SENTENZA N. 110
ANNO 1970
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZI'
Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI
Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Regione autonoma della Sardegna, notificato il 1 dicembre 1969, depositato in cancelleria il 12 successivo ed iscritto al n. 15 del registro ricorsi 1969, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto emesso il 18 settembre 1969 dalla Corte dei conti - sezione prima giurisdizionale - sull'obbligo di rendiconto dell'economo - consegnatario del Consiglio regionale della Sardegna.
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1970 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;
uditi l'avv. Arturo Carlo Jemolo, per la Regione sarda, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 1 dicembre 1969 ed allo stesso organo presso l'Avvocatura dello Stato il 29 novembre 1969, nonché al Presidente della Corte dei conti sempre il 29 novembre 1969 e depositato il 12 dicembre successivo, il Presidente della Giunta regionale della Sardegna - e per quanto possa occorrere il Presidente del Consiglio regionale della stessa Regione - hanno promosso conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri relativamente all'obbligo della resa di conto alla Corte dei conti da parte dell'economo - consegnatario del Consiglio regionale.
Il conflitto trae origine da un decreto in data 18 settembre 1969, con il quale la prima sezione giurisdizionale della Corte dei conti ha ritenuto soggetto all'obbligo della resa di conto l'economo - consegnatario del Consiglio regionale e viene sollevato in riferimento agli artt. 15, 27, 31, 34 e 37 cpv. dello statuto speciale, sulla base anche di argomenti tratti dalla sentenza n. 143 del 1968 di questa Corte: si sostiene, infatti, che il Consiglio regionale é organo legislativo e non amministrativo e che il controllo della Corte dei conti é da intendere limitato a quanto resta nell'ambito dell'amministrazione. Ulteriori argomenti a sostegno di questa tesi sono, poi, tratti dal D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, che all'art. 22 parla di controllo di legittimità "sugli atti amministrativi della Regione", all'art. 23 di controllo sugli "atti della Giunta e dell'Amministrazione regionale" ed all'art. 40, in riferimento all'inventario dei beni, ancora di Amministrazione regionale".
La richiesta del ricorrente é pertanto intesa ad ottenere l'annullamento del decreto innanzi menzionato in quanto lesivo della sfera di attribuzioni della Regione e la dichiarazione che l'economo - consegnatario del Consiglio regionale non ha obbligo di presentare annualmente alla Corte dei conti un conto di gestione.
2. - Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura di Stato, con deduzioni depositate il 19 dicembre 1969, nelle quali, eccepita preliminarmente la inammissibilità per difetto di legittimazione attiva del Presidente del Consiglio regionale a proporre il ricorso, si considerano irrilevanti nella specie gli argomenti ex adverso desunti dalla sentenza n. 143 del 1968. La Corte dei conti non avrebbe, infatti, nel caso in esame esercitato alcuna funzione, neppure mediata, di controllo ex art. 100 della Costituzione sulla attività della Regione e in particolare della sua assemblea legislativa, ma avrebbe agito in sede giurisdizionale ex art. 103 della Costituzione nel corso di un procedimento a carico della persona fisica dell'economo - consegnatario, realizzando anzi così una forma indiretta di tutela della libertà di autodeterminazione del Consiglio regionale, in quanto il giudizio di rendiconto viene effettuato sull'operato dell'amministratore in riferimento agli stanziamenti di somme insindacabilmente stabiliti proprio dall'organo regionale. Ne conseguirebbe la inammissibilità del ricorso sia per mancanza di una invasione di competenza, sia per carenza di interesse della Regione.
