SENTENZA N. 144
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − Legge di stabilità 2012), promossi dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalla Provincia autonoma di Trento, con ricorsi notificati l’11-16 e il 13 gennaio 2012, depositati in cancelleria il 16 e il 18 gennaio 2012 ed iscritti ai nn. 8 e 12 del registro ricorsi 2012.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 15 aprile 2014 il Giudice relatore Paolo Grossi;
uditi gli avvocati Luigi Manzi e Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento, Ulisse Corea per la Regione autonoma Valle d’Aosta e l’avvocato dello Stato Filippo Bucalo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso notificato l’11-16 gennaio 2012 e depositato il successivo 16 gennaio (iscritto nel registro ricorsi del 2012 al n. 8), la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in persona del Presidente pro tempore, ha impugnato diverse norme della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − Legge di stabilità 2012), tra le quali i commi da 1 a 6 dell’art. 14, che (in sintesi) prevedono la costituzione, «su richiesta della regione, d’intesa con gli enti interessati e su proposta del Ministro dell’interno, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri», di un ufficio locale del Governo («presieduto dal prefetto e composto da un rappresentante della regione, da un rappresentante della provincia, da un rappresentante della città metropolitana ove esistente, e da un rappresentante del comune interessato»), cui è demandato, in via esclusiva e all’unanimità, il rilascio di tutti i provvedimenti conclusivi dei procedimenti avviati su richiesta di parte per l’inizio di nuove iniziative produttive.
La Regione ricorrente rileva che la disciplina delle «zone a burocrazia zero», già prevista con riferimento al «Meridione d’Italia» dall’art. 43 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza della Corte costituzionale n. 232 del 2011, in quanto, sebbene destinata ad incidere su materie di competenza legislativa regionale concorrente o residuale, non aveva previsto adeguati meccanismi di raccordo tra lo Stato e le Regioni. E sottolinea che (ove ne venisse ritenuta l’applicabilità anche nei confronti delle autonomie speciali) le norme censurate, pur riservando alla Regione interessata l’iniziativa per la costituzione dell’ufficio locale del Governo, prevedono un’attribuzione generalizzata, ad un organo composto e presieduto da rappresentanti dello Stato, di un insieme di funzioni individuate in modo generico e caratterizzate anche da una notevole eterogeneità quanto alla possibile incidenza sulle specifiche attribuzioni di competenza, con ciò violando, per un verso, la competenza legislativa concorrente e residuale della Valle d’Aosta di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione, letti congiuntamente all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); per altro verso, gli artt. 2, primo comma, lettere a), p), q) e t), e 4, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), che garantiscono alla Valle d’Aosta la competenza legislativa esclusiva e l’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative, rispettivamente in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale», «artigianato»; «industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio»; «fiere e mercati»; e, infine, l’art. 3, primo comma, lettere a) ed e), del medesimo statuto speciale, che riconosce alla Regione ricorrente la potestà di emanare norme legislative di integrazione e attuazione delle leggi statali in materia di «industria e artigianato» e «utilizzazione delle miniere».
Inoltre, con specifico riguardo al comma 5 dell’art. 14 (che – nelle ipotesi in cui i procedimenti incardinati presso lo «Sportello unico per le attività produttive» non siano conclusi nel termine previsto dalla legge – dispone che l’adozione dei sottostanti provvedimenti sia rimessa «all’ufficio locale del Governo»), la Regione autonoma lamenta che a quest’ultimo organo è stato attribuito un vero e proprio potere sostitutivo, con lesione delle sue competenze legislative nelle materie sopra indicate, atteso che la sostituzione governativa avviene al di fuori delle ipotesi previste dalle disposizioni statutarie e di attuazione, ed in particolare dall’art. 4 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta per la estensione alla regione delle disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e della normativa relativa agli enti soppressi con l’art. 1-bis del decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481, convertito nella legge 21 ottobre 1978, n. 641), che subordina espressamente l’esercizio del potere sostitutivo nei confronti della Valle d’Aosta ai casi di «accertata inattività degli organi regionali che comporti inadempimento agli obblighi comunitari», previa assegnazione all’amministrazione regionale di un congruo termine per provvedere. Laddove, poi, l’esercizio del potere in questione è stato riconosciuto all’ufficio locale del Governo prescindendo anche dalla ricorrenza dei presupposti giuridici di cui all’art. 120 Cost., e neppure essendo previsto, sempre in violazione dell’art. 120 Cost., nonché degli artt. 118 Cost. e 8, comma 3, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3), che l’esercizio di siffatto potere sia esercitato nel rispetto dei princípi di sussidiarietà e di leale collaborazione (sul punto, la Regione richiama le sentenze di questa Corte n. 383 del 2005 e n. 165 del 2011).
