (art. 92 Statuto speciale), non per questo può esserle negata la competenza amministrativa a provvedere al riguardo.
2. - L'Avvocatura dello Stato, quanto al parere del Comitato nazionale, eccepisce la inammissibilità del ricorso per tardività, e l'eccezione é da ritenersi fondata.
Invero, la natura preparatoria di determinati atti, nulla toglie alla loro idoneità ad affermare, anche per implicito, la competenza dell'organo che li adotta, ed a negare quella di altri. Il che é, in astratto, sufficiente a determinare la lesione della sfera delle potestà costituzionalmente attribuite, per la cui reintegrazione l'art. 39 della legge n. 87 del 1953 fornisce, mediante il regolamento di competenza, l'idoneo mezzo giurisdizionale.
E poiché la lesione si produce nello stesso istante in cui l'atto che si afferma lesivo viene assunto, mentre la possibilità dell'azione riparatrice inizia dalla conoscenza che di quell'atto ha la parte che si considera lesa, non vi é ragione per ritenere che la natura preparatoria dell'atto possa sospendere o spostare l'inizio della decorrenza dei termini del ricorso ad altro momento e ad altra sede, come quella dell'impugnazione dell'atto terminale e conclusivo del procedimento.
L'eccezione di inammissibilità, quanto al ricorso contro il parere del Comitato nazionale, prodotto ben oltre i sessanta giorni dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, va pertanto accolta.
3. - A diversa conclusione deve invece pervenirsi quanto alla inammissibilità del ricorso contro il decreto presidenziale di riconoscimento della denominazione di origine del vino di che trattasi, inammissibilità che, secondo l'Avvocatura, deriverebbe dall'acquiescenza della Regione che, trasmettendo al Ministero dell'agricoltura (con lettera dell'Assessore 16 agosto 1966, n. 4411) le domande degli interessati e il parere del Comitato regionale dell'agricoltura su di esse, avrebbe accettato e riconosciuto legittima la competenza dello Stato a provvedere in materia.
La Corte ha più volte ritenuto (sentenze nn. 44 del 1957, 77 del 1958, 3 del 1964) che nei giudizi innanzi ad essa proposti in via principale, non può darsi assoluta rilevanza alle ragioni di inammissibilità ed in particolare all'acquiescenza, così come elaborate dalla giurisprudenza amministrativa. Ciò perché l'oggetto del giudizio per conflitti di attribuzione é rappresentato dalla individuazione dell'organo autorizzato a provvedere, più che dalla legittimità dell'atto per ragioni attinenti alla competenza dell'organo che lo ha emanato.
L'eccezione di inammissibilità va perciò, su questo punto, rigettata.
4. - Fondata deve invece ritenersi l'altra eccezione sollevata dall'Avvocatura, per l'esistenza di precedenti atti legislativi, non impugnati dalla Regione, e che hanno consolidato le sfere di competenza delle due parti in conflitto. Qui non si tratta, invero, secondo pur si afferma, di una eccezione di inammissibilità per acquiescenza, ma di una eccezione di merito, che ha per oggetto il contenuto delle norme sulla attribuzione e la distribuzione delle competenze tra lo Stato e le Regioni nella materia di che trattasi.
Con la legge delegata 12 luglio 1963, n. 930, lo Stato ha emanato le disposizioni per il riconoscimento delle denominazioni di origine dei mosti e dei vini e tali disposizioni sono certamente applicabili nel territorio della Regione Trentino - Alto Adige, perché la legge che le contiene ha inteso regolare la materia in tutto il territorio dello Stato, Regioni differenziate comprese.
La portata generale della relativa normativa, che di già appare dal testo della citata legge delegata, trova conferma nella successiva legge di modifica dell'11 maggio 1966, n. 302, la quale, nell'art. 1, dispone che "nelle Regioni a statuto autonomo, il parere (del Comitato regionale statale dell'agricoltura) dovrà essere espresso dagli organi competenti della Regione interessata". Dal che si ricava che, se per le Regioni a statuto autonomo la legge n. 302 del 1966 ha espressamente prevista questa sola modifica ed integrazione della precedente legge n. 930 del 1963, tutte le altre norme di tale legge debbono intendersi applicabili integralmente alle anzidette regioni.
5. - La difesa della Regione Trentino - Alto Adige, oltre a contrastare tale conclusione, ha poi dedotto che, se la legge 930 sia da applicarsi anche nel suo territorio, essa deve ritenersi costituzionalmente illegittima, ed ha perciò, in via subordinata, formalmente sollevato la questione di legittimità costituzionale della legge di delega n. 116 del 1963, di quella delegata n. 930 dello stesso anno e della legge n. 302 del 1966, di modifica e integrazione di quest'ultima, "nella parte in cui esse consentono od impongono, nel procedimento diretto al riconoscimento della denominazione di origine controllata dei vini, l'intervento di organi statali (parere del Comitato nazionale e decreto terminale del Presidente della Repubblica), in violazione della sfera di competenza costituzionalmente riconosciuta alla Regione".
La Corte, nel prendere in esame la proposta questione, osserva che, nel caso, mentre deve ritenersi ricorra il requisito della rilevanza di essa ai fini della risoluzione del giudizio principale di conflitto di attribuzione, altrettanto non può dirsi quanto a quello della non manifesta infondatezza.
Così come la Corte ebbe a ritenere per i marchi, con la sentenza n. 8 del 1970, la tutela della denominazione di origine dei mosti e dei vini, sia che si tratti di denominazione semplice e, ancor più, se si tratti di denominazione di origine controllata o controllata e garantita (art. 2 legge n. 930), non può essere invero disposta che in modo unitario, sul piano nazionale, anche per i riflessi che essa ha nel commercio internazionale e in quello comunitario, e deve perciò trovare regolamentazione esclusiva ad opera delle autorità statali.
Può aggiungersi, a riprova della necessità di tale intervento dello Stato che, spesso, le zone di produzione di un determinato vino ricadono nel territorio di più Regioni, e che per la complessità degli interessi che sono connessi alla produzione e al commercio dei vini pregiati, anche per quanto riguarda la tutela dei consumatori, non é esatto che la materia si esaurisca in quella propria dell'agricoltura sulla quale la Regione ha competenza.
Pertanto la questione di legittimità costituzionale, come sopra proposta, va dichiarata manifestamente infondata.
6. - Per concludere, poiché la legge n. 930 non é contraria a principi o norme costituzionali e poiché gli atti impugnati ne sono legittima esecuzione, essi risultano compiuti dallo Stato nell'esercizio della propria competenza.
Il ricorso pertanto deve essere respinto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla Regione Trentino - Alto Adige con l'atto 8 luglio 1970, per quanto concerne l'impugnativa del parere del Comitato nazionale per la tutela della denominazione di origine dei vini, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 settembre 1968, n.240, parere avente per oggetto il riconoscimento della denominazione del vino Lago di Caldaro o Caldaro;
2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della legge 3 febbraio 1963, n. 116, del decreto del Presidente della Repubblica 12 luglio 1963, n. 930, e della legge 11 maggio 1966, n. 302, questione sollevata in via subordinata dalla Regione ricorrente;
3) dichiara che spetta allo Stato di provvedere al riconoscimento della denominazione di origine dei mosti e dei vini disciplinata con il decreto del Presidente della Repubblica 12 luglio 1963, n. 930; respinge, pertanto, il ricorso come sopra proposto dalla Regione Trentino - Alto Adige avverso il d.P.R. 23 marzo 1970, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 maggio 1970, n. 115.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 1971.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 14 luglio 1971.