Sotto altro profilo l'Avvocatura dello Stato sostiene la infondatezza del ricorso, prospettando la impossibilità, anche in riferimento al principio di eguaglianza, di una sfera di autonomia regionale sottratta al disposto di cui all'art. 103 della Costituzione ed alle garanzie di una giurisdizione contabile: si invocano in tal senso alcune affermazioni tratte da pronunce di questa Corte, quali la n. 66 del 1964 sulla necessità di assicurare un giudice anche ai dipendenti dell'Assemblea regionale siciliana, la n. 17 del 1965 circa l'esigenza di una giurisdizione generale ed assoluta in materia di contabilità pubblica, la n. 29 del 1966 sull'ambito di competenza della giurisdizione della Corte dei conti che comprenderebbe in genere amministratori, funzionari ed agenti della Regione, senza distinzione cioè dell'ufficio regionale di appartenenza.
Le conclusioni dell'Avvocatura di Stato sono di conseguenza per l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso.
3. - All'udienza le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni.
Considerato in diritto
1. - Come riferito in narrativa, il ricorso in oggetto si rivolge contro l'intimazione fatta dalla Corte dei conti allo economo - consegnatario dei beni del Consiglio della Regione sarda di rendere il conto giudiziale della sua gestione. E perciò, assumendosi il particolare interesse dell'assemblea, il ricorso é stato proposto, oltre che dal Presidente della Regione, anche dal Presidente del Consiglio regionale, in rappresentanza di quest'ultimo, la cui autonomia sarebbe lesa dal provvedimento della Corte dei conti.
Al riguardo deve riaffermarsi che, a norma dell'art. 134 della Costituzione e dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, parti nei conflitti di attribuzione tra Stato e Regione sono esclusivamente lo Stato e la Regione di volta in volta interessata, ciascuno come soggetto unitario, rappresentati rispettivamente dal Presidente del Consiglio dei ministri (o da un ministro da lui delegato) e dal Presidente della Giunta regionale, debitamente autorizzato dalla Giunta medesima. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile nella parte in cui é stato proposto anche dal Consiglio regionale in proprio, e per esso dal suo Presidente.
2. - Sono, invece, da disattendere le altre eccezioni pregiudiziali sollevate dalla difesa dello Stato, sotto il duplice profilo: a) che il provvedimento impugnato dalla Regione ha carattere giurisdizionale e "non potrebbe in alcun caso essere sostituito da un provvedimento analogo di un qualsiasi organo regionale", la Regione difettando di competenza in materia giurisdizionale; b) che, comunque, il giudizio di conto, avendo ad oggetto la gestione degli agenti contabili del Consiglio regionale, finisce per riassumere in sé la tutela di un interesse che é anche dello stesso Consiglio a garanzia dei diritti patrimoniali ad esso spettanti contro possibili prevaricazioni da parte dell'agente.
In ordine al primo punto, é da osservare che nulla vieta che un conflitto di attribuzione tragga origine da un atto giurisdizionale, se ed in quanto si deduca derivarne una invasione della competenza costituzionalmente garantita alla Regione (v. per un caso analogo la sent. n. 66 del 1964): la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per sé, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto. E nella specie, assumendo che l'economo - consegnatario del Consiglio regionale non é tenuto all'obbligo della resa del conto giudiziale, la Regione afferma, appunto, che il provvedimento emesso dalla Corte dei conti sarebbe illegittimo, perché lo Stato non avrebbe il potere di sottoporre a giudizio di conto la gestione dell'agente, ostandovi l'autonomia del Consiglio regionale. Non può perciò invocarsi in contrario la recente decisione n. 18 del 1970 di questa Corte, che aveva riferimento al caso, ben diverso, di asserito illegittimo esercizio di una competenza certamente spettante alla Regione, senza alcuna incidenza su competenze costituzionali dello Stato.
In ordine al secondo punto, é agevole rilevare che altro é l'interesse che - in linea di fatto - può considerarsi proprio anche della Regione, ed in particolare della sua assemblea, alla corretta e fedele gestione dei valori di sua pertinenza, altro l'interesse giuridico della Regione alla esenzione degli agenti contabili dipendenti dal Consiglio dall'obbligo della resa del conto giudiziale, che rappresenta un particolare aspetto di quello più generale, al rispetto della autonomia ad essa costituzionalmente riconosciuta, e si risolve nella pretesa di escludere il potere dello Stato di sottoporre gli agenti medesimi al giudizio di conto.
