Sentenza n. 181/99

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SENTENZA N. 181

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione in relazione alla deliberazione della Corte dei conti, Collegio regionale di controllo per la Regione Puglia, n. 1/98 dell’11 maggio 1998, nella parte in cui viene previsto l’esame del rendiconto della Regione Puglia per l’esercizio finanziario 1997, unitamente agli atti presupposti della predetta deliberazione, promosso con ricorso della Regione Puglia, notificato il 24 luglio 1998, depositato in Cancelleria il 3 agosto 1998 ed iscritto al n. 22 del registro conflitti 1998.

  Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 1999 il Giudice relatore Massimo Vari;

  uditi l’avvocato Aldo Loiodice per la Regione Puglia e l’avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato il 24 luglio 1998 (Reg. Confl. n. 22 del 1998), e ritualmente depositato, la Regione Puglia ha sollevato conflitto di attribuzione per l'accertamento della non spettanza allo Stato, e per esso alla Corte dei conti, Collegio regionale di controllo per la Puglia, della competenza ad esaminare il rendiconto della Regione e, di conseguenza, per l'annullamento della deliberazione di detto Collegio n. 1 dell'11 maggio 1998, "in tutto o nella sola parte relativa al punto 1 del programma annuale di controllo": e cioé nella parte concernente l'esame del rendiconto dell'esercizio finanziario 1997, con ricostruzione di serie storiche omogenee riferite agli esercizi finanziari 1995 e 1996, unitamente all'esame anche dei corrispondenti bilanci di previsione annuali e pluriennali. La Regione chiede, altresì, "ove occorra", l'annullamento di "ogni altro atto presupposto o connesso, che attribuisca allo Stato e, per esso, alla Corte dei conti, Collegio regionale di controllo per la Puglia, la competenza in esame", tra cui, segnatamente, i seguenti atti:

- deliberazione n. 1/1997 del 13 giugno 1997 delle Sezioni riunite della Corte dei conti, avente ad oggetto il regolamento per la istituzione e l'organizzazione, nelle Regioni a statuto ordinario, di Collegi regionali per l'esercizio della funzione di controllo successivo sulla gestione;

- deliberazione n. 1/1997/SR- CONTR. del 5 dicembre 1997 - non conosciuta - con la quale le Sezioni riunite hanno approvato criteri generali ed indirizzi di coordinamento per i programmi di controllo;

- determinazione del 19 novembre 1997 - non conosciuta - con la quale la Sezione del controllo per gli affari comunitari ed internazionali ha approvato il programma di lavoro per il 1998;

- deliberazione n. 5/1998 del 18 dicembre 1997 - non conosciuta - con la quale l'Adunanza plenaria della Sezione centrale di controllo ha stabilito il programma del controllo successivo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato per l'anno 1998, con particolare riguardo al versante delle spese;

- deliberazione n. 19/97 (recte: 10/97) del 19 dicembre 1997 - non conosciuta - con la quale la Sezione enti locali ha programmato le indagini per l'esercizio 1998;

- deliberazione 22 dicembre 1997 delle Sezioni riunite in sede referente - non conosciuta - riguardante il programma di lavoro per l'esame del rendiconto generale dello Stato per il 1997;

- deliberazione n. 16/98 - non conosciuta - con la quale l'Adunanza plenaria della Sezione centrale di controllo ha espresso le proprie determinazioni in ordine al programma annuale di controllo successivo sulla gestione per il 1998, per quanto concerne il settore entrate e magazzini.

1.1.- Nell'indicare i motivi di ricorso la Regione adduce, anzitutto, la violazione degli artt. 5, 121, 123 e 127 della Costituzione, osservando che il controllo sulla gestione delineato dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 29 del 1995 non consentirebbe di sottoporre ad esso il rendiconto della Regione, che, ai sensi dell'art. 71 dello statuto della Regione Puglia (di cui alla legge 22 maggio 1971, n. 349), é approvato con legge regionale. Infatti, a voler ritenere diversamente, la Corte dei conti esperirebbe i suoi riscontri su un atto che non solo é stato già esaminato, ma, in quanto approvato con legge, già fatto proprio dal Consiglio regionale; atto sul quale, comunque, non é esercitabile altro controllo se non quello legislativo, espressione dell’autonomia politica della Regione stessa.

