Sentenza n. 98 del 1965
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SENTENZA N. 98

ANNO 1965

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 33, secondo comma, 41 e 92, ultimo comma, del Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, reso esecutivo con legge 25 giugno 1952, n. 766, promosso con ordinanza emessa l'11 dicembre 1964 dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra la società Acciaierie San Michele e la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, iscritta al n. 34 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 98 del 17 aprile 1965.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione delle Acciaierie San Michele e della Comunità europea del carbone e dell'acciaio;

udita nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1965 la relazione del Giudice Michele Fragali;

uditi l'avv. Arturo Cottrau, per le Acciaierie San Michele, l'avv. Mario Giuliano, per la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, e il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale di Torino, giudicando in una causa di opposizione a precetto proposta dalle Acciaierie San Michele di Torino contro la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, ha denunciato per illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 102 e 113 della Costituzione, gli artt. 33, secondo comma, 41 e 92, ultimo comma, del Trattato istitutivo della Comunità predetta, reso esecutivo con legge 25 giugno 1952, n. 766.

L'ordinanza di rimessione, pronunciata l'11 dicembre 1964, ha rilevato che le norme denunciate determinano l'esclusiva competenza della Corte di giustizia della Comunità a giudicare sui ricorsi contro i provvedimenti dell'Alta autorità ed a sospendere l'efficacia esecutiva di quelli emessi, ai sensi dell'art. 47, terzo comma, del trattato; e inoltre limitano la tutela giurisdizionale contro tali provvedimenti ai soli casi di sviamento di potere. In tal modo collidono con fondamentali principi della nostra Costituzione: quelli che demandano la funzione giurisdizionale a magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme dell'ordinamento giudiziario, e quelli che vietano l'istituzione di giudici straordinari o di giudici speciali, e assicurano ad ogni cittadino la piena tutela dei diritti ed interessi legittimi contro gli atti della pubblica Amministrazione.

A queste considerazioni il Tribunale ha premesso che suscita perplessità il problema del modo di inserimento, nel nostro ordinamento giuridico, di disposizioni racchiuse in trattati internazionali capaci di incidere su norme della Costituzione; e che tali perplessità si sono accentuate dopo la sentenza di questa Corte del 7 marzo 1964, n. 14, la quale, pur ribadendo la possibilità di stipulare trattati limitanti la sovranità e di darvi esecuzione con legge ordinaria, ha precisato che l'art. 11 della Costituzione non ha conferito a questa legge efficacia superiore a quella propria di tale fonte di diritto: la conseguenza é, secondo il Tribunale, che le norme alle quali allude il citato art. 11 della Costituzione acquistano efficacia soltanto se la legge che ne autorizza la ratifica sia una legge di revisione costituzionale.

L'ordinanza é stata notificata ai procuratori delle parti il 21 dicembre 1964 e al Presidente del Consiglio dei Ministri il giorno 26 successivo; é stata comunicata ai Presidenti delle Camere il 23 dicembre 1964; é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 98 del 17 aprile 1965.

Si sono costituiti in giudizio, l'11 gennaio 1965 la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, e il 5 maggio 1965 le Acciaierie San Michele. Il 15 febbraio 1965 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri.

2. - Le Acciaierie San Michele hanno opposto l'incostituzionalità formale dell'ordine di esecuzione del trattato istitutivo della Comunità contenuto nella legge 25 giugno 1952, n. 766, e hanno ribadito l'illegittimità costituzionale degli artt. 33, secondo comma, 41 e 92, ultimo comma, del trattato, in riferimento agli artt. 102 e 113 della Costituzione. Hanno rilevato analoga illegittimità per gli artt. 38, ultimo comma, 39, 42, 43, 44, 47, 50 n. 3, 58 n. 4, 59 n. 7, 60, 61, 63 lett. b, 64, 65 nn. 5 e 6, 92, primo e secondo comma, dello stesso trattato, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, primo comma, 25, 27, 71, primo comma, 101, 102,108, primo comma, 111, 113 e 138 della Costituzione; e anche a questi articoli hanno fatto risalire l'assunto vizio di incostituzionalità dei predetti artt. 41 e 92, ultimo comma, del trattato. Hanno impugnato di illegittimità anche gli artt. 19, 38 e 40 del protocollo dello statuto della Corte di giustizia della Comunità europea e 74, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

