SENTENZA N.
39
ANNO 2014
Commenti
alla decisione di
I. Beniamino Caravita ed Ettore Jorio La
Corte costituzionale e l'attività della Corte dei conti (una breve nota sulle
sentenze nn. 39 e 40 del 2014), per g.c. di Federalismi.it
II. Giovanni Di Cosimo,
Sul
contenuto e sul controllo degli atti normativi, per g.c.
del Forum di Quaderni Costituzionali
III. Laura Buffoni e Andrea Cardoni, I
controlli della Corte dei conti e la politica economica della Repubblica: rules vs. discretion,
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
IV. Manuela Salvago, I nuovi controlli della
Corte dei conti sulla gestione finanziaria regionale (art. 1, d.l. n. 174 del
2012) nei più recenti approdi della giurisprudenza costituzionale, per
g.c. di Federalismi.it
V. Flavio Guella, Il
carattere "sanzionatorio” dei controlli finanziari di fronte alle prerogative
dei Consigli regionali e dei gruppi consiliari: ricadute generali delle
questioni sollevate dalle autonomie speciali, in Corte cost.
39/2014, per g.c. dell’Osservatorio AIC
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario
Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale degli artt. 1, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 16,
3, comma 1, lettera e), 6, commi 1, 2
e 3, e 11-bis del decreto-legge
10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni
urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché
ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio del 2012),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
7 dicembre 2012, n. 213, promossi dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia, dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione autonoma Sardegna
con ricorsi notificati il 5 febbraio 2013, depositati in cancelleria l’8, il 12
e il 15 febbraio 2013 e rispettivamente iscritti ai nn.
17, 18
e 20
del registro ricorsi 2013.
Visti gli atti di
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 3 dicembre 2013 il Giudice relatore Sergio Mattarella;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e per la Provincia autonoma di Trento, Tiziana Ledda per la Regione autonoma Sardegna e l’avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio
Ritenuto in
fatto
1.– Con ricorso notificato il 5 febbraio 2013 e
depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 8 febbraio (reg.
ric. n. 17 del 2013), la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha promosso
questioni di legittimità costituzionale relative a diverse disposizioni del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di
finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni
in favore delle zone terremotate nel maggio del 2012), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213.
1.1.– Tra le norme impugnate rientrano gli artt. 1, commi da 1 a 7 e da 9 a 12 e 16, 3, comma 1, lettera e), 6, commi 1, 2 e 3, e 11-bis, censurati dalla Regione ricorrente
per violazione degli artt.
3, 24, 113, 116, 117, 118, 119, 127 e 134 della Costituzione,
degli artt.
4, numeri 1) e 1-bis), 12, 13, 16,
18, 21, da 48 a 57, 41, 63 e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.
1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), degli artt.
33 e 36 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1975, n. 902
(Adeguamento ed integrazione delle norme di attuazione dello statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia) e degli artt.
3, 4, 6 e 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di
ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), nonché per
contrasto con l’art. 27 della legge
5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione) e con l’art.
1, commi 154 e 155, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità
2011).
Premette la Regione
ricorrente che specifiche norme statutarie e di attuazione dello statuto le attribuiscono autonomia
organizzativa (art. 4, numero 1, dello statuto di autonomia) e competenza in
materia di enti locali e di finanza locale (art. 4, numero 1-bis, dello statuto di autonomia e art. 9
del d.lgs. n. 9 del 1997), nonché di controlli sull’amministrazione regionale
(Titolo V dello statuto) e di rapporti tra Stato e Regione (Titolo VII dello
statuto). Ne conseguirebbe che, essendo la materia dei controlli statali sulle
amministrazioni regionali e locali riconducibile ai suddetti titoli
competenziali statutari, la disciplina dei suddetti controlli non può che
rientrare nella competenza delle norme di attuazione dello statuto, con
particolare riferimento all’art. 33 del d.P.R. n. 902 del 1975, come modificato
dal decreto legislativo 15 maggio 2003,
n. 125 (Norme di attuazione dello statuto speciale
della regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al
decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1975, n. 902, in materia di
funzioni di controllo della sezione regionale della Corte dei conti).
Osserva la difesa regionale
che l’impugnato d.l. n. 174 del 2012 detta disposizioni «in materia di finanza
e funzionamento degli enti territoriali», con riguardo al rafforzamento della
partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria
delle Regioni, già disciplinato, in via generale, dall’art. 3, comma 5, della
legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della
Corte dei conti), che limita il controllo della gestione nei confronti delle
amministrazioni regionali alla verifica del «perseguimento degli obiettivi
stabiliti dalle leggi di principio e di programma», e dall’art. 7, comma 7,
della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3), che consente alle Regioni a statuto speciale, nell’esercizio delle loro
competenze, di adottare particolari discipline in materia, nel rispetto delle
finalità di coordinamento della finanza pubblica e degli equilibri di bilancio
e ferma restando la disciplina sui controlli sulla gestione delle sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti.
La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia illustra quindi la disciplina dettata dalle norme
impugnate, soffermandosi sulla relazione semestrale della Corte dei conti sulla
tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali (art. 1,
comma 2), sul controllo delle sezioni regionali della Corte dei conti sui
bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi delle Regioni e degli enti che
compongono il Servizio sanitario nazionale, ampliato anche alle partecipazioni
in società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici
per la collettività regionale e di servizi strumentali alla Regione (art. 1,
commi 3 e 4), sul giudizio di parificazione del rendiconto generale della
Regione (art. 1, comma 5), sulla relazione sulla regolarità della gestione e
sull’efficacia e sull’adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato
sulla base delle linee guida deliberate dalla sezione delle autonomie della
Corte dei conti (art. 1, comma 6), sugli effetti dei controlli introdotti (art.
1, comma 7), sui controlli sui gruppi dei consigli regionali (art. 1, commi 9 e
da 10 a 12), sulla specifica clausola di salvaguardia riferita alle
disposizioni dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012 (art. 1, comma 16), sulla
rinnovata disciplina sui controlli esterni sugli enti locali (art. 3, comma 1,
lettera e), sull’estensione degli
strumenti di controllo della gestione, nonché di analisi e revisione della
spesa pubblica degli enti locali (art. 6), nonché sulla clausola di
salvaguardia "generale” dell’art. 11-bis,
il quale stabilisce che «le regioni a statuto speciale e le province autonome
di Trento e di Bolzano attuano le disposizioni di cui al presente decreto nelle
forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di
attuazione».
1.2.– Osserva la difesa
regionale che dalla legislazione in materia di controlli sugli enti locali –
richiamando esplicitamente l’art. 13 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786 (Disposizioni
in materia di finanza locale), convertito, con modificazioni, dall’articolo
unico della legge 26 febbraio 1982, n. 51, e l’art. 3, comma 4, della legge
n. 20 del 1994 – conseguirebbe che il controllo di
gestione della Corte dei conti sarebbe articolabile in controllo sulla gestione
finanziaria e controllo sulla gestione amministrativa, essendo però le Regioni
soggette soltanto al secondo, ed essendo la materia, per gli enti dotati di
autonomia particolare, riservata agli statuti speciali e alle relative norme di
attuazione.
1.2.1. – Al riguardo, la
ricorrente richiama la sentenza n. 29 del
1995, con la quale la Corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente legittime
le norme che estendono il controllo di gestione della Corte dei conti anche
alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di
Bolzano, qualificando la Corte dei conti come «organo posto al servizio dello
Stato-comunità», dovendosi interpretare il controllo di gestione come «compito
essenzialmente collaborativo posto al servizio di esigenze pubbliche
costituzionalmente tutelate» (punto 9.2. del Considerato in diritto) che dovrebbe svolgersi esclusivamente sulla
base delle leggi regionali.
Rileva inoltre la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia che l’art. 7, comma 7, della legge n. 131 del
2003 ha allargato il controllo di gestione sulle Regioni a statuto ordinario
alla verifica del «rispetto degli equilibri di bilancio», escludendo comunque,
sia in virtù del riferimento espresso alle Regioni a statuto speciale (che,
nell’esercizio della loro competenza, possono adottare particolari discipline
inerenti a tale tipologia di controlli), sia in virtù di quanto disposto
dall’art. 11, comma 1, della medesima legge n. 131 del 2003 (secondo cui: «Per
le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano
resta fermo quanto previsto dai rispettivi statuti speciali e dalle relative
norme di attuazione, nonché dall’articolo 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3»), che la disposizione richiamata possa applicarsi agli enti
dotati di autonomia particolare (sentenza di questa
Corte n. 236 del 2004). Ad avviso della ricorrente, la materia dei
controlli della Corte dei conti sulle Regioni a statuto speciale e sulle
Province autonome sarebbe quindi espressamente riservata alle norme di
attuazione degli statuti speciali, secondo quanto, tra l’altro, desumibile
dall’apposita clausola di salvaguardia prevista dall’art. 20 della legge 24
dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio
di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione): sul
punto, è richiamata anche la sentenza di questa
Corte n. 267 del 2006, e, in senso contrario, la sentenza n. 179 del
2007.
1.2.2.– La ricorrente
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia illustra quindi la disciplina statutaria
e delle norme di attuazione in merito ai controlli della Corte dei conti,
rilevando che: a) il Titolo V dello statuto di autonomia regola i controlli
sull’amministrazione regionale, prevedendo che «il controllo di legittimità
sugli atti amministrativi della Regione è esercitato, in conformità delle leggi
dello Stato che disciplinano le attribuzioni della Corte dei conti, da una
delegazione della Corte stessa, avente sede nel capoluogo della Regione»; b) il
Titolo VII dello stesso statuto disciplina i rapporti tra Stato e Regione,
senza prevedere ulteriori controlli; c) l’art. 33 del d.P.R. n. 902 del 1975, come sostituito dall’art. 3
del d.lgs. n. 125 del 2003, avrebbe dettato
un’organica disciplina dei controlli che la sezione regionale della Corte dei
conti può svolgere nei confronti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
introducendo, accanto al giudizio di parificazione del rendiconto (affiancato
dalla presentazione al Consiglio di una «dichiarazione in cui attesta
l’affidabilità del conto e la legittimità e la regolarità delle relative
operazioni»), il controllo di gestione, avente carattere collaborativo, in
quanto i programmi annuali di controllo vengono deliberati anche sulla base
delle richieste della Regione.
1.3.– Tanto premesso circa
la disciplina dei controlli della Corte dei conti sulla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, la difesa regionale deduce l’illegittimità dei commi da
2 a 9 e da 10 a 12 (con l’eccezione del comma 8) dell’impugnato art. 1 del d.l.
n. 174 del 2012.
Osserva, anzitutto, la
ricorrente che le norme impugnate, dichiaratamente rivolte, al fine di
rafforzare il coordinamento della finanza pubblica e di garantire il rispetto dei
vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea,
ad adeguare, ai sensi degli artt. 28, 81, 97, 100 e 119 Cost., il controllo
della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle Regioni (art. 1, comma
1), verrebbero ad integrare l’art. 7, comma 7, della legge n. 131 del 2003, la
cui inapplicabilità alle Regioni a statuto speciale sarebbe invece sempre stata
pacifica.
In effetti, le clausole di salvaguardia
previste dagli artt. 1, comma 16, e 11-bis
del d.l. n. 174 del 2012, pur evitando la diretta applicazione delle
disposizioni dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012 agli enti ad autonomia
differenziata, presupporrebbero comunque l’adeguamento dei loro ordinamenti a
dette disposizioni, così vincolando in modo illegittimo o la potestà
legislativa regionale (laddove l’adeguamento possa avvenire con legge
regionale) o il contenuto delle norme di attuazione. Per tale ragione, la
ricorrente ritiene di contestare anche le singole disposizioni dell’art. 1 del
d.l. n. 174 del 2012 «per il loro contenuto». Tali disposizioni sarebbero
naturalmente a fortiori illegittime
qualora si dovesse ritenere che le citate clausole di salvaguardia siano
inidonee ad evitare la diretta applicazione di dette disposizioni alla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia.
1.3.1.– Viene anzitutto dedotta l’illegittimità
costituzionale del comma 2, che, prevedendo che le sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti trasmettono ogni sei mesi ai Consigli regionali
una relazione sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi
regionali approvate nel semestre precedente e sulle tecniche di quantificazione
degli oneri, si porrebbe in contrasto con l’art. 33 del d.P.R. n. 902 del 1975
– al quale è riservata la disciplina dei controlli della Corte dei conti sulla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – che invece prevede che la sezione
regionale proceda alla valutazione degli effetti finanziari delle norme
legislative che comportino spese riferendone con una o più relazioni al
Consiglio stesso soltanto su richiesta dell’assemblea legislativa, violando, in
tal modo, anche l’art. 116 Cost., che attribuisce alla Regione una speciale
autonomia, l’autonomia finanziaria regionale, prevista dal Titolo IV dello
statuto, e l’art. 65 dello stesso statuto, nella misura in cui l’adeguamento a
detto comma 2 sia ritenuto obbligatorio ai sensi del comma 16 dell’art. 1, o,
addirittura, direttamente applicabile alla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia.
1.3.2.– Con un secondo
ordine di censure, la difesa regionale
deduce l’illegittimità dei commi 3, 4 e 7 dell’art. 1, che disciplinano il
controllo sulla gestione finanziaria delle Regioni, avente ad oggetto i bilanci
preventivi e i rendiconti consuntivi delle Regioni e degli enti che compongono
il Servizio sanitario nazionale, tenendo conto anche delle partecipazioni in
società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per
la collettività regionale, e rivolto a verificare «il rispetto degli obiettivi
annuali posti dal patto di stabilità interno», l’«osservanza del vincolo posto
in materia di indebitamento dall’art. 119, sesto comma, della Costituzione», la
«sostenibilità dell’indebitamento» e l’«assenza di irregolarità suscettibili di
pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli
enti» (commi 3 e 4), imponendo anche, in caso di «squilibri
economico-finanziari», «mancata copertura delle spese» o mancato rispetto delle
«norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria» o
«degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno», l’adozione di misure
correttive idonee a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di
bilancio, sino a disporre la preclusione dell’attuazione dei programmi di spesa
per i quali è stata accertata «la mancata copertura o l’insussistenza della
relativa sostenibilità finanziaria» (comma 7). Il controllo disciplinato dalle
norme impugnate non avrebbe infatti carattere collaborativo (sono richiamate le
sentenze di questa Corte n. 267 del 2006
e n. 179 del
2007), bensì coercitivo, in quanto ben potrebbe tradursi in obblighi di
regolarizzazione e in sanzioni specifiche, ponendosi in tal modo in contrasto
con l’art. 33 del d.P.R. n. 902 del 1975 in materia riservata alle norme di
attuazione, e violando così anche la specialità della Regione (art. 116 Cost.),
l’autonomia finanziaria regionale (Titolo IV dello statuto di autonomia) e
l’art. 65 dello statuto, nella misura in cui l’adeguamento ai commi 3, 4 e 7
sia ritenuto obbligatorio ai sensi del comma 16 dell’art. 1, o, addirittura,
gli stessi commi siano ritenuti direttamente applicabili alla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia.
1.3.3.– Con un terzo ordine
di censure, la ricorrente deduce che gli stessi commi 3, 4 e 7 del d.l. n. 174
del 2012 violano gli articoli 127 e 134 Cost. Ciò in quanto, essendo il
bilancio regionale approvato con legge, le norme impugnate finirebbero per
prevedere un «anomalo» controllo della Corte dei conti su una legge regionale il
quale, in alcuni casi, sarebbe di costituzionalità, avendo quali parametri il
principio della copertura finanziaria di cui all’art. 81, quarto comma, Cost., l’art.
119, sesto comma, Cost., o i vincoli posti dal patto di stabilità interno, e finirebbe, perciò, col sovrapporsi alle competenze della
Corte costituzionale (oltre che al controllo svolto dalla Corte dei conti in
sede di giudizio di parificazione, ai sensi degli articoli 33 e 36 del d.P.R.
n. 902 del 1975). Tale violazione ridonderebbe in una lesione delle
prerogative della Regione, atteso che detto «anomalo» controllo di
costituzionalità, ad opera di un organo non giurisdizionale, ha ad oggetto la
legge regionale con la quale la Regione approva il proprio bilancio.
1.3.4.– Con un ulteriore
motivo di doglianza, la ricorrente deduce l’illegittimità del comma 4 dell’art.
1, perché esso, regolando la struttura del rendiconto della Regione, lederebbe
la competenza legislativa spettante alla stessa nella materia «ordinamento
degli Uffici» ai sensi dell’art. 4, numero 1), dello statuto di autonomia, o
l’art. 117, quarto comma, Cost., «se ritenuto più favorevole» ai sensi
dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, tenuto conto che la
contabilità regionale deve ritenersi compresa nel suddetto ambito materiale (è
richiamata la sentenza
di questa Corte n. 107 del 1970), preservato anche da apposite clausole di
salvaguardia per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome ai
sensi degli artt. 9, comma 6, e 20 della legge n. 243 del 2012, ed avendo la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia esercitato tale competenza con la legge
reg. 8 agosto 2007, n. 21 (Norme in materia di programmazione finanziaria e di
contabilità regionale).
1.3.5.– Un quarto ordine di
censure sono rivolte avverso il comma 7 dell’art. 1, ritenuto gravemente lesivo
dell’autonomia legislativa e finanziaria della Regione, in quanto si
tradurrebbe nella paralisi dei programmi di spesa approvati con legge
regionale, incidendo sul regime di efficacia delle leggi regionali di settore,
fissato da norme costituzionali e indisponibile da parte del legislatore
ordinario; nonché degli articoli 24 e 113 Cost., la cui violazione ridonderebbe
in una lesione dell’autonomia legislativa e finanziaria della Regione, in
quanto la norma impugnata priverebbe proprio tale ente di strumenti di tutela
giurisdizionale contro provvedimenti di controllo del proprio bilancio.
1.3.6.– La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia deduce altresì l’illegittimità del comma 5 dell’impugnato
art. 1, che disciplina il giudizio di parifica del rendiconto generale della
Regione, prevedendo che alla decisione di parifica sia allegata una relazione
nella quale la Corte dei conti formula le sue osservazioni in merito alla
legittimità e alla regolarità della gestione e propone le misure di correzione
e gli interventi di riforma che ritiene necessari al fine di assicurare
l’equilibrio di bilancio. Secondo la ricorrente, detto comma 5, dettando una
disciplina diversa da quella prevista dall’art. 33, terzo comma, del d.P.R. n.
902 del 1975 – cioè dalla normativa di attuazione alla quale è riservata la
materia dei controlli della Corte dei conti sulla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia – violerebbe, oltre a tale disposizione, la specialità della Regione (art. 116 Cost.),
l’autonomia finanziaria regionale (Titolo IV dello statuto di autonomia) e
l’art. 65 dello statuto, nella misura in cui l’adeguamento ad esso sia ritenuto
obbligatorio ai sensi del comma 16 dell’art. 1, o, addirittura, esso sia
ritenuto direttamente applicabile alla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia.
1.3.7.– La stessa Regione
censura anche il comma 6, il quale dispone, tra l’altro, che il Presidente della Regione trasmette ogni dodici
mesi alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti una relazione
sulla regolarità della gestione e sull’efficacia e sull’adeguatezza del sistema
dei controlli interni adottato sulla base delle linee guida deliberate dalla
sezione delle autonomie della Corte dei conti. Secondo la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, le menzionate «linee guida»
dovrebbero riguardare non già il sistema dei controlli interni ma la relazione
annuale, sicché è possibile che il legislatore statale sia incorso in un lapsus calami (in luogo di «adottato»
dovrebbe leggersi «adottata»); ciò dovrebbe condurre ad una interpretazione
"correttiva” della disposizione impugnata, nel senso, appunto, di riferire le
«linee guida» non già al sistema dei controlli interni, ma alla suddetta
relazione. In caso contrario, ad avviso della ricorrente, la disposizione in
parola sarebbe palesemente illegittima, in quanto riconducibile alla materia
dell’organizzazione regionale e quindi violativa dell’art. 4, numero 1), dello statuto di autonomia o dell’art.
117, quarto comma, Cost., «se ritenuto più favorevole» ai sensi dell’art. 10
della legge costituzionale n. 3 del 2001).
Lo stesso comma 6 è
censurato – sempre per il caso in cui fosse ritenuto obbligatorio o
direttamente applicabile − anche per violazione dell’autonomia
organizzativa regionale, nonché dell’art. 33, primo comma, del d.P.R. n. 902
del 1975, atteso che esso introdurrebbe un controllo della Corte dei conti
«sull’efficacia e sull’adeguatezza del sistema dei controlli interni», mentre
la richiamata norma di attuazione prevede che la sezione regionale della Corte
dei conti esamini i risultati dei controlli interni eventualmente effettuati
nell’ambito del controllo di gestione, in conformità a quanto affermato nella sentenza di questa
Corte n. 29 del 1995.
1.3.8.– Sono impugnati anche
i commi 9, 10, 11 e 12 dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, che disciplinano
il controllo della Corte dei conti sul «rendiconto di esercizio annuale» dei
gruppi consiliari dei consigli regionali. Osserva la ricorrente che: a) il
comma 9 dispone che ciascun gruppo consiliare approvi un rendiconto di
esercizio annuale secondo linee guida deliberate dalla Conferenza
Stato-Regioni, e recepite con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, per assicurare, tra l’altro, la corretta rilevazione dei fatti di
gestione, la regolare tenuta della contabilità, le risorse trasferite ai gruppi
dal consiglio regionale e la tracciabilità dei pagamenti effettuati; b) il
comma 10 disciplina le modalità di approvazione e trasmissione di detto
rendiconto alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti
ai fini della pronuncia di regolarità; c) il comma 11 disciplina la suddetta
verifica di conformità dei rendiconti di esercizio dei gruppi consiliari alla
normativa introdotta, prevedendo anche, in caso di mancata regolarizzazione a
quanto stabilito nella comunicazione della Corte dei conti che abbia
riscontrato la difformità del rendiconto e della documentazione trasmessa a
corredo dello stesso rispetto a detta normativa, la decadenza dal diritto all’erogazione
delle risorse da parte del consiglio regionale; d) il comma 12 stabilisce che
la suddetta decadenza e il relativo obbligo di restituzione conseguono alla
mancata trasmissione del rendiconto entro i termini previsti, o alla delibera
di non regolarità del rendiconto da parte della sezione regionale di controllo
della Corte dei conti.
1.3.8.1.– Deduce quindi la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia che le norme richiamate prevedono
l’approvazione del rendiconto da parte dei gruppi consiliari, ne regolano in
parte direttamente il contenuto e affidano in parte il compito di disciplinare
lo stesso a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e stabiliscono
un controllo della Corte dei conti su di esso che non ha natura collaborativa,
ma che potrebbe avere effetti coercitivi ed implicare pesanti sanzioni, le
quali possono impedire l’attività di organismi essenziali per il funzionamento
del Consiglio. In tal modo, detti commi violerebbero l’autonomia dell’assemblea
regionale, risultante dagli artt. 16, 18 e 21 dello statuto di autonomia, e, in particolare, l’autonomia
contabile (è richiamata la sentenza di questa
Corte n. 143 del 1968) e regolamentare, atteso che il Consiglio ha un
proprio regolamento interno (previsto dall’articolo 21 dello statuto), al quale
spetta di disciplinare i gruppi consiliari e il bilancio, essendo, tra l’altro,
i gruppi previsti dal regolamento, e non già dallo statuto. Al riguardo, sono
richiamati anche: l’art. 5 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia 18 giugno 2007, n. 17 (Determinazione della forma di governo
della Regione Friuli-Venezia Giulia e del sistema elettorale regionale, ai
sensi dell’articolo 12 dello Statuto di autonomia) –
cui è attribuita una competenza riservata nella quale non può intervenire il
legislatore statale – che riconosce al Consiglio regionale autonomia di
bilancio, contabile, funzionale e organizzativa; nonché l’art. 15 della legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 28 ottobre 1980, n. 52 (Norme per
il funzionamento dei gruppi consiliari), come modificato dall’art. 2, comma 1
della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 ottobre 2012, n. 21
(Norme urgenti in materia di riduzione delle spese di funzionamento dei Gruppi
consiliari. Modifiche all’articolo 3 della legge regionale n. 54/1973 e alla
legge regionale n. 52/1980), e dall’art. 15, comma 1, della legge della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2013, n. 10 (Disposizioni in materia di
trattamento economico e di pubblicità della situazione patrimoniale dei
consiglieri e degli assessori regionali, nonché di funzionamento dei gruppi
consiliari. Modifiche alla L.R. n. 2/1964, alla L.R. n. 52/1980, alla L.R. n.
21/1981, alla L.R. n. 41/1983, alla L.R. n. 38/1995, alla L.R. n. 13/2003), che
disciplina le modalità di rendicontazione e controllo dei fondi impiegati dai
gruppi consiliari.
1.3.8.2.– In via
subordinata, anche qualora fosse riconosciuta la competenza dello Stato a disciplinare
il bilancio dei gruppi consiliari, la ricorrente Regione censura il comma 9 per
violazione dell’articolo 117, sesto comma, della Cost., atteso che esso,
anziché provvedere con legge, attribuirebbe un potere sostanzialmente normativo
alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano (alla quale, tra l’altro, i consigli
regionali sono totalmente estranei) e al Presidente del Consiglio dei ministri
ai fini della deliberazione delle «linee guida» per la redazione del rendiconto
di esercizio annuale dei gruppi consiliari.
1.3.8.3.– La ricorrente
impugna poi specificamente i commi 10 e 11, poiché definirebbero anche le
funzioni dei singoli organi regionali (Presidente del Consiglio e Presidente
della Giunta), così violando l’art. 12 dello statuto di autonomia, il quale
attribuirebbe la disciplina dei rapporti tra gli organi politici della Regione
in via esclusiva alla "legge statutaria”.
1.3.8.4.– I commi 11 e 12
sono infine censurati dalla Regione ricorrente qualora vengano interpretati nel
senso che non sia prevista tutela giurisdizionale contro l’accertamento di
irregolarità (comma 11) e la delibera di irregolarità (comma 12), per
violazione degli artt. 24 e 113 Cost., la quale si tradurrebbe in una lesione
dell’autonomia del Consiglio regionale, in particolare, dei gruppi consiliari.
1.3.9.– La ricorrente
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia censura anche il comma 16 dell’impugnato
art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, il quale dispone che «Le regioni a statuto
speciale e le province autonome […] adeguano il proprio ordinamento alle
disposizioni del presente articolo entro un anno dalla data di entrata in
vigore del presente decreto», in quanto la disposizione in parola prevedrebbe
un obbligo di adeguamento ad una forma di controllo repressivo non prevista né
dallo statuto né dalle norme di attuazione, in particolare, a un controllo di
regolarità finanziaria di natura vincolante (potendo discendere, da esso,
obblighi di regolarizzazione e sanzioni) diverso da quello di gestione in senso
stretto e di natura collaborativa previsto dalle dette norme, limitando, in tal
modo, «le prerogative costituzionali » della Regione.
1.3.9.1.– In via
subordinata, il comma 16 è censurato anche in quanto – ove pure l’adeguamento
dell’ordinamento regionale alla sopravvenuta disciplina dei controlli fosse
dovuto – non dispone che tale adeguamento avvenga con le modalità prescritte
dallo statuto speciale, vale a dire tramite le norme di attuazione (o seguendo
le procedure prescritte per le modifiche dello stesso statuto) − sono
richiamate le sentenze
di questa Corte n. 341 del 2009, n. 51 del 2006,
n. 341 del 2001,
n. 237 del 1983,
n. 180 del 1980
−, unica fonte idonea a integrare
la disciplina dei controlli della Corte dei conti sulla gestione della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia dettata dal d.lgs. n. 125 del 2003.
1.3.9.2.– In via
ulteriormente subordinata, viene dedotta l’illegittimità costituzionale del
comma in parola, in quanto esso, «se
pure rinviasse alle norme di attuazione», sarebbe «rivolto a vincolarle sia in
termini di contenuto sostanziale […], sia in quanto pone […] un termine che
risulterebbe illegittimo, dato che le procedure di concertazione che portano
alle norme di attuazione non possono essere sottoposte ad un termine dal
legislatore ordinario».
1.3.9.3.– Conclude la
ricorrente Regione autonoma Friuli-Venezia che sarebbe da escludersi che
l’ambito di intervento del legislatore statale possa essere ricondotto ad un
concetto ampio di coordinamento della finanza pubblica, atteso che tale
coordinamento in relazione alle autonomie speciali si configura come «compito
statale da attivare nelle materie di competenza regionale attraverso i
meccanismi interni del riparto di competenza in tali materie» e non già come
«un separato ambito materiale di competenza attribuito allo Stato», dovendo
quindi svolgersi nelle forme previste dallo statuto e dalle norme di attuazione
presidiati dal principio dell’accordo, quanto ai rapporti finanziari tra Stato
e Regioni (sono richiamate le sentenze di questa
Corte n. 133 del 2010, n. 82 del 2007,
n. 353 del 2004,
n. 98 del 2000,
n. 39 del 1984;
nonché, con specifico riferimento alle norme di attuazione richiamate dall’art.
27, commi 1 e 3, della legge n. 42 del
2009, le sentenze
n. 193 e n.
118 del 2012).
In via subordinata, anche qualora si ritenesse che le disposizioni dell’art. 1
del d.l. n. 174 del 2012 attengono non alla «materia dei rapporti Stato-Regione
e, in particolare, [alla] materia dei
controlli», ma a quella del coordinamento della finanza pubblica, l’art.
1, comma 16, violerebbe anzitutto il principio – che
risulta dal Titolo IV e dall’art. 65, comma 5, dello statuto speciale della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, nonché dall’art. 27 della legge n. 42
del 2009 – secondo cui la disciplina dei
rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni o le Province ad autonomia differenziata
spetta allo statuto speciale, oppure alle norme di attuazione statutaria o,
comunque, all’accordo tra lo Stato e detti enti ad autonomia differenziata.
Il comma 16 dell’art. 1 del d.l. n. 174
del 2012 sarebbe infine illegittimo perché, anche a volere escludere che la
disciplina dei controlli introdotti dall’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012
rientri nella competenza delle norme di attuazione statutaria ma debba, invece,
essere ricondotta alla materia «coordinamento della finanza pubblica», non potrebbe
ammettersi un vincolo della Regione ad
adeguare il proprio ordinamento alle «disposizioni» dettate dall’art. 1 del
decreto-legge n. 174 del 2012 ma solo ai princípi
dallo stesso risultanti.
1.4.– La ricorrente Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia deduce inoltre l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 3, comma 1, lettera e),
del d.l. n. 174 del 2012, nella parte
in cui, sostituendo l’art. 148 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267
(Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), introduce il
nuovo comma 2 di detto articolo, secondo cui: «Il Ministero dell’economia e
delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato può attivare
verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile, ai sensi
dell’articolo 14, comma 1, lettera d),
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, oltre che negli altri casi
previsti dalla legge, qualora un ente evidenzi, anche attraverso le rilevazioni
SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori:
a) ripetuto utilizzo dell’anticipazione di tesoreria; b) disequilibrio
consolidato della parte corrente del bilancio; c) anomale modalità di gestione
dei servizi per conto di terzi; d) aumento non giustificato di spesa degli
organi politici istituzionali». Tale disposizione inciderebbe, secondo la
ricorrente, nella materia «ordinamento degli enti locali», violando,
conseguentemente, l’art. 4, numero 1-bis),
dello statuto friulano, che riserva la suddetta materia alla competenza
legislativa primaria della Regione, nonché gli artt. 3, 4, 6 e 9 del d.lgs. n.
9 del 1997, i quali attribuiscono al legislatore regionale, rispettivamente,
tutte le attribuzioni amministrative concernenti gli enti locali (art. 3), la
natura e la disciplina dei controlli nei confronti degli stessi (art. 6), la
finanza locale, l’ordinamento finanziario e contabile, l’amministrazione del
patrimonio e i contratti di detti enti (art. 9), riservando agli organi dello
Stato soltanto le funzioni in materia di tutela della concorrenza e dell’ordine
pubblico, lotta alla criminalità organizzata, protezione civile, nonché stato
civile, anagrafe e servizio elettorale e servizi di statistica, limitatamente
alle funzioni proprie dell’Istituto nazionale di statistica.
1.5.– La
Regione ricorrente deduce altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 6,
commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 174 del 2012, che intervengono in materia di
analisi e revisione della spesa pubblica effettuata dagli enti locali,
prevedendo il ricorso ai Servizi ispettivi di Finanza pubblica della Ragioneria
generale dello Stato (comma 1), sulla base di modelli di accertamento
concordati da detta Ragioneria generale con il Commissario per la revisione
della spesa previsto dall’art. 2 del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52 (Disposizioni
urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 luglio 2012, n. 94, anche
mediante verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile ai
sensi del citato art. 14, comma 1, lettera d),
della legge n. 196 del 2009 (comma 2), e attribuendo alla Sezione delle
autonomie della Corte dei conti il compito di definire, sentite le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano, le metodologie necessarie per lo
svolgimento dei controlli da parte delle sezioni regionali sulla verifica
dell’attuazione delle misure dirette alla razionalizzazione della spesa
pubblica degli enti territoriali, anche sulle eventuali misure correttive che
questi ultimi sono tenuti ad adottare in caso di avvenuto riscontro di
criticità della gestione (comma 3).
Osserva la difesa regionale che, da un
lato, i richiamati commi 1 e 2 non sarebbero applicabili alle Regioni, stante
la loro collocazione nel Titolo II, dedicato a Province e comuni, e stando al
tenore letterale dell’art. 14, comma 1, lettera d), della legge n. 196 del 2009, che prevede le richiamate
verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile delle
amministrazioni pubbliche, «ad eccezione delle regioni e delle province autonome
di Trento e Bolzano», nonché in virtù della clausola di salvaguardia di cui
all’art. 11-bis del d.l. n. 174 del
2012.