Il ricorso deve dunque ritenersi - in limine - ammissibile, pur essendo infondato nel merito, per le considerazioni che seguono.
3. - Nessun argomento in favore della tesi sostenuta dalla Regione ricorrente può trarsi - nel silenzio dello statuto - dalle norme di attuazione contenute nel D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, le quali, nel capo VI, si limitano a disciplinare il solo controllo di legittimità sugli atti dell'amministrazione regionale, demandandolo (analogamente a quanto stabilito per le altre Regioni ad autonomia speciale, eccezion fatta per la Regione della Valle d'Aosta) a una delegazione della Corte dei conti, con sede nel capoluogo della Regione.
Apposite disposizioni sono state, invece, necessarie nel caso della Regione siciliana, dovendosi qui provvedere, a norma dell'art. 23 dello statuto, a decentrare anche l'esercizio delle funzioni giurisdizionali della Corte dei conti (art. 3 del D.L. 6 maggio 1948, n. 665), a cominciare da quelle in materia di contabilità pubblica: tra le quali, per tradizione legislativa ormai più che secolare, rientra al primo posto, rappresentandone l'espressione più tipica, il giudizio sui conti degli agenti che abbiano maneggio di pubblici valori di proprietà dell'ente pubblico.
La diversa figura che assume la Corte dei conti, quale organo di controllo della legalità dell'amministrazione e quale organo di giurisdizione contabile, non soltanto risulta chiaramente dal testo unico R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, che ne disciplina le "attribuzioni di controllo" nel capo II del suo titolo II e le "attribuzioni giurisdizionali" (prima tra queste, nell'art. 44, il giudizio di conto) nel successivo capo V, ma é attualmente ribadita nel modo più netto dallo stesso testo della Costituzione: dove, infatti, le funzioni di controllo della Corte dei conti sono previste dal secondo comma dell'art. 100, posto a chiusura del titolo III della seconda parte, dedicato al Governo e alla Pubblica Amministrazione, mentre le funzioni giurisdizionali "nelle materie di contabilità pubblica", oltre che "nelle altre specificate dalla legge", sono contemplate nel secondo comma dell'art. 103, ricompreso a sua volta entro la normativa avente ad oggetto l'"Ordinamento giurisdizionale".
La natura giurisdizionale dei giudizi di conto, che la Regione ricorrente pone in dubbio muovendo da un concetto ingiustificatamente restrittivo di giurisdizione, é stata, d'altronde, già riconosciuta da questa Corte con particolare riferimento ai consigli di prefettura e alla Giunta giurisdizionale della Valle d'Aosta (sent. n. 17 del 1965
, n. 55 del 1966 e n. 33 del 1968) e non può che essere confermata, a maggior ragione ancora, con specifico riguardo ai giudizi di competenza della Corte dei conti, in presenza dei dati univocamente offerti dalla legislazione positiva, costituzionale e ordinaria, ed in conformità con la giurisprudenza da decenni assolutamente dominante.
Ai giudizi di conto si applica, dunque, senza dubbio, il principio tendenzialmente generale del secondo comma dell'art. 103 della Costituzione, che non contiene - per questa parte - alcuna riserva di legge e adopera una locuzione ("materie di contabilità pubblica") anche letteralmente più ampia di quella dell'art. 44, primo comma, del T.U. del 1934. Ora, pur senza escludere che l'attuazione concreta del detto principio possa richiedere, in particolari settori, originaria mente sottratti alla giurisdizione della Corte dei conti e che presentino aspetti peculiari e differenziati, l'intervento di apposite disposizioni legislative, é da ritenere che, laddove ricorra identità oggettiva di materia, e beninteso entro i limiti segnati da altre norme e principi costituzionali, il principio dell'art. 103 conferisca capacità espansiva alla disciplina dettata dal T.U. del 1934 per gli agenti contabili dello Stato, consentendone l'estensione a situazioni non espressamente regolate in modo specifico. É proprio argomentando alla stregua dell'art. 103, che la Corte di cassazione e la Corte dei conti hanno potuto affermare la spettanza alla giurisdizione di quest'ultima, in primo grado, dei giudizi contabili per l'innanzi di competenza dei consigli di prefettura, dopo che, con la sent. n. 55 del 1966, questa Corte ebbe a dichiararne la illegittimità costituzionale in quanto investiti di funzioni giurisdizionali. Ed é in questo medesimo ordine di idee che la disciplina dei giudizi di conto, formulata dal T.U. più volte richiamato, deve considerarsi applicabile alle Regioni, a statuto ordinario o speciale che siano.