1.2.- Indi, nel lamentare la violazione dell’art. 5 della Costituzione e dell’art. 3, comma 5, della legge n. 20 del 1994, in relazione all’assenza di parametri nell’esercizio del controllo sul rendiconto, la ricorrente rammenta che, nei confronti delle amministrazioni regionali, l’ambito dei riscontri sulla gestione dovrebbe essere circoscritto al perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma. Pertanto il rispetto dell'autonomia politico-legislativa garantita alle Regioni sussisterebbe solo ove il controllo abbia per oggetto l'attività amministrativa e come parametro di riferimento gli obiettivi fissati nelle leggi regionali, tenuto conto del fatto che il destinatario delle relazioni susseguenti al controllo é il Consiglio regionale, nei cui confronti la Corte assume una funzione collaborativa ed ausiliaria. Nel caso di specie, invece, la legge regionale, lungi dall'essere assunta come parametro di valutazione dell’attività amministrativa, finirebbe per divenire essa stessa oggetto di controllo.

1.3.- Ad avviso della Regione, inoltre, la completa assenza di collaborazione tra la Corte dei conti ed il Consiglio regionale configurerebbe un’ulteriore violazione della legge n. 20 del 1994, con specifico riguardo all’art. 3, comma 6 (che delinea il fine del controllo sulla gestione), come pure dei principi della già menzionata sentenza n. 29 del 1995, atteso che, in consonanza con il carattere essenzialmente collaborativo ed ausiliario della funzione affidata alla Corte dei conti, il Consiglio regionale doveva essere ascoltato e che le sue indicazioni dovevano essere tenute presenti all'atto di delineare il programma annuale di controllo. La carenza di qualsiasi iniziativa collaborativa, in tal senso, sarebbe testimoniata anche dalla mancata comunicazione delle altre delibere adottate dagli organi centrali della magistratura contabile, in tema di criteri generali ed indirizzi di coordinamento del controllo.

1.4.- In tal guisa - si asserisce - la Corte dei conti, senza ricorrere allo strumento della legge richiesto dall’art. 25, primo comma, della Costituzione, avrebbe istituito, con un atto amministrativo, un procedimento di carattere giurisdizionale analogo a quello previsto dagli artt. 38- 43 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), nonchè dall'art. 2, primo comma, numero 2, e dall'art. 6, terzo comma, del decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 655 (Istituzione di sezioni della Corte dei conti per la regione siciliana), per il giudizio di parificazione sul rendiconto generale, rispettivamente, dello Stato e della Regione Siciliana (ipotesi cui vanno aggiunte anche quelle di cui alle specifiche disposizioni recanti attribuzioni analoghe, in capo alla Corte dei conti, nei confronti del rendiconto di determinate Regioni a statuto speciale). Si lamenta, perciò, la violazione, non solo, dell’art. 25, primo comma, ma anche e dell’art. 24, secondo comma, della Costituzione, a causa della mancata previsione di un contraddittorio con l’amministrazione regionale, come pure degli artt. 5 e 125 della stessa Costituzione, delle disposizioni della legge n. 20 del 1994 e dei già menzionati principi individuati dalla sentenza n. 29 del 1995. Nè la competenza ad esercitare una verifica sul rendiconto delle Regioni potrebbe ritenersi implicitamente contenuta nella norma della legge n. 20 del 1994, che sancisce l’obbligo di riferire almeno annualmente al Consiglio regionale sull’esito del controllo. A ciò osterebbe la sostanziale differenza tra questa relazione, prevista anche nei confronti del Parlamento per il controllo eseguito sulle amministrazioni dello Stato, ai sensi dell’art. 3, comma 6, e quella redatta dalle Sezioni riunite unitamente alla deliberazione sul rendiconto generale dello Stato, ai sensi dell’art. 41 del regio decreto n. 1214 del 1934.