Ciò premesso, la ricorrente asserisce
che le norme richiamate, qualora la locuzione del comma 3 – «sentite le Regioni
e le Province autonome di Trento e di Bolzano» – non venisse interpretata come
inciso volto ad indicare il parere della Conferenza Stato-Regioni, bensì quale
norma volta ad estendere i controlli della Corte dei conti anche agli enti
locali della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, violerebbero gli artt. 4,
numero 1-bis), e 60 dello statuto e l’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997, che
riservano la disciplina dell’ordinamento e dei controlli sugli enti locali alla
Regione, nonché l’art. 33, comma 1, del d.P.R. n. 902 del 1975, il quale
prevede che la Corte dei conti eserciti sugli enti locali soltanto il controllo
di gestione in senso stretto, ponendosi in contrasto anche con l’art. 1, commi
154 e 155, della legge n. 220 del 2010, che, tra l’altro, riservano alla Regione
il compito di concordare con lo Stato gli obiettivi di finanza pubblica del
«sistema regionale integrato», composto dalla Regione autonoma, dagli enti
locali del territorio, dalle aziende sanitarie e dagli altri enti e organismi
il cui funzionamento è finanziato dalla Regione medesima. Ne conseguirebbe
l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate perché, in contrasto con
gli statuti speciali e con le norme di attuazione degli stessi, istituiscono un
sistema di controllo sugli enti locali della Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia «parallelo e concorrente rispetto a quello che è espressamente
attribuito» alla Regione, nonché non collaborativo ma espressivo di «un potere
statale di supremazia sugli enti locali».
La Regione, «per quanto riguarda specificamente
il controllo attribuito ai Servizi ispettivi di Finanza pubblica della
Ragioneria generale dello Stato», asserisce che i commi impugnati violerebbero
anche gli artt. 3, 4, 6 e 9 del d.lgs. n. 9 del 1997, «per gli stessi motivi»
indicati con riguardo all’impugnazione, da parte della stessa Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, dell’art. 3, comma 1, lettera e), del d.l. n. 174 del 2012, nella parte in cui, sostituendo
l’art. 148 del d.lgs. n. 267 del 2000, introduce il nuovo comma 2 di detto
articolo.
In via subordinata, qualora il comma 3
fosse inteso nel senso che – esso riferisce i
controlli indicati anche alle Regioni (sia ordinarie che speciali) come potrebbe indurre a ritenere il fatto che
lo stesso comma indica come destinatari di detti controlli gli «enti
territoriali» – e che «conseguenzialmente, i
commi 1 e 2 siano rivolti anche alle regioni speciali», la ricorrente deduce
altresì l’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2, i quali violerebbero,
in tale caso, i parametri invocati dalla Regione ricorrente con riguardo
all’impugnazione dell’art. 1, commi da 1 a 7 e 16, del d.l. n. 174 del 2012.
Detti commi violerebbero altresì l’art. 4, numero 1), dello statuto speciale,
che attribuisce alla Regione la potestà legislativa nella materia «ordinamento
degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed
economico del personale ad essi addetto», o l’art. 117, quarto comma, Cost.,
«se ritenuto più favorevole», perché tale potestà legislativa «comprende la
potestà di regolare il bilancio regionale e le verifiche contabili», nonché
l’art. 3 Cost., sotto il profilo della «irragionevolezza per
contraddittorietà», perché applicherebbero alle Regioni e alle Province
autonome di Trento e di Bolzano delle verifiche sulla regolarità amministrativo-contabile
«ai sensi dell’art. 14, comma 1, lettera d),
della legge 31 dicembre 2009, n. 196», cioè di una disposizione che prevede che
tali verifiche vengono effettuate «ad eccezione [che nei confronti] delle
regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano».
Deduce infine la ricorrente che il comma
3, sempre se interpretato nel senso che esso riferisce i controlli indicati
anche alle Regioni, violerebbe «lo Statuto e [il] dPR
n. 902 del 1975, che regolano in modo completo i controlli statali sulla
Regione», nonché la «speciale autonomia finanziaria della Regione, quale
configurata dal Titolo IV e dall’art. 63, co. 5, dello Statuto, dall’art. 27 l.
42/2009 e dal principio dell’accordo che regola i rapporti finanziari tra Stato
e Regioni speciali» sulla scorta degli stessi argomenti svolti con riguardo
all’impugnazione dell’art. 1, commi da 1 a 7 e 16, del d.l. n. 174 del 2012.
1.6.– La ricorrente Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia deduce infine l’illegittimità costituzionale
dell’art. 11-bis dell’impugnato d.l.
n. 174 del 2012, il quale prevede che «Le regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e Bolzano attuano le disposizioni di cui al
presente decreto nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e
dalle relative norme di attuazione».
Osserva la difesa regionale
che la clausola di salvaguardia avrebbe dovuto essere formulata riferendosi ai
«principi» e non già alle «disposizioni» del decreto-legge ed includendo
altresì il richiamo ai «limiti» che gli statuti pongono all’attuazione dei
principi introdotti, atteso che rinviare genericamente a tutte le disposizioni
del decreto-legge senza neppure riferirsi ai limiti che la loro applicazione
agli enti dotati di autonomia speciale incontra significherebbe porre in dubbio
la differenziazione degli ambiti di autonomia, in violazione dell’art. 116,
primo comma, Cost., nonché dei seguenti parametri statutari: art. 4, numeri 1)
e numero 1-bis) (in relazione alla
potestà legislativa primaria in materia di ordinamento degli uffici e degli
enti dipendenti della Regione, nonché di ordinamento degli enti locali), art.
12 (sulla forma di governo regionale e sulla fonte competente a determinarla),
art. 13 (sul numero dei consiglieri regionali), art. 19 (sulle indennità di carica
dei componenti del Consiglio), art. 41 (sulle indennità del Presidente della
Regione e dei componenti della Giunta), Titolo VI (in relazione all’autonomia
finanziaria), art. 65 (sulla speciale procedura di attuazione dello statuto).
2.– Con atto depositato nella cancelleria il 15 marzo
2013, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia siano dichiarate non fondate.
Osserva l’Avvocatura dello Stato che
l’intervento del legislatore statale è dichiaratamente rivolto al rafforzamento
del «coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo
statale e regionale», con particolare riguardo al «rispetto dei vincoli
finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea».
2.1.– In relazione agli
impugnati commi 3, 4 e 7 dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, quanto all’asserita violazione dell’art. 127 Cost.,
afferma il Presidente del Consiglio dei ministri che le disposizioni impugnate,
volte a salvaguardare i conti pubblici e l’equilibrio di bilancio, non
introdurrebbero un nuovo tipo di controllo sulla legge regionale di approvazione
del bilancio, limitandosi piuttosto a prevedere una verifica di carattere
tecnico ed imparziale sui bilanci regionali, salvaguardando peraltro la
possibilità di un autonomo intervento delle amministrazioni competenti laddove
dovessero emergere irregolarità.
2.2.– Quanto alle censure
rivolte alle norme relative al sistema dei controlli, l’Avvocatura dello Stato
richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte secondo
cui il legislatore statale è libero di assegnare alla Corte dei conti qualsiasi
forma di controllo, purché vi sia un fondamento costituzionale, rilevando a tal
riguardo, nel caso in esame, l’art. 100, secondo comma, Cost. – che attribuisce
alla Corte dei conti il controllo successivo sulla gestione del bilancio, riferito
non solo al bilancio dello Stato, ma a quello di tutti gli enti pubblici che
costituiscono, nel loro insieme, il bilancio della finanza pubblica allargata
(sono richiamate le sentenze n. 179 del
2007, n. 267
del 2006 e n.
29 del 1995) – nonché gli artt. 97 Cost. (buon andamento della pubblica
amministrazione), 28 Cost. (responsabilità dei pubblici funzionari), 81 Cost.
(equilibrio di bilancio) e 119 Cost. (coordinamento della finanza regionale con
quella statale, provinciale e comunale).
Ad avviso del Presidente del
Consiglio dei ministri, le norme impugnate introdurrebbero pertanto un tipo di
controllo finalizzato ad assicurare, in vista dell’unità economica della
Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, la sana gestione
finanziaria degli enti locali, nonché il rispetto del patto di stabilità
interno e del vincolo in materia di indebitamento posto dall’ultimo comma
dell’art. 119 Cost. mediante un riesame di legalità e regolarità finalizzato
all’adozione di effettive misure correttive da parte degli stessi enti
interessati.
Tale controllo – sostiene il
resistente – rientrerebbe nella competenza legislativa statale di dettare
principi nella materia «armonizzazione dei bilanci e coordinamento della
finanza pubblica» e sarebbe esercitato dalla Corte dei conti in un’ottica
"collaborativa”, nel senso che l’organo di controllo si limiterebbe a segnalare
all’ente controllato le eventuali disfunzioni rimettendo all’ente stesso
l’adozione delle necessarie misure correttive (sentenza n. 179 del
2007).
2.3.– Osserva l’Avvocatura
dello Stato che quanto detto varrebbe anche in relazione alle norme che
disciplinano il controllo sull’operato dei gruppi consiliari (art. 1, commi
9-12), atteso che, in caso di riscontrate irregolarità, il rendiconto viene
restituito al Presidente della Regione affinché avvii l’iter per la sua regolarizzazione da parte del gruppo consiliare nel
pieno rispetto della sua autonomia. L’eventuale decadenza dal diritto
all’erogazione di risorse da parte del Consiglio regionale, nel caso in cui il
gruppo consiliare non provveda tempestivamente alla regolarizzazione,
rientrerebbe invece, ad avviso del resistente, nell’indispensabile funzione di
vigilanza funzionale ad assicurare l’effettività del controllo (è richiamata ancora
la sentenza n.
179 del 2007).
Ne consegue che – ad avviso
del Presidente del Consiglio dei ministri – non vi sarebbe alcun vulnus all’autonomia della forma di
governo regionale, in quanto le disposizioni in esame, lungi dall’incidere sui
meccanismi di funzionamento dei gruppi consiliari, si limiterebbero a prevedere
un controllo sulla gestione della loro contabilità per esigenze di
coordinamento della finanza pubblica.
2.4.– In relazione alla
questione promossa in relazione al comma 16 dell’impugnato art. 1 del d.l. n.
174 del 2012, osserva l’Avvocatura dello Stato che la norma, nel prevedere che
le Regioni a statuto speciale e le Province autonome adeguino il proprio
ordinamento alle disposizioni introdotte dal medesimo d.l. n. 174 del 2012,
appare pienamente rispettoso delle autonomie speciali, che tuttavia, essendo
parte integrante del settore pubblico allargato, non possono essere sottratte
ai controlli sulla gestione finanziaria da parte della Corte dei conti (è
richiamata la sentenza
n. 267 del 2006).
2.5.– Quanto alle censure
avverso il comma 2 del suddetto art. 1, che ha introdotto le relazioni
semestrali sulla legislazione di spesa regionale, osserva il Presidente del
Consiglio dei ministri che le norme impugnate, ben lungi dal pregiudicare le
prerogative statutarie, hanno la funzione di arricchire il patrimonio di conoscenza
dei consigli regionali sui profili relativi alla copertura finanziaria delle
leggi e di offrire al legislatore regionale utili elementi sulle possibili
criticità della legislazione di spesa, nell’ambito della funzione di controllo
collaborativo svolta dalla Corte dei conti.
2.6.– In riferimento alle
censure rivolte al comma 5 del medesimo art. 1, che ha introdotto la parifica
del rendiconto generale delle Regioni, l’Avvocatura dello Stato osserva che le
norme impugnate non violerebbero l’autonomia finanziaria regionale, in quanto
orientate a garantire una coerente e compiuta definizione del quadro normativo
dei controlli esterni sulle autonomie territoriali, colmando una asimmetria
rispetto a quanto previsto per lo Stato.
2.7.– In relazione alla
questione riguardante gli artt. 1, comma 1, lettera e), e 6 del d.l. n. 174 del 2012, rileva il Presidente del
Consiglio dei ministri che gli introdotti controlli sulla contabilità degli
enti locali, effettuati anche mediante le verifiche del Ministero dell’economia
e delle finanze sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile,
nonché il ricorso ai Servizi ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria
generale dello Stato, ai fini dello svolgimento di analisi sulla spesa pubblica
degli enti locali, sarebbero riconducibili a forme di controllo di tipo
collaborativo da parte della Corte dei conti e sfuggirebbero pertanto alle
censure della Regione ricorrente, in quanto tra l’altro finalizzate ad
acquisire elementi conoscitivi ai fini del coordinamento della finanza pubblica
e dei successivi eventuali interventi nel rispetto delle prerogative statutarie
regionali (è richiamata la sentenza n. 267 del
2006).
2.8.– Quanto, infine, alla
questione promossa in relazione all’art. 11-bis
del d.l. n. 174 del 2012, asserisce il resistente che la disposizione impugnata
sarebbe idonea a salvaguardare l’autonomia della Regione Friuli-Venezia Giulia,
atteso che, anche alla luce di quanto affermato nella sentenza n. 241 del
2012, «l’attuazione del decreto deve essere intesa non già nella ristretta
accezione di adozione di norme attuative secondarie diretta a regolamentare nel
dettaglio quanto stabilito dal decreto, bensì nel significato più ampio di
applicazione diretta delle norme in questione».
3.– Con ricorso notificato il 5 febbraio 2013 e
depositato nella cancelleria il successivo 12 febbraio (reg. ric. n. 18 del
2013), la Provincia autonoma di Trento ha promosso questioni di legittimità
costituzionale relative a diverse disposizioni del decreto-legge n. 174 del
2012.
3.1.–
Tra le norme impugnate rientrano gli artt. 1, comma
16, e 6, commi 1, 2 e 3, censurati dalla Provincia autonoma ricorrente per
violazione degli artt. 54, numero 5), da 69 a 86, 103, 104, 107, 108 e 109 del
decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché degli artt.
2 del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 473 (Norme di attuazione dello Statuto per la
regione Trentino-Alto Adige in materia di finanza locale), 2 e 4 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali
e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e
coordinamento), 16 e 17 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di
finanza regionale e provinciale), 2 e 6 del decreto del Presidente della
Repubblica 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige per
l’istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di
Bolzano e per il personale ad esse addetto), come modificato dal decreto
legislativo 14 settembre 2011, n. 166 (Norme di attuazione dello Statuto
speciale per la Regione Trentino-Alto Adige recanti modifiche ed integrazioni
al decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305, in materia
di controllo della Corte dei conti).
Premette la Provincia
autonoma ricorrente che specifiche norme statutarie e di attuazione statutaria
le attribuiscono autonomia finanziaria (articoli da 69 a 86 del d.P.R. n. 670 del 1972,
con particolare riguardo alle modalità, previste dall’art. 79, mediante le
quali la Provincia autonoma concorre al conseguimento degli obiettivi di
finanza pubblica), alla competenza legislativa concorrente in materia di
finanza locale (artt. 80 e 81), nonché ai rapporti tra Stato, Regione e
Provincia (Titolo VII). Ne conseguirebbe che, essendo la materia dei controlli
statali sulle amministrazioni regionali e locali riconducibile agli evocati
titoli competenziali statutari, la disciplina dei suddetti controlli non può
che rientrare nella competenza delle norme di attuazione, con particolare
riferimento agli artt. 2 e 6 del d.P.R. n. 305 del 1988, come modificato
dal d.lgs. n. 166 del 2011.
Osserva la Provincia
autonoma ricorrente che le disposizioni relative al rafforzamento della
partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria
delle Regioni (art. 1, commi da 1 a 9 e da 10 a 12) non sono direttamente
riferite alle Provincie autonome e, anche in virtù dell’apposita clausola di
salvaguardia introdotta dall’art. 11-bis del
d.l. n. 174 del 2012, non sono pertanto applicabili nella Provincia di Trento.
3.2.– È invece censurato
dalla ricorrente il comma 16 dell’art. 1, in quanto, dal quadro delle norme di
attuazione statutaria (artt. 2, comma 1, e 6, commi 1, 2, 3, 3-bis e 3-ter, del d.P.R. n. 305 del
1988) conseguirebbe che queste ultime consentono
soltanto il controllo statale sulla gestione in senso stretto in relazione alla
Provincia autonoma di Trento, dettando, le stesse norme, una disciplina
completa dei controlli della Corte dei conti sulle Province autonome, che
potrebbe essere integrata soltanto con ulteriori norme di attuazione, essendo
queste ultime dotate di competenza separata e riservata rispetto alle altre
fonti primarie statali (sono richiamate le sentenze di questa
Corte n. 341 del 2009, n. 51 del 2006,
n. 341 del 2001,
n. 237 del 1983,
n. 180 del 1980).
Osserva quindi la ricorrente
che il comma 16 prevedrebbe, anzitutto, un obbligo di adeguamento ad una forma
di controllo repressivo non prevista né dallo statuto né dalle norme di
attuazione, introducendo la norma impugnata un controllo di regolarità
finanziaria diverso da quello di gestione in senso stretto previsto dalle norme
di attuazione, e di natura non collaborativa, discendendone obblighi di regolarizzazione
e sanzioni, limitando, in tal modo, l’autonomia costituzionale della Regione.
In via subordinata, la norma
impugnata è censurata anche in quanto – ove pure l’adeguamento alla
sopravvenuta disciplina dei controlli fosse dovuto – non dispone che tale
adeguamento avvenga con le modalità prescritte dallo statuto speciale, vale a
dire tramite le norme di attuazione o con le modalità prescritte per le
modifiche dello statuto di autonomia.
In via ulteriormente
subordinata, viene dedotta l’illegittimità costituzionale del comma in parola
in quanto esso, «se pure rinviasse alle
norme di attuazione», sarebbe «rivolto a vincolarle sia in termini di contenuto
sostanziale […], sia in quanto pone […] un termine che risulterebbe
illegittimo, dato che le procedure di concertazione che portano alle norme di
attuazione non possono essere sottoposte ad un termine dal legislatore
ordinario».
Conclude la ricorrente
Provincia autonoma di Trento che sarebbe da escludersi che l’ambito di
intervento del legislatore statale possa essere ricondotto ad un concetto ampio
di coordinamento della finanza pubblica, atteso che tale coordinamento in
relazione alle autonomie speciali si configura come «compito statale da
attivare nelle materie di competenza regionale attraverso i meccanismi interni
del riparto di competenza in tali materie» e non già come «un separato ambito
materiale di competenza attribuito allo Stato», dovendo quindi svolgersi nelle
forme previste dallo statuto e dalle norme di attuazione regolati dal principio
dell’accordo, quanto ai rapporti finanziari tra Stato e Regioni (sono
richiamate le sentenze
di questa Corte n. 133 del 2010, n. 82 del 2007,
n. 353 del 2004,
n. 98 del 2000,
n. 39 del 1984;
nonché, con specifico riferimento alle norme di attuazione richiamate dall’art.
27, commi 1 e 3, della legge n. 42 del
2009, le sentenze
n. 193 e n.
118 del 2012).
In via subordinata, anche qualora si ritenesse che le disposizioni dell’art. 1
del decreto-legge n. 174 del 2012 attengano non alla «materia dei rapporti
Stato-Regione e, in particolare, [alla] materia dei controlli», ma a quella del «coordinamento
della finanza pubblica», l’art. 1, comma 16, violerebbe anzitutto il principio ‒
che risulta dal Titolo IV e dall’art. 65, comma 5, dello statuto speciale della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, nonché dall’art. 27 della legge n. 42
del 2009 – secondo cui la disciplina dei
rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni o le Province ad autonomia
differenziata spetta allo statuto speciale, oppure alle norme di attuazione
statutaria o, comunque, all’accordo tra lo Stato e detti enti ad autonomia
differenziata.
Il comma 16 dell’art. 1 del d.l. n. 174
del 2012 sarebbe infine illegittimo perché, anche a volere escludere che la
disciplina dei controlli introdotti dall’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012
rientri nella competenza delle norme di attuazione statutarie ma debba, invece,
essere ricondotta alla materia «coordinamento della finanza pubblica», non
potrebbe ammettersi un vincolo della Regione ad adeguare il proprio ordinamento
alle «disposizioni» dettate dall’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012 ma solo ai princípi dallo stesso risultanti.
3.3.– La Provincia autonoma
di Trento deduce poi che l’art. 6, commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 174 del 2012,
nel caso in cui la locuzione del comma
3 – «sentite le Regioni e le Province autonome
di Trento e di Bolzano» – non venisse
interpretata come inciso volto ad indicare il parere della Conferenza
Stato-Regioni, bensì quale norma volta ad estendere i controlli della Corte dei
conti anche agli enti locali della stessa Provincia autonoma, violerebbe gli
art. 79, comma 3, dello statuto, che, tra l’altro, riserva alle Province
autonome i compiti di: stabilire gli obblighi del patto di stabilità interno;
provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento agli enti locali;
vigilare sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli
enti locali, delle aziende sanitarie e degli organismi della Provincia. Ne
conseguirebbe la violazione anche dell’art. 6, comma 3-bis, del d.P.R. n. 305 del 1988, che riserva alla Provincia i
controlli sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e i controlli
successivi sulla sana gestione relativi agli enti locali, e dell’art. 17 del
d.lgs. n. 268 del 1992, che riserva le attribuzioni
dell’amministrazione dello Stato in materia di finanza locale alla Provincia
autonoma, nonché dell’art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, il quale esclude che, nella materie di competenza della
Provincia autonoma, la legge statale possa attribuire agli organi statali
funzioni amministrative, comprese quelle di vigilanza, diverse da quelle
spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme di
attuazione.
In via subordinata, qualora la
disciplina dei controlli introdotta dall’art. 6, comma 3, del d.l. n. 174 del
2012, venisse riferita non già agli "enti locali”, come si desume dal tenore
letterale del comma 1, bensì anche alle Province autonome, stante la locuzione
«enti territoriali» utilizzata dal legislatore, la ricorrente deduce altresì
l’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 di detto articolo per violazione
dei parametri da essa stessa invocati con riguardo all’impugnazione dell’art.
1, comma 16, del d.l. n. 174 del 2012. Infatti detti commi, introducendo un
controllo della Corte dei conti sulla Provincia autonoma di Trento ulteriore
rispetto a quanto previsto dal suo statuto speciale e dalle norme di attuazione
dello stesso, contrasterebbe con i suddetti parametri sulla scorta degli
argomenti spesi dalla stessa Provincia con riguardo all’impugnazione dell’art.
1, comma 16, «con l’aggravante» che detto controllo è svolto da organi
ministeriali e non da un organo imparziale quale la Corte dei conti. Sarebbe
inoltre violata «la potestà legislativa della provincia in materia di
organizzazione interna» in quanto tale competenza comprenderebbe la potestà di
regolare il bilancio provinciale e le verifiche contabili. I commi 1 e 2
dell’art. 6 del d.l. n. 174 del 2012 violerebbero, infine, l’art. 3 Cost., sotto
il profilo della «irragionevolezza per contraddittorietà», perché
applicherebbero alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano
delle verifiche sulla regolarità amministrativo-contabile «ai sensi dell’art.
14, comma 1, lettera d), della legge
31 dicembre 2009, n. 196», cioè di una disposizione che prevede che tali
verifiche vengono effettuate «ad eccezione [che nei confronti] delle regioni e
delle province autonome di Trento e di Bolzano».
Deduce infine la ricorrente che il comma
3, sempre se interpretato nel senso che esso riferisce i controlli indicati
anche alle Province autonome, violerebbe «lo Statuto e [il] dPR
305/1988, che regolano in modo completo i controlli statali sulla Provincia»,
nonché la «speciale autonomia finanziaria della Provincia, quale configurata
dall’art. 79 e dall’art. 104 dello Statuto, dal d.lgs. 268/1992, dall’art. 27
l. 42/2009 e dal principio dell’accordo che regola i rapporti finanziari tra
Stato e Regioni speciali», perché, introducendo un controllo della Corte dei
conti sulla Provincia autonoma di Trento ulteriore e non avente carattere
meramente collaborativo, contrasterebbe con gli invocati parametri sulla scorta
degli argomenti spesi dalla stessa Provincia con riguardo all’impugnazione
dell’art. 1, comma 16, del d.l. n. 174 del 2012.
4.– Con atto depositato nella cancelleria il 15 marzo
2013, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Provincia autonoma di
Trento siano dichiarate inammissibili o non fondate.
L’Avvocatura dello Stato deduce
anzitutto l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 16, del d.l. n. 174 del 2012, atteso che la ricorrente
avrebbe dovuto impugnare anche le altre disposizioni contenute nell’art. 1
(vale a dire quelle a cui la Provincia autonoma è chiamata ad adeguarsi),
derivando il lamentato pregiudizio alle sue prerogative costituzionali non già
dalla sola clausola di salvaguardia (di per sé favorevole alla Provincia
autonoma), bensì dal combinato disposto della medesima con le norme a cui essa
si riferisce, ed essendo queste ultime – secondo la ricorrente – lesive delle
competenze statutarie.
Nel merito, secondo il Presidente del
Consiglio dei ministri la censura sarebbe comunque infondata, in quanto la
disposizione impugnata, nel prevedere che le Regioni
a statuto speciale e le Province autonome adeguino il proprio ordinamento alle
introdotte disposizioni, appare pienamente rispettosa delle autonomie speciali,
che, essendo parte integrante del settore pubblico allargato, non possono
essere sottratte ai controlli sulla gestione finanziaria da parte della Corte
dei conti (è richiamata la sentenza n. 267 del
2006).
4.1.– Quanto alla questione
promossa in relazione all’art. 6, commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 174 del 2012,
rileva il Presidente del Consiglio dei ministri che gli introdotti controlli
sulla contabilità degli enti locali, effettuati anche mediante le verifiche del
Ministero dell’economia e delle finanze sulla regolarità della gestione
amministrativo-contabile, nonché il ricorso ai Servizi ispettivi di finanza
pubblica della Ragioneria generale dello Stato, ai fini dello svolgimento di
analisi sulla spesa pubblica degli enti locali, sarebbero riconducibili a forme
di controllo di tipo collaborativo da parte della Corte dei conti e
sfuggirebbero pertanto alle censure della Regione ricorrente (sentenza n. 267 del
2006).
5.– Con ricorso notificato il 5 febbraio 2013 e
depositato nella cancelleria il successivo 15 febbraio (reg. ric. n. 20 del
2013), la Regione autonoma Sardegna ha promosso questioni di legittimità
costituzionale relative a diverse disposizioni del d.l. n. 174 del 2012.
5.1.– Tra le norme impugnate rientrano: l’art. 1, commi da 1 a 9, da 10 a 12 e 16, l’art. 3, comma 1,
lettera e), l’art. 6 e l’art. 11-bis, censurati dalla Regione ricorrente
per violazione degli articoli 3, 116, 117, 118, 119 e 127 Cost., degli artt.
3, 4, 5, 6, 7, 8, 15, 16, 19, 23, 24, 26, 33, 34, 35, 37, 46, 50, 54 e 56 della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
nonché degli articoli
1, 4, 5, 10 del decreto del Presidente della Repubblica 16 gennaio 1978, n. 21
(Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna concernente il
controllo sugli atti della Regione).
5.2.– Premessa una ricostruzione del contenuto normativo
dell’art. 1, commi da 1 a 8, del d.l. n. 174 del 2012, asserisce la Regione ricorrente
che le disposizioni impugnate impingono in profondità
nell’autonomia regionale, reintroducendo il sistema dei controlli preventivi di
legittimità e attribuendo particolari competenze sia alla Corte dei conti, sia
all’amministrazione statale, che in parte illegittimamente comprimerebbero e in
parte usurperebbero le attribuzioni costituzionali e statutarie della Regione.
Afferma la ricorrente che le
disposizioni impugnate violerebbero anzitutto: a) gli artt. 7 e 8 dello statuto
di autonomia e l’art. 119 Cost., i quali riconoscono l’autonomia finanziaria
della Regione di cui costituisce «elemento cardine» l’autonoma redazione e
approvazione del bilancio regionale, perché istituiscono un nuovo controllo preventivo e successivo di legittimità su
detto bilancio regionale, suscettibile di portare anche a «gravi conseguenze di
contenuto sostanzialmente sanzionatorio», che è tale da escludere l’effettiva
autonomia delle scelte di bilancio; b) l’art. 117,
terzo comma, Cost., in relazione alla competenza legislativa nella materia
«coordinamento della finanza pubblica», perché la lesione dell’autonomia
finanziaria della Regione Sardegna indicata sub
a) si traduce anche nella compressione della potestà legislativa regionale in
materia di «coordinamento della finanza pubblica» atteso che tale competenza è
la «logica conseguenza» dell’autonomia finanziaria regionale; c) gli artt. 3, 4
e 5 dello statuto speciale per la Sardegna, che enumerano le competenze
legislative, rispettivamente, esclusiva, concorrente e integrativa/attuativa
della Regione; d) l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., che, «in ragione
della clausola di cui all’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001», conferiscono
alla Regione ulteriori competenze legislative in via concorrente o residuale;
e) l’art. 6 dello stesso statuto speciale, che stabilisce che la Regione
esercita le funzioni amministrative nelle materie nelle quali ha potestà
legislativa; f) l’art. 118 Cost., anch’esso «in riferimento all’art. 10 della
l. cost. n. 3 del 2001», perché la preclusione dell’«attuazione dei programmi
di spesa [per i quali è stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza
della relativa sostenibilità finanziaria]», prevista come sanzione per il caso
di inottemperanza agli obblighi introdotti a carico della Regione, «si traduce
nell’impossibilità di svolgere le funzioni pubbliche attribuite alla Regione
dallo Statuto e dalla Costituzione ai sensi delle disposizioni […] invocate».
Sarebbero altresì violati
l’art. 33 dello statuto speciale, che
prevedrebbe, quale unica forma di controllo preventivo delle leggi della
Regione autonoma Sardegna, la comunicazione della legge approvata dal Consiglio
regionale al Governo della Repubblica prima della sua promulgazione e l’art. 127 Cost., che, «in forza dell’art. 10
della l. cost. n. 3 del 2011», ha «ormai superato» detto controllo preventivo,
sicché «anche e soprattutto tale parametro […] è violato», perché, prevedendo
un controllo ulteriore sulla legge regionale di approvazione del bilancio, le
norme impugnate alterano il «regime della legge regionale» definito dalle
invocate norme di rango costituzionale il quale «non può essere modificato da
una fonte legislativa ordinaria».
In particolare, gli
impugnati commi 4 e 5 dell’art. 1, pretendendo di disciplinare il contenuto del
rendiconto generale e il relativo giudizio di parificazione da parte della
sezione regionale della Corte dei conti «sostituendosi alle norme di
attuazione», violerebbero anche gli articoli 54 e 56 dello statuto (il primo, che riserva alla legge costituzionale le
modificazioni dello statuto e, il secondo, che stabilisce il procedimento per
l’adozione delle norme di attuazione, le quali costituirebbero la «forma minima
di definizione del regime dei controlli sulla Regione Sardegna»), in combinato
disposto con l’art. 10 del d.P.R. n. 21 del 1978 − il quale disciplina il giudizio di "verificazione” sul
rendiconto generale della Regione da parte della sezione regionale della Corte
dei conti, su cui si pronunciano le sezioni unite dell’organo di controllo ai sensi
dell’art. 40 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo
unico delle leggi sulla Corte dei conti) che coinciderebbe pertanto con il
giudizio di "parificazione” introdotto dall’impugnato art. 1, comma 5, del d.l.
n. 174 del 2012 (al riguardo, è richiamata anche la pronuncia della Corte dei
conti Regione Sardegna, sezione di controllo, 2 giugno 1992, n. 89) −
nonché l’art. 116 Cost., che prevede la particolare autonomia della Regione
Sardegna «cui è preordinato lo stesso meccanismo di adozione delle norme di
attuazione dello Statuto» e con «i parametri sopra invocati». Ciò in quanto i controlli sul bilancio regionale
potrebbero essere disposti soltanto con norme costituzionali, statutarie o di
attuazione dello statuto. Sul punto, è richiamato l’orientamento della Corte
costituzionale, la quale ha affermato che «le norme di attuazione degli statuti
speciali possiedono un sicuro ruolo interpretativo ed integrativo delle stesse
espressioni statutarie che delimitano le sfere di competenza delle Regioni ad
autonomia speciale e non possono essere modificate che mediante atti adottati
con il procedimento appositamente previsto negli statuti» (sentenze n. 341 del
2001; n. 213
e n. 137 del
1998; sono richiamate anche le sentenze n. 23 del
2011 e n.
262 del 2009, circa la necessità di preservare la complessiva architettura
istituzionale, ispirata ai principi della divisione dei poteri e del loro
equilibrio, riferita alle guarentigie dei componenti degli organi
costituzionali, che varrebbero – secondo la ricorrente – anche quanto alle
garanzie di autonomia delle Regioni speciali).
5.3.– La Regione autonoma
Sardegna deduce poi l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 1 a 8, del d.l. n. 174 del 2012, in
riferimento agli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e all’art. 119 Cost., i
quali «assicurano alla Regione autonomia finanziaria qualificata»; all’art.
117, terzo comma, Cost., in relazione alla materia «coordinamento della finanza
pubblica»; all’art. 116 Cost.; agli artt. 54 e 56 dello statuto speciale e 10
del d.P.R. n. 21 del 1978, «che prevedono la maggiore autonomia
economico-finanziaria della Regione Sardegna (almeno) attraverso la previsione
dello speciale procedimento di attuazione statutaria»; nonché agli artt. 3, 4,
5 e 6 dello statuto speciale della Regione autonoma Sardegna e 117 Cost., «che
affidano alla Regione funzioni pubbliche», con riguardo anche alla
giurisprudenza costituzionale la quale ha chiarito che la previsione di una
forma di controllo ulteriore della Corte dei conti non può che configurare
quest’ultimo in modo collaborativo, rimettendolo in via esclusiva al giudice
contabile, quale organo terzo ed imparziale, al servizio dello Stato-comunità,
in maniera tale da limitarlo alla segnalazione di eventuali disfunzioni
all’ente controllato, riservando così all’ente stesso l’adozione delle misure
correttive necessarie (sono richiamate le sentenze n. 179 del
2007, resa in riferimento ad una Regione a statuto speciale, n. 267 del 2006
e n. 29 del 1995).