2.− Con altro ricorso notificato il 13 gennaio 2012 e depositato il successivo 18 gennaio (iscritto nel registro ricorsi del 2012 al n. 12), la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente della Giunta provinciale pro tempore, ha impugnato in via principale diverse disposizioni della medesima legge n. 183 del 2011, tra cui anche l’art. 14, commi da 1 a 6.
Premesso il dubbio che tale censurato articolo – approvato dopo la già richiamata declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 43 del decreto-legge n. 78 del 2010 (al quale fa riferimento per definire il proprio àmbito di applicazione) nella parte in cui è destinato «ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l’àmbito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale» – non si applichi a tali materie, con conseguente carenza di interesse di essa ricorrente alla impugnazione, la Provincia osserva tuttavia che il tenore di detto art. 14 non consente di escluderne l’applicazione anche alle Regioni speciali, sicché l’impugnazione viene proposta in via tuzioristica.
Nel merito, la Provincia autonoma di Trento (con argomentazioni analoghe a quelle della Regione Valle d’Aosta) osserva che, come rilevato anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 232 del 2011, le norme censurate intervengono in svariate materie di competenza provinciale, nelle quali la Provincia dispone anche della potestà amministrativa ai sensi dell’art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), come l’«urbanistica» (art. 8, numero 5), l’«artigianato» (art. 8, numero 9), le «fiere e i mercati» (art. 8, numero 12), le «miniere, cave e torbiere» (art. 8, numero 14), il «turismo e l’industria alberghiera» (art. 8. numero 20), l’«agricoltura» (art. 8, numero 21), il «commercio» (art. 9, numero 3), gli «esercizi pubblici» (art. 9, numero 7), l’«incremento della produzione industriale» (art. 9, numero 8). E rileva che (verificata l’operatività della «clausola di maggior favore» di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001) iniziative produttive potrebbero poi aversi in materie di competenza provinciale ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. quali: «sostegno all’innovazione per i settori produttivi», «ordinamento della comunicazione», «porti e aeroporti civili», «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», «promozione e organizzazione di attività culturali».
Poiché le norme censurate regolano in modo dettagliato i procedimenti amministrativi relativi alle iniziative produttive, affidando la competenza a deciderli ad un ufficio statale (seppur comprendente anche rappresentanti degli enti territoriali), la Provincia lamenta la lesione delle competenze legislative ed amministrative nelle materie sopra elencate ed in quella dell’«organizzazione amministrativa» (ai sensi dell’art. 8, numero 1, dello statuto speciale, ovvero dell’art. 117, quarto comma, Cost., se ritenuto più favorevole), dato che il procedimento amministrativo non è, in realtà, una materia autonoma, ma è connesso, da un lato, alle singole materie, dall’altro, appunto all’organizzazione amministrativa dei vari enti. Per le materie per le quali siano applicabili le norme statutarie, la ricorrente denuncia, altresì, la lesione degli artt. 8, 9 e 16 dello statuto speciale, per «l’esproprio» della competenza a regolare i procedimenti amministrativi e della stessa funzione amministrativa; qualora, invece, fosse ritenuto operante l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 o si ricadesse in una «nuova» materia, la violazione riguarderebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., sempre per l’invasione della competenza provinciale a regolare i procedimenti amministrativi nelle proprie materie e per assenza dei presupposti della «chiamata in sussidiarietà», come evidenziato dalla citata sentenza n. 232 del 2011.