I motivi di incostituzionalità formale della legge 25 giugno 1952, n. 766, sono stati appoggiati alla opinione per cui le norme poste mediante un accordo internazionale non possono derogare alla Costituzione senza una corrispondente modifica di questa, attuata mediante legge costituzionale. La legge suddetta, osservano le Acciaierie, é legge ordinaria, e il trattato al quale essa ha dato esecuzione contiene numerose norme in chiaro conflitto con quelle della Costituzione. Il problema che si pone di fronte a tale trattato non é quello di vederne i particolari aspetti che lo distinguono da ogni altra fonte normativa di produzione internazionale o di rilevare la particolare struttura della Comunità che esso ha realizzato, ma l'altro di riconoscere la compatibilità di quegli aspetti e di quella struttura con le particolarità del nostro ordinamento costituzionale. Le norme del trattato non sono fra quelle generalmente riconosciute, e pertanto non cadono sotto i principi dell'adattamento automatico dettati nell'art. 10 della Costituzione (sentenza di questa Corte del 12 maggio 1960, n. 32); non cadono nemmeno sotto l'influenza della regola del successivo art. 11, perché risulta dai lavori preparatori della Costituzione che questa norma fu predisposta in vista dell'auspicata ammissione dell'Italia all'Organizzazione delle Nazioni Unite e ad altre intese internazionali di carattere generale, sia pure intereuropee, non con riguardo ad organizzazioni economiche limitate ad alcuni Stati dell'Europa. Comunque, se pure, in base all'art. 11 predetto, si possono inserire nell'ordinamento interno norme di trattati che, nei casi previsti, comportano limitazioni di sovranità, queste limitazioni potrebbero implicare rinuncia dello Stato alla supremazia esclusiva che gli spetta sul cittadino, ma non soppressione o restrizione delle garanzie fondamentali a questi riconosciute dalla Costituzione: si tratta di garanzie che attengono al rapporto tra Stato e sudditi, e pertanto sono sottratte ad un potere di libera disponibilità, e soprattutto non possono essere lasciate alla mercé di istituzioni internazionali estranee all'ordinamento del nostro Paese.

Quanto ai motivi di illegittimità sostanziale rilevati dal Tribunale di Torino sulla base dell'art. 102 della Costituzione, le Acciaierie osservano che l'ordinanza di rimessione non dà confini al potere della Corte costituzionale, la quale può precisare in virtù dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, quali siano le altre disposizioni del trattato la cui illegittimità consegue alla decisione che adotta; e pertanto esse, entro tale ambito, si ritengono facultizzate ad estendere l'oggetto del giudizio anche a norme diverse da quelle eccepite dal giudice a quo.

Le Acciaierie perciò rilevano che il trattato incide su rapporti di natura strettamente privata concernenti cittadini italiani, e la tutela giurisdizionale ne é affidata ad un organo, come la Corte di giustizia delle Comunità, che non é idoneo a svolgere quella funzione, perché costituito su designazione dei rappresentanti degli esecutivi dei sei Stati membri, i quali non possiedono le doti di estraneità e di disinteresse necessarie ad assolvere un compito di scelta così importante e delicato e che non hanno assicurata l'indipendenza di funzioni; questo profilo, pur non essendo stato proposto dal Tribunale, può essere esaminato in questa sede perché l'art. 102 della Costituzione é stato già dedotto in giudizio e l'accertamento dei limiti del suo oggetto deve essere compiuto con riguardo al complesso testo. Con la istituzione della Corte di giustizia, e con l'attribuzione ad essa di amplissimi poteri giurisdizionali nei confronti di numerosissimi cittadini italiani, si soggiunge, non solo é drasticamente limitata la loro tutela giurisdizionale, ma si sono ristrette anche le relative garanzie; le quali costituiscono, nel loro insieme, diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana. Il contrasto con la Costituzione sta nel fatto che questa afferma il principio dell'unità della giurisdizione, mentre il trattato, non soltanto legittima una giurisdizione speciale, ma altresì una giurisdizione speciale alla quale si può accedere con dispendio insopportabile, perché ha una sede assai distante dal territorio dello Stato.

