SENTENZA N. 415
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 nonchè, in quanto ad esso connessi, degli artt. 5, comma quarto; 6, comma quinto; 7 e 8, commi primo e secondo, della legge della Regione Sardegna riapprovata dal Consiglio regionale il 26 aprile 1994, recante "Nuove norme sul controllo degli atti degli enti locali", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 16 maggio 1994, depositato in cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 45 del registro ricorsi 1994.
Visto l'atto di costituzione della Regione Sardegna;
udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 1994 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;
uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il ricorrente, e l'Avv. Sergio Panunzio per la Regione.
Ritenuto in fatto
1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 16 maggio 1994, ha impugnato l'art. 4 nonchè, in quanto ad esso connessi, "gli artt. 5, comma quarto; 6, comma quinto; 7 e 8, commi primo e secondo, ecc." della legge della Regione Sardegna riapprovata dal Consiglio regionale il 26 aprile 1994, recante "Nuove norme sul controllo degli atti degli enti locali". Nel ricorso si deduce la violazione dell'art.46 dello statuto della Regione Sardegna, in relazione ai principi contenuti negli artt. 42 e 44 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali).
Deduce il ricorrente che l'art. 46 dello statuto speciale per la Regione Sardegna - articolo richiamato espressamente nell'art. 1, comma primo, della delibera legislativa succitata - disponendo che "il controllo sugli atti degli enti locali è esercitato da organi della regione nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale in armonia con i principi delle leggi dello Stato" disciplinerebbe "compiutamente" il rapporto tra legislazione statale (recante "principi" e quindi "limiti") e legislazione regionale in materia di controllo sugli atti degli enti locali.
D'altro canto l'art. 1, comma secondo, della l. n. 142 del 1990 ha cura di precisare che le disposizioni in essa previste si applicano a ciascuna Regione a statuto speciale, purchè non incompatibili con le norme statutarie e di attuazione.
Ciò premesso, si assume - nel ricorso - che nessun profilo di incompatibilità è rinvenibile tra le predette disposizioni statutarie e di attuazione della Regione Sardegna e gli artt. 42 e 44 della l. n. 142 del 1990. Di talchè il legislatore regionale sardo sarebbe tenuto ad adeguare la propria legislazione al dettato degli artt. 42 e 44 succitati in ordine alla "elezione a maggioranza qualificata dei componenti del comitato di controllo da parte del Consiglio regionale", e ciò anche alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale in materia (sent. n. 360 del 1993
).
Più in particolare i principi di cui agli artt. 42 e 44 della l. n. 142 del 1990 sarebbero stati violati dai seguenti articoli contenuti nella delibera legislativa della Regione sarda e precisamente: a) dall'art. 4 il quale prevede che tre dei sette componenti di cui al primo comma - e precisamente quelli indicati con le lettere c), d) ed e) - nonchè i componenti "integratori" di cui al secondo comma siano di regola sorteggiati "nell'ambito di un elenco di almeno tre nomi" - e ciò in palese difformità con quanto previsto dagli artt. 42 e 44 cit. in ordine alla "elezione" o "scelta" dei summenzionati componenti effettuata ad opera del Consiglio regionale. Infatti, quest'ultimo potrebbe procedere alla elezione dei componenti dei comitati di controllo solo in via eccezionale e cioè qualora gli elenchi contenenti le designazioni non pervengano tempestivamente, ovvero qualora gli stessi non siano regolari (in quanto, per es., non corredati da espresse dichiarazioni di disponibilità, ecc.).
Così procedendo, tuttavia, ad avviso del ricorrente, verrebbe sottratta al Consiglio regionale la responsabilità politica in ordine alla concreta selezione ed individuazione dei summenzionati componenti e correlativamente verrebbe accresciuta l'importanza delle indicazioni fatte dagli ordini professionali (nonchè dal Presidente della Giunta regionale per gli elenchi di cui all'art. 6).
Sicchè l'art. 4 della legge regionale sarda nonchè "le connesse disposizioni contenute nei successivi articoli della stessa delibera (quali l'art. 5, comma quarto, l'art. 6, comma quinto, l'art. 7 e l'art. 8, commi primo e secondo, ecc.)" non sarebbero armonizzati con gli artt. 42 e 44 della l. n. 142 del 1990 e contrasterebbero con l'art. 46 dello Statuto sardo, per cui si chiede, che venga dichiarata la illegittimità costituzionale degli stessi in ordine alle parti censurate.