2.- Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia respinto perchè improponibile, inammissibile e privo di fondamento.

Nel far rinvio, sui primi due motivi di gravame, "a quanto esposto nella deliberazione delle Sezioni riunite n. 1 del 1997" (richiamando in particolare il paragrafo 2.3), si osserva, in ordine alla terza doglianza, che nessuna norma di legge prevede l’instaurazione di un contraddittorio con le amministrazioni regionali, in ordine alla definizione dei programmi di controllo.

Quanto, poi, alla censura relativa alla pretesa surrettizia trasformazione del procedimento di controllo sulla gestione in altro di carattere giurisdizionale, si rileva che, a prescindere dalla dubbia idoneità della stessa a delineare anche in astratto un conflitto di attribuzione, l’attività della Corte dei conti si é, comunque, sinora svolta nel rispetto delle regole dettate dall’art. 3 della legge n. 20 del 1994, mentre anche il contestato controllo del Collegio regionale per la Puglia si sostanzierà in una deliberazione che verrà trasmessa al Consiglio regionale, per renderlo edotto dei risultati dei riscontri eseguiti.

3.- Con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività ai sensi dell’art. 39 della legge n. 87 del 1953 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), osservando che il provvedimento del Collegio regionale rappresenterebbe un mero atto esecutivo delle determinazioni già assunte dalle Sezioni riunite con deliberazione n. 1 del 13 giugno 1997. La presunta lesione degli interessi regionali andrebbe, perciò, ricondotta a quest'ultima, che era conoscibile fin dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 24 giugno 1997, con la conseguenza che l’impugnazione, notificata il 24 luglio 1998, sarebbe stata proposta oltre il termine previsto a pena di decadenza, non apparendo le censure della ricorrente rivolte a specifici aspetti propri della deliberazione del Collegio regionale n. 1 del 1998.

3.1.— Nel merito l’Avvocatura erariale rileva che il programma elaborato dal Collegio regionale sarebbe conforme al modulo del controllo di gestione predisposto dalle Sezioni riunite, in vista della redazione di un referto unitario sulla finanza regionale, fondato sull’esame del rendiconto delle Regioni, con ricostruzione di serie storiche omogenee, a partire dal rendiconto del 1995.

In ogni caso, si argomenta nella memoria, l'esame del rendiconto da parte del Collegio regionale avverrebbe prima che sul medesimo si pronunzi il Consiglio, e non dopo, sicchè l'effettivo oggetto dell'esame sarebbe l’atto (rendiconto) deliberato dalla Giunta regionale, quale documento rappresentativo della gestione.

Si osserva, in particolare, che, essendo il programma di controllo finalizzato alla redazione di un referto al Consiglio regionale, quale espressione della funzione collaborativa delineata dalla stessa legge n. 20 del 1994, l’esame del rendiconto della Regione non rappresenterebbe altro che il punto di partenza per una visione completa della gestione e dei risultati dell’attività amministrativa, onde verificare la validità della scelta di procedure e mezzi alla luce dei canoni di economicità, efficienza ed efficacia.

Al tempo stesso, la censura relativa alla denunciata mancanza di un "rapporto collaborativo" da parte della Corte dei conti, sarebbe da reputare, oltre che generica, infondata, atteso, da un lato, che le deliberazioni degli organi centrali della Corte dei conti hanno avuto massima pubblicità attraverso la Gazzetta Ufficiale e, dall’altro, che una previa fase di contraddittorio con le amministrazioni controllate, in materia di definizione di programmi di controllo, non é prevista da alcuna disposizione di legge (v. art. 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994), nè potrebbe essere desunta da alcuna norma costituzionale.