Le norme impugnate introdurrebbero invece controlli preordinati al verificarsi
di conseguenze sanzionatorie e repressive, quali la trasmissione degli atti
alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dell’economia e delle
finanze «per le determinazioni di competenza» prevista dal comma 8 e il blocco
indifferenziato dell’attuazione dei programmi di spesa «per i quali è stata
accertata la mancata copertura o l’insussistenza della relativa sostenibilità
finanziaria» previsto dal comma 7 – quest’ultimo particolarmente lesivo per la
Regione Sardegna, che finanzia senza apporti dello Stato e solo con entrate da
compartecipazioni servizi pubblici essenziali come i trasporti e la sanità −
nonché, nel caso di cui al comma 8, esercitati da soggetti non terzi ma
appartenenti «all’apparato burocratico-ministeriale dello Stato».
5.4.– La Regione autonoma
Sardegna deduce altresì l’illegittimità costituzionale dei commi 9, 10, 11 e 12
dell’impugnato art. 1, che disciplinano i controlli sulla gestione
economico-finanziaria dei fondi assegnati ai gruppi consiliari.
5.4.1.– Le norme impugnate
violerebbero infatti gli artt. 7 e 8 dello statuto speciale e l’art. 119 Cost.,
che tutelano e garantiscono l’autonomia finanziaria della Regione, della quale
l’autonomia di gestione delle risorse da parte dei gruppi consiliari presso il
Consiglio regionale è una forma particolare di svolgimento, nonché l’art. 15
dello statuto, che riserva alla legge regionale, con il solo limite
dell’«armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della
Repubblica» la determinazione della «forma di governo della Regione»,
rientrando – secondo la difesa regionale – la disciplina dell’attività dei
gruppi consiliari e dei contributi loro corrisposti nella forma di governo
regionale.
5.4.2.– Ad avviso della
ricorrente, il comma 10 violerebbe poi gli artt. 15 e 35 dello statuto, i quali disciplinano il rapporto tra il Presidente
della Regione autonoma Sardegna e il Consiglio regionale della stessa Regione,
perché, col prevedere una competenza alla verifica dei rendiconti dei gruppi
consiliari, seppure al solo fine di raccolta e trasmissione degli atti, del
Presidente della Regione, così inserendolo tra i soggetti attivi del
procedimento di controllo dell’attività del Consiglio regionale, «ribalta» il
rapporto tra il Presidente della Regione autonoma Sardegna e il Consiglio
regionale della stessa Regione come disciplinato dagli invocati parametri
statutari.
5.4.3.– I commi 9, 10, 11 e
12 dell’impugnato art. 1 violerebbero – oltre all’art. 15 dello statuto, che, come visto, riserva alla legge regionale la
determinazione della «forma di governo della Regione», in quanto, dettando una
disciplina dell’attività dei gruppi consiliari e dei contributi ad essi
corrisposti che concerne la forma di governo della Regione, modifica
quest’ultima, così violando la riserva di competenza prevista in materia in
capo alla Regione autonoma Sardegna dal parametro invocato – altresì: l’art. 26 dello statuto, che riserva alla legge regionale
la fissazione dell’indennità dei consiglieri regionali, in quanto le norme
impugnate impingerebbero in questa sfera di assoluta
autonomia della Regione, dal momento che le erogazioni a favore del gruppo
regionale, così come le indennità dei singoli consiglieri, garantirebbero
l’indipendenza politica del gruppo che ne beneficia, in ossequio al principio
del libero mandato rappresentativo tutelato dagli artt. 23 e 24 dello statuto;
l’art. 19 dello statuto, che riserva al Consiglio regionale l’adozione del
proprio «regolamento interno, che esso adotta a maggioranza assoluta dei suoi
componenti», essendo il parametro in parola preordinato a garantire al
Consiglio regionale la particolare autonomia che si attaglia all’organo
regionale massimamente rappresentativo e dovendosi, perciò, demandare a detta
fonte la materia dei controlli sui gruppi consiliari.
5.4.4.– La ricorrente
Regione autonoma Sardegna lamenta quindi che i commi 9 e da 10 a 12
dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012 ledono i parametri statutari e costituzionali
già invocati con riguardo alle censure formulate avverso i commi da 1 a 8 dello
stesso art. 1.
Anche in relazione a tali
commi osserva la ricorrente che manca quella forma collaborativa, richiesta
dalla giurisprudenza costituzionale, del controllo esercitato dalla Corte dei
conti sugli enti autonomi, essendo invece quello introdotto preordinato al
verificarsi di conseguenze sanzionatorie e repressive.
5.4.5.– La ricorrente
Regione autonoma Sardegna censura infine anche il comma 16 dell’art. 1, in
quanto l’adeguamento dell’ordinamento regionale alle disposizioni dell’art. 1
comporterebbe a suo dire necessariamente, se non la revisione dello statuto,
quantomeno la revisione delle norme di attuazione statutaria, vale a dire del
d.P.R. n. 21 del 1978. Ne conseguirebbe, non avendo la Regione nella sua
esclusiva disponibilità la modificazione delle norme di attuazione, la
violazione, oltre che dell’art. 54 dello statuto, dell’art. 56 dello stesso e
dell’art. 116 Cost., che tutela la maggiore autonomia delle Regioni a statuto
speciale proprio attraverso il riconoscimento della particolare posizione dello
statuto speciale (e, dunque, delle relative norme di attuazione) nel sistema
delle fonti (al riguardo, è richiamata la sentenza di questa
Corte n. 198 del 2012).
Sarebbero «indirettamente» violati dal
comma 16 dell’art. 1 anche gli artt. 7, 8, 15, 19, 26, 33 e 35 dello statuto
speciale e gli artt. 117 e 119 Cost., atteso che detto comma costringe la
Regione autonoma Sardegna a subire le lesioni delle proprie attribuzioni
costituzionali e statutarie garantite da detti parametri e già messe in luce
nelle censure promosse avverso le altre disposizioni dell’art. 1 dello stesso
d.l. n. 174 del 2012 alle quali l’ordinamento regionale deve essere adeguato.
5.5.– La ricorrente Regione autonoma Sardegna deduce
poi l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera e), del d.l. n. 174 del 2012, che ha
integralmente sostituito l’art. 148 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e aggiunto
l’art. 148-bis, prevedendo ulteriori
poteri di controllo della Corte dei conti sulla gestione degli enti locali,
anche mediante il ricorso a verifiche del Dipartimento della Ragioneria
generale dello Stato sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile,
ai sensi dell’art. 14, comma 1, lettera d),
della legge n. 196 del 2009, incidendo, in tal modo, nella materia «ordinamento
degli enti locali», riservata alla competenza legislativa esclusiva della
Regione ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera b), del suo statuto, che includerebbe anche la disciplina dei
controlli sugli enti locali, «compresi quelli sulla finanza» (sono richiamate
le sentenze di
questa Corte n. 275 del 2007 e n. 415 del 1994).
Con un secondo motivo di censura, la
ricorrente asserisce che la norma impugnata violerebbe anche l’art. 46 dello
statuto, che riserva il controllo sugli atti degli enti locali ad organi della
Regione, nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale, nonché l’art. 6
dello statuto che regola l’esercizio delle funzioni amministrative della
Regione in ossequio al cosiddetto principio del parallelismo delle funzioni in
base al quale l’esercizio delle funzioni amministrative è attribuito allo
stesso soggetto istituzionale dotato di competenza legislativa (è richiamata la
sentenza di
questa Corte n. 51 del 2006).
Con un ulteriore motivo di censura, la
Regione autonoma Sardegna deduce anche la violazione degli artt. 3, comma 1,
lettera b), 6 e 46 dello statuto,
nonché dell’art. 116 Cost., «anche in relazione agli artt. 54 e 56 dello
Statuto», atteso che, incidendo la disciplina dei controlli sugli enti locali
sulla competenza legislativa esclusiva della Regione ai sensi degli evocati
artt. 3, comma 1, lettera b) e 46
dello statuto, nonché sulle attribuzioni di funzioni amministrative ai sensi
dell’evocato art. 6 dello statuto, la materia avrebbe potuto essere
legittimamente regolata soltanto mediante revisione delle norme statutarie o
delle relative norme di attuazione.
5.6.– La ricorrente deduce
altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 del d.l. n. 174 del 2012,
che attribuisce all’amministrazione ministeriale e alla Corte dei conti
ulteriori poteri di controllo sull’attività degli enti locali, per violazione
dell’art. 3, comma 1, lettera b),
dello statuto, il quale riserva alla competenza legislativa esclusiva della
Regione la materia «ordinamento degli enti locali», comprensiva dell’ambito
relativo alla «finanza locale» (è richiamata la sentenza di questa
Corte n. 275 del 2007), nonché degli artt. 46 dello statuto (che riserva ad
organi della Regione il controllo sugli atti degli enti locali) e 6 del
medesimo, in quanto la norma impugnata affida a soggetti non riconducibili
all’ordinamento regionale le funzioni amministrative disciplinate.
Con ulteriore motivo di
censura, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 3, comma 1, lettera b), 6 e 46, dello statuto, in combinato
disposto con l’art. 56 dello statuto, nonché con l’art. 116 Cost. e con l’art.
1 del d.P.R. n. 21 del 1978, atteso che «il comma 4 dell’art. 6 del d.l. n. 174
del 2012, attribuendo alla Sezione delle autonomie della Corte dei conti la
possibilità di adottare una "delibera di orientamento” per il controllo sugli
enti locali, di fatto affida la normazione sul controllo sugli enti locali
della Regione ad un’articolazione della medesima Corte», ponendosi in tal modo
in contrasto anche con l’art. 54 dello statuto che riserva alla legge
costituzionale (o alla speciale fonte di cui al comma 5) la revisione dello
statuto stesso.
L’art. 6 violerebbe anche gli artt. 3,
comma 1, lettera b), 6 e 46 dello
statuto speciale per la Sardegna, «anche in relazione» all’art. 56 dello stesso
statuto e agli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. n. 21 del 1978, «nella misura in cui
l’intera disciplina dei controlli di cui all’art. 6 del d.l. n. 174 del 2012 è
stata introdotta non attraverso le "norme di attuazione dello Statuto”, bensì
da un atto avente forza di legge adottato dallo Stato senza alcuna
partecipazione della Regione», «come già osservato a proposito dell’art. 3,
comma 1, lett. e) del d. l. n. 174
del 2012».
5.7.– La Regione autonoma
Sardegna deduce infine l’illegittimità costituzionale dell’art. 11-bis del d.l. n. 174 del 2012, atteso che
la formulazione dell’impugnata clausola di salvaguardia omette di «direttamente limitare il raggio applicativo delle disposizioni
che [il legislatore statale] andava dettando, espressamente prevedendo che gli
ambiti di competenza delle Regioni a statuto speciale si intendevano comunque
fatti salvi dall’applicazione del d.l. n. 174 del 2012», così consentendo che
tale decreto «si applichi anche in violazione» dei parametri invocati nelle
censure avanzate avverso le altre disposizioni dello stesso. Al riguardo, è richiamata la sentenza di questa
Corte n. 241 del 2012 (punto 4.2. del Considerato
in diritto), a proposito della formulazione dell’art. 19-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n.
138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14
settembre 2011, n. 148 – secondo cui: «L’attuazione delle disposizioni del presente decreto nelle regioni a
statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano avviene nel
rispetto dei loro statuti e delle relative norme di attuazione e secondo quanto previsto dall’articolo 27 della legge
5 maggio
2009, n. 42» –, ritenuta effettivamente idonea a garantire le autonomie speciali al
contrario della più restrittiva disposizione impugnata.
6.– Con atto depositato nella cancelleria il 15 marzo
2013, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le
questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione autonoma
Sardegna siano dichiarate non fondate.
Osserva l’Avvocatura dello Stato che
l’intervento del legislatore statale è dichiaratamente rivolto al rafforzamento
del «coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di
governo statale e regionale», con particolare riguardo al «rispetto dei vincoli
finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea».
6.1.– In relazione agli
impugnati commi 3, 4 e 7 dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, quanto all’asserita violazione dell’art. 127 Cost.,
osserva il Presidente del Consiglio dei ministri che le disposizioni impugnate,
volte a salvaguardare i conti pubblici e l’equilibrio di bilancio, non
introdurrebbero un nuovo tipo di controllo sulla legge regionale di approvazione
del bilancio, limitandosi piuttosto a prevedere una verifica di carattere
tecnico ed imparziale sui bilanci regionali, salvaguardando peraltro la
possibilità di un autonomo intervento delle amministrazioni competenti laddove
dovessero emergere irregolarità.
6.2.– Quanto alle censure
rivolte alle norme relative al sistema dei controlli, l’Avvocatura dello Stato
richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte
costituzionale secondo cui il legislatore statale è libero di assegnare alla
Corte dei conti qualsiasi forma di controllo, purché vi sia un fondamento
costituzionale, rilevando a tal riguardo, nel caso in esame, l’art. 100,
secondo comma, Cost. – che attribuisce alla Corte dei conti il controllo
successivo sulla gestione del bilancio, riferito non solo al bilancio dello
Stato, ma a quello di tutti gli enti pubblici che costituiscono, nel loro
insieme, il bilancio della finanza pubblica allargata (sono richiamate le sentenze n. 179 del
2007, n. 267
del 2006 e n.
29 del 1995) – nonché gli artt. 97
Cost. (buon andamento della pubblica amministrazione), 28 Cost. (responsabilità
dei pubblici funzionari), 81 Cost. (equilibrio di bilancio) e 119 Cost.
(coordinamento della finanza regionale con quella statale, provinciale e
comunale).
Ad avviso del Presidente del
Consiglio dei ministri, le norme impugnate introdurrebbero pertanto un tipo di
controllo finalizzato ad assicurare, in vista dell’unità economica della
Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, la sana gestione
finanziaria degli enti locali, nonché il rispetto del patto di stabilità
interno e del vincolo in materia di indebitamento posto dall’ultimo comma
dell’art. 119 Cost. mediante un riesame di legalità e regolarità finalizzato
all’adozione di effettive misure correttive da parte degli stessi enti
interessati.
Tale controllo – sostiene il
resistente – rientrerebbe nella competenza legislativa statale di dettare
principi nella materia «armonizzazione dei bilanci e coordinamento della
finanza pubblica» e sarebbe esercitato dalla Corte dei conti in un’ottica
"collaborativa”, nel senso che l’organo di controllo si limiterebbe a segnalare
all’ente controllato le eventuali disfunzioni rimettendo all’ente stesso
l’adozione delle necessarie misure correttive (sentenza n. 179 del
2007).
6.3.– Osserva l’Avvocatura
dello Stato che quanto detto varrebbe anche in relazione alle norme che
disciplinano il controllo sull’operato dei gruppi consiliari (art. 1, commi 9 e
da 10 a 12).
Ne consegue che – ad avviso
del Presidente del Consiglio dei ministri – non vi sarebbe alcun vulnus all’autonomia della forma di
governo regionale, in quanto le disposizioni in esame, lungi dall’incidere sui
meccanismi di funzionamento dei gruppi consiliari, si limiterebbero a prevedere
un controllo sulla gestione della loro contabilità per esigenze di
coordinamento della finanza pubblica.
6.4.– Quanto alla censura,
mossa avverso il comma 16, con cui la Regione autonoma Sardegna deduce che la
materia in esame non potrebbe essere disciplinata con legge ordinaria in quanto
già compiutamente regolata dalle norme di attuazione statutaria concernenti il
controllo sugli atti della Regione (d.P.R. n. 21 del 1978), l’Avvocatura dello
Stato osserva che la norma impugnata, nel prevedere che le Regioni a statuto
speciale e le Province autonome adeguino il proprio ordinamento alle
disposizioni introdotte dall’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, appare pienamente
rispettosa delle autonomie speciali, che, essendo parte integrante del settore
pubblico allargato, non possono essere sottratte ai controlli sulla gestione
finanziaria da parte della Corte dei conti (è richiamata la sentenza n. 267 del
2006).
6.5.– Quanto alle censure
avverso il comma 2 dell’art. 1, che ha introdotto le relazioni semestrali sulla
legislazione di spesa regionale, osserva il Presidente del Consiglio dei
ministri che le norme impugnate, ben lungi dal pregiudicare le prerogative
statutarie, hanno la funzione di arricchire il patrimonio di conoscenza dei
consigli regionali sui profili relativi alla copertura finanziaria delle leggi
e di offrire al legislatore regionale utili elementi sulle possibili criticità
della legislazione di spesa, nell’ambito della funzione di controllo
collaborativo svolta dalla Corte dei conti.
6.6.– In relazione alla
questione promossa in riferimento al comma 5 dell’art. 1, che ha introdotto la
parifica del rendiconto generale delle Regioni, l’Avvocatura dello Stato
osserva che le norme impugnate non violerebbero l’autonomia finanziaria
regionale, in quanto orientate a garantire una coerente e compiuta definizione
del quadro normativo dei controlli esterni sulle autonomie territoriali,
colmando una asimmetria rispetto a quanto previsto per lo Stato.
6.7.– Quanto alle censure
rivolte agli artt. 3, comma 1, lettera e),
e 6 del d.l. n. 174 del 2012, rileva il Presidente del Consiglio dei ministri
che gli introdotti controlli sulla contabilità degli enti locali, effettuati
anche mediante le verifiche del Ministero dell’economia e delle finanze sulla
regolarità della gestione amministrativo-contabile, nonché il ricorso ai
Servizi ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato, ai
fini dello svolgimento di analisi sulla spesa pubblica degli enti locali,
sarebbero riconducibili a forme di controllo di tipo collaborativo e
sfuggirebbero pertanto alle censure della Regione ricorrente.
6.8.– Quanto alla questione
promossa in relazione all’art. 11-bis
del d.l. n. 174 del 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che
la disposizione impugnata, ancorché differisca da quella introdotta dall’art.
19-bis del d.l. n. 138 del 2011 (in
cui, come osservato dalla ricorrente, è espressamente previsto il rispetto
degli statuti speciali), sarebbe idonea a salvaguardare l’autonomia della
Regione Sardegna, trattandosi di una differenza puramente terminologica che non
inciderebbe sul significato della disposizione in esame e, quindi, sulla
portata ed efficacia della clausola di salvaguardia.
7. – Con memoria depositata in data 8 novembre 2013, la
ricorrente Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha svolto alcune osservazioni
in replica all’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri.
7.1. – Quanto ai commi da 2 a 7 dell’art. 1 del d.l. n. 174
del 2012, deduce anzitutto la ricorrente che: il comma 3 è stato attuato con
delibera della Corte dei conti, sezione delle autonomie, 22 febbraio 2013, n. 6
(Linee guida per le relazioni dei revisori dei conti delle regioni sui bilanci di
previsione per il 2013 e sui rendiconti per il 2012, secondo le procedure di
cui all’articolo 1, comma 166 e seguenti, legge 23 dicembre 2005, n. 266,
richiamato dall’articolo 1, comma 3, decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213), la quale,
in relazione alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, ha
disposto che le stesse "Linee guida” costituiscono «supporto operativo» anche
per gli enti territoriali dotati di autonomia particolare, «nel rispetto degli
specifici regimi di disciplina», riconoscendo, in tal modo, l’esistenza di un
regime differenziato nell’applicazione delle norme impugnate; il comma 6 è
stato attuato con delibera della Corte dei conti, sezione delle autonomie, 11
febbraio 2013, n. 5 (Linee guida per la relazione annuale del Presidente della
regione sulla regolarità della gestione, sull’efficacia e adeguatezza del
sistema dei controlli interni, ai sensi dell’articolo 1, comma 6, del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 213/2012), ritenendo, quindi, che lo stesso impugnato comma 6 si debba
interpretare nel senso che le "Linee guida” non riguardano il sistema dei
controlli interni, ma la relazione annuale del Presidente della Regione.
Quanto alla censura mossa in riferimento
all’art. 127 Cost., la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia osserva che il
resistente si limiterebbe ad affermare che non sarebbe introdotto un nuovo tipo
di controllo sulla legge regionale di approvazione del bilancio, bensì una mera
«verifica di carattere tecnico ed imparziale», senza però spiegare perché detta
verifica non dovrebbe essere considerata una forma di controllo.
Richiamando, poi, la giurisprudenza
della Corte costituzionale che ha costantemente affermato che il legislatore
statale è libero di assegnare alla Corte dei conti qualsiasi forma di
controllo, purché vi sia un fondamento costituzionale, in considerazione del
suo carattere collaborativo, secondo la ricorrente, l’Avvocatura dello Stato
non avrebbe replicato alle censure motivate in ragione dell’asserito carattere
coercitivo e sanzionatorio dei controlli introdotti dalle norme impugnate.
7.2. – Quanto, invece, alle repliche dell’Avvocatura dello
Stato in relazione alle censure avverso i commi 9, 10, 11 e 12 dell’art. 1 del
d.l. n. 174 del 2012, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ribadisce che
il controllo introdotto sui gruppi consiliari con le norme impugnate non può
ricondursi ai controlli di natura collaborativa.
7.3. – Quanto alle repliche alle censure avverso il comma
16 dell’art. 1, la Regione ribadisce quanto dedotto nel ricorso, atteso che la
clausola di salvaguardia "speciale”, riferita, cioè, all’applicazione delle
disposizioni dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, non garantirebbe gli enti
dotati di autonomia particolare, consentendo al legislatore statale di
intervenire in ambiti di competenza riservati invece alle "speciali” fonti di
autonomia.
7.4. – In relazione alla sollevata questione di legittimità
dell’art. 3, comma 1, lettera e), del medesimo d.l. n. 174 del 2012
stante la mancanza di repliche dell’Avvocatura dello Stato circa l’evocato
contrasto delle disposizioni impugnate con il d.lgs. n. 9 del 1997, attuativo
dell’art. 4, numero 1-bis) dello
statuto, la ricorrente ribadisce che potrebbe darsi un’interpretazione adeguatrice della norma impugnata, nel senso che essa non
si applichi alle autonomie speciali, tenendo conto di quanto disposto dall’art.
1, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000 (modificato dalle norme impugnate),
secondo cui: «Le disposizioni del presente testo unico non si applicano alle
regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano se
incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme
di attuazione».
7.5. – In relazione alle censure avverso l’art. 6, commi 1,
2 e 3, ad avviso della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la sentenza della
Corte costituzionale n. 219 del 2013 confermerebbe la fondatezza della
questione sollevata in via subordinata, avendo la Corte accolto censure avverso
norme analoghe, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 5 del d.lgs.
6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a
regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5
maggio 2009, n. 42), nel testo introdotto dall’art. 1-bis, comma 4, del
d.l. n. 174 del 2012, in quanto esso attribuiva «non al giudice contabile, ma
direttamente al Governo un potere di verifica sull’intero spettro delle
attività amministrative e finanziarie della Regione, nel caso di squilibrio
finanziario, per mezzo dei propri servizi ispettivi».
7.6. – Quanto, infine, alla replica alla censura avverso
l’art. 11-bis, relativo alla clausola di salvaguardia "generale”, circa
le modalità di applicazione dell’impugnato d.l. n. 174 del 2012 alle autonomie
speciali, la ricorrente deduce che i riferimenti dell’Avvocatura dello Stato
alle modalità di attuazione delle disposizioni impugnate – la quale dovrà
avvenire nel rispetto degli statuti speciali e delle norme di attuazione –
sembrerebbero scongiurare il paventato rischio di un’applicazione diretta del
decreto-legge. Cionondimeno, il richiamo alla sentenza di questa
Corte n. 241 del 2012 non si rivelerebbe del tutto pertinente, atteso che
la clausola di salvaguardia esaminata in quell’occasione (art. 19-bis del d.l. n. 138 del 2011) era
formulata in modo diverso, confermando, quindi, che vanno ribadite le censure
avverso la norma impugnata nella parte in cui menziona soltanto il rispetto
delle "forme” e non anche dei "limiti” posti dagli statuti e dalle norme di
attuazione, nonché le "disposizioni” anziché i "principi” posti dal d.l. n. 174
del 2012.
La Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia ha quindi ribadito le conclusioni già precedentemente rassegnate,
chiedendo che il ricorso venga accolto.
8.– Con memoria depositata il 12
novembre 2013, la ricorrente Provincia autonoma di Trento ha svolto alcune
osservazioni in replica all’atto di costituzione del Presidente del Consiglio
dei ministri.
8.1.– Quanto alle repliche alle censure
avverso il comma 16 dell’art. 1, la Provincia autonoma ribadisce quanto dedotto
nel ricorso, atteso che la clausola di salvaguardia "speciale”, riferita, cioè,
all’applicazione delle disposizioni dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, non
garantirebbe gli enti dotati di autonomia particolare, consentendo al
legislatore statale di intervenire in ambiti competenziali riservati invece
alle "speciali” fonti di autonomia.
8.2.– Replicando successivamente ai
rilievi dell’Avvocatura dello Stato sulle impugnate disposizioni dell’art. 1,
afferma la Provincia autonoma che, pur richiamando l’orientamento della Corte
costituzionale sul carattere "collaborativo” dei controlli, il Presidente del
Consiglio non avrebbe replicato alle censure motivate in ragione dell’asserito
carattere coercitivo e sanzionatorio dei controlli introdotti dalle norme
impugnate, né a quelle motivate in ragione della lesione della competenza
separata e riservata spettante in materia alle norme di attuazione (nonostante
l’interpretazione "svalutativa” di queste ultime che sarebbe stata avvalorata
dalla richiamata sentenza
n. 219 del 2013).
8.3.– Quanto, invece, alle deduzioni
dell’Avvocatura dello Stato in relazione alle censure avverso i commi 9, 10, 11
e 12 dell’art. 1, la Provincia autonoma di Trento afferma che il controllo
introdotto sui gruppi consiliari con le norme impugnate non può ricondursi ai
controlli di natura collaborativa.
8.4. – In relazione alle censure avverso l’art. 6, commi 1,
2 e 3, ad avviso della ricorrente la citata sentenza di questa
Corte n. 219 del 2013 confermerebbe la fondatezza della questione sollevata
in via subordinata, avendo la Corte accolto censure avverso norme analoghe,
dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 5 del d.lgs. n. 149 del 2011,
nel testo introdotto dall’art. 1-bis, comma 4, del d.l. n. 174 del 2012,
in quanto esso attribuiva «non al giudice contabile, ma direttamente al Governo
un potere di verifica sull’intero spettro delle attività amministrative e
finanziarie della Regione, nel caso di squilibrio finanziario, per mezzo dei
propri servizi ispettivi».
La Provincia autonoma di Trento ha
infine ribadito le conclusioni già precedentemente rassegnate, chiedendo che il
ricorso venga accolto.
9.– Con memoria depositata il 12
novembre 2013, la ricorrente Regione autonoma Sardegna ha svolto alcune
osservazioni in replica all’atto di costituzione del Presidente del Consiglio
dei ministri.
9.1.– Quanto alla censura avverso l’art.
11-bis, contenente la clausola di salvaguardia "generale”, che
disciplina le modalità di applicazione dell’impugnato d.l. n. 174 del 2012 alle
autonomie speciali, la ricorrente ribadisce quanto dedotto circa l’inidoneità
della disposizione censurata a salvaguardare la competenza riservata alle norme
statutarie e di attuazione.
9.2.– In via subordinata, qualora la
Corte costituzionale non ritenesse di confermare il richiamato orientamento, la
Regione autonoma Sardegna ribadisce quanto dedotto circa l’illegittimità costituzionale
anzitutto dell’art. 1, commi da 1 a 6, dell’impugnato d.l. n. 174 del 2012, che
istituiscono nuovi controlli della Corte dei conti sull’attività regionale,
nonché dell’art. 1, comma 16, dello stesso decreto, che impone l’adeguamento
degli ordinamenti delle autonomie speciali entro un anno dalla data di entrata
in vigore del medesimo decreto-legge.
Replicando ai rilievi dell’Avvocatura
dello Stato, osserva la ricorrente che le norme impugnate non istituirebbero
controlli di natura collaborativa, ponendosi, in tal modo, in contrasto con il
consolidato orientamento della Corte costituzionale (sentenze n. 179 del
2007, n. 417
e n. 64 del 2005,
n. 29 del 1995;
sono richiamate anche le sentenze n. 267 del
2006, n. 181
del 1999, n.
29 del 1995, n.
961 del 1988, nonché, quanto alla giurisprudenza della Corte che negherebbe
che la Corte dei conti possa svolgere un «generalizzato e diffuso potere di
controllo», le sentenze
n. 370 e n.
128 del 2010, n.
190 del 2008, n.
240 e n. 169
del 2007, n.
36 del 2004, n.
421 del 1998, n.
359 del 1993, n.
279 del 1992, n.
95 del 1981).
Ne consegue – secondo la ricorrente –
che la fonte idonea a coniugare le esigenze di coordinamento della finanza
pubblica con quelle dell’autonomia finanziaria sarebbe ravvisabile, in via
esclusiva, nelle norme di attuazione dello statuto di autonomia, peraltro
avendo già il d.P.R. n. 21 del 1978 disciplinato «il controllo di legittimità
sugli atti amministrativi della Regione, esclusa ogni valutazione di merito»
(art. 5) e il giudizio di parificazione del bilancio (art. 10).
9.3.– Analoghi rilievi circa l’assoluta
carenza del carattere collaborativo dei controlli sono svolti con riguardo alle
censure rivolte nei confronti degli impugnati commi 9 e da 10 a 12 dell’art. 1,
che prevedono, tra l’altro, l’automatica decadenza dei gruppi consiliari dal
diritto all’erogazione delle risorse in caso di mancato adeguamento alle
indicazioni del giudice contabile (comma 11).
In relazione alle richiamate norme
impugnate, la Regione autonoma Sardegna deduce anche la violazione degli artt.
122, quarto comma, Cost., e 25 dello statuto di autonomia, in ragione del quale
«i consiglieri regionali non possono essere perseguiti per le opinioni espresse
e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Al riguardo, è richiamata la
giurisprudenza costituzionale che avrebbe ricondotto anche la spendita dei
contributi economici destinati ai gruppi consiliari all’ambito materiale
disciplinato dalla legge 6 dicembre 1973, n. 853 (Autonomia
contabile e funzionale dei consigli regionali delle regioni a statuto
ordinario), per il quale varrebbe l’insindacabilità dei consiglieri
regionali, atteso che l’utilizzo di detti emolumenti sarebbe legato da un
evidente "nesso funzionale” con l’attività politico-istituzionale dei
consiglieri stessi (sono citate le sentenze di questa
Corte n. 289 del 1997 e n. 81 del 1975).
Secondo la ricorrente, in maniera simmetrica a quanto disposto, per le Regioni
a statuto ordinario, dalla richiamata legge n. 853 del 1973 rispetto all’art.
122, quarto comma, Cost., la legge della Regione autonoma Sardegna 7 aprile
1966, n. 2 (Provvedimenti
relativi al Consiglio Regionale della Sardegna) avrebbe fornito analoga
attuazione dell’art. 25 dello statuto, riservando in via esclusiva all’Ufficio
di Presidenza i controlli circa l’utilizzazione dei contributi erogati ai
gruppi consiliari (art. 1, comma 4).
9.4.– Quanto al comma 16 dell’art. 1, la
ricorrente ribadisce le censure rivolte alla norma che imporrebbe il necessario
e unilaterale adeguamento dell’ordinamento regionale alle disposizioni
dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, nonché il relativo termine temporale.
9.5.– Quanto, invece, alle repliche
dell’Avvocatura dello Stato in relazione alle censure avverso gli artt. 3,
comma 1, lettera e), e 6 del d.l. n.
174 del 2012, la Regione autonoma Sardegna ribadisce quanto dedotto nel
ricorso, osservando che le forme dei controlli esterni sulla finanza locale non
possono essere disciplinate dallo Stato, se non ledendo le attribuzioni
statutarie.
La Regione autonoma Sardegna ha infine
ribadito le conclusioni già precedentemente rassegnate, chiedendo che il ricorso
venga accolto.
Considerato in diritto
1.– Con tre ricorsi (rispettivamente registrati ai nn.
17, 20 e 18 del 2013), le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna e
la Provincia autonoma di Trento hanno
promosso questioni di legittimità costituzionale relative a diverse
disposizioni del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti
territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate
nel maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 7 dicembre 2012, n. 213.
Tra le norme impugnate rientrano: l’art.
1, commi da 1 a 8 (aventi ad oggetto il rafforzamento
della partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria
delle Regioni), 9 e da 10 a 12 (aventi ad oggetto i controlli sui gruppi
consiliari dei consigli regionali), e 16 (riguardante le modalità di
adeguamento degli ordinamenti delle Regioni a statuto speciale e delle Province
autonome alle disposizioni introdotte dall’art. 1); l’art. 3, comma 1, lettera e) (avente ad oggetto i controlli
esterni sugli enti locali); l’art. 6 (avente ad oggetto controlli sulla
gestione economico-finanziaria finalizzati all’applicazione della revisione
della spesa pubblica degli enti locali); l’art. 11-bis (relativo alla clausola di salvaguardia per le Regioni a
statuto speciale e le Province autonome).
La Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia si duole della lesione degli artt. 3, 24, 113,
116, 117, 118, 119, 127 e 134 della Costituzione, degli artt. 4, numeri 1) e 1-bis), 12, 13, 16, 18, 21, da 48 a 57,
41, 63 e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), degli artt. 33 e 36 del decreto
del Presidente della Repubblica 25 novembre 1975, n. 902 (Adeguamento ed integrazione delle norme di attuazione dello
statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e degli artt. 3, 4, 6 e 9
del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme
di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in
materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni),
nonché per contrasto con l’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al
Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119
della Costituzione) e con l’art. 1, commi 154 e 155, della legge 13 dicembre
2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge di stabilità 2011).
La Provincia autonoma di
Trento lamenta la violazione degli artt. 54, numero 5), da 69 a 86, 103, 104,
107, 108 e 109 del decreto del
Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione
del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per
il Trentino-Alto Adige), nonché degli artt. 2 del decreto del Presidente della
Repubblica 28 marzo 1975, n. 473 (Norme di attuazione dello Statuto per la regione Trentino-Alto Adige in
materia di finanza locale), 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992,
n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e
provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), 16 e 17 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n.
268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per
il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), 2 e 6
del decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione
Trentino-Alto Adige per l’istituzione delle sezioni di controllo della Corte
dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto), come
modificato dal decreto legislativo 14 settembre 2011, n. 166 (Norme di
attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige recanti
modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio
1988, n. 305, in materia di controllo della Corte dei conti).