Inoltre, per la ricorrente, le norme censurate si pongono in contrasto anche con le norme di attuazione di cui agli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), che rispettivamente, nelle materie di potestà legislativa provinciale, vietano la diretta operatività della legislazione statale e l’attribuzione agli organi statali di funzioni amministrative diverse da quelli spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di attuazione; con gli artt. 87, 88 e 107 dello statuto speciale, in quanto l’attuazione-integrazione delle norme statutarie disciplinanti le funzioni del Commissario del Governo (che nella Provincia svolge le funzioni del prefetto) rientra nella competenza delle norme di attuazione; ed infine con gli artt. 3 e 97 Cost., perché la norma dichiara di voler ridurre gli oneri amministrativi, ma, in realtà, li aggrava, dato che agli organi normalmente competenti sostituisce un ufficio necessariamente composto dai rappresentanti dei quattro livelli istituzionali (a prescindere dal tipo di procedimento) che devono decidere all’unanimità.
3.− Si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che – deducendo la natura perplessa e meramente eventuale delle proposte censure, superabili mediante una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in esame – conclude preliminarmente per l’inammissibilità delle questioni proposte in entrambi i ricorsi.
Nel merito (con identiche argomentazioni) l’Avvocatura afferma, poi, la non fondatezza delle medesime questioni, rilevando che la richiamata sentenza n. 232 del 2011, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’originario art. 43 del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui era destinata ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l’àmbito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale, ha precisato che una legge statale può legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, a condizione che detti una disciplina logicamente pertinente, limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine e adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative. Per la difesa dello Stato, la norma in esame appare, quindi, coerente con il dettato della citata sentenza, in quanto attribuisce il compito di definire i provvedimenti conclusivi dei procedimenti amministrativi ad un organo, quale è l’ufficio locale del Governo, composto in modo paritetico da rappresentanti di ciascun livello di governo interessato; la qual cosa garantisce il pieno rispetto del principio di leale collaborazione mediante adeguati meccanismi di cooperazione. Inoltre, secondo il Governo, la disposizione impugnata, lungi dall’espropriare le competenze dei singoli enti territoriali a regolare i procedimenti amministrativi, prevede che l’istituzione del detto organismo avvenga su richiesta della singola Regione, limitando così l’applicazione della disciplina delle «zone a burocrazia zero» a quanto strettamente indispensabile a giudizio della Regione medesima.
4.− Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, la Provincia autonoma di Trento – dopo aver replicato nel merito alle difese svolte dall’Avvocatura generale dello Stato – rileva che l’intero art. 43 del decreto-legge n. 78 del 2010 è stato abrogato dall’art. 37-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, e che da ciò deriverebbe la cessazione della materia del contendere, giacché il censurato art. 14 non è stato applicato nel territorio di essa Provincia autonoma prima di tale abrogazione.
Considerato in diritto
1.− Con due distinti ricorsi, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e la Provincia autonoma di Trento hanno impugnato ciascuna diverse norme della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − Legge di stabilità 2012), tra le quali i commi da 1 a 6 dell’art. 14.