4.- Con una memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione Puglia, nel ribadire le censure già prospettate, rileva, altresì, che attraverso il controllo su un atto fondamentale per l’autonomia politica della Regione, quale é il rendiconto, si sarebbe realizzata, da parte della Corte dei conti, un’indebita intromissione nel rapporto dialettico Giunta-Consiglio, con un condizionamento ab externo delle valutazioni che il Consiglio, organo dotato di autonomia politico-legislativa, può svolgere sull’operato della Giunta in virtù, tra l’altro, della responsabilità politica che, nei confronti della stessa, può eventualmente essere fatta valere.

Nel ricordare che il controllo sulla gestione operato dalla Corte dei conti nei confronti delle Regioni ha — come ribadito anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 29 del 1995 — "una valenza essenzialmente collaborativa" ed é volto esclusivamente all’esercizio di "una fondamentale funzione referente" nei confronti del Consiglio, la Regione deduce che la Corte dei conti avrebbe introdotto, invece, "una forma di controllo su di un atto legislativo regionale (o sulla sua fase iniziale)", alterando comunque — anche a ritenere che il controllo avvenga prima dell'approvazione del rendiconto — un procedimento, quale quello legislativo, che, in base alle norme costituzionali e statutarie, rientra, dall'inizio alla fine, nell'esclusiva competenza della Regione.

4.1.— Nè la Corte dei conti potrebbe ritenere che le sia stata attribuita "automaticamente" una forma di controllo analoga alla procedura prevista per il giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato, non potendosi, tra l’altro, neppure sostenere che tale previsione sia implicitamente contenuta nella norma che sancisce l'obbligo di riferire almeno annualmente al Consiglio regionale sull'esito del controllo.

4.2.— Si deduce, infine, che l’istituzione dei Collegi regionali di controllo, con un atto di natura regolamentare (quale la deliberazione delle Sezioni riunite n. 1 del 1997), colliderebbe con le disposizioni costituzionali che garantiscono alle attribuzioni regionali "una dimensione di tale autonomia da escludere competenze statali di controllo", ed, altresì, con la riserva assoluta di legge prevista dall’art. 108, primo comma, della Costituzione.

Il contrasto della deliberazione delle Sezioni riunite n. 1 del 1997 e, in via derivata, della deliberazione del Collegio regionale di controllo per la Puglia n. 1 del 1998 con detta disposizione costituzionale proverebbe l’assoluta carenza di potere della Corte dei conti in ordine alla istituzione di organi che controllino le Regioni. Nè la pretesa legittimazione ad istituire nuovi organi potrebbe ricondursi all’art. 4 della legge n. 20 del 1994, che attribuisce alla Corte stessa la potestà regolamentare esclusivamente in materia di organizzazione delle spese, e non di organizzazione in senso ampio.

Considerato in diritto

1.— Con il ricorso in epigrafe la Regione Puglia solleva conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione alla deliberazione del Collegio regionale della Corte dei conti n. 1 dell'11 maggio 1998, concernente il programma annuale del controllo da svolgersi ai sensi dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 20 del 1994 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti).

Deducendo che la sottoposizione a controllo del rendiconto per l’esercizio 1997, con esame esteso anche a quelli degli esercizi 1995 e 1996, lederebbe la sfera di attribuzione ad essa costituzionalmente garantita, la ricorrente chiede l'annullamento della impugnata deliberazione in tutto o nella sola parte relativa al controllo in questione, unitamente ad "ogni altro atto presupposto o connesso che attribuisca allo Stato e, per esso, alla Corte dei conti la competenza in esame" (tra cui i vari atti già specificati in narrativa).