La Regione Sardegna lamenta la lesione
degli articoli 3, 116, 117, 118, 119 e 127 Cost.,
degli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 15, 16, 19, 23, 24, 26, 33, 34, 35, 37, 46, 50,
54 e 56 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché degli
articoli 1, 4, 5, 10 del decreto del
Presidente della Repubblica 16 gennaio 1978, n. 21 (Norme
di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna concernente il controllo
sugli atti della Regione).
Il presente giudizio ha ad oggetto
unicamente l’impugnazione delle disposizioni del d.l. n. 174 del 2012 ora indicate,
mentre la trattazione delle questioni promosse dalle stesse ricorrenti nei
confronti di ulteriori disposizioni dello stesso d.l. n. 174 del 2012 è
riservata ad altre pronunce.
Stante l’evidente
connessione esistente tra i tre ricorsi, aventi ad oggetto la stessa materia ed
affidati a motivi identici, i relativi giudizi, come sopra delimitati, vanno
riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
2.– La risoluzione delle questioni come sopra
individuate presuppone che, in via preliminare, si identifichi la materia nella
quale le impugnate disposizioni si collocano. Secondo la costante
giurisprudenza costituzionale, le norme censurate
sono ascrivibili all’ambito materiale dell’«armonizzazione dei bilanci
pubblici e coordinamento della finanza pubblica» (art. 117, terzo comma,
Cost.), nel quale spetta al legislatore statale porre i principi fondamentali
di riferimento (ex plurimis,
sentenze n. 60
del 2013, n.
229 del 2011, n.
179 del 2007, n.
267 del 2006 e n.
29 del 1995).
Questa Corte ha infatti più volte
affermato che la disciplina posta dal legislatore statale in materia di
controlli sugli enti territoriali ha assunto maggior rilievo a seguito dei
vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, tra cui, in
particolare, l’obbligo imposto agli Stati membri di rispettare un determinato equilibrio
complessivo del bilancio nazionale. A tali vincoli, si riconnette
essenzialmente la normativa nazionale sul "patto di stabilità interno”, il
quale coinvolge Regioni ed enti locali nella realizzazione degli obiettivi di
finanza pubblica scaturenti, appunto, dai richiamati vincoli europei,
diversamente modulati negli anni in forza di disposizioni legislative,
costantemente qualificate come «princìpi fondamentali del coordinamento della
finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo
comma, della Costituzione» (sentenza n. 267 del
2006).
Ai fini della risoluzione di una parte
delle questioni prospettate dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e
Sardegna e dalla Provincia autonoma di Trento, occorre premettere alcune
considerazioni sui rapporti tra le modalità del rispetto degli obblighi
derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e del patto di
stabilità interno, in relazione al quale si pongono in connessione di
strumentalità alcune delle norme contenute nel decreto-legge n. 174 del 2012.
Il rispetto dei vincoli europei discende
direttamente, oltre che dai principi di coordinamento della finanza pubblica,
dall’art. 117, primo comma, Cost. e dall’art. 2, comma 1, della legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di
bilancio nella Carta costituzionale), che, nel comma premesso all’art. 97
Cost., richiama il complesso delle pubbliche amministrazioni, ad assicurare in
coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, l’equilibrio dei bilanci e la
sostenibilità del debito pubblico (sentenza n. 60 del
2013). Da ciò consegue la differenza tra i controlli di regolarità e
legittimità contabile, attribuiti alla Corte dei conti al fine di prevenire
squilibri di bilancio, e i controlli istituiti dalle autonomie speciali sulla
contabilità degli enti insistenti sul loro territorio e, più in generale, sulla
finanza pubblica di interesse regionale. Mentre questi ultimi sono resi
nell’interesse della Regione stessa e delle Province autonome, quelli affidati
alla Corte dei conti sono strumentali al rispetto degli obblighi che lo Stato
ha assunto nei confronti dell’Unione europea in ordine alle politiche di
bilancio. In questa prospettiva, funzionale ai principi di coordinamento e di
armonizzazione dei conti pubblici, essi possono essere accompagnati anche da
misure atte a prevenire pratiche contrarie ai principi della previa copertura e
dell’equilibrio di bilancio (sentenze n. 266
e n. 60 del 2013),
che ben si giustificano in ragione dei caratteri di neutralità e indipendenza
del controllo di legittimità della Corte dei conti (sentenza n. 226 del
1976). Detti controlli si risolvono in un esito alternativo, nel senso che
devono decidere se i bilanci preventivi e successivi degli enti territoriali
siano o meno rispettosi del patto di stabilità e del principio di equilibrio (sentenze n. 60 del
2013 e n.
179 del 2007). Cionondimeno, essi non impingono
nella discrezionalità propria della particolare autonomia di cui sono dotati
gli enti territoriali destinatari, ma sono mirati unicamente a garantire la
sana gestione finanziaria, prevenendo o contrastando pratiche non conformi ai
richiamati principi costituzionali.
In questo quadro, occorre anzitutto stabilire se le norme statali impugnate
esprimano principi fondamentali idonei a vincolare il legislatore regionale e
provinciale, anche se trattasi di enti ad autonomia speciale. Al
riguardo, va richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte, la quale ha
chiarito che i principi fondamentali fissati dalla legislazione statale in
materia di «coordinamento della finanza pubblica» – funzionali anche ad
assicurare il rispetto del parametro dell’unità economica della Repubblica (sentenze n. 104,
n. 79, n. 51, n. 28 del 2013,
n. 78 del 2011)
e a prevenire squilibri di bilancio (sentenza n. 60 del 2013) – sono
applicabili anche alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome (ex
plurimis, sentenze n. 229 del
2011; n. 120
del 2008, n.
169 del 2007). Ciò in riferimento alla necessità di preservare l’equilibrio
economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche in
riferimento a parametri costituzionali (artt. 81, 119 e 120 Cost.) e ai vincoli
derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (artt. 11 e 117,
primo comma, Cost.): equilibrio e vincoli oggi ancor più pregnanti – da cui
consegue la conferma dell’estensione alle autonomie speciali dei principi di
coordinamento della finanza pubblica – nel quadro delineato dall’art. 2, comma
1, della legge costituzionale n. 1 del 2012, che nel comma premesso all’art. 97
Cost., richiama, come già osservato, il complesso delle pubbliche
amministrazioni ad assicurare, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione
europea, l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico (sentenza n. 60 del
2013).
Dinanzi ad un intervento legislativo
statale di coordinamento della finanza pubblica riferito alle Regioni, e cioè
nell’àmbito di una materia di tipo concorrente, è naturale che da esso derivi
una, per quanto parziale, compressione degli spazi entro cui possano
esercitarsi le competenze legislative ed amministrative di Regioni e Province
autonome, nonché della stessa autonomia di spesa loro spettante (fra le molte, sentenze n. 159 del
2008, n. 169
e n. 162 del
2007, n. 353
e n. 36 del 2004).
In base alla richiamata giurisprudenza di
questa Corte, vanno preliminarmente accolti i rilievi dell’Avvocatura generale
dello Stato circa la qualificazione delle disposizioni impugnate quali norme di
«coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo
statale e regionale», specie con riguardo al «rispetto dei vincoli finanziari
derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea».
3.– Ai fini della presente decisione, è inoltre
opportuno osservare che le censure delle ricorrenti muovono da due presupposti
fondamentali:
1) i controlli disciplinati dalle norme
degli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione esaurirebbero la
tipologia dei controlli attribuiti alla Corte dei conti negli ordinamenti delle
autonomie speciali;
2) tutte le tipologie dei controlli
sugli enti territoriali disciplinati dal legislatore statale devono avere
comunque natura collaborativa, ancorché quest’ultimo sia libero di assegnare
alla Corte dei conti qualsiasi altra forma di controllo, purché tale controllo
abbia un suo fondamento costituzionale (ex
plurimis, sentenze n. 29 del
1995; nonché n.
179 del 2007, n.
267 del 2006).
Il primo assunto da cui muovono le
ricorrenti deve ritenersi errato. Questa Corte ha infatti precisato che
controlli attribuiti alla Corte dei conti, disciplinati da norme statali
analoghe a quelle denunciate, non si sovrappongono alle funzioni e ai compiti
riservati alle autonomie speciali dalle norme statutarie e di attuazione
evocate a parametro, atteso che le prime – come del resto quelle impugnate
nell’odierno giudizio – disciplinano controlli, dichiaratamente finalizzati ad
assicurare la sana gestione finanziaria degli enti territoriali, a prevenire
squilibri di bilancio e a garantire il rispetto del patto di stabilità interno
e del vincolo in materia di indebitamento posto dall’ultimo comma dell’art. 119
Cost. (tra le tante, sentenze n. 60 del
2013 e n.
179 del 2007), anche in vista della tutela dell’unità economica della
Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica.
Il secondo assunto da cui muovono le
ricorrenti deve ritenersi, in linea di massima, condivisibile, con la
precisazione – secondo quanto già affermato da questa Corte, anche in espresso
riferimento a taluni dei controlli attribuiti alla Corte dei conti dalle norme
impugnate – che la natura dei controlli sugli enti locali e sulle aziende
sanitarie non produce, in sé, l’interferenza dei suddetti controlli con il
piano dei controlli riservati alle amministrazioni degli enti dotati di
autonomia speciale, atteso che «l’art. 1, commi da 166 a 172, della legge n.
266 del 2005 e l’art. 148-bis del
d.lgs. n. 267 del 2000, introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera e), del d.l. n. 174 del 2012, hanno
istituito ulteriori tipologie di controllo, estese alla generalità degli enti
locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale, piuttosto ascrivibili a
controlli di natura preventiva finalizzati ad evitare danni irreparabili
all’equilibrio di bilancio, che si collocano pertanto su un piano distinto
rispetto al controllo sulla gestione amministrativa, almeno per quel che
riguarda gli esiti del controllo spettante alla Corte dei conti sulla
legittimità e la regolarità dei conti» (sentenza n. 60 del
2013). E ciò in forza del diverso interesse alla legalità
costituzionale-finanziaria e alla tutela dell’unità economica della Repubblica
perseguito dai suddetti controlli – non
soltanto in riferimento all’art. 100 Cost., ma anche agli artt. 81, 119 e 120
Cost. – rispetto a quelli spettanti alle
autonomie speciali. Da questi ultimi infatti si differenziano, quanto a
parametro e finalità perseguite, i controlli della Corte dei conti, attribuiti
ad un organo di garanzia terzo e indipendente, a fini di tutela degli obiettivi
di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 29 del
1995; nonché sentenze n. 60 del 2013;
n. 179 del 2007;
n. 267 del 2006).
4.– È pertanto alla stregua dei richiamati orientamenti della
giurisprudenza di questa Corte che occorre procedere allo scrutinio di
costituzionalità delle norme impugnate.
4.1.– Devono essere in primo
luogo esaminate, in ordine logico, le censure − prospettate dalle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna − aventi ad oggetto l’art. 11-bis del decreto-legge n. 174 del 2012.
Tale articolo, infatti, stabilendo che «Le regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e di Bolzano attuano le disposizioni di cui al
presente decreto nelle forme stabilite dai rispettivi statuti di autonomia e
dalle relative norme di attuazione», prevede una clausola di salvaguardia degli
enti ad autonomia speciale che disciplina, in via generale, il rapporto tra
tali enti e il d.l. in esame.
4.2.− Le
ricorrenti lamentano, in particolare, che l’impugnato art. 11-bis, omettendo di richiamare, oltre alle
«forme», i limiti che gli statuti speciali e le relative norme di attuazione
pongono all’attuazione delle disposizioni del decreto-legge da parte degli enti
ad autonomia differenziata, nonché prevedendo che questi ultimi attuino le
«disposizioni» anziché i princípi del medesimo
decreto (Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia), o di prevedere «espressamente
[…] che gli ambiti di competenza delle Regioni a statuto speciale si
intendevano comunque fatti salvi dall’applicazione del d.l. n. 174 del 2012»
(Regione autonoma Sardegna), disporrebbe che l’attuazione delle disposizioni
del decreto-legge deve avvenire anche nel caso in cui le stesse contrastino con
gli statuti delle Regioni ricorrenti o con le relative norme di attuazione. Da
ciò l’inidoneità dell’impugnata clausola a salvaguardare effettivamente la
particolare autonomia delle due Regioni ricorrenti e la conseguente violazione
dell’art. 116, primo comma, Cost., che detta autonomia riconosce (Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia), nonché dei parametri costituzionali e
statutari che sarebbero lesi dall’attuazione delle disposizioni del
decreto-legge nelle due Regioni (rispettivamente, per la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, gli artt. 4, numeri 1 e 1-bis, 12, 13, 19, 41, del Titolo IV, e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante
«Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia», e, per la Regione autonoma Sardegna, gli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 15, 16,
19, 33, 34, 35, 46, 50 e 54 della legge costituzionale
26 febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale per
la Sardegna», gli artt. 3, 117,
118 e 119 Cost. e il principio di ragionevolezza).
4.3.− Le
questioni non sono fondate.
Questa Corte ha infatti recentemente
chiarito, con la sentenza
n. 219 del 2013 − con la quale si è pronunciata sulla legittimità di
altre disposizioni dello stesso decreto-legge, che erano state impugnate dalle
tre odierne ricorrenti (oltre che dalla Regione autonoma Valle d’Aosta) con i
medesimi ricorsi registrati ai nn. 17, 18 e 20 del 2013 − che l’impugnato
art. 11-bis stabilisce
l’inapplicabilità delle disposizioni del citato decreto-legge agli enti ad
autonomia speciale, fatta eccezione per i soli casi in cui singole disposizioni
dello stesso decreto statuiscano espressamente in senso contrario. Tale
interpretazione, col sancire la piena idoneità dell’art. 11-bis in esame a tutelare le prerogative
degli enti ad autonomia differenziata, esclude che esso imponga alle ricorrenti
Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna di attuare disposizioni dello
stesso decreto che contrastino con i loro rispettivi statuti speciali o con le
relative norme di attuazione e comporta l’infondatezza delle questioni proposte
dalle stesse ricorrenti sulla base dell’opposto erroneo presupposto
interpretativo.
5.− Di conseguenza, l’esame delle
questioni aventi ad oggetto le altre disposizioni del d.l. in esame impugnate
va condotto verificando, in via preliminare, se tale generale clausola di
salvaguardia operi effettivamente con riguardo a dette disposizioni − ciò
che imporrebbe il rigetto, in limine,
delle questioni proposte in quanto le norme impugnate sarebbero inapplicabili
ai ricorrenti enti ad autonomia differenziata − oppure se siano previste,
rispetto alla suddetta clausola, delle deroghe che stabiliscano espressamente
che le stesse disposizioni sono invece applicabili alle Regioni e alle Province
ad autonomia speciale. Siffatte deroghe sono, in effetti, previste con riguardo
a tutte le altre disposizioni impugnate
dalle ricorrenti.
6.− Le Regioni autonome Friuli-Venezia
Giulia e Sardegna e la Provincia autonoma di Trento hanno impugnato, anzitutto,
diversi commi dell’art. 1 del decreto-legge in esame che − come indicato
dalla rubrica di tale articolo − ha rafforzato i controlli della Corte
dei conti sulla gestione finanziaria delle Regioni. Le ricorrenti hanno
censurato, in particolare: a) la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, i
commi da 2 a 7, 9, 10, 11, 12 e 16; b) la Regione autonoma Sardegna, i commi da
1 a 8, 9, 10, 11, 12 e 16; c) la Provincia autonoma di Trento, il solo comma
16.
6.1.− Tale comma 16 − secondo
cui: «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di
Bolzano adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni del presente articolo
entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto» −
disciplina il rapporto tra gli enti ad autonomia differenziata e le
disposizioni dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012 in modo specifico rispetto
alla generale clausola di salvaguardia dell’art. 11-bis dello stesso decreto.
Tale comma, infatti, prevedendo l’obbligo
delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di adeguare il
proprio ordinamento alle disposizioni dell’art. 1 in esame (entro un anno
dall’entrata in vigore dello stesso), presuppone logicamente che tali
disposizioni – contrariamente a quanto previsto in linea generale dall’art. 11-bis dello stesso decreto-legge −
si applichino agli enti ricorrenti.
Va inoltre precisato, sempre a tale
proposito, che l’adeguamento previsto nel comma 16 («adeguano») consiste nella
predisposizione − da parte, evidentemente, degli enti destinatari
dell’obbligo di adeguarsi − delle fonti legislative o regolamentari,
regionali o provinciali, che siano eventualmente necessarie per l’attuazione
delle disposizioni dell’art. 1 del decreto-legge (siano esse conformi o no agli
statuti speciali e alle relative norme di attuazione) negli enti ad autonomia
speciale.
Da quanto esposto discende che la generale
clausola di salvaguardia dell’art. 11-bis
del d.l. n. 174 del 2012 non opera con riguardo alle disposizioni dell’art.
1 dello stesso decreto.
Va infine chiarito che l’obbligo di
adeguamento alle disposizioni dell’art. 1 in esame sorge, evidentemente, solo
quando l’ordinamento dell’ente ad autonomia differenziata non debba ritenersi
già pienamente conforme ad esse, ciò che avverrebbe, precisamente, nel caso in
cui controlli, in tutto equipollenti a quelli introdotti da detto articolo,
fossero già previsti dallo statuto dell’ente o dalla relativa normativa di
attuazione. In tali casi non nascerebbe alcun obbligo di adeguamento, atteso
che i controlli si svolgerebbero già (e potrebbero continuare a svolgersi) in
applicazione delle disposizioni previste da dette fonti di autonomia.
6.2.− Tutte e tre le ricorrenti hanno,
come si è detto, impugnato il comma 16 dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012.
La Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di Trento lamentano che
tale disposizione sarebbe «lesiva delle [rispettive] prerogative
costituzionali». Anzitutto perché impone loro di adeguare il proprio
ordinamento a disposizioni statali che non possono costituire l’oggetto di un
tale obbligo, atteso che esse istituiscono un controllo di natura vincolante −
come risulta dalla previsione degli obblighi di regolarizzazione e delle
«sanzioni» indicati ai commi 7, 11 e 12 dell’art. 1 − sulla gestione
finanziaria della Regione e della Provincia che non è previsto dai rispettivi
statuti speciali né dalle norme di attuazione degli stessi. In via subordinata,
perché, anche ad ammettere che i propri
ordinamenti debbano essere adeguati a disposizioni che prevedono forme di
controllo come quelle introdotte dall’art. 1 del decreto-legge in esame, il
comma 16 impugnato non dispone che detto adeguamento debba avvenire tramite
l’adozione di norme di attuazione dello statuto (o con le procedure previste
per la modificazione dello stesso), unica fonte idonea a integrare la
disciplina dei controlli della Corte dei conti sulla gestione della Regione e
della Provincia, dettata, rispettivamente, dal decreto legislativo 15 maggio
2003, n. 125 (Norme di attuazione dello statuto
speciale della regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni
al decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1975, n. 902, in materia
di funzioni di controllo della sezione regionale della Corte dei conti)
e dal d.P.R 15
luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige per l’istituzione delle
sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il
personale ad esse addetto). Inoltre, «se pure rinviasse alle norme di
attuazione», sarebbe «rivolto a vincolarle sia in termini di contenuto
sostanziale […], sia in quanto pone […] un termine che risulterebbe
illegittimo, dato che le procedure di concertazione che portano alle norme di
attuazione non possono essere sottoposte ad un termine dal legislatore
ordinario». Le stesse ricorrenti deducono,
in secondo luogo, che, anche qualora si reputasse che le disposizioni
dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012 attengono non alla «materia dei rapporti
Stato-Regione [o Stato-Province] e, in particolare, [alla] materia dei
controlli» − come da esse ritenuto − ma a quella del «coordinamento
della finanza pubblica», l’impugnato
comma 16 violerebbe, comunque, anzitutto il principio − che
risulta, per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dal Titolo IV e
dall’art. 65, comma 5, del suo statuto speciale, e, per la Provincia autonoma
di Trento, dal Titolo VI e dagli artt. 79 e 104 del suo statuto speciale e dal decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale),
nonché, per entrambe, dall’art. 27 della legge 5
maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in
attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) − secondo cui la
disciplina dei rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni o le Province ad
autonomia differenziata spetta allo statuto speciale, oppure alle norme di
attuazione statutaria o, comunque, all’accordo tra lo Stato e detti enti ad
autonomia differenziata. Violerebbe, inoltre, non precisati parametri perché,
anche a volere escludere che la disciplina dei controlli introdotti dall’art. 1
del decreto-legge in esame rientri nella competenza delle norme di attuazione,
non potrebbe ammettersi un vincolo della Regione e della Provincia ad adeguare
il proprio ordinamento alle «disposizioni» dettate da detto articolo ma solo ai
princípi dallo stesso risultanti.
Secondo la
Regione autonoma Sardegna, l’impugnato comma 16 si pone in contrasto con gli artt. 54 e 56 dello proprio statuto speciale:
con il primo, perché questo riserva alla legge costituzionale le modificazioni
dello statuto (o, quando si tratti del Titolo III dello stesso, alla legge
ordinaria «su proposta del Governo o della Regione, in ogni caso sentita la
Regione»), e, con il secondo, perché questo stabilisce un particolare
procedimento per l’adozione delle norme di attuazione dello stesso. La ricorrente
deduce anche il contrasto con l’art. 116 Cost., perché, considerato che il
previsto adeguamento dell’ordinamento della Regione alle disposizioni dell’art.
1 del d.l. in esame comporterebbe necessariamente, se non la revisione dello
statuto speciale per la Regione, quantomeno la revisione delle norme di
attuazione dello stesso e, in particolare, del d.P.R. 16 gennaio 1978, n. 21 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna
concernente il controllo sugli atti della Regione), e, quindi, imporrebbe
limiti e condizioni a tale fonte di attuazione statutaria. La norma denunciata
violerebbe poi, «indirettamente», gli artt. 7, 8, 15, 19, 26, 33 e 35 dello
statuto speciale per la Sardegna e gli artt. 117 e 119 Cost., in quanto
costringerebbe la Regione a subire le lesioni delle proprie attribuzioni
costituzionali e statutarie garantite da detti parametri messe in luce nelle
censure promosse avverso le altre disposizioni dell’art. 1 dello stesso d.l. n.
174 del 2012 alle quali l’ordinamento regionale deve essere adeguato.
6.2.1.− Il Presidente del
Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle questioni promosse
dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti dell’art. 1, comma 16, del
decreto-legge in esame, «perché la ricorrente avrebbe dovuto impugnare anche le
altre disposizioni contenute nell’art. 1 (ovvero quelle a cui la provincia è
chiamata ad adeguarsi) in quanto il lamentato pregiudizio alle sue prerogative
costituzionali non deriva […] dalla sola clausola di salvaguardia bensì dal
combinato disposto della medesima con le norme a cui essa si riferisce, […]
essendo tali disposizioni − e non la clausola di salvaguardia che nella
sua neutralità è favorevole alla Provincia − ad invadere le competenze
statutarie, secondo la prospettazione della [stessa] ricorrente».
L’eccezione è fondata.
Infatti, una norma che, come l’impugnato
comma 16 dell’art. 1 del decreto-legge in esame, impone a un ente di adeguare
il proprio ordinamento ad altre disposizioni può essere lesiva delle
attribuzioni di quell’ente non di per sé, ma soltanto in quanto lo siano le
altre disposizioni alle quali esso si deve adeguare. Ciò trova conferma −
come osservato dalla difesa dello Stato − nello stesso ricorso della
Provincia autonoma di Trento, che, dopo avere dichiarato, con riguardo alle
disposizioni alle quali il comma 16 dell’art. 1 le impone di adeguare il
proprio ordinamento, che «non ne fa oggetto di impugnazione», motiva poi le
censure nei confronti di tale comma proprio in relazione al contenuto delle disposizioni
alle quali lo stesso le impone di adeguarsi. Ne consegue che la Provincia
autonoma di Trento non poteva limitarsi a impugnare il solo comma 16 dell’art.
1, ma avrebbe dovuto impugnarlo unitamente agli altri commi dello stesso
articolo ai quali il comma 16 le imponeva di adeguarsi. Da ciò
l’inammissibilità delle questioni promosse dalla Provincia autonoma di Trento
nei confronti dell’art. 1, comma 16, in esame.
6.2.2.−
Diversamente dalla Provincia autonoma di Trento, le Regioni autonome Friuli-Venezia
Giulia e Sardegna hanno impugnato non solo il citato comma 16 dell’art. 1, ma
anche numerose disposizioni dello stesso articolo alle quali tale comma
imponeva di adeguare i loro ordinamenti. Da ciò l’ammissibilità delle questioni
promosse da tali Regioni autonome nei confronti del suddetto comma 16.
Anche tali Regioni autonome (come la Provincia autonoma di Trento) hanno
dedotto l’illegittimità dell’obbligo di adeguamento imposto loro dall’impugnato
comma 16 non in sé, ma in relazione al contenuto delle disposizioni degli altri
commi dell’art. 1 in esame da
esse impugnati alle quali il comma 16 le obbliga ad adeguarsi. Del resto, come
visto al punto 6.2.1., una violazione delle attribuzioni regionali potrebbe
derivare non dalla mera previsione di un obbligo di adeguamento a determinate
norme, in sé neutro, ma soltanto in funzione del contenuto di queste. Pertanto,
dette questioni vanno scrutinate solo dopo aver esaminato quelle aventi ad
oggetto gli altri commi di tale articolo.
6.3.−
Tanto chiarito, si deve passare a esaminare le questioni promosse dalle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna nei confronti dei commi da 2 a 7, 9,
10, 11 e 12 (Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia) e da 1 a 8, 9, 10, 11 e 12 (Regione autonoma Sardegna)
dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012.
6.3.1.−
In via preliminare, deve essere verificata, d’ufficio, l’ammissibilità
delle questioni promosse dalla Regione autonoma Sardegna nei confronti dei
commi da 1 a 8 dell’art. 1 del decreto-legge sotto il profilo che tali censure
investono in modo indifferenziato tutti gli otto commi suddetti – cioè
disposizioni che prevedono controlli della Corte dei conti sulla gestione
finanziaria delle Regioni, eterogenei quanto all’oggetto, al parametro e
all’esito – senza specificare i termini nei quali ciascuno di essi avrebbe
singolarmente violato i parametri invocati (nel senso dell’inammissibilità di
questioni prospettate con riguardo a
norme di contenuto eterogeneo in carenza di ogni collegamento fra le argomentazioni
svolte nel ricorso e le singole disposizioni impugnate, ex plurimis, sentenza n. 249 del
2009).
6.3.1.1.−
Con la prima di tali questioni, la Regione autonoma Sardegna ha lamentato che i
commi da 1 a 8 dell’art. 1 del citato decreto-legge violano gli artt. 7 e 8 del
proprio statuto speciale e l’art. 119 Cost., perché, istituendo «un nuovo
controllo preventivo e successivo di legittimità sul bilancio», suscettibile di
portare a «gravi conseguenze di contenuto sostanzialmente sanzionatorio»,
escludono l’effettiva autonomia delle scelte di bilancio, che costituisce un
«elemento cardine» dell’autonomia finanziaria riconosciuta alla Regione dagli
invocati parametri.
La questione è
inammissibile. La ricorrente ha infatti genericamente censurato i commi da 1 a
8 dell’art. 1 del d.l. in esame senza specificare né quali di essi abbiano
istituito i contestati controlli preventivi e successivi di legittimità sul
bilancio cui possono conseguire le lamentate «gravi conseguenze di contenuto
sostanzialmente sanzionatorio», né come
ciascuno dei tali commi impugnati contrasti con i parametri statutari e
costituzionali invocati.
6.3.1.2.−
Con la seconda di tali questioni, la Regione autonoma Sardegna ha dedotto che
la lesione dell’autonomia finanziaria lamentata con la prima questione si
traduce anche nella compressione della competenza legislativa spettante alla
Regione, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., nella materia
«coordinamento della finanza pubblica», in quanto tale competenza è la «logica
conseguenza» del riconoscimento di detta autonomia finanziaria.
Anche tale
questione – con la quale la ricorrente si limita ad affermare che il vulnus denunciato con la prima questione
comporta la violazione anche di un altro parametro costituzionale − è
inammissibile per genericità, per le stesse ragioni indicate con riguardo
all’inammissibilità della prima questione.
6.3.1.3.− Con la terza delle
questioni promosse avverso i commi da 1 a 8 dell’art. 1 del medesimo
decreto-legge, la Regione autonoma Sardegna deduce che essi violano: gli artt.
3, 4 e 5 del proprio statuto speciale, che enumerano le competenze legislative,
rispettivamente, esclusiva, concorrente e integrativa/attuativa della Regione;
l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., commi che, «in ragione della clausola
di cui all’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001», conferiscono alla Regione
ulteriori competenze legislative in via concorrente o residuale; nonché l’art.
6 dello stesso statuto speciale, che stabilisce che la Regione esercita le
funzioni amministrative nelle materie nelle quali ha potestà legislativa, e
l’art. 118 Cost., anch’esso «in riferimento all’art. 10 della l. cost. n. 3 del
2001», in quanto «l’impedimento alla "attuazione dei programmi di spesa”»,
previsto come sanzione per il caso di inottemperanza agli obblighi introdotti a
carico della Regione, «si traduce nell’impossibilità di svolgere le funzioni
pubbliche attribuite alla Regione dallo Statuto e dalla Costituzione ai sensi
delle disposizioni […] invocate».
Dalla lettura
di tale censura, emerge che la stessa, pur se dichiaratamente diretta a tutti i
commi da 1 a 8 dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, si riferisce, in realtà,
al solo comma 7 di tale articolo. A tale conclusione induce,
inequivocabilmente, l’espresso riferimento della doglianza della ricorrente
all’impedimento dell’attuazione dei programmi di spesa, preclusione che è
prevista, appunto, da detto comma 7. Così delimitata nell’oggetto, la questione
deve ritenersi ammissibile.
6.3.1.4.−
Con la quarta delle questioni in considerazione, la Regione autonoma Sardegna
ha dedotto che i commi impugnati, prevedendo un controllo ulteriore sulla legge
regionale di approvazione del bilancio, alterano il «regime della legge regionale»
definito dall’art. 33 del proprio statuto speciale − che prevede, quale
unica forma di controllo preventivo delle leggi della Regione autonoma
Sardegna, la comunicazione della legge approvata dal Consiglio regionale al
Governo della Repubblica prima della sua promulgazione − e l’art. 127
Cost., che, «in forza dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001», ha «ormai
superato» detto controllo preventivo, con la conseguenza che «anche e
soprattutto tale parametro […] è violato».
Anche per tale
questione, risulta evidente, dalla lettura della stessa, che l’impugnazione
della ricorrente si riferisce non a tutti i commi da 1 a 8 dell’art. 1 del d.l.
in esame – come pure affermato – ma, di fatto, esclusivamente ai commi 3, 4 e 7
di tale articolo, cioè alle disposizioni che introducono il denunciato
controllo sulla legge regionale di approvazione del bilancio e ne disciplinano
gli esiti (limitatamente, peraltro, alla parte di tali disposizioni che si
riferisce al controllo sui documenti di bilancio della Regione, non essendo le
censure della ricorrente riferite ai controlli, pure introdotti da detti commi
3, 4 e 7, sui documenti di bilancio degli enti che compongono il Servizio
sanitario nazionale). Anche la presente questione, così circoscritta nell’oggetto,
deve ritenersi ammissibile.
6.3.1.5.−
Con la quinta delle questioni promosse avverso i commi da 1 a 8 dell’art. 1 del
d.l. in esame, la Regione autonoma Sardegna ha dedotto che le disposizioni
impugnate, prevedendo forme di controllo sulla gestione finanziaria della
Regione e, in particolare, sul bilancio regionale, ulteriori e diverse rispetto
a quelle stabilite dalle norme del proprio statuto e dalle relative norme di
attuazione, senza ricorrere alle procedure né di modificazione dello statuto né
di adozione delle norme di attuazione dello stesso, cioè alle uniche fonti con
le quali detti controlli potrebbero essere disciplinati, violano gli artt. 54 e
56 del proprio statuto speciale – il
primo, che riserva alla legge costituzionale le modificazioni dello statuto, e
il secondo, che stabilisce il procedimento per l’adozione delle norme di
attuazione dello stesso – in combinato disposto con
l’art. 10 del d.P.R. n. 21 del 1978, che contiene le norme di attuazione dello
statuto sardo che disciplinano il controllo della Corte dei conti sul bilancio
regionale, nonché con l’art. 116 Cost.
Tale censura –
affermando l’impossibilità per lo Stato di introdurre unilateralmente, senza
ricorrere alle procedure di modificazione dello statuto o di adozione delle
norme di attuazione dello stesso, un qualsiasi controllo sulla gestione
finanziaria della Regione che sia ulteriore e diverso rispetto a quelli
previsti dal proprio statuto e dalle relative norme di attuazione – è
indirizzata indifferentemente a tutte le forme di controllo introdotte dai
commi da 1 a 8 dell’art. 1 del suddetto decreto-legge. Essa va, quindi,
esaminata nel merito.
6.3.1.6.−
Infine, con la sesta delle questioni all’esame, la Regione autonoma Sardegna
deduce che gli impugnati commi da 1 a 8 dell’art. 1 del decreto-legge n. 174
del 2012, stabilendo, con norme di dettaglio, un controllo di natura non
collaborativa ma suscettibile di determinare conseguenze «sanzionatorie e
repressive» − quali la trasmissione delle relazioni delle sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti da essi previste alla Presidenza
del Consiglio dei ministri e al Ministero dell’economia e delle finanze «per le
determinazioni di competenza» e la preclusione dell’attuazione dei programmi di
spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza
della relativa sostenibilità finanziaria (per di più esercitato, nel primo dei
due casi citati, da soggetti non terzi ma appartenenti «all’apparato
burocratico-ministeriale dello Stato», e in grado, nel secondo di tali casi, di
compromettere le funzioni pubbliche affidate alla Regione), – violerebbero: a)
gli artt. 7 e 8 del proprio statuto speciale e l’art. 119 Cost., i quali
«assicurano alla Regione un’autonomia finanziaria qualificata»; b) l’art. 117,
terzo comma, Cost., in relazione alla materia «coordinamento della finanza
pubblica», atteso che «la fonte statale va ben al di là della fissazione dei
principi fondamentali di tale coordinamento, per abbandonarsi all’introduzione
di […] norme di dettaglio)»; c) l’art. 116 Cost., gli artt. 54 e 56 del proprio
statuto speciale e l’art. 10 del d.P.R. n. 21 del 1978, «che prevedono la
maggiore autonomia economico-finanziaria della Regione Sardegna (almeno)
attraverso la previsione dello speciale procedimento di attuazione statutaria»;
d) gli artt. 3, 4, 5 e 6 del proprio statuto speciale e l’art. 117 Cost., «che
affidano alla Regione funzioni pubbliche che sarebbero compromesse dal blocco
dei programmi di spesa».