2. Si è costituita davanti a questa Corte la Regione Sardegna, deducendo innanzitutto la inammissibilità del ricorso perchè genericamente formulato in quanto non sussisterebbe coincidenza tra motivi del rinvio e motivi del ricorso. Il ricorso sarebbe comunque inammissibile nella parte in cui censura disposizioni diverse dall'art.4 cit. (e cioé per l'impugnativa concernente gli artt. da 5 ad 8) in quanto ciò non trova riscontro nell'oggetto dell'atto di rinvio dell'8 aprile 1994.
Inoltre e sempre con riguardo al contenuto dell'atto di rinvio si osserva che la censura ivi dedotta concerne il contrasto tra l'art. 4 più volte richiamato e l'art. 44, secondo comma, della legge n. 142 del 1990, per cui si eccepisce l'inammissibilità delle censure formulate nel ricorso anche in ordine alla violazione dell'art. 42 della legge n. 142 del 1990.
Generica ed indeterminata sarebbe, altresì, la delibera del Consiglio dei ministri del 13 maggio 1994 posta a sostegno del ricorso in quanto essa non specificherebbe le disposizioni costituenti oggetto di impugnativa sicchè anche alla luce dei principi contenuti nella più recente giurisprudenza costituzionale (sent. n. 172 del 1994), il ricorso sarebbe inammissibile.
Nel merito, la Regione contesta la fondatezza del ricorso.
In primo luogo perchè l'art. 46 dello Statuto sardo non concernerebbe tanto la composizione degli organi di controllo regionali sugli atti degli enti locali, quanto le modalità di esercizio del controllo medesimo (ovvero atti sottoposti a controllo, tipo di controllo, procedimento, ecc.). Di guisa che la composizione dei comitati in discorso ricadrebbe nella competenza legislativa esclusiva della Regione sarda in materia di ordinamento degli enti locali di cui all'art. 3, lett. b) dello statuto speciale (come sostituito dall'art. 4 della legge costituzionale 23 settembre 1993, n. 2).
In ogni caso, secondo la Regione sarda, anche a voler ammettere che la competenza legislativa regionale in materia sia limitata da "principi fondamentali" stabiliti dalla l. n.142 del 1990, non sussisterebbe il denunciato contrasto fra l'art. 4 della deliberazione legislativa impugnata ed i principi posti dalla stessa l. n. 142 del 1990; legge che pur contenendo un principio di "necessaria qualificazione tecnica e di indipendenza dei membri dei comitati di controllo" non recherebbe, tuttavia, un principio fondamentale (nel senso affermato dalla giurisprudenza costituzionale) preordinato ad imporre che tutti i membri dei comitati siano eletti a maggioranza qualificata.
Infine si rileva che, in virtù dell'art. 42, appena citato, "soltanto" quattro membri del comitato regionale di controllo (sui cinque previsti dalla legge n. 142 del 1990) sono eletti dal Consiglio regionale, nei modi successivamente disciplinati dall'art. 44, secondo comma, stessa legge.
E che, al riguardo l'art. 4, primo comma, lett. a) e b) della deliberazione legislativa regionale impugnata, stabilisce che quattro membri del comitato suddetto siano eletti dal Consiglio regionale della Sardegna ed anche a maggioranza qualificata (art. 8, terzo comma, deliberazione appena citata). Sicchè - secondo la Regione resistente - i membri del comitato summenzionato sorteggiati e non eletti (di cui alle disposizioni censurate dalla Presidenza del Consiglio) sarebbero dei membri ulteriori rispetto ai quattro membri elettivi previsti dalla legge n. 142 del 1990: infatti la deliberazione legislativa regionale impugnata prevede non già un comitato di cinque membri, bensì di sette (più due membri integratori). Per conseguenza la disciplina legislativa regionale impugnata sarebbe "in piena armonia" con i principi posti dalla l. n. 142 del 1990.
3. Nella imminenza della udienza tanto il ricorrente quanto la regione resistente hanno depositato memorie illustrative con le quali ribadiscono, precisano e sviluppano le argomentazioni ed insistono sulle conclusioni formulate nel ricorso.
Considerato in diritto
1. Questa Corte è chiamata a decidere se l'art. 4, nonchè, in quanto ad esso connessi, "gli artt. 5, comma quarto; 6, comma quinto; 7 e 8, commi primo e secondo", della legge della Regione Sardegna, riapprovata dal Consiglio regionale il 26 aprile 1994, che pone nuove norme sul controllo degli atti degli enti locali, violi l'art. 46 dello statuto regionale sardo, in relazione ai principi contenuti negli artt. 42 e 44 della l. n. 142 del 1990.