Secondo le Acciaierie si sono assoggettati i cittadini a principi giuridico-economici inusitati, a pene gravissime comminate da un organo esecutivo, attraverso un procedimento abnorme rispetto ai principi del nostro ordinamento giuridico interno, e con confusione di poteri, avendo l'Alta autorità quello di dare esecuzione a disposizioni che essa stessa ha emanato.

Infine le Acciaierie, con riferimento all'art. 33, secondo comma, del trattato, che limita ai casi di sviamento di potere l'impugnativa delle decisioni e delle raccomandazioni generali dell'Alta autorità, osservano che la norma, nei confronti diretti degli imprenditori, riduce ad uno solo i quattro motivi di impugnazione che essa indica nel primo comma, e che comprendono anche l'incompetenza, la violazione delle forme essenziali, e la violazione del trattato e di ogni norma giuridica concernente la sua applicazione. Con riguardo all'art. 44 dello stesso trattato, che dà alle decisioni della Corte forza esecutiva nel territorio degli Stati membri, le Acciaierie ritengono che ciò implica sottrazione di tali sentenze al dettato dell'art. 111 della Costituzione, il quale garantisce il controllo di legittimità della Cassazione per tutte le sentenze; e comporta altresì esclusione dal presidio del doppio grado di giurisdizione, nell'un caso o nell'altro con violazione dell'art. 3 della Costituzione. Inoltre le Acciaierie rilevano che il protocollo sullo statuto della Corte di giustizia, all'art. 38 in contrasto con l'art. 395 del Codice di procedura civile, ammette la revocazione delle sentenze della stessa soltanto in conseguenza della scoperta di un fatto di natura tale da esercitare una influenza decisiva e che prima della loro pronunzia non era conosciuto dalla Corte e dalla parte che domanda la revocazione: la sentenza di revocazione non é nemmeno essa impugnabile, mentre impugnabile, secondo l'art. 403 del Codice di procedura civile, é la sentenza pronunciata dai nostri giudici nel processo di revocazione. Infine viene rilevato che, mentre, per l'art. 52 del Codice di procedura civile, le parti hanno facoltà di proporre di propria iniziativa la ricusazione del giudice, per l'art. 19 del protocollo suddetto tale facoltà é totalmente interdetta.