Quanto a tale
questione, risulta evidente che l’impugnazione della ricorrente si riferisce,
nella realtà, esclusivamente ai commi 7 e 8 dell’art. 1 del d.l. in esame, cioè
alle disposizioni che prevedono le lamentate conseguenze «sanzionatorie e
repressive» della trasmissione delle relazioni delle sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al
Ministero dell’economia e delle finanze «per le determinazioni di competenza»
(comma 8) e della preclusione dell’attuazione dei programmi di spesa per i
quali è stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della relativa
sostenibilità finanziaria (comma 7, ultimo periodo). Anche tale questione, così
delimitata nell’oggetto, deve ritenersi ammissibile.
6.3.2.−
Venendo al merito delle questioni riguardanti le disposizioni dell’art. 1 del
decreto-legge in esame alle quali le Regioni autonome ricorrenti debbono, a
norma del comma 16 dello stesso articolo, adeguare il proprio ordinamento, va
scrutinata, in primo luogo, la censura con la quale la Regione autonoma Sardegna
ha dedotto (come visto al punto 6.3.1.5.) che i commi da 1 a 8 dell’art. 1 del
medesimo decreto-legge violano gli artt. 54 e 56 del proprio statuto speciale,
in combinato disposto con l’art. 10 del d.P.R. n. 21 del 1978 e con l’art. 116
Cost., perché prevedono forme di controllo della Corte dei conti sulla gestione
finanziaria della Regione che, essendo «ulteriori e diverse» rispetto a quelle
disciplinate dallo statuto e dalle relative norme di attuazione, potrebbero
essere stabilite soltanto mediante una modificazione statutaria o con la
normativa di attuazione dello statuto, entrambe da porre in essere secondo le
procedure rispettivamente definite dagli invocati artt. 54 e 56 della legge
cost. n. 3 del 1948.
La questione
non è fondata.
Con gli
impugnati commi da 2 a 8 dell’art. 1 del decreto-legge in esame (oltre che con
i commi 9, 10, 11 e 12 dello stesso articolo), il legislatore statale ha
adeguato il controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle
Regioni previsto dagli artt. 3, comma 5, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni
in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), e 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3), al duplice fine – indicato
dal comma 1 dell’art. 1 – del rafforzamento del coordinamento della finanza
pubblica e della garanzia del rispetto dei vincoli finanziari derivanti
dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Come si è visto al punto 2.,
le previsioni di siffatti controlli esterni sulla gestione finanziaria delle
Regioni si collocano nell’àmbito materiale di legislazione concorrente della «armonizzazione
dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica» (art. 117, terzo
comma, Cost.), nel quale spetta allo Stato dettare i princípi
fondamentali, e questi, come più volte sottolineato da questa Corte, «sono […]
opponibili» anche agli enti ad autonomia differenziata, in quanto anche la
finanza di tali enti è parte della finanza pubblica allargata (sentenza n. 60 del
2013; nello stesso senso, sentenze n. 219 del
2013, n. 198
del 2012, n.
179 del 2007). Le attribuzioni della Corte dei conti in tema di controllo
sulla gestione finanziaria delle amministrazioni pubbliche, del resto, trovano
fondamento – come si è rammentato al punto 3. e come indicato dallo stesso
comma 1 dell’art. 1 del d.l. in esame − oltre che nell’art. 100, secondo
comma, Cost. (il cui riferimento al controllo della Corte dei conti «sulla
gestione del bilancio dello Stato» deve oggi intendersi esteso al controllo sui
bilanci di tutti gli enti che costituiscono, nel loro insieme, la finanza
pubblica allargata), nella tutela dei princípi del
buon andamento dell’amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), della
responsabilità dei funzionari pubblici (art. 28 Cost.), del tendenziale
equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.) e del coordinamento della finanza delle
Regioni con quella dello Stato, delle Province e dei Comuni (art. 119 Cost.),
cioè di princípi che sono anch’essi riferiti a tutti
gli enti che fanno parte della finanza pubblica allargata. Ciò conferma che
dette attribuzioni della Corte dei conti debbono imporsi, in modo uniforme −
nei termini, naturalmente, che sono propri di una normativa di principio −
nell’intero territorio nazionale, senza che esse «possano incontrare i limiti
peculiari dell’autonomia speciale» (sentenza n. 219 del
2013; sul punto, si veda anche la sentenza n. 198 del
2012). Deve quindi concludersi che lo Stato, nell’esercizio della propria
competenza a dettare i princípi fondamentali nella
materia «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica», ben può prevedere forme di controllo della Corte dei conti ulteriori
rispetto a quelle disciplinate dagli
statuti speciali e dalle relative norme di attuazione. Peraltro, nella specie,
non si ravvisa alcun contrasto con la normativa statutaria o di attuazione
degli statuti. Da ciò l’infondatezza della questione promossa dalla Regione
autonoma Sardegna.
6.3.3.−
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna anche il comma 2 dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012, che
introduce la relazione semestrale della sezione regionale della Corte dei conti
ai consigli regionali sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate
nelle leggi regionali e sulle tecniche di quantificazione degli oneri. La ricorrente
lamenta la violazione dell’autonomia finanziaria – tutelata dall’art. 116 Cost.
e dal Titolo IV dello proprio statuto – nonché dell’art. 65 dello stesso
statuto (che stabilisce il procedimento per l’adozione delle norme di
attuazione statutarie) e delle relative norme di attuazione (in particolare,
dell’art. 33, comma 4, del d.P.R. 25 novembre 1975, n. 902 – Adeguamento ed
integrazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia), atteso che queste ultime esaurirebbero la tipologia dei
controlli attribuiti alla Corte dei conti nell’ordinamento della Regione
autonoma, consentendo i suddetti controlli soltanto «a richiesta del consiglio
regionale».
La questione non è fondata.
Il controllo introdotto trova fondamento
costituzionale e riveste natura collaborativa. Questa Corte ha espressamente
affermato – anche in relazione agli enti territoriali dotati di autonomia
speciale – che il legislatore è libero di assegnare alla Corte dei conti
qualsiasi altra forma di controllo con queste caratteristiche (ex plurimis, sentenze n. 29 del
1995; nonché
n. 179 del 2007, n. 267 del 2006),
stante la posizione di indipendenza e neutralità del giudice contabile al
servizio dello Stato-ordinamento, quale garante imparziale dell’equilibrio
economico-finanziario del settore pubblico nel suo complesso e della corretta
gestione delle risorse (sentenza n. 60 del
2013).
Alla luce della richiamata
giurisprudenza della Corte, l’istituto disciplinato dalla norma impugnata, risulta
funzionale da un lato ad ampliare il quadro degli strumenti informativi a
disposizione del Consiglio, per consentire – come osserva l’Avvocatura dello
Stato – la formulazione di meglio calibrate valutazioni politiche del massimo
organo rappresentativo della Regione, anche nella prospettiva dell’attivazione
di processi di "autocorrezione” nell’esercizio delle funzioni legislative e
amministrative (sentenza
n. 29 del 1995; nonché sentenza n. 179 del
2007), e, dall’altro, a prevenire squilibri di bilancio (tra le tante, sentenze n. 250 del
2013; n. 70
del 2012). La relazione semestrale ai consigli regionali sulla tipologia
delle coperture finanziarie adottate nelle leggi regionali e sulle tecniche di
quantificazione degli oneri, ancorché obbligatoriamente prevista, si mantiene
pertanto nell’alveo dei controlli di natura collaborativa e di quelli comunque
funzionali a prevenire squilibri di bilancio e non può conseguentemente
ritenersi lesiva dei parametri invocati, posta la collocazione su piani
distinti, seppur concorrenti nella valutazione degli effetti finanziari delle
leggi regionali, delle funzioni intestate alla sezione regionale della Corte
dei conti rispettivamente dall’art. 33, comma 4, del d.P.R. n. 902 del 1975, da
un lato, e dall’impugnato art. 1, comma 2, del d.l. in esame, dall’altro. Da
ciò segue la non fondatezza della questione.
6.3.4.−
Le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna hanno impugnato i commi 3,
4 e 7 dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012.
Il comma 3
introduce una verifica delle sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti sui bilanci preventivi (annuali e pluriennali) e sui rendiconti
consuntivi delle Regioni e degli enti che compongono il Servizio sanitario
nazionale. Tale controllo consiste in un esame di detti bilanci e rendiconti –
che sono trasmessi alle competenti sezioni regionali dai presidenti delle
Regioni con una propria relazione − diretto alla «verifica del rispetto
degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’osservanza
del vincolo previsto in materia di indebitamento dall’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, della
sostenibilità dell’indebitamento e dell’assenza di irregolarità suscettibili di
pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli
enti». La disposizione impugnata fa rinvio − ai soli fini, peraltro,
delle «modalità e […] procedure» dell’esame − ai commi 166 e seguenti
dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2006), i quali hanno introdotto l’obbligo degli organi di revisione
economico-finanziaria degli enti locali di trasmettere alle sezioni regionali
della Corte dei conti, ai fini della tutela dell’unità economica della
Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, una relazione sul
bilancio di previsione e sul rendiconto dell’esercizio di competenza.
Il comma 4
stabilisce che le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, ai fini
della verifica prevista dal comma 3, accertino altresì che detti rendiconti
tengano conto anche delle partecipazioni in società controllate e alle quali è
affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività regionale e di
servizi strumentali alla Regione, nonché dei risultati definitivi della
gestione degli enti del Servizio sanitario nazionale. Il comma mantiene ferma
la disciplina in tema di controlli sugli enti del settore sanitario prevista
dall’art. 2, comma 2-sexies, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in
materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n.
421), dall’art. 2, comma 12, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica) e dall’art. 32 della legge 27
dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica).
Il comma 7
disciplina l’esito dei controlli previsti dai commi 3 e 4, stabilendo che,
qualora la sezione regionale competente accerti squilibri economico-finanziari,
mancata copertura di spese, violazione di norme finalizzate a garantire la
regolarità della gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi
posti con il patto di stabilità interno, dalla pronuncia di accertamento da
essa emessa discende l’«obbligo», per le amministrazioni interessate, di
adottare, entro sessanta giorni dalla comunicazione del deposito di tale
pronuncia, «i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare
gli equilibri di bilancio». Stabilisce altresì che, qualora la Regione (rectius:
l’amministrazione interessata, potendosi trattare anche degli enti del Servizio
sanitario nazionale) non provveda alla trasmissione dei suddetti provvedimenti
o la verifica degli stessi da parte della sezione regionale di controllo dia
esito negativo, «è preclusa l’attuazione dei programmi di spesa per i quali è
stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della relativa
sostenibilità finanziaria».
Va osservato
che i controlli introdotti dagli impugnati commi 3, 4 e 7 hanno carattere
successivo, essendo effettuati su documenti di bilancio già approvati.
Depongono, univocamente, in tale senso i seguenti argomenti: la locuzione
«bilanci preventivi e […] rendiconti consuntivi» (comma 3) deve ritenersi
riferita, in assenza di ulteriori specificazioni, a bilanci e a rendiconti
approvati; la preclusione dell’attuazione dei programmi di spesa (prevista dal
comma 7) non può che riferirsi a programmi attuabili, condizione possibile solo
in base a documenti di bilancio approvati; il riferimento, sempre al comma 7,
ai «provvedimenti» idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli
equilibri di bilancio, presuppone, ancora una volta, l’esistenza di bilanci e
rendiconti approvati (infatti, se la norma avesse riguardato bilanci e
rendiconti in corso di approvazione, il legislatore avrebbe fatto riferimento
ad "interventi” e non a "provvedimenti correttivi” degli stessi). Nel senso del
carattere successivo dei controlli de quibus si sono, in effetti, espresse varie sezioni regionali
di controllo della Corte dei conti (si veda, per esempio, sezione regionale di
controllo per il Lazio, deliberazione n. 243/2013/FRG del 21 ottobre-5 novembre
2013).
Secondo la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, i commi impugnati, dettando una
disciplina difforme da quella dell’art. 33 del d.P.R. n. 902 del 1975, cioè
dalla normativa di attuazione dello statuto alla quale è riservata la materia
dei controlli della Corte dei conti sulla Regione, e, in particolare,
prevedendo un controllo di natura non collaborativa ma «coercitiva» − in
quanto può fare insorgere gli «obblighi di regolarizzazione e [le] sanzioni
specifiche» previsti dal comma 7 − «che non è ammesso né dallo Statuto e
dalle sue norme di attuazione, né dallo stesso Titolo V della Parte seconda
della Costituzione, che ha soppresso i controlli ad effetto giuridico
preclusivo prima esistenti», víola, oltre al suddetto
art. 33 del d.P.R. n. 902 del 1975, l’art. 116 Cost., l’autonomia finanziaria
spettante alla Regione ai sensi del Titolo IV del suo statuto speciale e l’art.
65 dello stesso statuto che stabilisce il procedimento per l’adozione della
normativa di attuazione statutaria.
Le due
ricorrenti deducono poi che gli stessi commi, prevedendo un controllo della
Corte dei conti sulla legge regionale, con la quale è approvato il bilancio
regionale – controllo che, secondo la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
sarebbe in alcuni casi di costituzionalità in quanto avrebbe come parametri
«l’art. 81, l’art. 119, co. 6, i vincoli del patto di stabilità» − che
«si sovrappone alle competenze della Corte costituzionale (artt. 127 e 134
Cost.)», oltre che a quelle della stessa Corte dei conti in materia di
parificazione del rendiconto regionale (Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia)
o che «determina l’alterazione del regime della legge regionale […] che è
definito da norme di rango costituzionale e non può essere modificato da una
fonte legislativa ordinaria» (Regione autonoma Sardegna; si veda anche il punto
6.3.1.4.), violerebbero, secondo la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, gli
artt. 127 e 134 Cost. e gli artt. 33 e 36 del d.P.R. n. 902 del 1975; secondo
la Regione autonoma Sardegna, l’art. 33 del proprio statuto speciale e l’art.
127 Cost. (la stessa Regione autonoma Sardegna, peraltro, pur richiamando anche
l’art. 33 del proprio statuto, correttamente afferma che ad essa si applica,
piuttosto − ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 −
l’art. 127 Cost., in quanto tale disposizione, stabilendo che il sindacato
sulla legittimità costituzionale delle leggi regionali sia esercitato in via
successiva, prevede, per tale parte, una forma di autonomia più ampia rispetto
a quella già attribuita alla Regione da detto art. 33 dello statuto, che
dispone che tale sindacato sia esercitato, invece, in via preventiva).
Le ricorrenti
censurano poi specificamente il comma 7 dell’art. 1 del citato decreto-legge.
Secondo la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, tale comma 7 víola
l’«autonomia legislativa e finanziaria regionale», perché, col prevedere la
sanzione della preclusione dell’attuazione dei programmi di spesa approvati con
legge regionale, «incide sul regime di efficacia delle leggi regionali di
settore, che è fissato da norme costituzionali e non è disponibile da parte del
legislatore ordinario».
Ad avviso
della Regione autonoma Sardegna, l’impugnato comma 7 violerebbe, come già
esposto ai punti, rispettivamente, 6.3.1.3. e 6.3.1.6.: a) gli artt. 3, 4 e 5
del suo statuto speciale (i quali enumerano le competenze legislative, rispettivamente,
esclusiva, concorrente e integrativa/attuativa della Regione), l’art. 117,
terzo e quarto comma, Cost. (che, «in ragione della clausola di cui all’art. 10
della l. cost. n. 3 del 2001», conferisce alla Regione ulteriori competenze
legislative in via concorrente o residuale), nonché l’art. 6 dello stesso
statuto speciale (che stabilisce che la Regione esercita le funzioni
amministrative nelle materie nelle quali ha potestà legislativa) e l’art. 118
Cost., anch’esso «in riferimento all’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001»,
perché la preclusione dell’attuazione dei programmi di spesa da esso prevista
«si traduce nell’impossibilità di svolgere le funzioni pubbliche attribuite
alla Regione» dalle invocate disposizioni statutarie e costituzionali; b) gli
artt. 7 e 8 dello statuto speciale sardo e l’art. 119 Cost. (i quali
«assicurano alla Regione autonomia finanziaria qualificata»), l’art. 117, terzo
comma, Cost., in relazione alla materia «coordinamento della finanza pubblica»,
l’art. 116 Cost., gli artt. 54 e 56 dello statuto speciale e l’art. 10 del
d.P.R. n. 21 del 1978 («che prevedono la maggiore autonomia
economico-finanziaria della Regione Sardegna [almeno] attraverso la previsione
dello speciale procedimento di attuazione statutaria»), gli artt. 3, 4, 5 e 6
dello statuto speciale per la Sardegna e l’art. 117 Cost. («che affidano alla
Regione funzioni pubbliche che sarebbero compromesse dal blocco dei programmi
di spesa»), perché stabilisce, con norme di dettaglio, un controllo di natura
non collaborativa, suscettibile di conseguenze «sanzionatorie e repressive»
come la citata preclusione dell’attuazione dei programmi di spesa per i quali è
stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della relativa
sostenibilità finanziaria.
Infine, la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia deduce che il comma 7 dell’art. 1 del
decreto-legge n. 174 del 2012, ove inteso nel senso dell’assenza di strumenti
di tutela giurisdizionale avverso le pronunce della Corte dei conti di
accertamento delle irregolarità e di verifica negativa dei provvedimenti
regionali diretti a rimuovere le stesse e a ripristinare gli equilibri di
bilancio, víola gli artt. 24 e 113 Cost.
6.3.4.1.−
Le censure promosse nei confronti di tutti e tre i commi 3, 4 e 7 dell’art. 1
del decreto-legge in esame devono essere esaminate separatamente con riguardo,
da un lato, ai commi 3 e 4, dall’altro,
al comma 7. Infatti, tali disposizioni, disciplinando, rispettivamente, le
parti, l’oggetto e il parametro del giudizio di controllo (commi 3 e 4) e gli
interventi che gli enti controllati sono tenuti a porre in essere in séguito
alla pronuncia di tale giudizio nonché le conseguenze della mancata adozione
degli stessi (comma 7), presentano contenuti precettivi tra loro autonomi,
suscettibili di essere diversamente valutati, anche sul piano della loro
legittimità costituzionale.
6.3.4.2.−
Dette censure, per la parte in cui si riferiscono ai commi 3 e 4, non sono
fondate.
6.3.4.2.1.−
Vanno, anzitutto, rigettate le doglianze, prospettate dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, secondo cui i commi impugnati avrebbero: a) invaso un
àmbito riservato alla normativa di attuazione dello statuto speciale; b)
previsto un controllo di carattere «non […] collaborativo ma coercitivo».
Infatti,
quanto al primo aspetto, si è già visto, al punto 6.3.2., che lo Stato può
prevedere, nell’esercizio della potestà
legislativa concorrente a esso spettante nella materia «armonizzazione dei
bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica» e al fine di realizzare
interessi costituzionalmente protetti, forme di controllo della Corte dei conti
ulteriori rispetto a quelle
disciplinate dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, salvo
il limite che esse non contrastino, in modo puntuale, con tale normativa
statutaria o di attuazione degli statuti. Né tale limite è stato, nella specie,
superato, atteso che il controllo successivo sulla gestione finanziaria
regionale previsto dalle disposizioni impugnate si colloca su un piano
palesemente distinto rispetto sia al controllo sulla gestione in senso stretto
(sentenza n. 179
del 2007) sia al giudizio di parificazione del rendiconto generale della
Regione – il quale, analogamente alla verifica del rendiconto generale dello
Stato, alla cui disciplina rinvia l’art. 33, comma 3, del d.P.R. n. 902 del
1975, ha natura di controllo preventivo sugli atti (che si conclude con la
decisione di parificazione) e non successivo sulla gestione finanziaria −
previsti dagli invocati artt. 33 e 36 del d.P.R. n. 902 del 1975.
Sotto
l’aspetto, poi, del lamentato carattere non collaborativo del controllo
previsto, è sufficiente osservare che il controllo sui bilanci e sui rendiconti
delle Regioni e degli enti del Servizio sanitario nazionale di cui agli
impugnati commi 3 e 4, considerato in sé – cioè a prescindere da quanto
previsto (esclusivamente) dal comma 7 circa gli obblighi discendenti dalla
pronuncia del giudizio di controllo e le conseguenze del mancato rispetto degli
stessi – consiste nel mero esame di tali bilanci e rendiconti da parte delle
competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti per la finalità
indicata dal comma 3 (cioè «per la verifica del rispetto degli obiettivi
annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’osservanza del vincolo
previsto in materia di indebitamento dall’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, della
sostenibilità dell’indebitamento e dell’assenza di irregolarità suscettibili di
pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli
enti»); esame che è idoneo a evidenziare le disfunzioni eventualmente rilevate
ma che non implica, di per sé, alcuna coercizione dell’attività dell’ente
sottoposto al controllo (sentenza n. 179 del
2007).
6.3.4.2.2.−
Sono ugualmente non fondate, sempre per la parte in cui si riferiscono ai commi
3 e 4 dell’art. 1 del medesimo decreto-legge, le censure con le quali le
ricorrenti Regioni autonome hanno lamentato che dette disposizioni prevedono un
controllo della Corte dei conti che, là dove ha come oggetto i bilanci
preventivi e i rendiconti consuntivi delle Regioni − approvati entrambi,
come noto, con legge regionale − invaderebbe la competenza di questa
Corte quale unico organo al quale gli artt. 127 e 134 Cost. attribuiscono il
sindacato di costituzionalità delle leggi regionali (Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia) e altererebbe il sistema del controllo della legittimità
costituzionale delle stesse leggi stabilito dall’art. 127 Cost. (Regione
autonoma Sardegna). Va osservato, in proposito, che un dubbio in ordine alla
sussistenza di tali violazioni potrebbe insorgere solo laddove il sindacato
sulle leggi regionali di approvazione dei bilanci preventivi e dei rendiconti
consuntivi delle Regioni assegnato alla Corte dei conti dagli impugnati commi 3
e 4 fosse suscettibile di produrre effetti giuridici impeditivi dell’efficacia
di tali leggi, così come è proprio (art. 136 Cost.) del controllo di
costituzionalità delle leggi regionali introdotto dal ricorso del Governo e
affidato a questa Corte a norma degli invocati artt. 127 e 134 Cost. Come si è
visto al punto 6.3.4.2.1., gli impugnati commi 3 e 4, in sé considerati,
prevedono un esame dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi delle
Regioni che, avendo come esito la mera segnalazione delle disfunzioni,
eventualmente rilevate dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti, è invece insuscettibile di incidere sull’efficacia delle leggi regionali
con le quali detti bilanci e rendiconti sono approvati. Tale rilievo basta a
escludere che gli impugnati commi 3 e 4 abbiano introdotto, in quanto tali, un
sindacato di legittimità delle leggi di approvazione dei bilanci regionali
idoneo ad incidere sul regime del controllo di costituzionalità delle leggi
regionali definito dagli artt. 127 e 134 Cost. e sulle competenze di questa
Corte.
6.3.4.3.−
Le censure aventi a oggetto il comma 7 dell’art. 1 del medesimo decreto-legge,
vanno scrutinate separatamente per la parte di tale comma che si riferisce al
controllo dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi, rispettivamente
delle Regioni e degli enti che compongono il Servizio sanitario nazionale.
Infatti, la circostanza che i bilanci preventivi e i rendiconti delle Regioni
siano approvati, come si è detto, a differenza di quelli degli enti del
Servizio sanitario nazionale, con legge (regionale), implica che i controlli
sugli stessi si traducano in controlli su una legge, il che pone problemi
peculiari in punto di legittimità costituzionale degli stessi.
6.3.4.3.1.−
Muovendo dalle censure aventi ad oggetto l’impugnato comma 7, per la parte di
esso che si riferisce al controllo dei bilanci preventivi e dei rendiconti
consuntivi delle Regioni, devono, anzitutto, essere scrutinate quelle – che è
utile trattare in un unico contesto − con le quali le ricorrenti hanno
dedotto la lesione: dell’«autonomia legislativa […] regionale» (Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia) e della competenza legislativa garantita dagli
artt. 3, 4 e 5 del proprio statuto speciale e dall’art. 117, terzo e quarto
comma, Cost. (Regione autonoma Sardegna) nonché degli artt. 127 e 134 Cost., in
quanto il comma impugnato avrebbe introdotto un sindacato di legittimità
costituzionale sulle leggi di approvazione dei bilanci e dei rendiconti
regionali che «si sovrappone» a quello spettante a questa Corte (Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia) e del (solo) art. 127 Cost. per avere lo stesso
comma modificato il sistema del controllo della legittimità costituzionale
delle leggi regionali previsto da tale disposizione costituzionale (Regione
autonoma Sardegna).
Tali questioni
sono fondate nei termini di séguito precisati.
Il comma 7 dell’art. 1 del decreto-legge
n. 174 del 2012 disciplina, come si è detto, gli interventi che gli enti
controllati e, tra questi, le Regioni, sono tenuti a porre in essere in séguito
alla pronuncia del giudizio di controllo operato dalla Corte dei conti ai sensi
dei commi 3 e 4 nonché le conseguenze della mancata adozione degli stessi. In
particolare, in base a tale disposizione, dalla pronuncia di accertamento
adottata dalla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti
può conseguire l’«obbligo di adottare […] i provvedimenti idonei a rimuovere le
irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio», cioè, nella specie,
l’obbligo di modificare la legge di approvazione del bilancio o del rendiconto
mediante i provvedimenti, anch’essi legislativi, necessari per la rimozione
delle irregolarità e il ripristino degli equilibri di bilancio. Dall’omissione
della trasmissione di detti provvedimenti o dalla verifica negativa della
sezione regionale di controllo della Corte dei conti in ordine agli stessi,
deriva la preclusione («è preclusa») dell’attuazione
dei programmi di spesa per i quali fosse accertata la mancata copertura o
l’insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria, ciò che equivale,
nella sostanza, all’attribuzione, a tali omissioni e verifica negativa, di un
vero e proprio effetto impeditivo dell’efficacia della legge regionale in base
alla quale dovevano essere realizzati i programmi di spesa la cui attuazione è
interdetta.
La disposizione impugnata attribuisce,
dunque, alle pronunce di accertamento e di verifica delle sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti l’effetto, da un canto, di vincolare il
contenuto della produzione legislativa delle Regioni, obbligate a modificare le
proprie leggi di bilancio, dall’altro, di inibire l’efficacia di tali leggi in
caso di inosservanza del suddetto obbligo (per la mancata trasmissione dei
provvedimenti modificativi o per la inadeguatezza degli stessi). Tali effetti
non possono essere fatti discendere da una pronuncia della Corte dei conti, le
cui funzioni di controllo non possono essere spinte sino a vincolare il
contenuto degli atti legislativi o a privarli dei loro effetti. Le funzioni di
controllo della Corte dei conti trovano infatti un limite nella potestà
legislativa dei Consigli regionali che, in base all’assetto dei poteri
stabilito dalla Costituzione, la esercitano in piena autonomia politica, senza
che organi a essi estranei possano né vincolarla né incidere sull’efficacia
degli atti che ne sono espressione (salvo, beninteso, il sindacato di costituzionalità
delle leggi regionali spettante alla Corte costituzionale). La Corte dei conti,
d’altro canto, è organo che − come, in generale, la giurisdizione e
l’amministrazione − è sottoposto alla legge (statale e regionale); la
previsione che una pronuncia delle sezioni regionali di controllo di detta
Corte possa avere l’effetto di inibire l’efficacia di una legge si configura,
perciò, come palesemente estranea al nostro ordinamento costituzionale e lesiva
della potestà legislativa regionale.
L’impugnato comma 7 dell’art. 1 del
decreto-legge n. 174 del 2012, nella parte in cui si riferisce al controllo dei bilanci preventivi e dei
rendiconti consuntivi delle Regioni, contrasta pertanto, anzitutto, con
gli invocati parametri costituzionali e statutari che garantiscono alle Regioni
la potestà legislativa nelle materie di loro competenza.
Quanto alle censure di violazione degli
artt. 127 e 134 Cost., va rammentato che il controllo, da parte delle
competenti sezioni regionali della Corte dei conti, sulle leggi regionali con
le quali sono approvati i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi delle
Regioni è diretto – in base alla norma in esame – alla «verifica del rispetto
degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell’osservanza
del vincolo previsto in materia di indebitamento dall’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, della
sostenibilità dell’indebitamento e dell’assenza di irregolarità suscettibili di
pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti»
(art. 1, comma 3, del decreto-legge suddetto). Tale controllo ha, dunque, come
parametro, almeno in parte, norme costituzionali; in particolare, oltre
all’art. 119, sesto comma, Cost., espressamente indicato, l’art. 81 Cost., che
dei menzionati «equilibri economico-finanziari», anche delle Regioni,
costituisce la garanzia costituzionale. Il giudizio di controllo svolto dalle
competenti sezioni regionali della Corte dei conti si configura quindi, almeno
per la parte in cui si svolge alla stregua di norme costituzionali, come un
sindacato di legittimità costituzionale delle leggi regionali di approvazione
dei bilanci e dei rendiconti, al quale l’impugnato comma 7 riconnette, come si
è ricordato, la possibile inibizione dell’efficacia di dette leggi. In tale
modo, la disposizione impugnata ha introdotto una nuova forma di controllo di
legittimità costituzionale delle leggi che illegittimamente si aggiunge a
quello effettuato dalla Corte costituzionale, alla quale l’art. 134 Cost.
affida in via esclusiva il compito di garantire la legittimità costituzionale
della legislazione (anche regionale) attraverso pronunce idonee a determinare
la cessazione dell’efficacia giuridica delle leggi dichiarate illegittime (sul
principio dell’unicità della giurisdizione costituzionale, «che non tollera
deroghe o attenuazioni di alcun genere», sentenza n. 31 del
1961, nonché sentenze
n. 6 del 1970, n. 21 del 1959,
n. 38 del 1957,
sulla giurisdizione dell’Alta Corte per la Regione siciliana). Da ciò la
lesione anche dell’art. 134 Cost., la quale determina una compromissione delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni, atteso che il controllo di
legittimità costituzionale che la norma impugnata attribuisce alle sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti in violazione di detta
disposizione della Costituzione ha a oggetto, specificamente, le leggi con le
quali le Regioni approvano i propri bilanci e rendiconti.
L’art. 1, comma 7, del decreto-legge in
esame, deve, quindi, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo,
limitatamente alla parte in cui si riferisce al controllo dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi delle
Regioni. Va precisato che tale dichiarazione, essendo fondata anche sulla
violazione di disposizioni della Costituzione, ha efficacia, con riguardo
all’applicazione di detta norma, per tutte le Regioni, a statuto ordinario e a
statuto speciale, nonché per le Province autonome di Trento e di Bolzano.
Le ulteriori
questioni promosse dalle ricorrenti nei confronti di tale disposizione, per la
parte in cui si riferisce al controllo dei bilanci preventivi e dei
rendiconti consuntivi delle Regioni, sono assorbite.
6.3.4.3.2.−
Passando all’esame delle censure che hanno a oggetto il comma 7 dell’art. 1 del
medesimo decreto-legge per la parte che si riferisce al controllo dei bilanci
preventivi e dei rendiconti consuntivi degli enti del Servizio sanitario
nazionale, vanno anzitutto esaminate quelle con le quali le ricorrenti hanno
denunciato detto comma in riferimento: a) all’art. 33 del d.P.R. n. 902 del
1975, all’art. 116 Cost., all’autonomia finanziaria riconosciuta alla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia dal Titolo IV del suo statuto speciale e all’art
65 dello stesso statuto, perché, senza seguire la procedura stabilita dallo
statuto speciale per l’adozione della normativa di attuazione statutaria (art.
65), prevede un controllo diverso da quello definito dalla vigente normativa di
attuazione (art. 33 del d.P.R. n. 902 del 1975) e di natura non collaborativa,
ma «coercitiva» (Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia); b) alle competenze
legislativa e amministrativa garantite alla Regione autonoma Sardegna,
rispettivamente, dagli artt. 3, 4 e 5 del proprio statuto speciale e dall’art.
117, terzo e quarto comma, Cost., nonché dall’art. 6 dello stesso statuto
speciale e dall’art. 118 Cost., perché la preclusione dell’attuazione dei
programmi di spesa da esso prevista «si traduce nell’impossibilità di svolgere
le funzioni pubbliche attribuite alla Regione» da tali disposizioni statutarie
e costituzionali (Regione autonoma Sardegna); c) agli artt. 7 e 8 dello statuto
speciale per la Sardegna e all’art. 119 Cost. (i quali «assicurano alla Regione
autonomia finanziaria qualificata»), all’art. 117, terzo comma, Cost., in
relazione alla materia «coordinamento della finanza pubblica», all’art. 116
Cost., agli artt. 54 e 56 dello stesso statuto speciale sardo e all’art. 10 del
d.P.R. n. 21 del 1978 («che prevedono la maggiore autonomia
economico-finanziaria della Regione Sardegna [almeno] attraverso la previsione
dello speciale procedimento di attuazione statutaria»), agli artt. 3, 4, 5 e 6
dello statuto speciale per la Sardegna e all’art. 117 Cost. («che affidano alla
Regione funzioni pubbliche che sarebbero compromesse dal blocco dei programmi
di spesa»), perché stabilisce, con norme di dettaglio (nella materia «coordinamento della finanza pubblica»), un controllo di natura non collaborativa
suscettibile di conseguenze «sanzionatorie e repressive».
Le questioni
non sono fondate.
La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia deduce, anzitutto, che lo Stato non potrebbe, senza
seguire la procedura stabilita dallo statuto speciale per l’adozione della
normativa di attuazione statutaria, prevedere controlli diversi da quelli
definiti dalla vigente normativa di attuazione.