Più in particolare il contrasto denunciato concerne la composizione dei comitati di controllo in quanto il succitato art. 4 prevede, al primo comma, che tre dei sette componenti e precisamente quelli indicati con le lettere c), d) ed e), nonchè i componenti integratori di cui al secondo comma, siano sorteggiati nell'ambito di un elenco di almeno tre nomi forniti dai relativi ordini professionali ivi indicati, laddove gli artt. 42 e 44 della legge sull'ordinamento delle autonomie locali prevedono la elezione a maggioranza qualificata dei suddetti componenti.
Detta difformità di previsione violerebbe l'art. 46 dello Statuto sardo, il quale disciplinando il controllo sugli atti degli enti locali stabilisce che esso "è esercitato da organi della regione nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale in armonia con i principi delle leggi dello Stato", dettando così una disciplina compiuta in materia e disponendo che la legislazione regionale sia armonizzata con i principi posti dalla legislazione statale. Armonizzazione che nella specie si intende realizzata con l'adeguamento del legislatore sardo al principio posto dalla legge dello Stato n. 142 del 1990 (artt. 42 e 44) in ordine alla elezione a maggioranza qualificata dei componenti il comitato regionale di controllo.
Così precisati i termini della questione, è da respingere la eccezione di inammissibilità formulate dalla Regione Sardegna, connessa alla non corrispondenza tra motivi del rinvio e motivi del ricorso.
Invero, il principio della corrispondenza tra motivi del rinvio e motivi del ricorso deve intendersi rispettato anche quando i primi siano formulata in modo sintetico e sommario, semprechè la Regione sia stata messa in grado di rendersi conto della consistenza delle obiezioni rivoltele in sede di rinvio e queste coincidano sostanzialmente con quelle svolte nel ricorso (da ultimo, sentt. n. 487 del 1991; n. 261 del 1990) Nella specie i vizi denunciati in sede di rinvio corrispondono a quelli proposti innanzi alla Corte; deve ritenersi quindi che l'atto regionale impugnato è stato adottato con la consapevolezza delle deduzioni e delle ragioni dell'autorità ricorrente.
2. Nel merito la questione è infondata.
Anzitutto, non è possibile definire la competenza della Regione Sardegna in ordine alla materia contemplata dalla norma impugnata, se non si precisa, al riguardo, il quadro normativo di riferimento.
Ebbene, detto quadro non è più e soltanto rappresentato dall'art. 46 dello Statuto sardo bensì ed anche dall'art. 3, lett. b), di detto statuto introdotto dalla legge costituzionale 23 settembre 1993, n. 2.
A seguito di questa modifica l'art. 3 dello statuto regionale sardo viene a includere nella potestà legislativa esclusiva della regione nella lett. b) "l'ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni", mentre la vecchia formulazione della citata lett b) indicava soltanto la voce "circoscrizioni comunali".
É da osservare preliminarmente che la ora indicata legge n. 2 del 1993 disegna il quadro delle competenze delle Regioni ad autonomia speciale (eccezion fatta per la Sicilia) in materia di enti locali, privilegiando il criterio di maggiore ampiezza e di sostanziale uniformità laddove era in precedenza vigente una disciplina piuttosto riduttiva ed eterogenea. In particolare, la competenza delle Regioni a statuto speciale in materia di ordinamento di enti locali acquista il carattere di esclusività e viene ad essere definita con formula identica in tutti gli statuti speciali.
Con il che si rimuove - ed è questa una delle finalità rilevanti di detta legge costituzionale di modifica - l'originaria diversità di regime giuridico delle Regioni ad autonomia speciale in materia di enti locali: conseguentemente si provvede alla armonizzazione dei relativi statuti, completando l'indirizzo tracciato dalla l. n. 142 del 1990 in ordine al conferimento alle regioni speciali di strumenti diretti ed adeguati a realizzare un compiuto sistema di autonomie locali, come si rileva con chiarezza dagli atti parlamentari relativi alla legge costituzionale n. 2 del 1993.