3. - La Comunità oppone l'art. 11 della Costituzione, che é formulato in modo da non avvalorare l'ipotesi di una volontà di limitarne l'applicazione alla partecipazione alla Organizzazione delle Nazioni Unite. Che la Comunità persegue scopi di pace e di giustizia fra le Nazioni può desumersi dai termini della dichiarazione Schumann del 9 maggio 1950, nella quale si disse che il sistemare sotto una comune Alta autorità l'insieme della produzione franco-tedesca, avrebbe eliminato il contrasto secolare fra la Francia e la Germania, e che il contributo alla civiltà di una Europa organizzata e vitale é indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. Non sembra dubbio che l'art. 11 della Costituzione esprima la reciproca compenetrabilità delle esigenze di un ordinato assetto dei rapporti sociali in seno, così alla comunità nazionale, come alla comunità internazionale; in modo da determinare una correlazione stabile fra l'ordinamento interno e quello internazionale e fra ben determinati obblighi internazionali dell'Italia e l'ordinamento italiano. Si é data cioé rilevanza costituzionale alle esigenze di tale coordinamento e di tale adeguamento, che l'art. 10 della Costituzione vuole pure appagare con riferimento alle norme del diritto internazionale così detto generale o comune; in modo che le norme interne di adeguamento, automatico o non automatico, del duplice ordine di norme internazionali indicate nei due suddetti articoli della Carta fondamentale si pongono sullo stesso livello di ogni altra norma costituzionale e ne assumono il rango nel sistema delle fonti dell'ordinamento italiano: l'efficacia e il valore di tutte le norme poste dalla Costituzione si dispiegano perciò in tutta la sfera dei rapporti che esse considerano, ma non in quella dei rapporti rientranti nelle norme legittimate dagli artt. 10 e 11 della Costituzione. La Comunità si richiama all'opinione della dottrina che assume la sufficienza di una legge ordinaria per l'adeguamento dei trattati previsti nell'art. li e alla conforme citata sentenza della Corte costituzionale 7 marzo 1964, n. 14; ed osserva che tale opinione é e potrebbe essere soltanto la conseguenza del presupporre che l'adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi discendenti da trattati del genere non ha il medesimo valore dell'adeguamento agli obblighi discendenti da un qualunque altro accordo internazionale, ma ha di per sé rilevanza o valore costituzionale ed é di per sé idoneo ad immettere, nell'ordinamento interno, norme divergenti da precetti costituzionali.

In subordine la Comunità sostiene che sia infondato il contrasto fra le norme del trattato denunciate a questa Corte e gli artt. 102 e 113 della Costituzione. Gli accordi istitutivi di una organizzazione internazionale come la C.E.C.A. pongono in essere norme giuridiche internazionali che hanno per oggetto, non il comportamento degli Stati contraenti, ma l'ordinamento e il funzionamento delle istituzioni o degli organi nei quali si struttura e attraverso le quali opera l'organizzazione; il provvedimento di attuazione del trattato non si può riferire a queste norme, non essendo concepibili né un adeguamento ad esse dell'ordinamento giuridico italiano, né la necessità di un tale adeguamento, perché l'organizzazione é chiamata ad operare nel quadro di un sistema distinto e separato dagli ordinamenti degli Stati che hanno creato l'organizzazione, pur se variamente ad essi correlato, e perché, se fosse necessario tale adeguamento e ad esso si provvedesse, la stessa internazionalità dell'organizzazione verrebbe irreparabilmente compromessa. Vi sono, nei trattati istitutivi di organizzazioni internazionali come la C.E.C.A., norme che obbligano gli Stati a non intralciare l'esercizio delle funzioni conferite all'organizzazione e a dare efficacia nei propri ordinamenti interni, in quanto occorra, agli atti della organizzazione; ma nessuna delle norme che riguardano l'attività giurisdizionale della Corte di giustizia comunitaria ha a che fare con l'art. 102 della Costituzione; il quale, nello stabilire da chi e come la funzione giurisdizionale debba essere esercitata, lascia al legislatore ordinario il compito di delimitare la cerchia della giurisdizione interna. In quanto poi tali norme riducono i casi di impugnazione degli atti adottati dagli organi della Comunità, esse sono anche estranee all'art. 113 della Costituzione, perché non sono destinate ad operare nel quadro degli ordinamenti interni e perché la Costituzione ovviamente ed esclusivamente si riferisce agli atti della pubblica Amministrazione italiana; e ciò a prescindere dal considerare che l'art. 33 del trattato limita allo sviamento di potere il ricorso alla Corte comunitaria soltanto per le decisioni e le raccomandazioni generali, mentre l'art. 36 del trattato contempla una piena giurisdizione per le impugnative contro gli atti singoli, come era l'atto contro il quale le Acciaierie avevano reagito innanzi alla Corte comunitaria.

Infine, quanto al fatto che il trattato imponga agli Stati di attribuire forza esecutiva nel proprio territorio alle sentenze di tale Corte e alle decisioni dell'Alta autorità che importano obblighi pecuniari, viene considerato che la disciplina dell'efficacia in Italia delle sentenze straniere e l'esecuzione di altri atti di autorità straniere non forma oggetto di normativa costituzionale.