Tale doglianza
non è fondata per le ragioni ampiamente esposte ai punti 3., 6.3.2., e
6.3.4.2.1. Si è visto, infatti, in quelle sedi, che lo Stato, nell’esercizio
della propria competenza a dettare i princípi fondamentali
nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della
finanza pubblica» e, al fine di realizzare interessi costituzionalmente
protetti, ben può prevedere forme di controllo della Corte dei conti ulteriori
rispetto a quelle disciplinate dagli statuti speciali e dalla relative norme di
attuazione, salvo che esse contrastino, in modo puntuale, con tale normativa
statutaria o di attuazione degli statuti. Tale contrasto − in
particolare, con l’art. 33 del d.P.R. n. 902 del 1975 − come visto al
punto 6.3.4.2.1. è, nella specie, insussistente.
Le ricorrenti
Regioni autonome lamentano poi che, in violazione degli invocati parametri, gli
esiti del controllo operato dalle competenti sezioni regionali della Corte dei
conti previsti dal comma 7 dell’art. 1 del decreto-legge in esame avrebbero
natura non collaborativa, ma «coercitiva» (Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia) e consisterebbero in «conseguenze sanzionatorie e repressive» (Regione
autonoma Sardegna). La Regione autonoma Sardegna aggiunge che detti esiti
potrebbero comportare «l’impossibilità di svolgere le funzioni pubbliche
attribuite alla Regione».
Tali doglianze
non sono fondate.
Come questa
Corte ha ripetutamente affermato (sentenze n. 60 del
2013, n. 198
del 2012, n.
179 del 2007), il controllo finanziario attribuito alla Corte dei conti e,
in particolare, quello che questa è chiamata a svolgere sui bilanci preventivi
e sui rendiconti consuntivi degli enti locali e degli enti del Servizio
sanitario nazionale, va ascritto alla categoria del sindacato di legalità e di
regolarità – da intendere come verifica della conformità delle (complessive)
gestioni di detti enti alle regole contabili e finanziarie – e ha lo scopo, in
una prospettiva non più statica (com’era il tradizionale controllo di
legalità-regolarità), ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie
e parametro normativo all’adozione di effettive misure correttive, funzionali a
garantire l’equilibrio del bilancio e il rispetto delle regole contabili e
finanziarie.
Per
l’effettivo conseguimento di tale scopo, l’impugnato comma 7 ha stabilito −
come già visto al punto 6.3.4.3.1., con riguardo alla parte di tale comma che
si riferisce agli esiti del controllo sui bilanci delle Regioni − che
l’accertamento, da parte delle sezioni regionali della Corte dei conti, delle
carenze di maggiore gravità elencate dal comma stesso, fa sorgere l’obbligo, in
capo all’ente controllato, di adottare i provvedimenti di modificazione del bilancio o del rendiconto necessari per la rimozione delle irregolarità e il ripristino
degli equilibri di bilancio. Lo stesso
comma 7 prevede poi − come
pure si è visto al punto 6.3.4.3.1. − che l’inosservanza di detto
obbligo, per la mancata trasmissione dei provvedimenti correttivi o per
la inadeguatezza degli stessi, ha
l’effetto di precludere l’attuazione dei programmi di spesa per i quali
è stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della relativa
sostenibilità finanziaria. Si tratta, dunque, di effetti − attribuiti
dalla disposizione impugnata alle pronunce di accertamento della Corte dei
conti − chiaramente cogenti nei riguardi degli enti del Servizio
sanitario nazionale e, nel caso di inosservanza degli obblighi a questi
imposti, inibitori, pro parte,
dell’efficacia dei bilanci da essi approvati.
Siffatti esiti del controllo sulla
legittimità e sulla regolarità dei conti degli enti del Servizio sanitario
nazionale sono volti a evitare danni irreparabili agli equilibri di bilancio di
tali enti. Essi comportano, in tutta evidenza, una limitazione dell’autonomia
degli enti del Servizio sanitario nazionale, che, tuttavia − come questa
Corte ha già incidentalmente rilevato nella sentenza n. 60 del
2013 − si giustifica «in forza del diverso interesse alla legalità
costituzionale-finanziaria e alla tutela dell’unità economica della Repubblica
perseguito […] in riferimento agli artt. 81, 119 e 120 Cost.», anche in
considerazione delle esigenze di rispetto dei vincoli posti dal diritto
dell’Unione europea. La ragionevolezza, in funzione della tutela dell’indicato
interesse alla legalità costituzionale-finanziaria e dell’unità economica della
Repubblica, degli esiti del controllo finanziario della Corte dei conti sui
bilanci degli enti del Servizio sanitario nazionale previsti dall’impugnato
comma 7 – i quali consentono di garantire il rispetto dei menzionati interessi
costituzionali anche quando l’ente controllato non vi provveda spontaneamente –
comporta l’infondatezza delle doglianze avanzate dalle ricorrenti in ordine al
carattere «coercitivo» e «sanzionatorio e repressivo» degli stessi. Tale
conclusione, del resto, è ancor più valida a séguito dell’imposizione a tutte
le pubbliche amministrazioni, ad opera della legge cost. n. 1 del 2012, della
fondamentale regola dell’equilibrio dei bilanci (art. 97, primo comma, Cost.,
nel testo modificato dalla citata legge costituzionale), del cui rispetto la
copertura e la sostenibilità finanziaria della spesa costituiscono essenziali
presidi.
La Regione autonoma Sardegna lamenta,
infine, che l’impugnato comma 7 eccederebbe dai limiti propri di un principio
fondamentale della materia «coordinamento della finanza pubblica» in quanto
avrebbe natura di norma di dettaglio.
Neanche tale doglianza è fondata.
Questa Corte ha costantemente affermato
la possibilità per il legislatore statale di prevedere, nell’esercizio della
propria competenza legislativa a determinare i princípi
fondamentali della materia «coordinamento della finanza pubblica», forme di
controllo finanziario della Corte dei conti sugli enti territoriali e sugli
enti del Servizio sanitario nazionale, le quali trovino fondamento, come nella
specie (punto 6.3.2.), negli artt.
28, 81, 97, primo comma, 100, secondo comma, e 119 Cost. (sentenze n. 219
e n. 60 del 2013,
n. 198 del 2012,
n. 179 del 2007,
n. 267 del 2006,
n. 29 del 1995).
Tale competenza legislativa dello Stato comprende anche la determinazione degli
esiti dei predetti controlli e, in particolare, la disciplina degli effetti
delle pronunce adottate dalla Corte dei conti a conclusione del giudizio di
controllo, in quanto parte integrante del medesimo. La Corte dei conti, del
resto, è un Istituto che, ancorché posto al servizio dello Stato-ordinamento e
non già soltanto dello Stato-apparato (sentenze n. 60 del
2013, n. 198
del 2012, n.
267 del 2006, n.
29 del 1995), appartiene pur sempre all’ordinamento statale (sentenza n. 224 del
1999): ciò esclude che il contenuto e gli effetti delle sue pronunce possano
essere disciplinati dal legislatore regionale. L’impugnato comma 7, pertanto,
stabilendo, come visto, gli esiti del controllo della Corte dei conti sui
bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi degli enti del Servizio
sanitario nazionale, costituisce un principio fondamentale della materia
«coordinamento della finanza pubblica».
6.3.4.3.3.−
Sempre in ordine all’impugnazione del comma 7 dell’art. 1 del decreto-legge in
esame per la parte che si riferisce al controllo dei bilanci preventivi e dei
rendiconti consuntivi degli enti del Servizio sanitario nazionale, va, in
ultimo, esaminata la censura con la quale la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia lamenta che tale disposizione, ove intesa nel senso dell’assenza di
strumenti di tutela giurisdizionale avverso le pronunce della Corte dei conti
di accertamento delle irregolarità e di verifica negativa dei provvedimenti
regionali, violerebbe gli artt. 24 e 113 Cost.
Come visto al
punto 6.3.4.3.2., il comma impugnato, allo scopo di assicurare l’effettività
dei controlli finanziari della Corte dei conti, ha attribuito alle pronunce di accertamento delle sezioni regionali di controllo della
stessa Corte, da esso previste, effetti non meramente collaborativi –
come quelli che rimettono agli stessi enti controllati l’adozione delle misure
necessarie a rimuovere le irregolarità o le disfunzioni segnalate – ma
imperativi nei riguardi degli enti del Servizio sanitario nazionale e, nel caso
di inosservanza degli obblighi imposti, inibitori dell’azione amministrativa
degli stessi enti. Tali pronunce delle sezioni regionali della Corte dei conti
possono, perciò, ledere le situazioni giuridiche soggettive degli enti del
Servizio sanitario nazionale. Ne discende che − contrariamente a quanto
dedotto dalla ricorrente Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia − nei
confronti delle stesse situazioni giuridiche soggettive non può essere esclusa
la garanzia della tutela dinnanzi al giudice assicurata dal fondamentale
principio dell’art. 24 Cost. (sentenza n. 470 del
1997). Resta, perciò, in discussione, non già l’an, ma soltanto il quomodo di tale tutela. L’identificazione di
tale tutela costituisce, tuttavia, un problema interpretativo della normativa
vigente la cui risoluzione esula, ovviamente, dall’oggetto del presente
giudizio. La questione promossa dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia è,
quindi, infondata, non comportando la disposizione impugnata alcun vulnus al diritto di agire in giudizio,
da ritenere, invece, garantito.
6.3.5.− La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna
anche il comma 4 dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012.
Secondo la ricorrente, la norma
impugnata, regolando «la struttura del rendiconto della Regione», violerebbe
l’art. 4, numero 1), dello statuto speciale di autonomia – che attribuisce alla
Regione la potestà legislativa primaria nella materia «ordinamento degli
Uffici», che «comprende la contabilità regionale» − o l’art. 117, quarto
comma, Cost., «se ritenuto più favorevole».
La questione non è fondata.
Come si è esposto al punto 2., le
disposizioni dell’art. 1 del d.l. in esame costituiscono norme di principio in
materia di «armonizzazione dei bilanci e coordinamento della finanza pubblica»,
opponibili anche al legislatore dotato di autonomia particolare. Ne consegue
che il legislatore statale ben può, legittimamente, dettare norme di principio
le quali prevedono che le introdotte verifiche sui rendiconti includano anche
le partecipazioni in società controllate, alle quali è affidata la gestione di
servizi pubblici per la collettività regionale e di servizi strumentali alla
Regione, nonché i risultati della gestione degli enti del Servizio sanitario
nazionale, senza con ciò invadere l’ambito di competenza riservato alla potestà
legislativa primaria della Regione. Ciò risponde anzitutto all’esigenza, può
volte ribadita da questa Corte, di porre quei principi funzionali a garantire
l’armonizzazione dei bilanci e dei conti degli enti territoriali che trovano
espresso radicamento nel titolo competenziale
individuato dall’art. 117, terzo comma, Cost., e sono pertanto opponibili anche
al legislatore dotato di autonomia particolare. Pertanto quest’ultimo non
risulta, al di là di detti principi, vincolato nelle modalità di redazione del
rendiconto stesso, né leso in ambiti di competenza riservati alla sua potestà
legislativa primaria. Detta armonizzazione, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, risulta altresì funzionale a garantire il raffronto tra i bilanci
pubblici degli enti territoriali, specie per prevenire squilibri di bilancio in
riferimento agli artt. 81 e 119 Cost. e garantire il rispetto degli obiettivi
di finanza pubblica cui partecipano anche le autonomie speciali (ex plurimis, sentenze n. 60 del
2013 e n.
425 del 2004).
Non sussiste pertanto il censurato
contrasto.
6.3.6.– È impugnato anche il comma 5 dell’art. 1 del citato
decreto-legge, il quale prevede che il rendiconto generale della Regione sia
parificato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi
degli artt. 39 e 41 del testo unico approvato con il regio decreto 12 luglio
1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti).
Sono rispettivamente invocati, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
l’art. 116 Cost., il Titolo IV dello statuto di autonomia e l’art. 33, comma 3,
del d.P.R. n. 902 del 1975, che, tra l’altro, attribuisce alla sezione
regionale di controllo della Corte dei conti le decisioni in materia di
parificazione del rendiconto generale della Regione ai sensi degli artt. 39 e
41 del citato regio decreto n. 1214 del 1934; e, dalla Regione autonoma Sardegna,
gli artt. 7 e 8 dello statuto di autonomia (che disciplinano l’autonomia
finanziaria della Regione) e l’art. 119 Cost. (anche in relazione all’art. 10
del d.P.R. n. 21 del 1978, che disciplina il "giudizio di verificazione” sul
rendiconto generale della Regione da parte della sezione regionale della Corte
dei conti).
La questione non è fondata.
Nel caso in esame, la norma impugnata
non è lesiva dell’autonomia regionale e degli invocati parametri costituzionali
e statutari, dal momento che le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e
Sardegna hanno già a suo tempo introdotto discipline sostanzialmente analoghe
al giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione, previsto
dagli artt. 39 e 41 del richiamato testo unico approvato con il regio decreto
n. 1214 del 1934, secondo un modulo procedimentale sostanzialmente analogo a
quello introdotto dalla norma in esame. Da ciò segue
che, nei confronti delle Regioni ricorrenti, non sussiste alcun obbligo di
adeguamento, in conseguenza del comma 16 dell’art. 1 del decreto-legge n. 174
del 2012, all’impugnato comma 5 dello stesso articolo.
6.3.7.– La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia censura anche il comma 6 dell’art. 1 del suddetto decreto-legge, il quale
dispone che «il Presidente della regione trasmette ogni dodici mesi alla
sezione regionale di controllo della Corte dei conti una relazione sulla
regolarità della gestione e sull’efficacia e sull’adeguatezza del sistema dei
controlli interni adottato sulla base delle linee guida deliberate dalla sezione
delle autonomie della Corte dei conti entro trenta giorni dalla data di entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto. La relazione è,
altresì, inviata al presidente del consiglio regionale».
La ricorrente si duole della lesione
dell’art. 4, numero 1), del proprio statuto di autonomia, che attribuisce alla
Regione la potestà legislativa primaria nella materia «ordinamento degli Uffici
e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del
personale ad essi addetto», dell’art. 33, comma 1,
del d.P.R. n. 902 del 1975 (che disciplina i controlli della Corte dei conti
nella Regione Friuli-Venezia Giulia),
nonché della lesione dell’«autonomia organizzativa regionale».
Osserva la Regione
ricorrente che le menzionate "Linee guida”
sembrerebbero riguardare non già la relazione annuale, ma il sistema dei
controlli interni, sicché è possibile che il legislatore statale sia incorso in
un lapsus calami (in luogo di
«adottato» dovrebbe leggersi «adottata»); in caso contrario, ad avviso della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la disposizione in parola, essendo
riconducibile all’ambito materiale dell’organizzazione regionale, violerebbe l’art. 4, numero 1), del proprio statuto di autonomia o
l’art. 117, quarto comma, Cost., «se ritenuto più favorevole» ai sensi
dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
La questione non è fondata.
Come osservato dalla
ricorrente nella memoria depositata l’8
novembre 2013, l’impugnato comma 6 è stato attuato
con la delibera della Corte dei conti, sezione delle autonomie, 11 febbraio
2013, n. 5, recante «Linee guida per la relazione annuale del Presidente della
regione sulla regolarità della gestione, sull’efficacia e adeguatezza del
sistema dei controlli interni, ai sensi dell’articolo 1, comma 6, del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 213 del 2012». La disposizione censurata deve, pertanto, essere
interpretata nel senso che le "Linee guida” non riguardano il sistema dei
controlli interni, ma la relazione annuale del Presidente della Regione, in
conformità, del resto, ai lavori preparatori. Ne consegue che la norma
impugnata sfugge alla censura della ricorrente.
La questione promossa, in
via subordinata, in riferimento all’art. 33, comma 1, del d.P.R. n. 902 del
1975, non è fondata.
La
suddetta relazione del
Presidente della Regione alla sezione regionale di controllo della Corte dei
conti sulla regolarità della gestione e sull’efficacia e sull’adeguatezza del
sistema dei controlli interni, ben lungi dal sovrapporsi all’ambito competenziale preservato dal parametro invocato,
costituisce istituto funzionale a garantire quel raccordo tra controlli interni
ed esterni, finalizzati a garantire il rispetto dei parametri costituzionali e
di quelli posti dal diritto dell’Unione europea (ex plurimis,
sentenze n. 267
del 2006, n.
181 del 1999, n.
470 del 1997, n.
29 del 1995), estensibili anche alle autonomie speciali (sentenze n. 60 del
2013 e n.
179 del 2007).
6.3.8.– La Regione autonoma
Sardegna censura anche il comma 8 dell’art.
1 del d.l. n. 174 del 2012, il quale prevede che le relazioni redatte dalle
sezioni regionali di controllo della Corte dei conti siano «trasmesse alla
Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dell’economia e delle
finanze per le determinazioni di competenza», lamentando la lesione degli artt.
7 e 8 del proprio statuto di autonomia e dell’art. 119 Cost. (che assicurano
«autonomia finanziaria qualificata» alla Regione), dell’art. 117, terzo comma,
Cost. (che disciplina la potestà legislativa regionale in materia di
«coordinamento della finanza pubblica»), degli artt. 3, 4, 5 e 6 dello statuto
e dell’art. 117 Cost. (che attribuiscono alla Regione funzioni legislative e
amministrative), in quanto la norma impugnata prevedrebbe un controllo di
natura non collaborativa e suscettibile di determinare conseguenze «sanzionatorie
e repressive» quali la trasmissione delle relazioni delle sezioni regionali di
controllo della Corte dei conti alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al
Ministero dell’economia e delle finanze «per le determinazioni di competenza».
La questione è inammissibile.
La censura, rivolta invero al comma 8,
unitamente all’impugnato comma 7, si connota per la genericità dei motivi, non
sorretti da adeguate argomentazioni, atteso che la ricorrente Regione autonoma
Sardegna non spiega in alcun modo quali sarebbero le «determinazioni di
competenza» della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero
dell’economia e delle finanze di cui si duole e le asserite conseguenze
«sanzionatorie e repressive» che sarebbero lesive dell’autonomia regionale.
È principio consolidato nella
giurisprudenza di questa Corte che il ricorso in via principale non solo «deve
identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi», indicando
«le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di
compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di
costituzionalità», ma deve, altresì, «contenere una seppur sintetica
argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di
incostituzionalità della legge» (ex plurimis, sentenze n. 40 del
2007, n. 139
del 2006; nonché ordinanza n. 123
del 2012), ponendosi la esigenza di una adeguata motivazione a
supporto della impugnativa «in termini perfino più pregnanti nei giudizi
diretti che in quelli incidentali» (tra le tante, sentenze n. 139 del
2006 e n.
450 del 2005; nonché ordinanza n. 123
del 2012). Da ciò segue l’inammissibilità della questione (tra le
tante, sentenze
n. 41 del 2013; n. 114 del 2011;
n. 310 del 2010).
6.3.9.– Le ricorrenti Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e
Sardegna impugnano anche l’art. 1, commi 9, 10, 11 e 12, del decreto-legge in
esame, che disciplinano procedimenti di controllo sui gruppi consiliari dei
consigli regionali.
Occorre anzitutto ribadire, come detto
al punto 6.3.2., che, con i commi impugnati, il legislatore statale ha adeguato il controllo della Corte dei conti sulla
gestione finanziaria delle Regioni, previsto dagli artt. 3, comma 5, della
legge n. 20 del 1994 e 7, comma
7, della legge n. 131 del 2003, al duplice fine – indicato dal comma 1
dell’art. 1 del suddetto decreto-legge – del rafforzamento del coordinamento
della finanza pubblica e della garanzia del rispetto dei vincoli finanziari
derivanti dall’appartenenza del nostro Paese all’Unione europea. Da ciò segue
la non fondatezza delle censure mosse dalle ricorrenti in riferimento a tutti i
parametri costituzionali (art. 116 Cost.), statutari e delle relative norme di
attuazione evocati (artt. 54 e 56 dello statuto speciale per la Sardegna), le
quali muovono dal presupposto errato che si tratti delle uniche fonti con le
quali i controlli in parola possano essere disciplinati.
Quanto agli altri parametri evocati
dalle ricorrenti, al fine di meglio inquadrare le questioni sottoposte
all’esame della Corte, occorre osservare che le censure mosse dalle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna si basano sul presupposto che
sussista un loro titolo di competenza esclusivo per la disciplina dei gruppi
consiliari del consiglio regionale (e dei relativi controlli), desumibile dagli
invocati parametri relativi all’autonomia legislativa e amministrativa della
Regione (art. 117 Cost. e artt. 3, 4, 5 e 6 dello statuto speciale per la
Sardegna), dall’autonomia finanziaria della Regione (art. 119 Cost. e artt. 7 e
8 dello statuto speciale per la Sardegna, di cui l’autonomia contabile del
consiglio regionale sarebbe diretto riflesso), dalla fonte statutaria e dalla
riserva da esso posta in favore della legge statutaria, di cui la disciplina
dettata dal regolamento consiliare in materia di gruppi sarebbe diretto
svolgimento (artt. 16, 17 e 18 dello statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia
e art. 5 della legge statutaria n. 17 del 2007 del Friuli-Venezia Giulia; art.
15 dello statuto speciale per la Sardegna, che riserva alla legge regionale la
determinazione della forma di governo, a cui sarebbe riconducibile l’attività
dei gruppi consiliari e la disciplina dei contributi loro corrisposti; art. 26
dello statuto speciale per la Sardegna, che riserva alla legge regionale la
fissazione dell’indennità di carica dei singoli consiglieri, ambito a cui
sarebbe riconducibile anche la materia dell’erogazione dei contributi e dei
controlli sui gruppi consiliari, onde assicurare l’indipendenza dei consiglieri
ai sensi degli artt. 23 e 24 dello statuto), dall’ambito materiale riservato
alle norme di attuazione che esaurirebbe il novero dei controlli
costituzionalmente legittimi sui gruppi consiliari (art. 33 dello statuto per
la Sardegna e art. 127 Cost.; art. 56, in combinato disposto con l’art. 7,
dello statuto per la Sardegna; art. 116 Cost. e artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 21
del 1978).
6.3.9.1.– I presupposti da
cui muovono le ricorrenti non possono essere condivisi. Quanto ai caratteri dell’autonomia organizzativa e
contabile dei consigli regionali, questa Corte ha infatti costantemente
affermato la diversità di posizione e funzioni degli organi del Parlamento
nazionale rispetto a quelli delle altre assemblee elettive (tra le tante, sentenze n. 306
e n. 106 del
2002). Tale orientamento è stato espressamente sviluppato sotto molteplici
profili, inerenti alla posizione delle assemblee legislative nel sistema
costituzionale e alla loro organizzazione, nonché al piano dei controlli e dei
giudizi attribuiti alla Corte dei conti. Al riguardo, è stato ad esempio
affermato che «non è possibile […] considerare estesa ai consigli regionali la
deroga, rispetto alla generale sottoposizione alla giurisdizione contabile, che
si è ritenuto operare, per ragioni storiche e di salvaguardia della piena
autonomia costituzionale degli organi supremi, nei confronti delle Camere
parlamentari, della Presidenza della Repubblica e della Corte costituzionale» (sentenza n. 292 del
2001, con richiami anche alle sentenze n. 110 del
1970 e n.
129 del 1981).
Ne consegue che, stando alla
giurisprudenza di questa Corte, le assemblee elettive delle Regioni si
differenziano, anche sul piano dell’autonomia organizzativa e contabile, dalle
assemblee parlamentari, atteso che i consigli regionali godono bensì, in base a
norme costituzionali, di talune prerogative analoghe a quelle tradizionalmente
riconosciute al Parlamento, ma, al di fuori di queste espresse previsioni, non
possono essere assimilati ad esso, quanto meno ai fini della estensione di una
disciplina che si presenta essa stessa come eccezionale e derogatoria (sentenze n. 292 del
2001 e n. 81
del 1975). Anche la sentenza n. 143 del
1968, richiamata dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, pur
affermando l’indipendenza dell’assemblea regionale, nega la suddetta
assimilazione.
Alla luce della richiamata giurisprudenza
di questa Corte, occorre ora procedere allo scrutinio delle norme impugnate,
distinguendo le censure rivolte ai singoli commi censurati (9, 10, 11 e 12
dell’art. 1).
6.3.9.2.– Il comma 9 dell’art. 1 del citato decreto-legge,
disciplina il rendiconto di esercizio annuale dei gruppi consiliari e la
relativa articolazione, prevedendo che ciascun gruppo consiliare approvi un
rendiconto di esercizio annuale, strutturato secondo le linee-guida deliberate
in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano e recepite con decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri 21 dicembre 2012 (Recepimento delle linee guida sul
rendiconto di esercizio annuale approvato dai gruppi consiliari dei consigli
regionali, ai sensi dell’articolo 1, comma 9, del decreto-legge 10 ottobre
2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n.
213); ciò al fine di assicurare la corretta rilevazione dei fatti di gestione e
la regolare tenuta della contabilità (con l’indicazione delle risorse
trasferite e dei titoli in base ai quali sono effettuati i trasferimenti).
Le questioni relative al comma 9
dell’art. 1 del citato decreto-legge non sono fondate.
La disposizione censurata non risulta
lesiva, alla luce della richiamata giurisprudenza della Corte, dei parametri
costituzionali e statutari invocati dalle ricorrenti, posti a presidio
dell’autonomia regionale, di cui il consiglio costituisce la principale
espressione rappresentativa.
Al riguardo, occorre premettere che il
rendiconto delle spese dei gruppi consiliari costituisce parte necessaria del
rendiconto regionale, nella misura in cui le somme da tali gruppi acquisite e
quelle restituite devono essere conciliate con le risultanze del bilancio regionale.
A tal fine, il legislatore ha predisposto questa analisi obbligatoria di tipo
documentale che, pur non scendendo nel merito dell’utilizzazione delle somme
stesse, ne verifica la prova dell’effettivo impiego, senza ledere l’autonomia
politica dei gruppi interessati al controllo. Il sindacato della Corte dei
conti assume infatti, come parametro, la conformità del rendiconto al modello
predisposto in sede di Conferenza, e deve pertanto ritenersi documentale, non
potendo addentrarsi nel merito delle scelte discrezionali rimesse all’autonomia
politica dei gruppi, nei limiti del mandato istituzionale.
I parametri evocati dalle ricorrenti
preservano un ambito competenziale rimesso a fonti di
autonomia che non risulta in alcun modo leso dall’introdotta tipologia di
controlli che sono meramente "esterni” e di natura documentale. Da ciò segue
l’infondatezza delle questioni.
6.3.9.3.– Passando ora
all’esame delle specifiche censure, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
impugna l’art. 1, comma 9, del d.l. n. 174 del 2012, anche in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost., che, riservando
allo Stato la potestà regolamentare nelle sole materie di legislazione
esclusiva, determinerebbe «il divieto di fonti secondarie statali nella materie
regionali», atteso che la disposizione impugnata, prevedendo che la struttura
del rendiconto dei gruppi consiliari sia stabilita dalle "Linee guida”,
deliberate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni
e le Province autonome di Trento e di Bolzano e recepite con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, demanderebbe a detti organi l’esercizio
di un potere «sostanzialmente normativo» anziché ricorrere alla legge.
La questione non è fondata.
La norma impugnata ha avuto attuazione
con il citato d.P.C.m. 21 dicembre 2012. Quest’ultimo
risulta, invero, privo di contenuto normativo, limitandosi ad indicare i
criteri e le regole tecniche volte a soddisfare quelle esigenze di omogeneità
nella redazione dei rendiconti annuali di esercizio dei gruppi consiliari.
Al riguardo, questa Corte ha
ripetutamente affermato che dette esigenze di armonizzazione nella redazione
dei documenti contabili sono strumentali a consentire la corretta raffrontabilità dei conti (tra le tante, sentenza n. 138 del
2013); ciò in quanto «la codificazione di parametri standardizzati» è
funzionale a consolidare, sotto il profilo contabile, «le risultanze di tutti i
conti regionali in modo uniforme e trasparente così da assicurare non solo dati
finanziari complessivi e comparativi attendibili, bensì anche strumenti
conoscitivi per un efficace coordinamento della finanza pubblica»,
inscindibilmente connessa alla «disciplina delle regole di natura contabile che
nell’ambito della finanza pubblica allargata sono serventi alla funzione
statale di monitoraggio e vigilanza sul rispetto dei complessivi obiettivi» (ex plurimis, sentenze n. 309
e n. 176 del
2012; n. 52
del 2010).
Non sussiste, pertanto, il censurato
contrasto.
6.3.9.4.– Le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna impugnano specificamente i commi 10 e 11 dell’art.
1 del decreto-legge sopra indicato, nella parte in cui attribuiscono competenze
al Presidente della Giunta regionale circa la trasmissione dei rendiconti dei
gruppi consiliari alla competente sezione regionale di controllo della Corte
dei conti, deducendo, rispettivamente, la violazione dell’art. 12 dello statuto
del Friuli-Venezia Giulia, che rimette alla legge statutaria la disciplina dei
rapporti tra gli organi della Regione, e degli artt. 15 e 35 dello statuto per
la Regione Sardegna – sia pure limitatamente all’impugnato comma 10 – che
disciplinano il rapporto tra il Presidente della Regione Sardegna e il
Consiglio regionale, in quanto sarebbe "ribaltato” il rapporto intercorrente tra
i due organi.
La questione è fondata nei termini di
seguito precisati.
Le norme censurate individuano nel
Presidente della Giunta l’organo della Regione titolare di determinate
funzioni, violando conseguentemente i parametri statutari evocati dalle ricorrenti.
Questa Corte ha infatti costantemente affermato che il legislatore statale non
può individuare l’organo della Regione titolare di determinate funzioni,
ancorché, nel caso in esame, al solo fine di raccolta e trasmissione degli atti
in parola (ex plurimis,
sentenze n. 22
del 2012, punto 6. del Considerato in
diritto, nonché n. 201 del 2008
e n. 387 del
2007).
Va pertanto dichiarata l’illegittimità
costituzionale:
– del comma 10, primo periodo, nella
parte in cui prevede il coinvolgimento del Presidente della Giunta nella
procedura relativa alla trasmissione dei rendiconti dei gruppi consiliari alla
competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti, limitatamente
alle parole «che lo trasmette al presidente della Regione»;
– del comma 10, secondo periodo, nella
parte in cui prevede il coinvolgimento del Presidente della Giunta nella
procedura relativa alla trasmissione delle delibere sugli effettuati controlli
della sezione regionale della Corte dei conti ai gruppi consiliari,
limitatamente alle parole «al presidente della regione per il successivo
inoltro» (conformemente, tra le tante, sentenze n. 50 del
2013; n. 52
del 2012; n.
217 del 2011; n.
269 del 2007; n.
85 del 1990).
6.3.9.5.– Quanto alle
censure rivolte al comma 11, primo periodo, nella parte in cui individua nel
Presidente della Giunta il destinatario degli eventuali rilievi formulati dalla
competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti in esito ai riscontri
sui rendiconti dei gruppi consiliari,
occorre rilevare che le fonti di autonomia e gli evocati parametri statutari,
nonché le norme dei regolamenti consiliari, espressamente richiamati dalle
ricorrenti, individuano nel Presidente del Consiglio regionale l’unico organo
legittimato alla rappresentanza dell’assemblea elettiva, tra l’altro quale
garante dell’autonomia consiliare.
La questione è fondata nei termini di
seguito precisati.
Questa Corte ha costantemente affermato
il nesso di ausiliarietà della Corte dei conti –
specie nell’esercizio delle funzioni di "controllo referto” – nei confronti
delle assemblee elettive, anche in specifico riferimento alle autonomie
speciali (tra le tante, sentenza n. 267 del
2006).
Ne consegue che, stando alla richiamata
giurisprudenza di questa Corte, il legislatore statale ben può legittimamente
individuare il Presidente del Consiglio regionale quale organo titolare di
funzioni inerenti alla trasmissione del rendiconto di ciascun gruppo alla
competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti.
Va pertanto dichiarata l’illegittimità
costituzionale del comma 11, primo periodo, nella parte in cui individua il
"presidente della regione”, anziché il "presidente del consiglio regionale”,
quale destinatario della comunicazione affinché, in caso di riscontrate
irregolarità, si provveda alla regolarizzazione del rendiconto di esercizio del
gruppo consiliare precedentemente trasmesso.
6.3.9.6.– Le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna impugnano i commi 11 e 12 dell’art. 1 del
decreto-legge citato, lamentando la lesione degli ulteriori parametri
richiamati al punto 6.3.9.
Al fine di procedere allo scrutinio
delle norme impugnate, occorre distinguere le censure rivolte nei confronti dei
diversi periodi in cui si articolano i commi censurati.
La questione relativa al comma 11, primo
e secondo periodo, non è fondata.
Le disposizioni impugnate, nella parte
in cui disciplinano le modalità di svolgimento dei controlli della sezione
regionale sui rendiconti di esercizio dei gruppi consiliari – salvo quanto
deciso supra,
ai punti 6.3.9.4. e 6.3.9.5. – rimangono
nell’alveo tracciato dalla più volte richiamata giurisprudenza di questa Corte
circa il necessario carattere dei suddetti controlli, a cui è riconducibile
anche il controllo meramente documentale sui rendiconti dei gruppi consiliari.
Anche il comma 11, ultimo periodo, nella
parte in cui introduce l’obbligo di restituzione delle somme ricevute, in caso
di accertate irregolarità in esito ai controlli sui rendiconti, sfugge alle
censure delle Regioni ricorrenti.
Contrariamente alla sanzione della
decadenza dal diritto all’erogazione delle risorse per il successivo esercizio
annuale, l’obbligo di restituzione può infatti ritenersi anzitutto principio
generale delle norme di contabilità pubblica. Esso risulta strettamente
correlato al dovere di dare conto delle modalità di impiego del denaro pubblico
in conformità alle regole di gestione dei fondi e alla loro attinenza alle
funzioni istituzionali svolte dai gruppi consiliari.
Detto obbligo è circoscritto dalla norma
impugnata a somme di denaro ricevute a carico del bilancio del consiglio regionale,
che vanno quindi restituite, in caso di omessa rendicontazione, atteso che si
tratta di risorse della cui gestione non è stato correttamente dato conto
secondo le regole di redazione del rendiconto. Ne consegue che l’obbligo di
restituzione discende causalmente dalle riscontrate irregolarità nella
rendicontazione. Conseguentemente – sulla base del suddetto nesso di causalità
– l’obbligo di restituzione risulta riconducibile alla richiamata procedura di
controllo legittimamente istituita dal legislatore. Da ciò segue che, per gli
stessi motivi esposti al punto 6.3.9.2., non
sussistono i censurati contrasti.
