Sentenza n. 80 del 1963

 

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SENTENZA N. 80

ANNO  1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso dal Presidente della Regione siciliana con ricorso notificato il 22 novembre 1962, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 28 successivo ed iscritto al n. 12 del Registro ricorsi 1962, per conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato, determinato dal decreto interministeriale n. 5/4812 del 26 luglio 1962 col quale il Ministro delle finanze, di concerto col Ministro dell'interno, ha approvato la deliberazione 11 luglio 1962 della Giunta provinciale amministrativa di Siracusa concernente la determinazione dei criteri di applicazione dell'imposta di famiglia nei Comuni di quella Provincia per l'anno 1963.

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 24 aprile 1963 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

uditi l'avv. Camillo Ausiello Orlando, per il Presidente della Regione siciliana, e il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con decreto interministeriale n. 5/4812 del 26 luglio 1962 il Ministro delle finanze, di concerto col Ministro dell'interno, approvava, udito il parere della Commissione centrale per la finanza locale, la deliberazione 11 luglio 1962 della Giunta provinciale amministrativa di Siracusa riguardante l'applicazione dell'imposta di famiglia nell'anno 1963, a norma dell'art. 118 del T.U. per la finanza locale 14 settembre 1931, n. 1175 (determinazione del minimo imponibile, delle aliquote, del trattamento dei redditi di lavoro subordinato).

Contro questo decreto ha sollevato conflitto d'attribuzione la Regione siciliana con ricorso 16 novembre 1962 notificato il 22 novembre 1962. Nel ricorso si lamenta la violazione degli artt. 15, 16 e 20, primo comma, prima parte, dello Statuto speciale per la Sicilia in relazione all'art. 8 del D.P.R. 19 luglio 1956, n. 977 (norme d'attuazione sugli enti locali), e agli artt. 3, 116, 83, n. 3, 86 del D.L. Pres. Reg. sic. 29 ottobre 1955, n. 6.

Osserva la Regione che, in virtù dell'art. 15 dello Statuto, la potestà legislativa ed esecutiva quanto all'ordinamento e al controllo degli enti locali spetta esclusivamente ad essa; che perciò essa ha provveduto a regolare la materia, in conformità del l'art. 16 dello Statuto, col citato D.L. Pres. Reg. 29 ottobre 1955, n. 6, nel quale l'art. 83, n. 3, e i successivi artt. 84-86 si riferiscono appunto all'applicazione dei tributi comunali; che, infine, secondo le norme d'attuazione dello Statuto, le attribuzioni spettanti, in materia di bilancio e di applicazione di tributi, alla Commissione centrale per la finanza locale e alle Giunte provinciali amministrative vengono esercitate in Sicilia rispettivamente da una Commissione regionale nominata dal Presidente regionale e dalle Commissioni provinciali di controllo (citato art. 8 del D.P.R. 19 luglio 1956, n. 977).

In questa materia dell'applicazione dei tributi rientrerebbe anche il procedimento previsto dall'art. 118 del T.U. sulla finanza locale 14 settembre 1931, n. 1175, per la determinazione dei criteri ed elementi d'applicazione dell'imposta di famiglia. Ne deriverebbe, perciò, che i poteri deliberativi e consultivi spettanti, in virtù di tale norma, alle Giunte provinciali amministrative e alla Commissione centrale per i tributi locali devono essere esercitati dalle suddette Commissioni provinciali di controllo e Commissione regionale: dimodoché, trasferite quelle attribuzioni deliberative e consultive da organi centrali ad organi regionali, anche lo stesso potere di approvazione, in fatto di imposta di famiglia, spetterebbe agli organi della Regione, cioè a quegli assessori per le finanze e per gli enti locali che hanno preso il posto, nella Regione, dei Ministri delle finanze e dell'interno.

Il ricorso si conclude affermando che il decreto interministeriale sarebbe illegittimo per aver invaso la competenza della Regione in subiecta materia.

2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri è intervenuto con atto dell'Avvocatura generale dello Stato, depositato il 10 dicembre 1962.

L'Avvocatura dello Stato osserva innanzi tutto che gli artt. 15, 16 dello Statuto e il D. Pres. Reg. sic. n. 6 del 1955 sono stati male addotti poiché non si riferiscono specificatamente alla materia tributaria in questione; rileva poi che l'art. 8 delle norme d'attuazione ha inteso trasferire alle Commissioni provinciali solo le attribuzioni di controllo, già spettanti alle Giunte provinciali amministrative, con esclusione delle altre, come risulta anche dagli artt. 1 e 7 delle stesse norme d'attuazione: poiché la determinazione dei redditi minimi, riservata alle G. P. A., non è atto di controllo ma di amministrazione attiva, il relativo potere non sarebbe dunque passato alle Commissioni provinciali.