4. - La Presidenza del Consiglio dei Ministri si richiama all'art. 11 della Costituzione; se, in base a questo, é legittimo che lo Stato partecipi attivamente ad organizzazioni sopranazionali istituite per assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni, deve ritenersi legittimo l'esercizio da parte di tali organismi di certi poteri di sovranità, nella specie di poteri giurisdizionali, con efficacia anche nell'ambito del nostro Stato.

Il fatto che i cittadini, per le materie indicate nel trattato ed entro i limiti da esso segnati, siano soggetti ad un diverso ordine di poteri sovrani, deriva appunto dalla loro soggezione ad un ordinamento diverso ed autonomo da quello interno, per quanto interdipendente e compenetrabile; la riduzione dei motivi di impugnazione contro gli atti della autorità competente, secondo questo ordinamento, non cade sotto il divieto dell'art. 113 della Costituzione, che si riferisce soltanto alla tutela degli atti imputabili all'ordinamento interno.

5. - Nella memoria depositata il 1 ottobre 1965 le Acciaierie negano anzitutto che le limitazioni della sovranità italiana desumibili dal trattato della C.E.C.A. siano imposte in condizione di parità con gli altri paesi membri perché :

a) nel Consiglio dei ministri dell'Organizzazione i singoli componenti non hanno una rappresentanza paritaria e il trattato adotta (art. 53) alcuni accorgimenti per evitare che importanti decisioni possano venire prese senza tenere conto di quegli Stati membri che in materia preponderante producono acciaio e carbone;

b) le modificazioni dei poteri conferiti alla Alta autorità secondo l'art. 93 del trattato, possono essere deliberate, scaduto il periodo transitorio previsto dalla Convenzione, con le maggioranze qualificate, le quali escludono che ogni componente concorra con pari efficacia alle relative determinazioni;

c) anche nel comitato consultivo dell'Alta autorità si rilevano condizioni di disparità tra la posizione delle singole rappresentanze dei paesi membri.

Inoltre le Acciaierie contestano che le limitazioni di sovranità contenute nel trattato servano ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni: l'organizzazione non ha carattere universale e, di fatto, non ostante la sua apertura all'adesione di tutti gli Stati dell'Europa, é stato posto il veto all'ingresso di molti di essi.

Quelle limitazioni, inoltre, secondo le Acciaierie, non hanno un carattere definitivo, tanto vero che nell'art. 95 del trattato si attribuiscono agli organi esecutivi poteri tanto ampi da consentire modificazioni del suo testo; e l'Alta autorità della C.E.C.A. ha usufruito spesse volte di tali poteri, il cui esercizio toglie alla legge di esecuzione del trattato il significato e la portata che le sono propri.

Le Acciaierie elencano le disposizioni del trattato che derogano a norme fondamentali del nostro ordinamento costituzionale; e tra esse pongono quelle di contenuto penale, che, per la sentenza 19 gennaio 1957, n. 12, di questa Corte, possono essere poste soltanto dallo Stato. Ricordano che, secondo una parte della dottrina, solo il diritto comunitario può valutare gli atti delle istituzioni della C.E.C.A. per quanto possano incidere su diritti garantiti costituzionalmente; la stessa dottrina ha opinato che ogni conflitto tra legge interna e legislazione comunitaria deve risolversi a favore di quest'ultima.

Le Acciaierie rilevano altresì che, impugnato il procedimento di formazione dell'ordine di esecuzione, l'eccezione di illegittimità costituzionale deve involgere tutto il contenuto del trattato, senza che si possa distinguere norma da norma, non potendo un trattato essere respinto o accolto per parti e potendo quindi discutersi se sia sostenibile che una legge di esecuzione di un trattato sia viziata, oltre che formalmente, anche materialmente.