La soluzione cui così si perviene é, del resto, la sola logicamente coerente con il sistema del nostro diritto positivo, del quale la sottoposizione dello Stato e degli enti territoriali minori alla giurisdizione contabile nei confronti dei loro agenti rappresenta una direttiva costante: tanto più che alle Regioni sono trasferiti servizi e funzioni statali, in ordine ai quali non é pensabile che, per effetto di tale trasferimento, vengano meno le garanzie giurisdizionali anteriormente apprestate per assicurare la corretta gestione del pubblico denaro. Né si spiegherebbe altrimenti perché mai una regola più rigorosa sia posta per la sola Regione siciliana, alla quale pure é riconosciuta una più larga sfera di autonomia rispetto a tutte le altre Regioni.
4. - Le considerazioni che precedono, con speciale riguardo alla diversa collocazione sistematica e alla diversa portata degli artt. 100 e 103 della Costituzione, nella parte in cui si riferiscono, rispettivamente, alle attribuzioni di controllo e alle attribuzioni giurisdizionali della Corte dei conti, valgono anche a dimostrare come i principi affermati da questa Corte per quel che concerne la sottrazione degli atti del Consiglio della Regione del Friuli-Venezia Giulia e dei suoi organi ordinatori di spesa al controllo di legittimità della Corte dei conti (sent. n. 143 del 1968) non implichino affatto che ad analoghe conclusioni debba giungersi quanto alla sottoposizione degli agenti contabili del Consiglio regionale al giudizio di conto, esplicazione quest'ultimo di funzione giurisdizionale.
L'analogia tra le attribuzioni delle assemblee regionali e quelle delle assemblee parlamentari non significa identità e non toglie che le prime si svolgano a livello di autonomia, anche se costituzionalmente garantita, le seconde, invece, a livello di sovranità. E deroghe alla giurisdizione - sempre di stretta interpretazione - sono ammissibili soltanto nei confronti di organi immediatamente partecipi del potere sovrano dello Stato, e perciò situati ai vertici dell'ordinamento, in posizione di assoluta indipendenza e di reciproca parità.
La giurisprudenza di questa Corte ha avuto più volte occasione di fare applicazione di tali criteri, a partire dalla sentenza n. 66 del 1964 (v. soprattutto il punto 4 della motivazione), alla ricordata sentenza n. 143 del 1968, sino alla sentenza n. 6 del 1970, sempre escludendo l'applicabilità agli organi assembleari e di governo delle Regioni delle prerogative riservate agli organi supremi dello Stato.
Nulla si oppone perciò all'assoggettamento al giudizio di conto dell'economo - consegnatario del Consiglio regionale. E non é senza interesse ricordare al riguardo che, in Sicilia, le disposizioni del decreto legislativo del 1948 richiamate all'inizio sono state in tal senso interpretate ed applicate, senza incontrare opposizione alcuna da parte della Regione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Consiglio della Regione sarda in persona del suo Presidente;
b) dichiara che allo Stato (e pertanto, in base all'attuale ordinamento, alla Corte dei conti) spetta il potere di sottoporre a giudizio di conto l'economo - consegnatario del Consiglio regionale della Sardegna.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 1970.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco PAOLO BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI
Depositata in cancelleria il 26 giugno 1970.