2.— Nell'enunciare i motivi di ricorso, la Regione sostiene che l’iniziativa assunta dalla Corte dei conti si porrebbe in contrasto:

— con gli artt. 5, 121, 123 e 127 della Costituzione, nonchè con l’art. 71 dello statuto della Regione Puglia e con i principi informatori del controllo sulla gestione, come individuati dalla sentenza di questa Corte n. 29 del 1995, in quanto i riscontri programmati riguarderebbero un atto che, non solo, é stato già esaminato e, in quanto approvato con legge, già fatto proprio dal Consiglio regionale, ma che sarebbe assoggettabile soltanto al sindacato dell'assemblea regionale;

— con l’art. 5 della Costituzione e con l’art. 3, comma 5, della legge n. 20 del 1994 nonchè con i predetti principi informatori del controllo sulla gestione, a causa dell’assenza di parametri nell’esercizio del riscontro che si intende esperire;

— con l’art. 3, comma 6, della legge n. 20 del 1994 e con i menzionati principi in materia di controllo sulla gestione, a causa dell’assenza, nell'iniziativa assunta, di ogni profilo collaborativo tra la Corte dei conti ed il Consiglio regionale;

— con gli artt. 24, secondo comma, 25, primo comma, 5 e 125 della Costituzione ed, ancora, con la legge n. 20 del 1994, come pure con i principi in materia di controllo sulla gestione, a causa dell’introduzione surrettizia di un procedimento giurisdizionale di parificazione del rendiconto, analogo a quello previsto, per lo Stato, dagli artt. 38- 43 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, nonchè, per le Regioni a statuto speciale, da altre specifiche disposizioni legislative.

Nella memoria illustrativa la ricorrente, a sostegno dell’illegittimità degli atti impugnati, trae ulteriori argomenti dal fatto che l'istituzione dei Collegi regionali di controllo sarebbe avvenuta con un atto di natura regolamentare, quale la deliberazione delle Sezioni riunite n. 1 del 1997, in contrasto con le disposizioni costituzionali poste a garanzia dell'autonomia delle competenze regionali che sarebbero tali da escludere "competenze statali di controllo", ed, in particolare, con la riserva assoluta di legge prevista dall'art. 108 della Costituzione.

3.— Va, in primo luogo, disattesa l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale il ricorso sarebbe da reputare tardivo, ai sensi dell'art. 39 della legge n. 87 del 1953, in quanto il provvedimento del Collegio regionale rappresenterebbe un mero atto esecutivo delle determinazioni assunte dalle Sezioni riunite con la già menzionata deliberazione n. 1 del 13 giugno 1997.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, perchè possa sorgere conflitto di attribuzione fra Stato e Regione, occorre che la negazione o la lesione della competenza derivino immediatamente e direttamente dall’atto denunciato come invasivo, nel senso che esso, qualora sia preceduto da altro che ne costituisca il precedente logico e giuridico, non ne ripeta identicamente il contenuto e non ne rappresenti una mera e necessaria esecuzione (v., da ultimo, sentenza n. 215 del 1996).

Nella specie, il provvedimento oggetto principale delle censure della Regione ricorrente, e cioé la deliberazione del Collegio regionale n. 1 del 1998, pur trovando in quello delle Sezioni riunite il suo atto presupposto, non si configura, per i profili denunciati, come atto meramente esecutivo di quest’ultimo.

La deliberazione assunta in data 13 giugno 1997 reca, infatti, disposizioni di carattere essenzialmente organizzativo, con il fine di individuare modalità e strutture per il controllo decentrato sulle amministrazioni diverse da quella statale, riservando ai Collegi regionali la "definizione di specifici programmi nell’ambito di propria competenza". Il provvedimento impugnato dà, invece, alla predetta deliberazione attuazione ed esecuzione ulteriore, con completamento e svolgimento autonomo, provvedendo, in particolare, a definire l'ambito concreto di esercizio del controllo da effettuare nei confronti dell'amministrazione regionale della Puglia.

4.— Pur nell’ammissibilità del gravame in sè, va, per contro, dichiarata inammissibile la censura concernente la mancanza di fondamento legislativo del potere di autorganizzazione esercitato dalla Corte dei conti nell’istituire i Collegi regionali di controllo, trattandosi di doglianza tardiva, estranea ai motivi di ricorso e prospettata soltanto nella memoria depositata in prossimità dell’udienza.