Viene infine osservato che le norme impugnate non operano soltanto nel quadro dell'ordinamento comunitario, ma hanno valore anche nell'ordinamento interno per gli effetti che tale ordinamento riconosce agli atti compiuti in forza delle stesse; e questi effetti, secondo l'art. 31 delle preleggi, non possono prodursi se contrastino con l'ordine pubblico, come vi contrastano specialmente quelle concernenti l'amministrazione della giustizia.

6. - La Comunità, nella memoria presentata il 28 settembre 1965, dopo avere rilevato che il Tribunale di Torino ha denunciato alla Corte soltanto le tre disposizioni del trattato enunciate nel dispositivo dell'ordinanza, osserva che quella del secondo comma dell'art. 33 non é rilevante ai fini del giudizio di merito, perché limita la tutela giurisdizionale per le decisioni e le raccomandazioni generali dell'Alta autorità, non per le decisioni e le raccomandazioni riferite a singoli soggetti, come é la decisione impugnata dalle Acciaierie, per le quali l'art. 33 riconosce la più estesa protezione.

In tutto il resto la Comunità ribadisce le deduzioni proposte in sede di costituzione, soprattutto in quanto assumono che la legge di esecuzione del trattato non ha inteso immettere nell'ordinamento interno le istituzioni comunitarie, e che gli Stati membri si sono soltanto impegnati ad assicurare, oltre che l'esercizio indipendente delle funzioni comunitarie, anche l'efficacia, nei singoli ordinamenti, degli atti delle istituzioni, come mezzo indispensabile per raggiungere gli scopi di cooperazione organizzata che é nel fine del trattato, e comunque quale conseguenza delle ben marcate individualità e indipendenza conferite alla comunità. Il trattato ha quindi lo stesso contenuto di quelli che due o più Stati concludono per coordinare le rispettive sfere giuridiche ed i rispettivi ambiti di sovranità; i quali riguardano materie non incidenti in quella costituzionale, ed anzi estranee alla normativa costituzionale.

La Comunità infine confuta le nuove eccezioni di illegittimità dedotte nelle deduzioni delle Acciaierie.

7. - Il Presidente del Consiglio, nella sua memoria 1 ottobre 1965, osserva che la Corte deve escludere ogni esame delle questioni prospettate dalle Acciaierie oltre i limiti posti nell'ordinanza del tribunale, salvo a dichiarare, in ipotesi, l'illegittimità di altre norme come conseguenza della decisione che sarà per emettere, e nei limiti di tali rapporti di conseguenzialità.

Ritiene infondate le questioni proposte dal Tribunale di Torino, per le ragioni esposte nelle deduzioni di intervento, e aggiunge che l'art. 102 della Costituzione stabilisce solo da chi e in che modo deve essere esercitata la funzione giurisdizionale, senza definire l'ambito concreto della giurisdizione, compito che nel nostro ordinamento é lasciato al legislatore ordinario. Ritiene irrilevante la questione concernente l'art. 33, secondo comma, del trattato, che non viene in discussione innanzi al giudice di merito, e osserva che il principio del doppio grado di giurisdizione e la disciplina della revocazione non costituiscono oggetto di garanzia costituzionale, così come non riveste carattere di garanzia assoluta il principio della ricorribilità in Cassazione per violazione di legge; escluso per le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, ed a fortiori inapplicabile per le decisioni di una corte di giustizia sovranazionale.

8. - All'udienza pubblica del 14 ottobre 1965 i difensori delle parti hanno illustrato e ribadito le proprie tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'ordinanza del Tribunale di Torino ha presupposto che il trattato della C.E.C.A. si inserisca pienamente nell'ambito segnato dall'art. 11 della Costituzione.