Il comma 1 prevede che, «In via sperimentale, fino al 31 dicembre 2013, sull’intero territorio nazionale si applica la disciplina delle zone a burocrazia zero prevista dall’articolo 43 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122». I successivi commi da 2 a 6, dispongono quanto segue: «2. A tale scopo, fino al 31 dicembre 2013, i provvedimenti di cui al primo periodo della lettera a) del comma 2 dell’articolo 43 del citato decreto-legge n. 78 del 2010 sono adottati, ferme restando le altre previsioni ivi contenute, in via esclusiva e all’unanimità, dall’ufficio locale del Governo, istituito in ciascun capoluogo di provincia, su richiesta della regione, d’intesa con gli enti interessati e su proposta del Ministro dell’interno, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La trasmissione dei dati e dei documenti previsti dal secondo periodo della medesima lettera, avviene in favore del medesimo ufficio»; «3. L’ufficio locale del Governo è presieduto dal prefetto e composto da un rappresentante della regione, da un rappresentante della provincia, da un rappresentante della città metropolitana ove esistente, e da un rappresentante del comune interessato. Il dissenso di uno o più dei componenti, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella riunione convocata dal prefetto, deve essere congruamente motivato e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche e delle integrazioni eventualmente necessarie ai fini dell’assenso. Si considera acquisito l’assenso dell’amministrazione il cui rappresentante non partecipa alla riunione medesima, ovvero non esprime definitivamente la volontà dell’amministrazione rappresentata»; «4. Resta esclusa l’applicazione dei commi 1, 2 e 3 ai soli procedimenti amministrativi di natura tributaria, a quelli concernenti la tutela statale dell’ambiente, quella della salute e della sicurezza pubblica, nonché alle nuove iniziative produttive avviate su aree soggette a vincolo»; «5. Fatto salvo quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160, nel caso di mancato rispetto dei termini dei procedimenti, di cui all’articolo 7 del medesimo decreto, da parte degli enti interessati, l’adozione del provvedimento conclusivo è rimessa all’ufficio locale del Governo»; «6. Le previsioni dei commi da 1 a 5 non comportano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e la partecipazione all’ufficio locale del Governo è a titolo gratuito e non comporta rimborsi».
1.1.− Rilevato che la disciplina delle «zone a burocrazia zero», già prevista con riferimento al «Meridione d’Italia» dall’art. 43, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, espressamente richiamato dalla norma censurata, è stata dichiarata incostituzionale da questa Corte con la sentenza n. 232 del 2011 («nella parte in cui è destinata ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l’àmbito delle materie di competenza regionale concorrente e residuale»), le ricorrenti sottolineano che (ove ne venisse ritenuta l’applicabilità anche nei confronti delle autonomie speciali) le norme censurate, violerebbero le competenze legislative concorrenti e residuali previste nei rispettivi statuti.
1.2.− In particolare, la Regione autonoma Valle d’Aosta denuncia la violazione: a) degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione, letti congiuntamente all’art. 10, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), poiché anche le norme impugnate dispongono una attribuzione generalizzata, ad un organo composto e presieduto da rappresentanti dello Stato, di un insieme di funzioni individuate in modo generico e caratterizzate anche da una notevole eterogeneità quanto alla possibile incidenza sulle specifiche attribuzioni di competenza; b) degli artt. 2, comma 1, lettere a), p), q) e t), e 4, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), che le garantiscono la competenza legislativa esclusiva e l’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative, rispettivamente in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale», «artigianato»; «industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio»; «fiere e mercati»; c) dell’art. 3, comma 1, lettere a) ed e), dello statuto speciale, che riconosce alla Regione ricorrente la potestà di emanare norme legislative di integrazione e attuazione delle leggi statali in materia di «industria e artigianato» e «utilizzazione delle miniere»; d) (con specifico riferimento all’art. 14, comma 5, rispetto al quale la Regione lamenta che sia stato attribuito all’ufficio locale del Governo un vero e proprio potere sostitutivo) dell’art. 4 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d’Aosta per la estensione alla regione delle disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e della normativa relativa agli enti soppressi con l’art. 1-bis del decreto-legge 18 agosto 1978, n. 481, convertito nella legge 21 ottobre 1978, n. 641), che subordina espressamente l’esercizio di tale potere ai casi di «accertata inattività degli organi regionali che comporti inadempimento agli obblighi comunitari», previa assegnazione all’amministrazione regionale di un congruo termine per provvedere; nonché con gli artt. 120 e 118 Cost. e 8, comma 3, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), poiché l’esercizio del potere in questione è stato riconosciuto prescindendo anche dalla ricorrenza dei presupposti giuridici e dal rispetto dei princípi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