Anzi l'attività delle G. P. A. in questa materia sarebbe propriamente diretta a completare rispetto all'imposta di famiglia le disposizioni stabilite dalle leggi tributarie: un campo nel quale occorre un' uniformità di principi direttivi e di indirizzo generale che solo nell'intervento dello Stato può trovare garanzia. Perciò non potrebbe non respingersi la pretesa della Regione siciliana di sottrarre totalmente agli organi statali la materia relativa ai tributi locali: tanto più che la potestà della Regione siciliana in tale materia non è affatto esclusiva e richiede, perché possa esplicarsi amministrativamente, specifiche norme d'attuazione (sentenza del 1960, n. 14, della Corte costituzionale); le quali (cioè il citato art. 8 del D.P.R. n. 977 del 1956) hanno trasferito alla Regione le sole funzioni di controllo delle G. P. A. e delle Commissioni centrali e non le altre, tanto meno quelle che spettano agli organi attivi dell'amministrazione centrale (ministeri).

D'altronde, se fosse vero che anche tali ultime funzioni sono state trasferite agli organi regionali (assessori), si tratterebbe di esercizio decentrato di potestà amministrativa statale: dimodoché in questo caso saremmo di fronte a un decreto viziato da illegittimità pura e semplice perché emesso da certi organi dello Stato invece che da altri organi (decentrati) dello Stato e non dinanzi a un conflitto d'attribuzione fra Stato e Regione siciliana.

3. - La Regione siciliana ha depositato il 9 aprile 1963 una memoria nella quale riafferma le sue tesi, ribattendo quelle della Presidenza del Consiglio. In particolare osserva, richiamandosi a decisioni dell'Alta Corte per la Regione siciliana (n. 53 del 1952 e n. 90 del 1955), come la potestà della Regione in materia di finanza locale derivi dall'art. 15 dello Statuto, che, quando parla di ordinamento degli enti locali, vi include implicitamente anche quello finanziario: tanto è vero che il D.L. Pres. Reg. sic. n. 6 del 1955 contiene norme riguardanti la materia tributaria (artt. 3, 116, 83 e segg.). Quanto poi all'esigenza dell'uniformità di principi direttivi nell'intero Paese - secondo la Regione - essa sarebbe garantita dal T.U. per la finanza locale; né occorrerebbero speciali norme d'attuazione per far passare agli organi regionali il potere di approvazione già spettante ai Ministri in materia di imposta di famiglia: infatti tale potere spettava ad organi statali poiché si trattava di approvare, con l'ausilio di un altro organo statale (Commissione centrale per la finanza locale), le deliberazioni d'un terzo organo statale (G. P. A.); trasferite alla Regione le attribuzioni di questi due ultimi organi, ne deriverebbe che anche l'esercizio della potestà d'approvazione è passato alla Regione.

La Regione conclude asserendo, contro la tesi della Presidenza del Consiglio, che l'atto impugnato ha invaso la sfera di competenza di organi regionali stabilita con precise norme statutarie e con le relative norme d'attuazione: perciò non si tratta d'una mera illegittimità da far valere dinanzi a un tribunale amministrativo, ma di vero e proprio conflitto d'attribuzioni.

4. - La Presidenza del Consiglio ha depositato una memoria il 10 aprile 1963 nella quale assume fra l'altro: anche a giudicare dall'art. 30 del D.L. Pres. Reg. sic., la Commissione provinciale di controllo non ha le stesse funzioni della G. P. A., ma soltanto l'esercizio dei controlli e nessuna norma ha trasferito ad organi regionali i poteri di approvazione spettanti ai Ministri. Ciò proverebbe che neppure la potestà di determinare le quote esenti dall'imposta di famiglia è passata dalle G.P.A. alle Commissioni provinciali di controllo.

La Presidenza del Consiglio ricorda, infine, come nelle altre Regioni a Statuto speciale le tabelle dell'imposta di famiglia sono quanto meno sottoposte all'approvazione dei Ministri.

5. - Nella discussione orale le parti hanno insistito sulle loro argomentazioni e conclusioni.



Considerato in diritto

 

1. - Con l'atto che si impugna il Ministro delle finanze di concerto col Ministro dell'interno, sentita la Commissione centrale per la finanza locale, ha approvato la deliberazione della Giunta provinciale amministrativa di Siracusa che determinava le aliquote e i redditi esenti dall'imposta di famiglia nei Comuni della Provincia.