Infatti, ricordate le perplessità manifestatesi in dottrina sul problema del modo di immissione nel nostro ordinamento di disposizioni contenute in trattati internazionali che incidono su norme della Costituzione, e richiamata la sentenza di questa Corte 7 marzo 1964, n. 14, nella quale si decise che a disposizioni del genere l'ordinamento interno può essere adattato mediante una legge ordinaria, il Tribunale ha denunziato per illegittimità costituzionale soltanto gli artt. 33, secondo comma, 41 e 92, ultimo comma, del trattato, meglio, dell'art. 2 della legge 25 giugno 1952, n. 766, nella parte in cui a quegli articoli ha adeguato il nostro ordinamento. Il Tribunale ha cioé ritenuto che, avendo questa Corte assegnato all'art. 11 della Costituzione un valore permissivo senza attribuire alla legge ordinaria, che rende esecutivo uno dei trattati considerativi, una efficacia maggiore di quella che é ad essa propria, resti aperta soltanto la questione di illegittimità costituzionale di quella legge con riguardo a specifiche norme del singolo trattato: alle norme cioé che possono influenzare la pronunzia di merito.

Così intesa l'ordinanza che ha provocato l'attuale procedimento, diviene a questo estraneo l'assunto per cui qualsiasi questione che ha per oggetto la legittimità costituzionale di una norma di legge ordinaria si risolve in un sindacato formale di questa legge. E non debbono nemmeno prendersi in esame le deduzioni e le istanze delle parti che non si richiamano alle tre norme specificamente denunciate dal Tribunale di Torino e agli articoli della Costituzione da esso invocati; alla norma cioè che attribuisce alla Corte di giustizia comunitaria la competenza esclusiva per la decisione dei ricorsi proposti dagli imprenditori avverso le deliberazioni dell'Alta autorità, alla disposizione che, secondo il Tribunale, limita tali ricorsi al solo motivo dello sviamento di poteri, e all'altra che deferisce alla stessa Corte di giustizia ogni decisione sulla sospensione dell'efficacia esecutiva delle deliberazioni dell'Alta autorità che impongono prestazioni di carattere pecuniario.

2. Le disposizioni denunciate sono fuori dal dettato degli artt. 102 e 113 della Costituzione.

Tali articoli concernono soltanto la tutela dei diritti e degli interessi che sono attribuiti ad ogni soggetto per la sua posizione nell'ordinamento interno, e non dei diritti e degli interessi che gli derivano dalla sua posizione in un ordinamento estraneo, com'é quello della C.E.C.A. La C.E.C.A., avendo lo scopo di coordinare alcune iniziative economiche svolgentisi nel territorio di più Stati, compone un ordinamento del tutto distinto da quello interno; il quale ha riconosciuto l'ordinamento comunitario, non per inserirlo nel suo sistema, ma per rendere in questo operante la cooperazione internazionale che é nei suoi fini, e per delimitare i casi in cui ha effetti interni l'attività che gli organi della comunità sono legittimati a svolgere nella cerchia della rispettiva competenza.

Non si nega che codesti effetti vanno determinati senza pregiudizio del diritto del singolo alla tutela giurisdizionale; questo diritto é tra quelli inviolabili dell'uomo, che la Costituzione garantisce all'art. 2, come si arguisce anche dalla considerazione che se ne é fatta nell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Ma l'ordinamento comunitario assicura la tutela giurisdizionale contro gli atti dei suoi organi che riguardano singoli soggetti (il solo punto ritenuto rilevante dal giudice a quo): appresta infatti una protezione mediante impugnazione ad una Corte di giustizia che, secondo il preciso testo dell'art. 31 del trattato, ha il compito di assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione delle norme che compongono il suo sistema e che é costituita ed opera secondo regole corrispondenti alle linee fondamentali del nostro ordinamento giurisdizionale, anche se non ne ripetono pedissequamente la normativa, non in tutto conveniente ad un organo di formazione internazionale. Alla Corte di giustizia predetta concordemente si attribuisce natura giurisdizionale; e deve rilevarsi che i suoi membri debbono esplicare le rispettive funzioni con indipendenza e imparzialità (artt. 32 bis e 32 ter del trattato e artt. 2 e 19 dello Statuto della Corte).