1.3.− Dal canto suo, la Provincia autonoma di Trento lamenta la violazione: a) degli artt. 8, numeri 5), 9), 12), 14), 20) e 21); 9, numeri 3), 7) e 8); e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), poiché le norme censurate intervengono in svariate materie di competenza provinciale, come l’«urbanistica», l’«artigianato», le «fiere e i mercati», le «miniere, cave e torbiere», il «turismo e l’industria alberghiera», l’«agricoltura», il «commercio», gli «esercizi pubblici», l’«incremento della produzione industriale»; nonché (verificata l’operatività della «clausola di maggior favore» di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001) dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto iniziative produttive potrebbero poi aversi in materie di competenza provinciale, quali: «sostegno all’innovazione per i settori produttivi», «ordinamento della comunicazione», «porti e aeroporti civili», «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», «promozione e organizzazione di attività culturali»; b) degli artt. 8, numeri 5), 9), 12), 14), 20) e 21); 9, numeri 3), 7) e 8); e 16 dello statuto speciale; nonché dell’art. 8, numero 1), dello statuto speciale (ovvero dell’art. 117, quarto comma, Cost., se ritenuto più favorevole), poiché le norme censurate regolano in modo dettagliato i procedimenti amministrativi relativi alle iniziative produttive, affidando la competenza a deciderli ad un ufficio statale; c) degli artt. 8, 9 e 16 dello statuto speciale ovvero (qualora si ritenga operante l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 o si ricada in una «nuova» materia) degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., per l’invasione della competenza provinciale a regolare i procedimenti amministrativi nelle proprie materie e per assenza dei presupposti della chiamata in sussidiarietà; d) degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), che rispettivamente, nelle materie di potestà legislativa provinciale, vietano la diretta operatività della legislazione statale, e l’attribuzione agli organi statali di funzioni amministrative diverse da quelli spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di attuazione; e) degli artt. 87, 88 e 107 dello statuto speciale, in quanto l’attuazione-integrazione delle norme statutarie disciplinanti le funzioni del Commissario del Governo (che nella Provincia svolge le funzioni del prefetto) rientra nella competenza delle norme di attuazione; f) degli artt. 3 e 97 Cost., perché la norma dichiara di voler ridurre gli oneri amministrativi ma, in realtà, li aggrava, dato che agli organi normalmente competenti sostituisce un ufficio necessariamente composto dai rappresentanti dei quattro livelli istituzionali (a prescindere dal tipo di procedimento), che devono decidere all’unanimità.
2.− Riservate a separate pronunce le decisioni sull’impugnazione delle altre norme contenute nella legge n. 183 del 2011, vengono in esame in questa sede le questioni di costituzionalità relative all’art. 14, commi da 1 a 6.
2.1.− Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi proposti dalla Regione Valle d’Aosta e dalla Provincia autonoma di Trento in quanto aventi un oggetto comune (art. 14, commi da 1 a 6) ed implicanti la soluzione di questioni – ancorché riferite a parametri statutari parzialmente diversi – sostanzialmente analoghe.
3.− Sempre preliminarmente, deve rilevarsi che, dopo la proposizione di entrambi i ricorsi, il secondo periodo del comma 4 dell’art. 37-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha disposto che «L’articolo 43 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è abrogato». Poiché le censure svolte dalle ricorrenti riguardano proprio la portata applicativa della disciplina delle «zone a burocrazia zero» dettata dall’art. 43 (che il comma 1 dell’impugnato art. 14 estendeva in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2013, all’intero territorio nazionale), lo ius superveniens viene ad incidere direttamente sul contenuto dispositivo della normativa impugnata, facendone venir meno in toto l’applicabilità.
Da un lato, può pertanto affermarsi come la sopravvenuta abrogazione della norma richiamata (che costituisce parte integrante e presupposto di operatività delle disposizioni impugnate) sia pienamente satisfattiva delle pretese delle ricorrenti (così realizzando la prima delle due condizioni che la giurisprudenza della Corte ha enucleato per pervenire alla declaratoria di cessazione della materia del contendere: sentenze n. 272, n. 246 e n. 228 del 2013). Quanto all’ulteriore requisito, va rilevato come la sola Provincia autonoma di Trento abbia richiesto l’adozione di siffatta pronuncia, affermando (nella memoria illustrativa di udienza) che la norma non ha trovato applicazione medio tempore nel suo territorio. Tale dichiarazione, in quanto proveniente dalla stessa parte, titolare dell’interesse ad impugnare la norma in sede di giudizio in via di azione (ed in quanto riguardante circostanze da questa direttamente acclarabili e non contestate da controparte), risulta sufficiente a determinare la cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni proposte dalla predetta Provincia autonoma.