La Regione siciliana ha sollevato conflitto di attribuzione assumendo che la deliberazione poteva essere presa solo dalla Commissione provinciale di controllo e l'approvazione poteva essere data solo da organi regionali (assessori per le finanze e per gli enti locali) sentita la Commissione provinciale per la finanza locale: tutti i poteri spettanti, in materia di imposta di famiglia, ad organi statali (Ministri, G. P. A., Commissione centrale per la finanza locale) sarebbero passati, almeno in virtù d'una norma d'attuazione dello Statuto siciliano (art. 8 del D.P.R. 19 luglio 1956, n. 977), ad organi regionali.

Questa tesi è esatta solo in parte poiché, ad avviso della Corte, il ricordato potere d'approvazione spettante ai Ministri delle finanze e dell'interno non è stato attribuito agli assessori regionali.

2. - Com'è noto, lo Statuto siciliano dà la più ampia autonomia amministrativa e finanziaria ai Comuni (ed ai consorzi comunali). Nell'ambito di questa autonomia esso attribuisce alla Regione la potestà legislativa esclusiva e la potestà amministrativa in materia di ordinamento e di controllo degli atti degli enti locali.

L'esercizio della potestà legislativa regionale si è concretato nel D.L. Pres. Reg. sic. n. 6 del 29 ottobre 1955, che sull'esempio della legge comunale e provinciale ha dato fra l'altro ai Comuni siciliani la potestà di imporre tributi locali, come le imposte di consumo, l'imposta di famiglia, ecc. Contemporaneamente la stessa legge regionale (artt. 30 e segg., 78 e segg.) creava e disciplinava le Commissioni provinciali di controllo, organi regionali che dovevano prendere il posto della Giunta provinciale amministrativa ed esercitare il controllo generale sugli atti degli enti locali, compresi gli atti relativi ai tributi (artt. 83 e segg.), già spettante alla Giunta provinciale amministrativa. L'art. 1 delle norme d'attuazione dello Stato (cit. D.P.R. n. 977 del 1956), per parte sua, trasferiva tali poteri di controllo da quest'organo statale decentrato a quelle Commissioni.

Sennonché la materia tributaria non conosce soltanto quel controllo generale sugli atti impositivi dei Comuni che è previsto rispettivamente dagli artt. 98 e segg. della legge com. e prov. e dai corrispondenti, ora ricordati, artt. 83 e segg. del D.L. Pres. Reg. sic. del 1955, n. 6. Esiste anche un particolare controllo che viene esercitato in tutto il territorio nazionale dagli organi centrali (Ministeri) e che in certi casi si traduce in pura e semplice omologazione (es. art. 21 del T.U. sulla finanza locale), in altri è vera e propria approvazione (es. art. 118 del T.U. cit.). Che quel potere generale di controllo non includa anche questo potere di omologazione e di approvazione, sembra certo: infatti, i due tipi di controllo sono diversi non soltanto perché si richiamano a differenti gruppi di norme, ma perché, rispondendo a diverse finalità, sono in generale distinti nello stesso art. 273, primo comma, del citato T.U. della finanza locale (e v. anche art. 97, primo comma, della legge comunale e provinciale).

Perciò non può essere accolto l'assunto della Regione siciliana secondo cui il conferimento alle Regioni del potere generale di controllo abbia portato con sé il potere speciale di omologazione e approvazione già spettante ai Ministri.

3. - Giova poi rilevare come l'imposizione tributaria locale, se riguarda innanzi tutto i Comuni, che ne traggono principale alimento per i propri bilanci, interessa direttamente anche la Regione e lo Stato: la Regione, poiché le finanze comunali sono parte integrante della finanza regionale, dalla quale inoltre ricevono sostegno ed aiuto; lo Stato, poiché è bene che i modi dell'imposizione tributaria locale rispondano a criteri in certo grado uniformi nell'intero Paese e poiché anch'esso concorre al risanamento dei bilanci comunali. E questo il motivo per cui la materia rientra nella competenza ad un tempo dei Comuni, della Regione e dello Stato.

Infatti, il potere di imposizione dei Comuni è espressione della loro stessa autonomia amministrativa e finanziaria, riconosciuta dall'art. 15, secondo comma, dello Statuto siciliano, e riposa sull'art. 3 del D.L. Pres. Reg. sic. n. 6 del 1955, in tutto analogo all'art. 93 della legge com. e prov. e all'art. 10 del T.U. sulla finanza locale; però l'autonomia comunale, benché sia la "più ampia" in virtù della citata norma statutaria (art. 15, secondo comma), non esclude, anzi ammette, oltreché un controllo di legittimità, anche un c. d. controllo di merito esercitato ora da organi che vivono nell'ordinamento regionale (Commissioni provinciali di controllo): controllo di merito che, appunto per rispetto di quella autonomia, dà luogo tutt' al più ad un rinvio per nuovo esame (D.L. Pres. Reg. sic. n. 6 del 1955, art. 82, e norme d'attuazione in D.P.R. n. 977 del 1956, art. 1).