5.— Nel merito il ricorso non é fondato.

Questa Corte, soffermandosi (sentenze n. 29 del 1995 e n. 470 del 1997) sui tratti fondamentali del processo riformatore realizzato dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20, in tema di funzioni della Corte dei conti, ha già evidenziato che, con esso, si é inteso adeguare le forme di controllo sulle amministrazioni pubbliche alle esigenze derivanti dalla moltiplicazione dei centri di spesa; moltiplicazione connessa, tra l'altro, allo sviluppo del decentramento ed all'istituzione delle Regioni. Nel modificare la configurazione tradizionale delle competenze della Corte dei conti, precipuamente caratterizzate dal riscontro preventivo di legittimità sugli atti delle amministrazioni dello Stato, la legge sopra menzionata ha avuto il duplice fine di ridurre l’area di detto controllo e di conferire primario rilievo, con riguardo a tutte le amministrazioni, al controllo sulla gestione, avente per oggetto non già i singoli atti, ma l'attività amministrativa considerata nel suo concreto e complessivo svolgimento.

6.- Nell'ambito di tale nuovo ordinamento si colloca anche l'art. 3, comma 5, della legge n. 20 del 1994, che contempla, "nei confronti delle amministrazioni regionali", un controllo inteso a rilevare "il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma", in vista del conclusivo adempimento, indicato nel comma 6 del medesimo articolo, di riferire, almeno annualmente, ai Consigli regionali sull'esito del controllo stesso.

Chiamata a pronunziarsi sulla costituzionalità delle disposizioni testè ricordate, questa Corte ha avuto cura di definire puntualmente i limiti della competenza assegnata alla Corte dei conti, precisando che, al fine di escludere la lesione dell'autonomia politico-legislativa costituzionalmente garantita alle Regioni, la norma di cui al comma 5 dell'art. 3 della legge deve essere interpretata nel senso che, ai fini del controllo successivo sulla gestione delle amministrazioni regionali, il raffronto fra obiettivi e risultati debba operarsi essenzialmente alla luce delle leggi emanate dalla Regione stessa (sentenza n. 29 del 1995 già citata).

7.— Nel caso all’esame la ricorrente, muovendo dal rilievo che la censurata deliberazione del Collegio regionale n. 1 del 1998 pone a fondamento del controllo da effettuare il rendiconto della Regione, ne trae la conclusione che la Corte dei conti intenda procedere ad una verifica del documento contabile in sè, tale da alterare — sia a ritenere che il riscontro si svolga prima sia a ritenere che avvenga dopo l'approvazione del consuntivo da parte del Consiglio regionale — un procedimento, quale quello legislativo, rientrante (dall'inizio alla fine) nell'esclusiva competenza della Regione stessa.