3.1.− Viceversa l’assenza di alcun riferimento allo ius superveniens ad opera della Regione autonoma Valle d’Aosta, che nulla osserva in ordine alla eventuale satifattività nei suoi confronti della novella e, soprattutto, alla mancata applicazione della normativa censurata nel suo territorio, non consente di addivenire – rispetto alle questioni da essa proposte, con riferimento agli specifici evocati parametri, anche statutari – alla medesima declaratoria di cessazione della materia del contendere, determinandosi pertanto la necessità di condurre nel merito il richiesto scrutinio di costituzionalità.
4.− Con riguardo al quale, sempre in via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità delle sollevate questioni in ragione della asserita natura perplessa e meramente eventuale delle proposte censure. Infatti, per giurisprudenza consolidata, la eventuale finalità interpretativa, o «cautelativa», della questione proposta in via principale non incide sull’ammissibilità della questione medesima. Questa Corte ha ripetutamente affermato che a differenza del giudizio in via incidentale, quello in via principale può ben concernere questioni sollevate sulla base di interpretazioni (anche se poste in subordinazione logica) prospettate dal ricorrente come possibili, soprattutto nei casi in cui (come nella specie) sulla legge non si siano ancora formate prassi interpretative in grado di modellare o restringere il raggio delle sue astratte potenzialità applicative e le interpretazioni addotte dal ricorrente non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate, così da far ritenere le questioni del tutto astratte o pretestuose (sentenze n. 278 del 2010 e n. 249 del 2005). D’altronde, pur nei limiti di ciò che possa essere considerato disponibile dai contendenti (ordinanza n. 342 del 2009), nella fattispecie, la manifestata radicale divergenza delle rispettive premesse interpretative dei contraddittori in ordine al contestato àmbito di applicabilità (in ragione dell’espresso richiamo nelle disposizioni impugnate) della norma già dichiarata costituzionalmente illegittima (dalla sentenza n. 232 del 2011) ai rapporti da esse disciplinati dimostra il carattere effettivamente e plausibilmente controverso della questione, derivante appunto dalla mancanza di una convergenza ermeneutica che sola potrebbe rendere l’impugnazione priva di consistenza, perché assente l’interesse a coltivarla (ordinanza n. 342 del 2009).
5.− Nel merito, le censure mosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta sono fondate.
5.1.− Su ricorso di una Regione a statuto ordinario, con la sentenza n. 232 del 2011, di qualche mese precedente alla emanazione della normativa censurata, l’art. 43 del decreto-legge n. 78 del 2010 (che ha previsto, con normativa del tutto analoga, la possibilità di istituzione e la relativa regolamentazione delle «zone a burocrazia zero» nel «Meridione d’Italia») è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, «nella parte in cui è destinato ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l’àmbito delle materie di competenza regionale concorrente o residuale».
Poiché l’impugnato art. 14 della legge n. 183 del 2011, espressamente estende, fino al 31 dicembre 2013, all’intero territorio nazionale la medesima disciplina prevista dal menzionato art. 43, il rinvio operato dalla disposizione censurata a quanto previsto da quella dichiarata incostituzionale comporta che anche la normativa oggetto del presente scrutinio soffra degli stessi vizi della norma richiamata, che ne determina lo specifico contenuto dispositivo. E, d’altronde, le censure svolte dalla Regione autonoma Valle d’Aosta sono nel loro contenuto analoghe (seppure riferite, tra l’altro, anche a specifiche competenze statutarie) a quelle svolte a suo tempo dalla precedente ricorrente.