É poi vano discutere, agli effetti degli artt. 102 e VI della Costituzione, se la Corte si pone come organo di giurisdizione speciale rispetto ad organi ordinari della giurisdizione dello Stato, perché il rapporto fra organi di giurisdizione ordinaria e organi di giurisdizione speciale cui accennano i predetti articoli deve ricercarsi nel quadro dell'ordine giuridico interno, e quindi non é delineabile tra gli organi della giurisdizione italiana e quelli della giurisdizione comunitaria, posti, come sono, in orbite giuridiche separate. Gli organi della giurisdizione interna non hanno competenza a sindacare gli atti degli organi della C.E.C.A., perché questi organi non sono soggetti al potere sovrano degli Stati che partecipano alla comunità, non vivono nell'ordinamento di nessuno di tali Stati, e i loro atti costituiscono soltanto materia di qualificazione legislativa da parte dei singoli ordinamenti, sia pure nei limiti in cui può esistere un obbligo di non disconoscerne gli effetti.

3. - Né é esatto che, nell'ambito dell'ordinamento della C.E.C.A., risulta compressa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi previsti dall'art. 113 della Costituzione.

A parte il vedere se la norma invocata, quando vieta di limitare la tutela giurisdizionale a particolari mezzi di impugnazione, si riferisca pure ad atti di organi che, come quelli della C.E.C.A., non compongono l'amministrazione interna e a limiti che concernono i motivi della impugnazione, é certo che la restrizione alla quale il Tribunale si é richiamato concerne le impugnazioni contro le decisioni e le raccomandazioni diverse dalle decisioni che impongono prestazioni pecuniarie, e non vale quindi per la decisione emessa nei confronti delle Acciaierie San Michele, che ha per oggetto imposizioni di quel genere. Questo secondo gruppo di decisioni, in forza dell'art. 36, secondo comma, del trattato, é impugnabile alla Corte comunitaria con ricorso di piena giurisdizione; e financo v'é chi sostiene che proposta tale impugnazione, ex art. 36, terzo comma, si possono incidentalmente impugnare anche gli atti previsti nell'art. 33, secondo comma, i quali, per la loro natura, nemmeno nell'ordinamento interno potrebbero, del resto, subire un sindacato più diffuso di quelli che per essi é predisposto dal trattato.

4. - Quanto alla disposizione che dà alla Corte comunitaria competenza esclusiva per la sospensione dell'esecuzione forzata iniziata in base agli atti dell'Alta autorità rivestiti di forza esecutiva (art. 92, ultimo comma, del trattato), é ovvio che questa forza, concernendo provvedimenti emessi da organi estranei all'ordinamento dello Stato, non può essere sospesa da organi che fanno parte di questo ordinamento; il quale non può svolgere un suo imperio se non entro la sfera che gli compete, ed é competente soltanto a valutare se possa darsi riconoscimento, nell'ambito proprio, ad atti compiuti da organi non propri.

Ammesso che all'esclusività della giurisdizione della Corte comunitaria sulle questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione del trattato non ostano principi della Costituzione, non si vede perché trovi ostacolo nella medesima la norma che dà alla Corte predetta il potere di sospendere la forza esecutiva degli atti comunitari. E a questo punto non é inutile rilevare che essa ha già chiarito (sentenza 21 gennaio 1965) che l'art. 92 del trattato della C.E.C.A. va inteso nel senso fatto palese dall'art. 192, quarto comma, del trattato della Comunità economica europea e dall'art. 164, terzo comma, di quello della Comunità europea della energia atomica, per cui il controllo della regolarità dei provvedimenti esecutivi é di competenza delle giurisdizioni nazionali.

5. Pertanto la questione proposta con l'ordinanza indicata in epigrafe deve giudicarsi priva di fondamento.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale proposta, in riferimento agli artt. 102 e 113 della Costituzione, con l'ordinanza del Tribunale di Torino 11 dicembre 1964, in relazione all'art. 2 della legge 25 giugno 1952, n. 766, che rese esecutivo il trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, per la parte in cui sono stati immessi nell'ordinamento dello Stato gli artt. 33, secondo comma, 41 e 92, ultimo comma, del trattato stesso.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1965.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 1965.