6.3.9.7.– Occorre ora
procedere allo scrutinio del comma 11
dell’impugnato art. 1 del decreto-legge in esame, limitatamente al terzo
periodo, il quale prevede che, in caso di riscontrate irregolarità da parte
della sezione regionale di controllo della Corte dei conti, il gruppo
consiliare che non provveda alla regolarizzazione del rendiconto entro il
termine fissato decada, per l’anno in corso (quindi per l’esercizio successivo
a quello rendicontato), dal diritto all’erogazione di risorse da parte del
consiglio regionale.
L’Avvocatura generale dello Stato rileva
che l’eventuale decadenza dal diritto all’erogazione
di risorse da parte del Consiglio regionale, nel caso in cui il gruppo
consiliare non provveda tempestivamente alla regolarizzazione, rientrerebbe
nell’indispensabile funzione di vigilanza funzionale ad assicurare
l’effettività del controllo (è richiamata ancora la sentenza n. 179 del
2007). Tale rilievo non può essere accolto.
La questione è fondata.
L’impugnato comma 11 introduce una
misura repressiva di indiscutibile carattere sanzionatorio che consegue ex lege, senza
neppure consentire che la Corte dei conti possa graduare la sanzione stessa in
ragione del vizio riscontrato nel rendiconto, né che gli organi controllati
possano adottare misure correttive. Ciò non consente di preservare quella
necessaria separazione tra funzione di controllo e attività amministrativa
degli enti sottoposti al controllo stesso che la giurisprudenza di questa Corte
ha posto a fondamento della conformità a Costituzione delle norme istitutive
dei controlli attribuiti alla Corte dei conti (tra le tante, sentenza n. 179 del
2007).
I gruppi consiliari sono stati
qualificati dalla giurisprudenza di questa Corte come organi del consiglio e
proiezioni dei partiti politici in assemblea regionale (sentenze n. 187 del
1990 e n.
1130 del 1988), ovvero come uffici comunque necessari e strumentali alla
formazione degli organi interni del consiglio (sentenza n. 1130
del 1988). Introducendo una sanzione che, precludendo qualsiasi
finanziamento, rischia potenzialmente di compromettere le funzioni pubbliche
affidate ai gruppi consiliari, la norma impugnata rischia di pregiudicare il
fisiologico funzionamento dell’assemblea regionale stessa, anche in ragione di
marginali irregolarità contabili, pur in assenza di un utilizzo scorretto dei
contributi assegnati. Ne consegue la lesione degli evocati parametri
costituzionali posti a presidio dell’autonomia legislativa e finanziaria delle
Regioni ricorrenti (artt. 117 e 119 Cost.).
Vanno pertanto dichiarati
costituzionalmente illegittimi:
– l’art. 1, comma 11, terzo periodo, del
decreto-legge in esame;
– l’art. 1, comma 11, quarto periodo,
del citato decreto-legge, nella parte in cui prevede che l’obbligo di
restituire le somme ricevute a carico del bilancio del consiglio regionale e
non rendicontate consegue alla «decadenza di cui al presente comma», anziché
all’omessa regolarizzazione di cui allo stesso comma 11;
– l’art. 1, comma 12, del medesimo
decreto-legge, là dove prevede che «La decadenza e l’obbligo di restituzione di
cui al comma 11 conseguono» anziché prevedere che «L’obbligo di restituzione di
cui al comma 11 consegue» (conformemente, tra le tante, sentenze n. 222
e n. 93 del 2013).
Va precisato
che tale dichiarazione, essendo fondata sulla violazione di disposizioni della
Costituzione, ha efficacia con riguardo all’applicazione di detta norma a tutte
le Regioni, a statuto ordinario e a statuto speciale, nonché alle Province
autonome di Trento e di Bolzano.
Le ulteriori
questioni promosse dalla Regione autonoma Sardegna nei confronti dei commi 11 e
12 dell’art. 1 del suddetto decreto-legge sono assorbite.
6.3.9.8.– La Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna i commi 11 e 12 dell’art. 1 del d.l. n. 174 del 2012 anche in specifico riferimento
agli artt. 24 e 113 Cost., atteso che le norme impugnate non garantirebbero
idonei strumenti di tutela giurisdizionale contro la comunicazione di
irregolarità (comma 11) e la delibera di non regolarità (comma 12), e la
conseguente decadenza dal diritto all’erogazione del contributo, che
ridonderebbero in una lesione dell’autonomia del consiglio regionale e dei
gruppi consiliari.
La questione non è fondata.
Anche a prescindere dalla natura
giuridica dei gruppi consiliari, l’eventuale pregiudizio immediato e diretto
arrecato alle posizioni giuridiche soggettive non può che determinare – nel
silenzio della norma – la facoltà dei soggetti controllati di ricorrere agli
ordinari strumenti di tutela giurisdizionale previsti dall’ordinamento in base
alle fondamentali garanzie costituzionali previste dagli artt. 24 e 113 Cost.,
espressamente qualificate da questa Corte come principi supremi
dell’ordinamento (ex plurimis,
sentenze n. 26
del 1999, punto 3.1. del Considerato
in diritto; nonché n. 526 del 2000;
n. 266 del 2009;
n. 10 del 1993;
n. 232 del 1989;
n. 18 del 1982;
n. 98 del 1965).
Ne discende che − contrariamente a
quanto dedotto dalla ricorrente Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia −
nei confronti delle norme impugnate non può essere esclusa, per i gruppi
consiliari, la garanzia della tutela dinnanzi al giudice assicurata dal
fondamentale principio degli artt. 24 e 113 Cost. (sentenza n. 470 del
1997). Resta, perciò, in discussione, non già l’an, ma soltanto il quomodo di tale tutela, problema interpretativo
della normativa vigente la cui definizione esula, ovviamente, dall’oggetto del
presente giudizio. La questione promossa dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia è, quindi, infondata, non comportando la disposizione impugnata alcun vulnus al diritto di agire in giudizio,
da ritenere, invece, garantito.
6.3.10.−
Venendo alle questioni promosse nei confronti dell’art. 1, comma 16, del
decreto-legge in esame, dalle Regioni autonome Friuli-Venezia
Giulia e Sardegna, le ricorrenti deducono − come più diffusamente si è
visto al punto 6.2. − l’illegittimità di tale comma in quanto esso le
obbliga ad adeguare i propri ordinamenti a disposizioni di legge statale che,
in considerazione dei controlli da queste introdotti, non previsti dai
rispettivi statuti speciali né dalle relative norme di attuazione: a)
richiederebbero, ai fini di tale adeguamento, l’adozione di una normativa di
attuazione statutaria (se non la revisione degli statuti speciali), da determinare in modo paritetico e non
unilateralmente da parte dello Stato e senza imposizione di termini (entrambe
le ricorrenti), o, comunque, di una normativa concordata tra lo Stato e
ciascuna Regione (Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia); b) potrebbero
imporsi agli enti ad autonomia speciale solo limitatamente ai princípi da esse ricavabili (Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia); c) comporterebbero le lesioni delle attribuzioni
costituzionali e statutarie, derivanti dall’adeguamento alle stesse, già
denunciate in sede di impugnazione di ciascuna di esse (Regione autonoma
Sardegna).
I primi due
profili di doglianza non sono fondati. Infatti, come ampiamente evidenziato ai
punti 2., 3., 6.3.2., 6.3.4.3.2., le disposizioni alle quali l’impugnato comma
16 impone alle Regioni a statuto speciale di adeguare i propri ordinamenti: a)
costituiscono esercizio della competenza dello Stato a dettare i princípi fondamentali nelle materie «armonizzazione dei
bilanci pubblici» e «coordinamento della finanza pubblica»; b) sono opponibili
anche agli enti ad autonomia differenziata, perché anche la finanza di tali
enti è parte della finanza pubblica allargata.
Con il terzo
profilo di doglianza, la Regione autonoma Sardegna lamenta – come già rilevato al punto 6.2.2. – l’incostituzionalità del comma 16 dell’art. 1
del d.l. n. 174 del 2012 in quanto le imporrebbe di adeguare il
proprio ordinamento a disposizioni dello stesso art. 1 (in particolare, i commi
da 1 a 8, 9, 10, 11 e 12) che sono, a loro volta, incostituzionali e che essa
ha, per tale ragione, impugnato in via autonoma. Considerati tali termini della
questione, essa deve ritenersi fondata o no a seconda che siano state,
rispettivamente, accolte o rigettate le questioni promosse dalla stessa Regione
autonoma Sardegna nei confronti degli altri commi dell’art. 1 in esame, da essa
impugnati. In proposito, sono state accolte, come visto, le questioni promosse
dalla Regione ricorrente nei confronti: a) del comma 7, limitatamente
alla parte in cui si riferisce al
controllo dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi delle Regioni; b)
del comma 10, primo periodo, limitatamente alle parole «che lo trasmette al
presidente della regione»; c) del comma 10, secondo periodo, limitatamente alle
parole «al presidente della regione per il successivo inoltro»; d) del comma
11, terzo periodo; e) del comma 11, quarto periodo, nella parte in cui prevede
che l’obbligo di restituire le somme ricevute a carico del bilancio del
consiglio regionale e non rendicontate consegue alla «decadenza di cui al
presente comma», anziché all’omessa regolarizzazione di cui allo stesso comma
11; f) del comma 12, là dove prevede che «La decadenza e l’obbligo di
restituzione di cui al comma 11 conseguono» anziché prevedere che «L’obbligo di
restituzione di cui al comma 11 consegue».
Pertanto, il
comma 16 dell’art. 1 del decreto-legge in
esame, impugnato dalla Regione autonoma
Sardegna, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in
cui impone alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e
di Bolzano di adeguare il proprio ordinamento a tali disposizioni. La questione
promossa dalla Regione autonoma Sardegna nei confronti del medesimo comma 16
dell’art. 1 del d.l. in esame deve, invece, essere rigettata con riguardo alla
parte di tale comma che impone agli enti ad autonomia differenziata di adeguare
il proprio ordinamento alle disposizioni dello stesso art. 1, disposizioni
oggetto di questioni, promosse dalla stessa Regione, che sono state rigettate
e, quindi, nella parte in cui impone a detti enti l’adeguamento del proprio
ordinamento ai commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, quest’ultimo limitatamente
alla parte in cui si riferisce al
controllo dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi degli enti del
Servizio sanitario nazionale, dell’art. 1 del decreto-legge in esame.
7. – Le Regioni autonome Sardegna e Friuli-Venezia
Giulia impugnano l’art. 3, comma 1,
lettera e), del sopra menzionato
decreto-legge, che sostituisce l’art. 148 del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) con
gli artt. 148 e 148-bis, i quali prevedono che:
– le sezioni regionali della Corte dei
conti verifichino periodicamente la legittimità e la regolarità delle gestioni,
nonché il funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto delle regole
contabili e dell’equilibrio di bilancio di ciascun ente locale mediante una
procedura che vede il coinvolgimento del sindaco e del presidente della
provincia e, ove previsto, del direttore generale, o del segretario negli enti
in cui non è prevista la figura del direttore generale, sulla base delle "linee
guida” deliberate dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti, e che
prevede l’invio dei referti altresì al presidente del consiglio comunale o
provinciale (art. 148, comma 1, come modificato dall’art 3, comma 1, lettera e),
del d.l. n. 174 del 2012);
– il Ministero dell’economia e delle
finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato possa attivare
verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile, ai sensi
dell’art. 14, comma 1, lettera d),
della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica),
oltre che negli altri casi previsti dalla legge, qualora un ente evidenzi,
anche attraverso le rilevazioni SIOPE (Sistema informativo sulle operazioni
degli enti pubblici), situazioni di squilibrio finanziario riferibili a
determinati indicatori (art. 148, comma 2, come modificato dall’art. 3, comma
1, lettera e), del d.l. in esame);
– siano previste sanzioni nei confronti
degli amministratori in caso di mancata applicazione degli strumenti e delle
metodologie di controllo introdotte per gli enti locali (art. 148, comma 4, del
TUEL, come modificato dall’art. 3, comma 1, lettera e), del d.l. in
esame);
– le sezioni regionali della Corte dei
conti procedano all’esame dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi degli
enti locali, ai fini della verifica di specifici elementi suscettibili di
pregiudicare gli squilibri economico-finanziari degli enti, tenendo conto anche
delle partecipazioni societarie dell’ente locale il cui fatturato
prevalentemente derivi da attività strumentali all’ente o dallo svolgimento di
servizi pubblici, nonché, in caso di mancata adozione dei provvedimenti idonei
a rimuovere le riscontrate irregolarità e a ripristinare gli equilibri di
bilancio, la preclusione dell’attuazione dei programmi di spesa per i quali è
stata accertata la mancata copertura o l’insussistenza della relativa
sostenibilità finanziaria (art. 148-bis, del d.lgs. n. 267 del 2000,
come modificato dall’art 3, comma 1, lettera e), del d.l. in esame).
7.1. – La
Regione autonoma Sardegna rivolge le medesime censure a tutte le norme
impugnate, lamentando la violazione: dell’art. 3, comma 1, lettera b), in combinato disposto con l’art. 46
del proprio statuto di autonomia (i quali riservano il controllo sugli atti
degli enti locali agli organi della Regione nei modi e nei limiti stabiliti con
legge regionale in armonia coi principi delle leggi dello Stato e riconducono
l’organizzazione degli enti locali alla potestà legislativa della Regione) e
dell’art. 6 del medesimo statuto (che riserva alla Regione l’esercizio delle
funzioni amministrative nelle materie nelle quali ha potestà legislativa),
atteso che le disposizioni censurate affiderebbero a soggetti esterni
all’ordinamento regionale l’esercizio di funzioni amministrative concernenti la
diretta attuazione di norme che ricadono nell’ambito materiale della competenza
legislativa della Regione autonoma Sardegna.
7.2. – La
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna il comma 2 dell’art. 148 del
d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato dall’art. 3, comma 1, lettera e), del d.l. n. 174 del 2012, che
attribuisce al Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della
Ragioneria generale dello Stato l’attivazione delle richiamate verifiche,
deducendo la violazione dell’art. 4, numero 1-bis, del proprio statuto di autonomia (che attribuisce alla Regione
potestà legislativa primaria in materia di «ordinamento degli enti locali») e
degli artt. 3, 4, 6 e 9 del d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di
ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), atteso che la
norma impugnata affiderebbe allo Stato funzioni di controllo amministrativo
sugli enti locali (nel settore dell’ordinamento finanziario e contabile),
invadendo in tal modo la materia statutaria «ordinamento degli enti locali».
7.3. – Al riguardo, non possono essere accolti i
rilievi formulati dall’Avvocatura
generale dello Stato che asserisce la natura meramente collaborativa dei
controlli introdotti dalle disposizioni impugnate, affermando altresì che
queste ultime costituirebbero norme di coordinamento della finanza pubblica.
La questione relativa al comma 2
dell’art. 148 del d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato dall’art. 3, comma 1,
lettera e), dell’indicato decreto-legge, è fondata, nei termini di
seguito precisati.
Questa Corte ha ripetutamente
riconosciuto la legittimità di interventi del legislatore statale volti ad
acquisire dagli enti territoriali dati e informazioni utili, soprattutto a fini
di coordinamento della finanza pubblica (tra le tante, sentenze n. 35 del
2005; n. 36
del 2004; n.
376 del 2003), anche in relazione agli enti territoriali dotati di
autonomia particolare (sentenza n. 425 del
2004).
Cionondimeno, nel caso in esame, la
disposizione impugnata eccede i limiti del legittimo intervento del legislatore
statale, circoscritto da questa Corte alla facoltà di disciplinare obblighi di
trasmissione da parte degli uffici regionali delle notizie ritenute sensibili,
in quanto attribuisce non già ad un organo magistratuale terzo quale la Corte
dei conti, bensì direttamente al Governo un potere di verifica sull’intero
spettro delle attività amministrative e finanziarie degli enti locali,
sottraendolo, in tal modo, illegittimamente all’ambito riservato alla potestà
normativa di rango primario delle ricorrenti Regioni autonome Friuli-Venezia
Giulia e Sardegna, in violazione degli invocati parametri statutari e delle
relative norme di attuazione.
Con la sentenza n. 219 del
2013 (punto 16.5. del Considerato in
diritto), questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 5 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni,
province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009,
n. 42), nel testo introdotto dall’art. 1-bis,
comma 4, del d.l. n. 174 del 2012, che
attribuiva al Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della
Ragioneria generale dello Stato poteri di verifica sulla regolarità della
gestione amministrativo-contabile degli enti territoriali analoghi a quelli
previsti dalla norma impugnata nel presente giudizio. Anche quest’ultima
eccede i limiti consentiti dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte.
Alla stessa stregua della norma scrutinata nel precedente richiamato (sentenza n. 219 del
2013), la disposizione impugnata attribuisce ad apparati ispettivi
dell’amministrazione centrale poteri di verifica sul complesso delle attività
amministrative e finanziarie degli enti locali, violando conseguentemente i
parametri statutari e le relative norme di attuazione evocati dalle ricorrenti
Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna.
Né vale in senso contrario porre in
rilievo che la disposizione impugnata, se interpretata in relazione al
successivo comma 3 dell’art. 148 del d.lgs. n. 267 del 2000, è finalizzata a
rafforzare l’intervento della Corte dei conti, atteso che le sezioni regionali
di controllo possono ricorrere soltanto indirettamente alle procedure ispettive
disciplinate dal censurato comma 2, che rimangono, quindi, nella piena disponibilità
dell’amministrazione centrale dello Stato.
Va dunque dichiarata l’illegittimità
costituzionale del comma 2 dell’art. 148 del d.lgs. n. 267 del 2000, come
modificato dall’art. 3, comma 1, lettera e), del decreto-legge in esame,
in riferimento all’art. 4, numero 1-bis),
dello statuto speciale del Friuli-Venezia Giulia, anche in relazione agli artt.
3, 4, 6 e 9 del d.lgs. n. 9 del 1997, e in riferimento all’art. 3, comma 1,
lettera b), in combinato disposto con
l’art. 46 dello statuto speciale per la Sardegna. Gli ulteriori profili di
censura rimangono assorbiti.
7.4. – Va
conseguentemente dichiarata, per gli stessi motivi, l’illegittimità
costituzionale del comma 3 dell’art. 148 del d.lgs. n. 267 del 2000, come
modificato dall’art 3, comma 1, lettera e), del citato decreto-legge –
impugnato dalla sola Regione autonoma Sardegna – il quale prevede che le
sezioni regionali di controllo della Corte dei conti possono attivare le
procedure previste dal comma 2.
Va precisato che la dichiarazione di
illegittimità costituzionale dei commi 2 e 3 dell’art. 148 del d.lgs. n. 267
del 2000, come modificato dall’art. 3, comma 1, lettera e), del medesimo
decreto-legge, essendo fondata sugli evocati parametri statutari e sulle
relative norme di attuazione, ha efficacia, con riguardo all’applicazione di
dette norme, limitatamente alle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e
Sardegna.
7.5. – La Regione autonoma Sardegna impugna anche gli artt. 148, commi 1 e 4, e 148-bis del d.lgs. n. 267 del 2000, come
modificato dall’art 3, comma 1, lettera e), del menzionato
decreto-legge.
La censura rivolta al comma 4 dell’art.
148 è inammissibile per genericità dei motivi non sostenuti da adeguate
argomentazioni, limitandosi il ricorso ad affermare, senza ulteriori
specificazioni, la lesività della disposizione in esame rispetto ai parametri
statutari invocati in relazione agli altri commi degli impugnati artt. 148 e
148-bis, come modificati dall’art 3,
comma 1, lettera e), del d.l. n. 174 del 2012, senza illustrare
sufficientemente le ragioni che determinerebbero le dedotte lesioni (ex plurimis, sentenze n. 41 del
2013; 114 del 2011; n. 310 del 2010;
nonché ordinanza
n. 123 del 2012).
7.5.1. – La questione promossa in relazione al comma 1 dell’art. 148
del d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato
dall’art. 3, comma 1, lettera e), del d.l. n. 174 del 2012, non è
fondata.
La disposizione censurata si limita
infatti a disciplinare procedure di raccordo tra i controlli esterni di natura
collaborativa intestati alle sezioni regionali della Corte dei conti, ai quali
questa Corte ha già ricondotto verifiche periodiche sulla legittimità e la
regolarità della gestione economico-finanziaria, anche in espresso riferimento
alle autonomie speciali (ex plurimis, sentenza n. 179 del
2007), e i controlli interni funzionali a garantire il rispetto delle
regole contabili e dell’equilibrio di bilancio di ciascun ente locale. Ciò al
fine di garantire quel fondamentale raccordo tra
controlli esterni e controlli interni, volti a garantire il rispetto degli
obiettivi di finanza pubblica, i parametri costituzionali sugli equilibri di
bilancio e i vincoli posti dal diritto dell’Unione europea (ex plurimis, sentenze n. 267 del
2006, n. 181
del 1999, n.
470 del 1997, n.
29 del 1995), estensibili anche alle autonomie speciali (sentenze n. 60 del
2013 e n.
179 del 2007).
I controlli disciplinati
dalla norma impugnata si pongono pertanto su un piano distinto rispetto a
quello disciplinato dagli invocati parametri statutari e dalle relative norme di
attuazione (sentenza
n. 60 del 2013): i primi sono infatti svolti in riferimento a parametri
costituzionali (artt. 81 e 119 Cost.), anche in relazione al rispetto degli obblighi
derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea (artt. 11 e 117,
primo comma, Cost.), distinti dai parametri in riferimento ai quali si svolgono
i controlli disciplinati nell’ambito competenziale
riservato alle norme di attuazione statutaria (sentenza n. 60 del
2013).
Interpretata in questi termini, la norma
impugnata sfugge alle censure della ricorrente Regione autonoma Sardegna, in
quanto non è lesiva né degli evocati parametri statutari, inidonei a delimitare
l’ambito dei controlli legittimamente attribuibili dal legislatore statale alla
Corte dei conti (art. 3, comma 1, lettera b,
in combinato disposto con l’art. 46 dello statuto), né dell’art. 6 dello
statuto (che riserva alla Regione l’esercizio delle funzioni amministrative
nelle materie nelle quali ha potestà legislativa), atteso che ben si giustifica
l’attribuzione dei suddetti controlli ad un organo terzo ed imparziale – quale
si configura la Corte dei conti per costante giurisprudenza di questa Corte –
che rappresenta lo Stato-ordinamento.
7.5.2. – La
questione relativa all’art. 148-bis del
d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato dall’art. 3, comma 1, lettera e),
del d.l. n. 174 del 2012, non è fondata.
La ricorrente Regione autonoma Sardegna
lamenta la violazione dei medesimi parametri invocati in riferimento alle
censurate disposizioni dell’art. 148 del d.lgs. n. 267 del 2000, come
modificato dall’art. 3, comma 1, lettera e), del citato decreto-legge.
Quanto alle censure rivolte al comma 2
dell’art. 148-bis, che amplia le
introdotte verifiche sui rendiconti degli enti locali anche alle partecipazioni
in società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici
per la collettività locale e di servizi strumentali all’ente, occorre osservare
che detta estensione è funzionale, da un lato, a garantire l’armonizzazione dei
bilanci pubblici e, dall’altro, a prevenire squilibri di bilancio.
Quanto alle censure rivolte ai commi 1 e
3 dell’art. 148-bis, questa Corte,
pronunciandosi dapprima sulle norme che hanno istituito i controlli finanziari
(art. 1, commi da 166 a 172, della legge n. 266 del 2005) – espressamente
richiamati dalle norme impugnate – e successivamente sul censurato art. 148-bis, ha già affermato che il suddetto
controllo è finalizzato ad assicurare, in vista della tutela dell’unità
economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, la sana
gestione finanziaria del complesso degli enti territoriali (inclusi quelli dotati
di autonomia speciale), ponendosi conseguentemente su un piano distinto
rispetto ai controlli disciplinati dalle fonti "speciali” di autonomia (ex plurimis, sentenze n. 60 del
2013; n. 179
del 2007; n.
267 del 2006).
Nel pronunciarsi sulla conformità a
Costituzione delle norme che disciplinano tale tipologia di controllo, in
relazione agli enti locali e agli enti del Servizio sanitario nazionale (art.
1, commi da 166 a 172, della legge n. 266 del 2005), questa Corte ha altresì
affermato che esso «è ascrivibile alla categoria del sindacato di legalità e di
regolarità, di tipo complementare al controllo sulla gestione amministrativa» (sentenza n. 179 del
2007).
Sviluppando questi consolidati
orientamenti, questa Corte, con la sentenza n. 60 del
2013, ha affermato che «l’art. 1, commi da 166 a 172, della legge n. 266
del 2005 e l’art. 148-bis del d.lgs.
n. 267 del 2000, introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera e), del d. l. n. 174 del 2012, hanno istituito ulteriori tipologie
di controllo, estese alla generalità degli enti locali e degli enti del
Servizio sanitario nazionale, piuttosto ascrivibili a controlli di natura
preventiva finalizzati ad evitare danni irreparabili all’equilibrio di
bilancio». Detti controlli pertanto non sono lesivi dell’ambito riservato alle
norme di attuazione in quanto si collocano su un piano distinto rispetto ai
controlli disciplinati dalle fonti "speciali” di autonomia, «almeno per quel
che riguarda gli esiti del controllo spettante alla Corte dei conti sulla
legittimità e la regolarità dei conti» (sentenza n. 60 del
2013), a cui sono riconducibili tutte le norme impugnate dalla ricorrente
Regione autonoma Sardegna.
Non sussiste pertanto il censurato
contrasto.
8. – Le Regioni autonome Sardegna e Friuli-Venezia
Giulia e la Provincia autonoma di Trento (queste ultime limitatamente ai commi 1, 2 e 3) impugnano anche
l’art. 6 del d.l. n. 174 del 2012, che:
– disciplina il rafforzamento degli strumenti
utilizzabili per l’analisi della spesa pubblica presso gli enti territoriali
affidati al Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa
pubblica per acquisti di beni e servizi, istituito dall’art. 2 del
decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52 (Disposizioni
urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1 della legge 6 luglio 2012, n. 94, anche
mediante i Servizi ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria generale
dello Stato;
– affida a detti Servizi ispettivi lo svolgimento di
analisi su campione relative all’efficienza dell’organizzazione e alla
sostenibilità dei bilanci, sulla base di specifici indicatori di squilibrio
finanziario e secondo modelli di accertamento concordati dalla Ragioneria
generale dello Stato con il Commissario stesso (art. 6, commi 1 e 2, del d.l.
n. 174 del 2012), funzionali ai controlli e alle verifiche svolte dalle sezioni
regionali della Corte dei conti;
– affida alla Sezione autonomie della Corte dei conti
il compito di: definire, sentite le Regioni e le Province autonome di Trento e
di Bolzano, le metodologie necessarie per lo svolgimento dei controlli per la
verifica dell’attuazione delle misure dirette alla razionalizzazione della
spesa pubblica degli enti territoriali; emanare la delibera di orientamento
alla quale le sezioni regionali si conformano in presenza di interpretazioni
discordanti delle norme rilevanti per l’attività di controllo o consultiva
(art. 6, commi 3 e 4, del d.l. n. 174 del 2012).
8.1. – Le censure mosse dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia possono essere suddivise in due gruppi.
Quanto all’asserita
esclusiva riserva dell’amministrazione regionale in materia di controlli sugli
enti locali, con particolare riferimento alla finanza locale, la ricorrente
deduce la violazione: dell’art. 4, numero 1-bis),
dello statuto di autonomia e dell’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997, che attribuiscono
alla Regione la competenza legislativa in materia, rispettivamente, di
«ordinamento degli enti locali» e di «finanza locale»; dell’art. 60 dello
statuto di autonomia (che riserva il controllo sugli atti degli enti locali ad
organi della Regione); dell’art. 33, comma 1, del d.P.R. n. 902 del 1975, il
quale prevede che la Corte dei conti eserciti sugli enti locali solo il
controllo di gestione in senso stretto; del Titolo IV e dell’art. 63, comma 5,
dello statuto di autonomia, che regolano la speciale autonomia finanziaria
della Regione; dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e del principio
dell’accordo che regola i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali;
dell’art. 1, commi 154 e 155, della legge 13 dicembre 2010, n. 220
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), adottato a seguito
dell’accordo tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in
ossequio al principio secondo cui i rapporti finanziari tra Stato ed enti ad
autonomia differenziata sono regolati sulla base di accordi; nonché degli artt.
3, 4, 6 e 9 del già richiamato d.lgs. n. 9 del 1997, che riserverebbero in via
esclusiva alla Regione i controlli sugli enti locali.
8.2. – Con un secondo gruppo di censure, la ricorrente
deduce la lesione del proprio ambito di competenza relativo all’organizzazione
amministrativa regionale, intendendo i commi 1, 2 e 3 dell’art. 6 del
decreto-legge sopra indicato nel senso che il comma 3 riferisca i controlli in
esso indicati anche alle Regioni (sia ordinarie che speciali) e che
«conseguenzialmente, i commi 1 e 2 siano rivolti anche alle regioni speciali».
Ne conseguirebbe – ad avviso della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – la
violazione dell’art. 4, numero 1), dello statuto di autonomia, che le
attribuisce la potestà legislativa nella materia «ordinamento degli Uffici e
degli Enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del
personale ad essi addetto», o dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione,
«se ritenuto più favorevole».
8.3. – Anche le censure mosse dalla Provincia autonoma di Trento
avverso le norme impugnate possono essere suddivise in due gruppi. Quanto alla
lamentata lesione dell’ambito competenziale relativo
ai controlli sugli enti locali e alla finanza locale, asseritamente riservato
alla Provincia autonoma, la ricorrente evoca i seguenti parametri: l’art. 79,
comma 3, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige; la «speciale
autonomia finanziaria della Provincia, quale configurata dall’art. 79 e
dall’art. 104 dello Statuto, dal d.lgs. n. 268 del 1992, dall’art. 27 della
legge n. 42 del 2009 e dal principio dell’accordo che regola i rapporti
finanziari tra Stato e Regioni speciali»; l’art. 6, comma 3-bis, del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 305
(Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige
per l’istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e
di Bolzano e per il personale ad esse addetto), che esaurirebbero in quelli
intestati alla Provincia autonoma i controlli sulla gestione
economico-finanziaria degli enti locali; gli artt. 80 e 81 dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige – che,
rispettivamente, riservano alla Provincia competenza legislativa nella materia
«finanza locale» (art. 80) e prevedono che la stessa Provincia corrisponda «ai
comuni […] idonei mezzi finanziari» (art. 81); l’art. 17 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), che
disciplina il potere di vigilanza della Provincia di Trento sugli enti locali,
inibendo altri controlli intestati alla Corte dei conti; l’art. 4, comma 1, del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti
legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale
di indirizzo e coordinamento), il quale prevede che il legislatore statale non
può attribuire agli organi statali funzioni amministrative, comprese quelle di
vigilanza, di polizia amministrativa e di accertamento di violazioni
amministrative, diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto
speciale e le relative norme di attuazione, atteso che il comma 2 dell’art. 6
del d.l. n. 174 del 2012 attribuirebbe ai Servizi ispettivi di finanza pubblica
della Ragioneria generale dello Stato funzioni amministrative nella materia, di
competenza della Regione autonoma Trentino-Alto Adige o della Provincia
autonoma di Trento, «coordinamento della finanza pubblica e […] finanza
locale».
8.4. – Con un
secondo gruppo di censure, la stessa ricorrente deduce la lesione dell’ambito
di competenza relativo all’organizzazione amministrativa provinciale,
intendendo i commi 1, 2 e 3 dell’art. 6 del citato decreto-legge nel senso che
l’impugnato comma 3 riferisca i controlli in esso indicati anche alle Regioni
(sia ordinarie che speciali) e che «conseguenzialmente, i commi 1 e 2 siano
rivolti anche alle regioni speciali». Ne conseguirebbe – ad avviso della
ricorrente – la lesione del titolo di competenza in materia di organizzazione
interna, riservato alla potestà legislativa della Provincia autonoma, atteso
che tale potestà legislativa comprenderebbe la potestà di regolare il bilancio
regionale [e provinciale] e le verifiche contabili, nonché dell’art. 3 Cost.,
sotto il profilo della «irragionevolezza per contraddittorietà», in quanto
applicherebbe alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano
verifiche sulla regolarità amministrativo-contabile «ai sensi dell’art. 14,
comma 1, lettera d), della legge 31
dicembre 2009, n. 196», cioè di una disposizione che prevede che tali verifiche
vengano effettuate «ad eccezione [che nei confronti] delle regioni e delle
province autonome di Trento e di Bolzano» (violazione che inciderebbe
sull’autonomia regionale considerato anche che i commi impugnati attengono
«all’organizzazione regionale o, comunque, ai rapporti Stato-Regione o al
coordinamento della finanza pubblica»).
8.5. – La Regione autonoma Sardegna lamenta la lesione
dei seguenti parametri: art. 3, comma
1, lettera b), dello statuto speciale
per la Sardegna, che attribuisce alla Regione potestà legislativa nella materia
«ordinamento degli enti locali», comprensiva delle forme dei controlli esterni
sulla finanza locale; art. 46 dello statuto, che riserva il controllo sugli
atti degli enti locali ad organi della Regione; art. 6 dello statuto, che
attribuisce alla Regione l’esercizio delle funzioni amministrative nelle
materie in cui ha potestà legislativa, atteso che affida «a soggetti non
riconducibili all’ordinamento regionale le funzioni amministrative così
disciplinate»; artt. 3, comma 1, lettera b),
6 e 46 dello statuto di autonomia, in combinato disposto con gli artt. 54 e 56
dello stesso statuto, che stabiliscono il procedimento, rispettivamente, per la
modificazione dello statuto e per l’adozione delle norme di attuazione dello
stesso; art. 116 Cost., che riconosce alla Regione Sardegna una speciale
autonomia «garantita anche dalle Norme di attuazione dello Statuto»; art. 1 del
d.P.R. n. 21 del 1978, atteso che il comma 4 dell’art. 6 del d. l. n. 174 del
2012, attribuendo alla Sezione delle autonomie della Corte dei conti la
possibilità di adottare una "delibera di orientamento” per il controllo sugli
enti locali, di fatto affiderebbe la normazione sul controllo degli enti locali
della Regione ad un’articolazione della medesima Corte.