5.2.− Così, da un lato (conformemente a quanto affermato nella richiamata pronuncia) deve ribadirsi che la disposizione impugnata – prevedendo una attribuzione generalizzata ed astratta ad un organo statale di un insieme indifferenziato di funzioni, individuate in modo generico e caratterizzate anche da una notevole eterogeneità quanto alla possibile incidenza sulle specifiche attribuzioni di competenza – è destinata ad avere vigore in tutti i procedimenti amministrativi ad istanza di parte o avviati d’ufficio concernenti le «nuove iniziative produttive». E ciò, a prescindere dalla materia nel cui contesto hanno rilievo tali procedimenti, i quali possono essere destinati ad esplicarsi nei più svariati àmbiti materiali, sia di competenza esclusiva statale, sia di competenza primaria, ovvero integrativa ed attuativa, attribuite alla Regione autonoma ricorrente rispettivamente dagli artt. 2 e 3 dello statuto speciale.
Dall’altro lato (sempre in conformità con la sentenza n. 232 del 2011), va richiamato il consolidato orientamento secondo il quale (poiché la valutazione della necessità del conferimento di una funzione amministrativa ad un livello territoriale superiore rispetto a quello comunale deve essere effettuata dall’organo legislativo corrispondente almeno al livello territoriale interessato), tale scelta deve giustificarsi in base ai princípi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (ex plurimis, sentenze n. 278 del 2010, n. 76 del 2009, n. 165 e n. 88 del 2007, n. 214 del 2006, n. 151 del 2005). E deve riaffermarsi che, proprio in ragione della rilevanza dei valori coinvolti, una deroga al riparto operato dall’art. 4 dello statuto speciale (secondo il quale: «La Regione esercita le funzioni amministrative sulle materie nelle quali ha potestà legislativa a norma degli artt. 2 e 3 […]») può essere giustificata solo se la valutazione dell’interesse unitario sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata.
Affinché, dunque, nelle materie di competenza della Regione autonoma ricorrente, una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, è necessario che essa detti una disciplina logicamente pertinente (dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni), che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine e che sia adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali. Infatti, solo la presenza di tali presupposti, alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, consente di giustificare la scelta statale dell’esercizio unitario di funzioni (ex plurimis, sentenza n. 232 del 2011).
5.3 − L’intera normativa censurata – che, come detto, richiama, al comma 1, la disciplina di cui all’art. 43 del decreto-legge n. 78 del 2010 e ne fa proprio il relativo campo di applicazione indifferenziato, con ciò influendo anche sulla portata dispositiva dei successivi commi da 2 a 6 – è viziata dagli stessi profili di incostituzionalità della disposizione richiamata, in ragione della assoluta carenza nel contesto dispositivo di una qualsiasi esplicitazione sia dell’esigenza di assicurare l’esercizio unitario perseguito attraverso tali funzioni, sia della congruità, in termini di proporzionalità e ragionevolezza, di detta avocazione rispetto al fine voluto ed ai mezzi predisposti per raggiungerlo, sia della impossibilità che le funzioni amministrative de quibus possano essere adeguatamente svolte agli ordinari livelli inferiori.
Né, peraltro, può valere l’osservazione della difesa dello Stato, secondo cui la disposizione impugnata prevede che l’operatività della disciplina in esame sia subordinata alla richiesta della Regione (ai sensi del comma 2 dell’art. 14), limitando così l’applicazione della disciplina delle «zone a burocrazia zero» a quanto strettamente indispensabile a giudizio della Regione medesima. Tale assunto non risulta decisivo, giacché l’eventuale richiesta non potrebbe mai costituire acquiescenza, né potrebbe influire sull’assetto delle competenze che è materia indisponibile da parte delle Regioni.
6.– La normativa di cui all’art. 14, commi da 1 a 6, della legge n. 183 del 2011 deve pertanto essere dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in cui è destinata ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l’àmbito delle materie di competenza primaria e integrativa/attuativa della Regione autonoma Valle d’Aosta.
Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalla Provincia autonoma di Trento, rispettivamente con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, commi da 1 a 6, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − Legge di stabilità 2012), nella parte in cui era destinato ad applicarsi anche ai procedimenti amministrativi che si svolgono entro l’àmbito delle materie di competenza primaria e integrativa/attuativa della Regione autonoma Valle d’Aosta;
2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 14, commi da 1 a 6, della legge n. 183 del 2011, promosse – in riferimento agli artt. 8, 9, 16, 87, 88 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); agli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione; nonché all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2014.