Ma poiché questi stessi organi, come vuole l'art. 15, primo comma, dello Statuto siciliano, sostituiscono nella Regione le G. P. A., che in materia tributaria avevano inoltre speciali poteri consultivi, di controllo e di amministrazione attiva, compreso quello di determinare le aliquote e i redditi esenti dall'imposta di famiglia (artt. 21, 106, 111, 118 ecc. del T.U. sulla finanza locale), anche tali poteri sono stati conferiti alle Commissioni provinciali: dimodoché l'art. 8 delle norme d'attuazione, che li ha appunto attribuiti, attua principi contenuti negli artt. 15, terzo comma, e 36 dello Statuto in quanto dà ad organi dell'ordinamento regionale poteri di amministrazione in materia di interesse regionale. Interesse regionale, che la stessa norma d'attuazione ha riconosciuto nel campo tributario in cui operava la Commissione centrale per la finanza locale (artt. 306, 332 e segg. della legge com. e prov. e art. 118 del T.U. sulla finanza locale); il che ha indotto a conferire la potestà di questa Commissione centrale, compreso il potere consultivo in materia di aliquote e di esenzioni nell'imposta di famiglia, ad un organo della Regione appositamente creato (la Commissione regionale per la finanza locale): la stessa creazione d'un organo speciale della Regione esclude che, come invece assume in subordine la Presidenza del Consiglio, si tratti di esercizio decentrato di competenza statale. Nella orbita di quell'interesse e della relativa potestà la Regione può dare direttive ai Comuni senza perciò compromettere la loro autonomia (art. 116 del D.L. Pres. Reg. sic. n. 6 del 1955); ma occorre che tali direttive non colpiscano la sfera di competenza dello Stato.

Infatti, la materia della finanza locale, come s' è premesso, non è estranea alle dirette esigenze dello Stato, cosicché anche per essa dovrà ripetersi quanto la Corte ha generalmente affermato in relazione alle imposte in senso stretto regionali; e cioè che la potestà legislativa ed amministrativa della Regione si trova necessariamente a concorrere con la potestà legislativa e amministrativa dello Stato, della cui legislazione devono essere osservati e rispettati i principi generali per le singole materie. E, siccome rispetto alle imposte comunali tali principi riposano nel T.U. per la finanza locale e nella legge com. e prov., che conferiscono speciali poteri di omologazione e approvazione ai Ministri, questi poteri non sono stati trasferiti alla Regione: tanto è vero che non ne fanno cenno né le norme d'attuazione né il D.L. Pres. Reg. sic. n. 6 del 1955.

4. - Per concludere, non sembra discutibile che la potestà di approvare le deliberazioni relative alle aliquote e ai redditi esenti dall'imposta di famiglia appartenga tuttora al Ministro delle finanze di concerto col Ministro dell'interno (art. 118 del T.U. della finanza locale). Sotto questo aspetto il decreto impugnato non merita censura. Ma esso è stato emanato su parere della Commissione centrale per la finanza locale e su deliberazione di una G. P. A., mentre si sarebbe dovuta sentire la Commissione regionale per la finanza locale su deliberazione della Commissione provinciale di controllo. Perciò il decreto ministeriale ha invaso la competenza di organi regionali, e deve essere annullato.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara che spetta al Ministro delle finanze di concerto col Ministro dell'interno approvare la deliberazione che determina, ai sensi dell'art. 118 del T.U. sulla finanza locale, le aliquote e i redditi esenti dall'imposta di famiglia;

dichiara inoltre che, ai fini di questa approvazione, spetta alla Commissione provinciale di controllo di emettere la deliberazione con cui si determinano le aliquote e i redditi esenti e che spetta alla Commissione regionale per la finanza locale emettere il parere di cui all'art. 118 del T.U. sulla finanza locale;

annulla, pertanto, il decreto emesso il 26 luglio 1962 dal Ministro delle finanze di concerto col Ministro dell'interno in approvazione della deliberazione della Giunta provinciale amministrativa di Siracusa.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 1963.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - GIUSEPPE CHIARELLI.

 

 

Depositata in cancelleria: 8 giugno 1963.

 

Presidente  AMBROSINI

Relatore  BRANCA