8.6. – Occorre
anzitutto rilevare che l’art. 2 del d.l. n. 52 del 2012, espressamente
richiamato dalle disposizioni impugnate, è stato abrogato dall’art. 49-bis, comma 9, del decreto-legge 21
giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il
rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 9 agosto 2013, n. 98.
La norma istitutiva del
Commissario per la revisione della spesa pubblica, a cui sono attribuite le
funzioni disciplinate dagli impugnati commi 1 e 2 dell’art. 6 del d.l. in
esame, è stata quindi espressamente abrogata, senza che le disposizioni
impugnate abbiano trovato presumibilmente applicazione nel limitato periodo di
vigenza intercorso tra l’entrata in vigore del d.l. n. 52 del 2012, istitutivo
del Commissario (11 ottobre 2012) e l’entrata in vigore del d.l. n. 69 del 2013
(22 giugno 2013), in quanto i "modelli di accertamento” indispensabili ai fini
dello svolgimento delle analisi sulla spesa pubblica previsti dai commi 1 e 2,
che avrebbero dovuto essere deliberati dalla Sezione delle autonomie della
Corte dei conti, previo accordo tra il Commissario stesso e la Ragioneria
generale dello Stato, non sono stati emanati. Né le parti hanno fornito alcuna
indicazione al riguardo.
Cionondimeno, l’art. 49-bis
del richiamato d.l. n. 69 del 2013, pur abrogando, al comma 9, l’art. 2 del
d.l. n. 52 del 2012, istitutivo del Commissario per la revisione della spesa,
ai commi da 2 a 7, ha disciplinato le funzioni dell’organo in parola nei
seguenti termini: «2. Ai fini della razionalizzazione della spesa e
del coordinamento della finanza pubblica, il Presidente del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, può nominare
con
proprio decreto un Commissario straordinario, con il compito di formulare
indirizzi e proposte, anche di carattere
normativo, nelle materie e per i soggetti di cui al comma 1,
terzo periodo (in materia di razionalizzazione e revisione della spesa delle
amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31
dicembre 2009, n. 196, degli enti pubblici, nonché delle società controllate
direttamente o indirettamente da amministrazioni pubbliche che non emettono
strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati, con particolare
riferimento alla revisione dei programmi di spesa e della disciplina dei
trasferimenti alle imprese, alla razionalizzazione delle attività e dei servizi
offerti, al ridimensionamento delle strutture, alla riduzione delle spese per
acquisto di beni e servizi, all’ottimizzazione dell’uso degli immobili e alle
altre materie individuate dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei
ministri del 3 maggio 2012). 3. Il Commissario straordinario opera in piena
autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione ed è scelto tra
persone, anche estranee alla pubblica amministrazione, dotate di comprovata
esperienza
e capacità in materia economica e di organizzazione amministrativa.
4. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 2
stabilisce: a) la durata dell’incarico, che non può comunque eccedere i tre
anni;
b) l’indennità del Commissario straordinario, nei limiti di quanto
previsto dall’articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011,
n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011,
n. 214; c) le risorse umane e strumentali del Ministero dell’economia e delle
finanze delle quali il Commissario straordinario può avvalersi nell’esercizio
delle sue funzioni, senza nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica. 5. Il Commissario straordinario ha diritto di
corrispondere con tutti i soggetti di cui al comma 1, terzo periodo,
e di chiedere ad essi, oltre a informazioni e documenti, la
collaborazione per l’adempimento delle sue funzioni. In particolare,
il Commissario straordinario ha il potere di chiedere alle
amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 31
dicembre 2009, n. 196, l’accesso a tutte le banche di dati da esse
costituite o alimentate. Nell’esercizio delle sue funzioni, il
Commissario straordinario può disporre lo svolgimento di ispezioni e
verifiche a cura dell’Ispettorato per la funzione pubblica e del
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e richiedere,
previe intese ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del decreto
legislativo 19 marzo 2001, n. 68, la collaborazione della Guardia di
finanza. 6. Entro venti giorni dalla nomina, il Commissario straordinario
presenta
al Comitato interministeriale di cui al comma 1 un programma di
lavoro recante gli obiettivi e gli indirizzi metodologici dell’attività
di revisione della spesa pubblica. Nel corso dell’incarico il
Commissario straordinario, anche su richiesta del Comitato
interministeriale, può presentare aggiornamenti e integrazioni
del programma ai fini della loro approvazione da parte del
medesimo Comitato. Il programma e gli eventuali aggiornamenti e integrazioni
sono trasmessi alle Camere. 7. Il Commissario straordinario, se richiesto,
svolge audizioni presso le competenti Commissioni parlamentari».
Pertanto, alla luce della testé
richiamata disciplina vigente relativa al Commissario straordinario per la
revisione della spesa pubblica, stante la non alterazione della «sostanza
normativa» (ex plurimis, sentenze n. 193 del
2012 e n.
147 del 2012) rispetto a quanto previsto dalla disposizione abrogata (art.
2 del d.l. n. 52 del 2012), che disciplinava funzioni dell’organo analoghe a
quelle previste dai sopra riportati commi dell’art. 49-bis del d.l. n. 69 del 2013, essendo le modificazioni
successivamente apportate dal legislatore alla disciplina relativa al
Commissario per la revisione della spesa pubblica riferibili alle disposizioni
impugnate, le censure mosse dalle ricorrenti avverso i commi 1 e 2 dell’art. 6
del d.l. in esame vanno riferite alla richiamata disciplina vigente relativa
allo stesso organo in quanto titolare di funzioni del tutto assimilabili a
quelle previste dall’abrogato art. 2 del d.l. n. 52 del 2012 richiamato dalle
norme impugnate.
Si deve poi osservare che gli impugnati
commi 1 e 2 attribuiscono le richiamate funzioni di analisi della spesa
pubblica degli enti locali al Commissario per la revisione della spesa
pubblica. Dette analisi sono svolte, anche avvalendosi dei Servizi ispettivi di
finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato, sia pure limitatamente
ad analisi «su campione» relative alla razionalizzazione, efficienza ed
economicità dell’organizzazione e della sostenibilità dei bilanci, sulla base
di modelli di accertamento concordati dalla Ragioneria stessa con il
Commissario, in caso di "indicatori” di squilibrio finanziario, ai sensi
dell’art. 14, comma 1, lettera d),
della legge n. 196 del 2009 (ripetuto utilizzo dell’anticipazione di tesoreria;
disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio; anomale modalità
di gestione del servizio per conto di terzi; aumento non giustificato di spesa
degli organi politici istituzionali), al fine di comunicare gli esiti
dell’attività ispettiva alle sezioni regionali di controllo della Corte dei
conti e alla sezione delle autonomie.
Il successivo comma 3, attribuisce alla
sezione delle autonomie della Corte dei conti il compito di definire, sentite
le Regioni e le Province autonome, le metodologie necessarie per lo svolgimento
dei controlli degli enti territoriali. Ne consegue che le disposizioni
impugnate sono applicabili, per espressa deroga del legislatore alla clausola
di salvaguardia costituita dall’art. 11-bis,
del d.l. in esame, anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province
autonome.
Occorre pertanto procedere allo
scrutinio di costituzionalità dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 6 del d.l. n. 174
del 2012, impugnati dalle ricorrenti Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e
Sardegna e dalla Provincia autonomia di Trento.
La questione dell’art. 6, commi 1 e 2,
del d.l. n. 174 del 2012, non è fondata.
I commi 1 e 2 si limitano a disciplinare
le suddette funzioni di analisi della spesa pubblica degli enti locali, ai
sensi dell’art. 14, comma 1, lettera d),
della legge n. 196 del 2009, in presenza dei suddetti "indicatori” di
squilibrio finanziario, stabilendo che venga fornita comunicazione dei dati
acquisiti al Commissario per la revisione della spesa, alla sezione regionale
di controllo della Corte dei conti competente per territorio e alla Sezione
autonomie al fine di consentire l’elaborazione e una più proficua applicazione
delle metodologie necessarie per lo svolgimento dei controlli per la verifica
dell’attuazione delle misure dirette alla razionalizzazione della spesa
pubblica degli enti territoriali.
8.7. – Il primo gruppo di censure rispettivamente
mosse dalla Regione autonoma Friuli - Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma
di Trento e le censure mosse dalla Regione autonoma Sardegna, in riferimento ai
numerosi parametri costituzionali e statutari invocati, lamentano la lesione dell’ambito di competenza relativo ai controlli
sugli enti locali e alla finanza locale, asseritamente riservato alle autonomie
speciali.
Le ricorrenti muovono dal presupposto
che l’applicazione delle norme impugnate agli enti locali delle Regioni
autonome e della Provincia autonoma sarebbe illegittima sia in quanto non si
tratterebbe di controlli collaborativi, ma di controlli che esprimerebbero un potere
statale di supremazia sugli enti territoriali, non previsto né ammesso dallo
statuto e dalle norme di attuazione, sia in quanto, in contraddizione con lo
statuto e le norme di attuazione invocate a parametro (o con l’art. 117, quarto
comma, Cost., «se ritenuto più favorevole»), istituirebbero un potere di
controllo sugli enti locali parallelo e concorrente rispetto a quello che è
espressamente attribuito alle Regioni e alla Provincia autonoma.
Tale presupposto deve ritenersi errato e
non può pertanto essere condiviso da questa Corte.
Quanto, infatti, all’asserito carattere
non collaborativo, le norme censurate non risultano lesive dell’autonomia
regionale e provinciale, in quanto non determinano misure repressive e
sanzionatorie sugli enti controllati, rimettendo alle amministrazioni
controllate l’adozione delle misure correttive in esito alle eventuali
situazioni critiche della gestione rilevate dalle sezioni regionali della Corte
dei conti (art. 6, comma 3, del d.l. n. 174 del 2012).
Ne consegue che la disciplina posta
dalle disposizioni impugnate rimane nell’alveo dei controlli di natura
collaborativa, in quanto limitati all’applicazione di metodologie di controllo
della spesa pubblica degli enti territoriali – peraltro di carattere episodico
– funzionali ad assicurare, in vista della tutela dell’unità economica della
Repubblica e del coordinamento della "finanza pubblica allargata”, inclusiva
delle autonomie speciali (sentenza n. 425 del
2004), la sana gestione finanziaria del complesso degli enti territoriali,
nonché il rispetto del patto di stabilità interno e degli obiettivi di governo
dei conti pubblici concordati in sede europea (ex plurimis, sentenze n. 219 del
2013, con la quale la Corte ha ritenuto non innovativi simili controlli; n. 60 del 2013;
n. 179 del 2007;
n. 267 del 2006).
Né, quanto al primo gruppo di censure
rispettivamente mosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla
Provincia autonoma di Trento circa l’asserita esclusività dei controlli sugli
enti locali attribuiti a Regioni e Province autonome, vale evocare la lesione
dell’art. 60 dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia e dell’art. 33
del d.P.R. n. 902 del 1975, da un lato, e dell’art. 79, terzo comma, dello
statuto del Trentino-Alto Adige e dell’art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992,
dall’altro.
Al riguardo, si è già chiarito,
giudicando non fondate le questioni dell’art. 1, commi 2, 3, 4, 5, 6 e 8, del
d.l. n. 174 del 2012 (punti da 6.3.3. a 6.3.8.), a cui espressamente rinvia la
parte motiva dei ricorsi, nella parte in cui le ricorrenti censurano anche i
commi 1, 2 e 3 dell’art. 6, che i parametri evocati dalle ricorrenti non
valgono ad esaurire l’ambito dei controlli e delle verifiche che il legislatore
statale può legittimamente attribuire alla Corte dei conti (o comunque
strumentali allo svolgimento delle funzioni dell’organo di controllo).
Quanto invece alla lamentata lesione
della «speciale autonomia finanziaria» della Provincia autonoma di Trento e
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – configurata dagli artt. 79 e 104
dello statuto trentino e dalle invocate norme di attuazione, nonché dal Titolo
IV e dall’art. 63, comma 5, dello statuto del Friuli-Venezia Giulia, dall’art.
27 della legge n. 42 del 2009 e dal principio dell’accordo che regola i
rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali, tradottosi, per
quest’ultima Regione, nell’art. 1, commi 154 e 155, della legge n. 220 del 2010
– questa Corte ha affermato tra l’altro, nelle
sentenze richiamate dalle ricorrenti, che «l’accordo è lo strumento […] per
conciliare e regolare in modo negoziato […] il concorso alla manovra di finanza
pubblica delle Regioni a Statuto speciale» (sentenze n. 60 del
2013; n. 118
del 2012 e n.
82 del 2007), alla cui attuazione i parametri statutari e le relative norme
di attuazione invocati nel presente giudizio sono dichiaratamente rivolti.
Ne consegue che le modalità
positivamente determinate mediante le quali la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia e la Provincia autonoma di Trento concordano con il Ministro
dell’economia e delle finanze gli obiettivi di finanza pubblica ed esercitano
le relative funzioni di coordinamento e di vigilanza sulla finanza degli enti
locali, non attribuiscono alla Regione ad autonomia differenziata e alla
Provincia autonoma alcun titolo di esclusività nello svolgimento delle
pertinenti funzioni di controllo e vigilanza (sentenza n. 60 del
2013).
Come già affermato da questa Corte in
relazione a norme analoghe, i controlli e le verifiche disciplinati dalle norme
impugnate si pongono su un piano distinto da quello ascrivibile alle funzioni
di controllo e vigilanza sulla gestione amministrativa spettanti alle Regioni
ricorrenti e alla Provincia autonoma di Trento, non potendosi desumere dalle
norme statutarie e dalle relative norme di attuazione invocate a parametro nel
presente giudizio alcun titolo esclusivo nello svolgimento delle funzioni di
controllo e di vigilanza sugli obiettivi di finanza pubblica, a cui le
procedure di analisi sulla spesa pubblica disciplinate dalle norme impugnate
sono dichiaratamente rivolte.
Occorre inoltre osservare che il metodo
delle analisi «su campione», che le norme impugnate affidano ai Servizi
ispettivi di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato (comunque
funzionali ai controlli delle sezioni regionali della Corte dei conti), pur di
carattere non sistematico, rientra tra le metodologie necessarie che questa
Corte, sia pure in esclusivo riferimento alla Corte dei conti, ha affermato
caratterizzare il controllo sulla gestione in senso stretto, mediante il quale
non possono estendersi verifiche sulla generalità delle pubbliche
amministrazioni, bensì «controlli "a campione” mirando [l’esame] alle materie,
ai settori e alle gestioni ritenuti cruciali» (sentenza n. 29 del
1995).
8.8. – Con il secondo gruppo di censure
rispettivamente mosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla
Provincia autonoma di Trento e con la censura mossa dalla Regione autonoma Sardegna
– nella parte in cui quest’ultima lamenta la lesione dell’art. 3, comma
1, lettera b), dello statuto di
autonomia, che attribuisce alla Regione potestà legislativa nella materia
«ordinamento degli enti locali» – le
ricorrenti lamentano la lesione dell’ambito competenziale
relativo all’organizzazione interna degli enti territoriali dotati di autonomia
speciale, nonché l’intrinseca irragionevolezza e contraddittorietà delle norme
impugnate, che applicherebbero alle Regioni a statuto speciale e alle Province
autonome di Trento e di Bolzano delle verifiche sulla regolarità
amministrativo-contabile riservate alle Regioni ordinarie, incidendo, in tal
modo, sull’autonomia speciale.
Al riguardo, va osservato che questa
Corte, con la sentenza
n. 219 del 2013, si è già pronunciata su una norma assimilabile a quelle
oggetto dell’odierno giudizio – l’art. 5 del d.lgs. n. 149 del 2011, nel testo
introdotto dall’art. 1-bis, comma 4,
del d.l. n. 174 del 2012, che attribuisce al Dipartimento della Ragioneria
generale dello Stato poteri ispettivi e verifiche sulla regolarità della
gestione amministrativo-contabile anche nei confronti delle Regioni a statuto
speciale e delle Province autonome, ai sensi dell’art. 14, comma 1, lettera d), della legge n. 196 del 2009 –
affermando che l’art. 14 della legge n. 196 del 2009 (che disciplina dette procedure)
«continua a disciplinare una fattispecie tipica, con riguardo a finalità
estranee al controllo contabile».
Tale pronuncia ben si attaglia anche al
caso in esame, in quanto anche le norme oggetto del presente giudizio rinviano
all’art. 14 della legge n. 196 del 2009 e alle relative verifiche dei Servizi
ispettivi della Ragioneria «al solo scopo – come ha affermato questa Corte, in
relazione alla fattispecie analoga – di allargare il potere di vigilanza fino
all’impiego dei servizi ispettivi di finanza pubblica», dotando gli organi
dell’amministrazione centrale di un più penetrante potere generale di accesso
agli uffici regionali. Detto potere, tuttavia, trova –
anche nel caso in esame – il proprio sbocco
naturale nell’attivazione delle attribuzioni di controllo spettanti alla Corte
dei conti, venendo anche per tale verso a «divaricarsi rispetto a quanto
normato dall’art. 14 della legge n. 196 del 2009», sottraendo in tal modo «la
disposizione impugnata […] al profilo di manifesta contraddittorietà ed irrazionalità,
per il quale è stata denunciata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e dalla
Provincia autonoma di Trento in riferimento all’art. 3 Cost.» (sentenza n. 219 del
2013, punto 16. del Considerato in
diritto).
Interpretate in questi termini, anche le
disposizioni impugnate nel presente giudizio sfuggono alle censure delle
ricorrenti Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e Provincia autonoma di
Trento, atteso che i sopra richiamati poteri ispettivi sono strumentali allo
svolgimento delle funzioni di controllo della Corte dei conti; né è censurato
dalle ricorrenti il ruolo del Commissario straordinario.
8.9. – Occorre ora procedere allo scrutinio del comma
3 dell’art. 6 del d.l. n. 174 del 2012.
La disposizione impugnata prevede che la
sezione delle autonomie della Corte dei conti definisca, sentite le Regioni e
le Province autonome di Trento e di Bolzano, le metodologie necessarie per lo
svolgimento dei controlli per la verifica dell’attuazione delle misure dirette
alla razionalizzazione della spesa pubblica degli enti territoriali, affidando,
poi, alle sezioni regionali il compito di effettuare i relativi controlli, e,
in presenza di criticità della gestione, quello di assegnare alle amministrazioni
interessate un termine per l’adozione delle necessarie misure correttive,
riferendo successivamente al Parlamento gli esiti dei controlli effettuati.
Va anzitutto precisato che, ancorché la
rubrica dell’art. 6 riferisca le sue disposizioni agli enti locali e detto
articolo sia collocato nel Titolo II del d.l. in esame («Province e comuni»),
il tenore letterale della norma impugnata, riferendo le suddette metodologie,
definite dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti, all’analisi della
spesa pubblica degli «enti territoriali», deve intendersi applicabile anche
alle amministrazioni regionali. Ad analoga conclusione si perviene sul piano
logico-sistematico, atteso che la norma impugnata prevede che la relazione sui
controlli effettuati venga inviata al Parlamento, con ciò riferendo
evidentemente detta attività anche alle amministrazioni regionali. Se
quest’ultima fosse infatti limitata ai soli enti locali, il legislatore ben
avrebbe previsto l’invio della relazione anche ai consigli regionali.
È affermazione costante di questa Corte
che l’interpretazione di una legge o di alcune sue disposizioni in un
determinato significato non può discendere soltanto da affermazioni formali del
legislatore stesso, ma deve avere una puntuale rispondenza nella natura
effettiva delle disposizioni interessate, quale si desume dal loro contenuto
normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei
confronti di altre norme dell’ordinamento (tra le tante, sentenze n. 200
e n. 164 del
2012 e n. 85
del 1990). Se, dunque, l’autoqualificazione di per sé non è determinante,
appare a fortiori irrilevante anche
la definizione contenuta nella rubrica dell’articolo impugnato, letteralmente
relativo allo «Sviluppo degli strumenti di controllo della gestione finalizzati
all’applicazione della revisione della spesa presso gli enti locali e ruolo
della Corte dei conti».
Nel merito, la questione non è fondata.
La disciplina posta dalla disposizione
impugnata, in quanto strumentale a più tipi di attività di controllo, rimane
nell’alveo dei controlli di natura collaborativa e di quelli di
legittimità-regolarità istituiti per assicurare il rispetto dei vincoli
derivanti dal diritto dell’Unione europea, in quanto limitati all’applicazione
di metodologie di controllo della spesa pubblica degli enti territoriali
funzionali ad assicurare, in vista della tutela dell’unità economica della
Repubblica e del coordinamento della "finanza pubblica allargata”, inclusiva
delle autonomie speciali (sentenza n. 425 del
2004), la sana gestione finanziaria del complesso degli enti territoriali,
nonché il rispetto del patto di stabilità interno e degli obiettivi di governo
dei conti pubblici concordati in sede europea (ex plurimis, sentenze n. 219 del
2013, con la quale la Corte ha ritenuto non innovativi simili controlli; n. 60 del 2013;
n. 179 del 2007;
n. 267 del 2006).
8.10. – Occorre infine prendere in esame il comma 4 dell’art. 6 del d.l. n. 174 del 2012,
impugnato dalla Regione autonoma Sardegna.
La ricorrente lamenta la lesione dei
parametri statutari e delle relative norme di attuazione (evocati al punto
8.5.) volti a preservare l’ambito di competenza relativo ai controlli sugli
enti locali e alla finanza locale, asseritamente riservato, in via esclusiva,
alla Regione autonoma.
In particolare, la Regione autonoma
Sardegna si duole della lesione dell’art. 1 del d.P.R. n. 21 del 1978, che
riserva il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione
alla competente sezione regionale della Corte dei conti, atteso che la norma
impugnata, attribuendo alla Sezione delle autonomie della Corte dei conti la
possibilità di adottare una «delibera di orientamento» per il controllo sugli
enti locali, di fatto affiderebbe la normazione sul controllo degli enti locali
della Regione ad un’articolazione della medesima Corte.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata,
nell’attribuire la possibilità di adottare detta «delibera di orientamento» per
il controllo degli enti locali, non affida alcun potere normativo sul controllo
degli enti locali alla sezione delle autonomie della Corte dei conti. La norma
attribuisce a tale sezione una funzione nomofilattica in caso di
interpretazioni discordanti tra sezioni regionali della Corte dei conti e non è
pertanto in alcun modo lesiva dell’autonomia regionale.
riservata a separate pronunce la
decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale del decreto-legge
10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in
materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori
disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 2012, n. 213,
promosse dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna e dalla
Provincia autonoma di Trento con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 7, del decreto-legge n. 174 del 2012, limitatamente alla
parte in cui si riferisce al controllo
dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi delle Regioni;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 10, primo periodo,
del decreto-legge n. 174 del 2012, limitatamente alle parole «che lo trasmette
al presidente della Regione»;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 10, secondo
periodo, del decreto-legge n. 174 del 2012, limitatamente alle parole «al
presidente della regione per il successivo inoltro»;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, [comma 11, primo periodo: parole
sostituite con le seguenti: comma 10, secondo periodo, e comma 11,
primo periodo, con ordinanza correttiva n. 131 del 2014] nella parte in cui prevede il «presidente della regione», anziché il
«presidente del consiglio regionale»;
5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, terzo
periodo, del decreto-legge n. 174 del 2012;
6) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11, quarto
periodo, del decreto-legge n. 174 del 2012, nella parte in cui prevede che
l’obbligo di restituire le somme ricevute a carico del bilancio del consiglio
regionale e non rendicontate consegue alla «decadenza di cui al presente
comma», anziché all’omessa regolarizzazione di cui allo stesso comma 11;
7) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 12, del
decreto-legge n. 174 del 2012, là dove prevede che «La decadenza e l’obbligo di
restituzione di cui al comma 11 conseguono» anziché prevedere che «L’obbligo di
restituzione di cui al comma 11 consegue»;
8) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 16, del decreto-legge n. 174 del 2012, nella parte in cui impone alle Regioni a
statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano di adeguare il
proprio ordinamento alle disposizioni dei commi 7, limitatamente alla
parte in cui si riferisce al controllo
dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi delle Regioni; 10, primo
periodo, limitatamente alle parole «che lo trasmette al presidente della
Regione»; 10, secondo periodo,
limitatamente alle parole «al presidente della regione per il successivo
inoltro»; 11, primo periodo, nella parte in cui prevede il «presidente della
regione», anziché il «presidente del consiglio regionale»; 11, terzo periodo;
11, quarto periodo, nella parte in cui prevede che l’obbligo di restituire le
somme ricevute a carico del bilancio del consiglio regionale e non rendicontate
consegue alla «decadenza di cui al presente comma», anziché all’omessa
regolarizzazione di cui allo stesso comma 11; 12, là dove prevede che «La
decadenza e l’obbligo di restituzione di cui al comma 11 conseguono» anziché
prevedere che «L’obbligo di restituzione di cui al comma 11 consegue»;
9) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 148, commi 2 e 3, del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali), come modificati dall’art. 3, comma 1, lettera e),
del d.l. n. 174 del 2012, con efficacia nei confronti delle Regioni autonome
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna;
10) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da
1 a 8, del decreto-legge n. 174 del 2012, promosse dalla Regione autonoma
Sardegna, in riferimento agli artt. 7 e
8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la
Sardegna) e agli articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, con
il ricorso n. 20 del 2013;
11) dichiara
inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 8, del decreto-legge n.
174 del 2012, promossa dalla Regione autonoma Sardegna, in riferimento agli
artt. 117 e 119 Cost. e agli articoli 3, 4, 5, 6, 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948, con il ricorso n. 20 del 2013;
12) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 16, del
decreto-legge n. 174 del 2012, promosse dalla Provincia autonoma di Trento, in
riferimento alle proprie «prerogative
costituzionali», nonché al principio secondo cui la disciplina dei
rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni o le Province ad autonomia
differenziata spetta allo statuto speciale, oppure alle norme di attuazione
statutaria o, comunque, all’accordo tra lo Stato e detti enti ad autonomia
differenziata, con il ricorso n.
18 del 2013;
13) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 148,
comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000, come
modificato dall’art 3, comma 1, lettera e), del d.l. n. 174 del 2012, promossa dalla Regione autonoma Sardegna, in
riferimento agli artt. 3, comma 1, lettera b), 6 e 46 della legge cost. n. 3 del 1948, con il ricorso n. 20
del 2013;
14) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 11-bis
del decreto-legge n. 174 del 2012 promosse dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, per
violazione degli artt. 3, 116, 117, 118
e 119 Cost. e del principio di ragionevolezza, nonché degli artt. 4, numero 1)
e numero 1-bis), 12, 13, 19 e 41 del
Titolo IV, e dell’art. 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.
1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), e degli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 15, 16, 19,
33, 34, 35, 46, 50 e 54 della legge cost. n. 3 del 1948, con i ricorsi, rispettivamente, n. 17 del
2013 e n. 20 del 2013;
15) dichiara
non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 174 del 2012
promossa dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
per violazione dell’art. 116 Cost., del Titolo IV e dell’art. 65 della legge
cost. n. 1 del 1963, e dell’art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica
25 novembre 1975, n. 902 (Adeguamento ed integrazione
delle norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia
Giulia), con il ricorso n. 17 del 2013;
16) dichiara
non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 174 del 2012
promossa dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost. e all’art. 4, numero 1), della
legge cost. n. 1 del 1963, con il ricorso n. 17 del
2013;
17) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, del
decreto-legge n. 174 del 2012 promossa dalle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, in riferimento agli artt. 116
e 119 Cost., al Titolo IV della legge cost. n. 1 del 1963, all’art. 33 del
d.P.R. n. 902 del 1975, agli artt. 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948 e dell’art. 10 del d.P.R. 16
gennaio 1978, n. 21 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per la Sardegna concernente il controllo sugli atti della
Regione), con i ricorsi,
rispettivamente, n. 17 del 2013 e n. 20 del 2013;
18) dichiara
non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 174 del 2012
promossa dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
in riferimento all’art. 4, numero 1), della legge cost. n. 1 del 1963, e
all’art. 33, comma 1, del d.P.R. n. 902 del
1975, con il ricorso n. 17 del 2013;
19) dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi da 1 a 8, del decreto-legge n. 174 del 2012,
promossa dalla Regione autonoma Sardegna, in riferimento agli artt. 119 Cost., 54 e 56 della legge cost. n. 3 del 1948, in
combinato disposto con l’art. 10 del d.P.R. n. 902 del 1978 e con l’art. 116 Cost., con il
ricorso n. 20 del 2013;
20) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 3 e
4, del decreto-legge n. 174 del 2012, promosse dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, in
riferimento al Titolo IV e all’art. 65
della legge cost. n. 1 del 1963, agli artt. 33 e 36 del d.P.R. n. 902 del 1975,
all’art. 33 della legge cost. n. 3 del 1948 e agli artt. 116, 127 e 134 Cost., con
i ricorsi, rispettivamente, n. 17 del
2013 e n. 20 del 2013;
21) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 7, del decreto-legge n. 174 del
2012, limitatamente alla parte in cui si riferisce al controllo dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi degli
enti che compongono il Servizio sanitario nazionale, promosse dalle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, per violazione degli artt. 24, 113,
116, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., del Titolo IV e dell’art. 65
della legge cost. n. 1 del 1963, dell’art. 33 del d.P.R. n. 902 del 1975, ,
degli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 54 e 56 della legge cost. n. 3 del 1948,
dell’art. 10 del d.P.R. n. 21 del 1978, con i ricorsi, rispettivamente, n. 17 del 2013 e n. 20 del
2013;
22) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 9,
del decreto-legge n. 174 del 2012 promosse dalle Regioni autonome
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, in riferimento agli artt. 116, 117, terzo
comma, 119 e 127 Cost., agli artt. 16, 18 e 21 della legge cost. n. 1 del 1963, all’art. 5 della legge statutaria
18 giugno 2007, n. 17 (Determinazione della forma di governo della Regione
Friuli-Venezia Giulia e del sistema elettorale regionale, ai sensi
dell’articolo 12 dello Statuto di autonomia), agli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 15,
19, 26, 33, 54 e 56 della legge cost.
n. 3 del 1948 e agli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. n. 21 del 1978, con i ricorsi, rispettivamente, n. 17 del 2013 e n. 20 del
2013;
23) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 10,
11 e 12, del decreto-legge n. 174 del 2012, limitatamente alla parte in cui disciplinano
le modalità di redazione e controllo relative ai rendiconti annuali di
esercizio dei gruppi consiliari, promosse dalle Regioni autonome Friuli-Venezia
Giulia e Sardegna, in riferimento agli artt. 116, 117, terzo comma, 119 e 127
Cost., agli artt. 16, 18 e 21 della
legge cost. n. 1 del 1963, all’art. 5 della legge statutaria n. 17 del
2007, agli artt. 3, 4, 5, 6, 7, 8, 15, 19, 26, 33, 54 e 56 della legge cost. n. 3 del 1948 e agli artt.
1, 4 e 5 del d.P.R. n. 21 del 1978, con
i ricorsi, rispettivamente, n. 17 del
2013 e n. 20 del 2013;
24) dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 16, del decreto-legge n. 174 del 2012, nella
parte in cui impone alle Regioni a statuto
speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano di adeguare il proprio
ordinamento alle disposizioni dei commi 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7, per quest’ultimo limitatamente
alla parte in cui si riferisce al
controllo dei bilanci preventivi e dei rendiconti consuntivi degli enti del
Servizio sanitario nazionale, promosse dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, in
riferimento agli artt. 7, 8, 15, 19, 26, 33, 35, 54 e 56 della legge cost. n. 3 del 1948, alle «prerogative costituzionali» della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, al Titolo IV e all’art. 65 della legge
cost. n. 1 del 1963 e all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega
al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119
della Costituzione), nonché agli artt.
116, 117 e 119 Cost., con i ricorsi, rispettivamente, n. 17 del 2013 e n. 20 del 2013;
25) dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 148, comma 1, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), come modificato
dall’art. 3, comma 1, lettera e), del d.l. n. 174 del 2012, promossa dalla Regione autonoma Sardegna, in
riferimento agli artt. 3, comma 1, lettera b), 6 e 46 della legge cost. n. 3 del 1948, con il ricorso n. 20
del 2013;
26) dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 148-bis, del
d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato dall’art. 3, comma 1, lettera e),
del d.l. n. 174 del 2012, promosse
dalla Regione autonoma Sardegna, per violazione degli artt. 3, comma 1,
lettera b), 6 e 46 della legge cost.
n. 3 del 1948, con il ricorso registrato al n. 20 del 2013;
27) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6 del d.l. n.
174 del 2012, promosse dalle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna e dalla Provincia autonoma di Trento,
in riferimento agli artt. 3, 116 e 117, quarto comma, Cost., agli artt.
4, numero 1) e numero 1-bis), del
Titolo IV e agli artt. 60, 63, comma 5, della legge cost. n. 1 del 1963, agli
artt. 3, 4, 6 e 9 del d.lgs. 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento
degli enti locali e delle relative circoscrizioni), all’art. 33, comma 1, del d.P.R.
n. 902 del 1975, all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e al principio
dell’accordo che regola i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali;
all’art. 1, commi 154 e 155, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), agli artt. 3, comma 1, lettera b),
6, 46, 54 e 56 della legge cost. n. 3 del 1948, all’art. 1 del d.P.R. n. 21 del
1978, agli artt. 79, 80, 81 e 104 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), all’art. 16
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme
di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di
finanza regionale e provinciale), all’art. 6, comma 3-bis, del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 305
(Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige
per l’istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e
di Bolzano e per il personale ad esse addetto), all’art. 17 del d.lgs. 16 marzo
1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige in materia di finanza regionale e provinciale), all’art. 4, comma 1, del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti
legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale
di indirizzo e coordinamento), con i ricorsi,
rispettivamente, n. 17, n. 20 e
n. 18 del 2013.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26
febbraio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Sergio MATTARELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2014.