3. Si tratta, ora, di stabilire quale sia in concreto l'oggetto delle attribuzioni devolute da tale legge costituzionale alla Regione Sardegna ed i rapporti di tale oggetto con la materia dei controlli degli enti locali in base allo Statuto sardo. Questo statuto dedica il titolo quinto agli enti locali e dagli artt. 43-46 emerge chiaramente che i controlli sugli atti sono da considerarsi materia dell'ordinamento di tali enti, nel cui ambito trovano espressa collocazione e specifica disciplina. Inoltre la legge n. 2 del 1993 ha inteso uniformare le competenze delle quattro regioni speciali in materia di enti locali a quelle della Sicilia e questo risultato non si conseguirebbe, se si considerasse il controllo estraneo alla nuova competenza esclusiva attribuita.
Ed è, poi, la stessa legge sulle autonomie locali n. 142 del 1990 che inserisce la disciplina dei controlli nell'ambito dell'ordinamento di tali autonomie, sicchè la competenza a disciplinare l'ordinamento dei relativi enti comprende anche la facoltà di regolarne i controlli, come è stato affermato da questa Corte (sent. n. 360 del 1993), in quanto la prima inerisce strettamente alla seconda (sent. n. 21 del 1985).
Si può, quindi, concludere che la materia del controllo sugli atti di cui all'art. 46 dello Statuto sardo, rientra a pieno titolo nell'oggetto contemplato dalla lettera b) dell'art. 3 dello statuto stesso. Con la conseguenza che la natura della potestà legislativa regionale in ordine alla materia dei controlli, dopo la riforma operata dalla legge costituzionale, diventa esclusiva e, quindi, regolata dalla lett. b) dell'art.3 dello statuto.
4. In questo quadro, appaiono chiari i limiti che la Regione sarda incontra nell'esercizio della sua potestà legislativa esclusiva in materia di controlli. Occorre verificare poi se il principio di elettività a maggioranza qualificata posto dall'art. 42 della l. n.142 del 1990 costituisce un principio generale dell'ordinamento che deve, in quanto tale, essere osservato dalla regione.
Giova premettere che in sede costituente, punto fermo nell'avvio della disciplina sui controlli, fu l'esigenza di depurarli di quegli elementi che li avevano resi strumenti del potere centrale; si poneva, pertanto, la esigenza di escludere forme di controllo incompatibili per contenuto ed effetti con l'autonomia locale. Anzi il controllo viene ad essere regolato da principi di carattere costituzionale, in quanto espressione di una funzione di garanzia dell'ordinamento di tale autonomia, come si rileva dal combinato disposto degli artt. 128 e 130 della Costituzione.
Si tratta ora di vedere se ed in che modo la regola del sorteggio posta dall'art. 4 della legge regionale sarda impugnata, in ordine alla costituzione dell'organo di controllo - diversificandosi in ciò dal principio di elezione a maggioranza qualificata dei componenti del comitato di controllo posto dall'art. 42 della l. n. 142 del 1990 - incida sulla struttura e sulla funzione dell'organo.
Invero, gli artt. 42 e 44 della l. n. 142 del 1990, disciplinando specificamente le modalità di costituzione del comitato, pongono un principio (elettività dei componenti di esso da parte del Consiglio regionale a maggioranza qualificata) certamente fondamentale con riguardo alla materia dei controlli, in quanto, incidendo sulla formazione dell'organo si riflette sulla neutralità della stessa funzione di controllo.
Ma siffatto carattere di principio fondamentale della legge statale non si identifica con quello di principio generale dell'ordinamento dello Stato che costituisce, ex art, 3 dello Statuto sardo, limite alla potestà legislativa esclusiva, della quale è ormai dotata la Regione Sardegna anche in materia di controllo di atti.
Il principio fondamentale - come del resto si desume dal primo comma dell'art. 117 della Costituzione, relativo alle regioni a statuto ordinario e dallo stesso art. 46 dello Statuto sardo - è sempre un principio affermato o estratto da una legge o da un complesso di leggi dello Stato in materie determinate, mentre il principio dell'ordinamento giuridico dello Stato è ricavabile da questo ordinamento, considerato come espressione complessiva del sistema normativo e non di singole leggi.
Il principio dell'elettività della nomina dei membri del comitato di controllo non attinge tale livello.
Il ricorso è pertanto infondato.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 nonchè, in quanto ad esso connessi, degli artt. 5, comma quarto; 6, comma quinto; 7 e 8, commi primo e secondo, della legge della Regione Sardegna riapprovata dal Consiglio regionale il 26 aprile 1994, recante "Nuove norme sul controllo degli atti degli enti locali" proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/11/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Gabriele PESCATORE, Redattore
Depositata in cancelleria il 07/12/94.