Tale tesi non può essere, tuttavia, condivisa, non emergendo dall’esame di detta deliberazione, come pure degli altri atti impugnati, elementi idonei a dimostrare l’eventuale intendimento della Corte dei conti di esorbitare dalle competenze ad essa assegnate dalla legge n. 20 del 1994. Invero la circostanza che il controllo prenda avvio dal rendiconto 1997 e si estenda alle serie storiche degli anni precedenti non risulta elemento indicativo di tale scopo, in quanto i consuntivi, nello svolgimento dei riscontri, vengono, in realtà, assunti semplicemente come strumenti di analisi e comparazione rispetto alle leggi di principio e di programma. Depone, invero, in tal senso la stessa deliberazione impugnata là dove - nel precisare che costituiranno oggetto di esame, oltre ai rendiconti, anche i corrispondenti bilanci di previsione annuali e pluriennali - indica, quale fine dell’analisi, quello di "verificare gli eventuali scostamenti rispetto ad essi del conto finanziario e di raffrontare, con i programmi approvati, i risultati ottenuti". L’obiettivo finale si desume, poi, dalla parte conclusiva della stessa deliberazione, là dove si precisa che dell'esito delle verifiche "il Collegio riferirà al Consiglio regionale della Puglia". Ad avvalorare ulteriormente le sopra esposte conclusioni possono addursi i dati desumibili anche dagli altri atti impugnati, che concorrono a delineare, secondo le indicazioni dello stesso art. 3 della legge n. 20 del 1994, il contesto organizzativo e procedimentale nel quale si colloca la funzione esercitata, nel caso qui in esame, dalla Corte dei conti. Sotto questo aspetto, a parte il richiamo che la già menzionata deliberazione delle Sezioni riunite n. 1 del 13 giugno 1997 espressamente fa dei "particolari limiti" previsti dall’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 20 del 1994, in ordine al compito demandato all’Organo di controllo, assumono specifico significato gli elementi risultanti dalla deliberazione delle Sezioni riunite 5 dicembre 1997, n. 1, ove si precisa (paragrafo 2.3) che il compito di riscontro dei Collegi sulle amministrazioni regionali é finalizzato alla redazione di un referto sull'esercizio 1997, "fondato" sul rendiconto della Regione e, quindi, come é lecito arguire, non tale da avere ad oggetto il rendiconto stesso.

8.- Così inteso, il programma di controllo sfugge a tutte le censure formulate dalla ricorrente, giacchè appare coerente con quella funzione di referto sull’amministrazione regionale che la Corte dei conti é chiamata a svolgere verificando, così come richiede l'art. 3, comma 5, della legge n. 20 del 1994, "il perseguimento degli obiettivi stabiliti" dalle leggi regionali di principio e di programma, in vista di relazioni che hanno per essenziale destinatario il Consiglio. E ciò tanto più ove si consideri che le connotazioni collaborative, di cui la Regione lamenta l'assenza, vanno rinvenute, come già messo in evidenza dalla sentenza di questa Corte n. 29 del 1995, nella essenza stessa della funzione esercitata, che, lungi dall'atteggiarsi come "un potere statale che si contrappone alle autonomie delle Regioni", si risolve, invece, in un compito "al servizio di esigenze pubbliche costituzionalmente tutelate, e precisamente volto a garantire che ogni settore della pubblica amministrazione risponda effettivamente al modello ideale tracciato dall'art. 97 della Costituzione".

9.- D'altro canto, una volta definito l’ambito dei riscontri che, nel caso di specie, sono da reputare di competenza della Corte dei conti - ambito dal quale non v’é motivo di ritenere che essa voglia discostarsi - non trova fondamento neppure l’ipotesi che l’organo di controllo abbia voluto arbitrariamente rifarsi ad un paradigma riconducibile a quello proprio dei giudizi di parificazione, previsti, dagli artt. 38-43 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, per il rendiconto generale dello Stato, e da altre disposizioni di legge, per il rendiconto di talune delle Regioni a statuto speciale.

Detti giudizi, il cui oggetto é la verifica della legittimità e regolarità della gestione finanziario- contabile, si svolgono, come é noto, nelle forme della giurisdizione contenziosa, sulla base delle disposizioni processuali del regio decreto n. 1214 del 1934 e del regio decreto n. 1038 del 1933, concludendosi con una vera e propria decisione. Tuttavia, le peculiarità formali e sostanziali di tali giudizi non appaiono riscontrabili nel censurato procedimento di verifica predisposto dal Collegio regionale di controllo, che, nell’ambito di quanto previsto dall’art. 3, commi 5 e 6, della legge n. 20 del 1994, ha per oggetto le verifiche tipiche del c.d. controllo sulla gestione, con risultati destinati, infine, a confluire nella relazione indirizzata all’organo consiliare regionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta allo Stato, e per esso alla Corte dei conti, Collegio di controllo per la Regione Puglia, procedere, secondo i criteri e per le finalità indicati in motivazione, all'esame del rendiconto della Regione stessa, relativo all’esercizio finanziario 1997.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1999.

Renato GRANATA , Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 maggio 1999.