SENTENZA N. 224
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5, primo comma, lettera a, e terzo comma, della legge della Regione Siciliana 6 marzo 1976, n. 25 (Disposizioni per i centri interaziendali per l’addestramento professionale nell’industria), e dell’art. 15 della legge della Regione Siciliana 14 settembre 1979, n. 212, recante "Norme riguardanti l’Ente di sviluppo agricolo (ESA), l’Istituto regionale della vite e del vino (IRVV), l’Azienda siciliana trasporti (AST), l’Istituto regionale per il credito alla cooperazione (IRCAC), la Cassa regionale per il credito alle imprese artigiane (CRIAS), e l’Ente acquedotti siciliani (EAS)", promossi con due ordinanze emesse il 16 aprile 1997 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana sui ricorsi proposti dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti, iscritte ai nn. 793 e 794 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 47 dell’anno 1997.
Visti gli atti di costituzione del Consiglio di presidenza della Corte dei conti nonchè gli atti di intervento della Regione Siciliana;
udito nell’udienza pubblica del 13 aprile 1999 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Consiglio di presidenza della Corte dei Conti e l’avvocato Francesco Torre per la Regione Siciliana.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, accogliendo il ricorso di alcuni magistrati della Corte dei conti in servizio presso le sezioni della Corte per la Regione Siciliana, ha annullato due circolari del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, in cui si invitavano tutti i magistrati della Corte stessa a comunicare la loro eventuale disponibilità per l’assunzione dell’incarico di presidente effettivo o supplente del collegio dei revisori del Centro interaziendale per l’addestramento professionale nell’industria (CIAPI) di Palermo. L’annullamento é fondato sulla violazione dell’art. 5 della legge della Regione Siciliana 6 marzo 1976, n. 25 (Disposizioni per i centri interaziendali per l’addestramento professionale nell’industria), ai cui sensi detti incarichi sono conferiti a magistrati in servizio presso le sezioni della Corte per la Regione Siciliana.
Nel corso del giudizio di appello contro la pronuncia, promosso dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con ordinanza emessa il 16 aprile 1997, pervenuta a questa Corte il successivo 30 ottobre (R.O. n. 793 del 1997), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 97, 100, 104, 107, 108 e 116 della Costituzione, nonchè agli articoli 14, 17 e 23 dello statuto speciale della Regione Siciliana, dell’art. 5, comma 1, lettera a (che prevede la nomina di un membro effettivo e di uno supplente del collegio dei revisori ad opera delle sezioni della Corte dei conti per la Regione Siciliana, che li scelgono fra i magistrati in servizio presso le stesse), e comma 3 (che attribuisce la presidenza del collegio al revisore effettivo nominato dalla Corte dei conti), della predetta legge regionale n. 25 del 1976.
Il remittente premette, in via interpretativa, che - in forza del rinvio operato dall’art. 10, comma 10, della legge 13 aprile 1988, n. 117, all’art. 13, secondo comma, numero 3, della legge n. 186 del 1982 - gli incarichi in questione devono essere conferiti dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti, e non più dalle sezioni della Corte per la Regione Siciliana, come testualmente prevede la norma impugnata.
Quest’ultima, tuttavia, appare al remittente in contrasto con numerosi precetti della Costituzione e dello statuto speciale, in quanto, prevedendo lo svolgimento da parte di magistrati di un incarico obbligatorio presso un ente regionale, verrebbe ad incidere sull’indipendenza dei magistrati stessi e sul loro status, nonchè ad eccedere le attribuzioni legislative della Regione Siciliana.
Le sezioni della Corte dei conti per la Regione Siciliana, previste dall’art. 23 dello statuto speciale, sarebbero, come la Corte stessa, organi dello Stato-ordinamento, onde non potrebbero essere oggetto della potestà legislativa della Regione, la quale non avrebbe alcun potere di imporre ad esse, o ai loro componenti, obblighi di alcun genere, come quello di rivestire incarichi presso enti regionali. La materia dello status dei magistrati, compresi quelli delle sezioni regionali della Corte dei conti, non rientrerebbe fra quelle attribuite alla competenza legislativa della Regione.
Verrebbero in gioco i principi costituzionali di indipendenza della Corte dei conti e dei suoi componenti (art. 100, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione), nonchè di autonomia della magistratura (art. 104, primo comma), di necessario consenso dell’interessato per l’assunzione di funzioni diverse da quelle d’istituto (art. 107, primo comma), e di riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario e di ordinamento delle magistrature (art. 108, primo comma).
L’attribuzione di un incarico presso un ente regionale inciderebbe sia sull’indipendenza dei magistrati contabili, potendo ritenersi inopportuno che un magistrato rivesta incarichi nell’ambito della Regione presso cui esercita le sue funzioni, sia sulla competenza del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, trattandosi di incarichi previsti dalla legge regionale come obbligatori, con la conseguente inoperatività dell’organo in caso di mancata nomina o di mancato consenso dell’interessato: ciò in violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
Infine la norma denunciata sarebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, per la ingiustificata disparità di trattamento a favore dei magistrati della Corte dei conti in servizio in Sicilia rispetto agli altri loro colleghi: profilo questo che non potrebbe ritenersi superato nemmeno in vista della portata circoscritta della norma vuoi quanto al numero di incarichi previsti, vuoi quanto ai compensi.
La rilevanza della questione sollevata discenderebbe dal fatto che il suo eventuale accoglimento comporterebbe l’infondatezza o l’inammissibilità per difetto di interesse della pretesa fatta valere nel giudizio a quo dai ricorrenti, i quali ritengono che gli incarichi dovrebbero essere conferiti solo ai magistrati in servizio in Sicilia.
2.– Si é costituito il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, appellante nel giudizio a quo, chiedendo in un primo tempo che la questione fosse dichiarata "inammissibile e infondata".
In una successiva memoria, prodotta in vista dell’udienza, la difesa del Consiglio di presidenza chiede invece che la questione sia dichiarata infondata per quanto riguarda i profili più generali concernenti la possibilità stessa, per la legge regionale, di prevedere il conferimento di siffatti incarichi a magistrati della Corte dei conti; fondata invece per quanto riguarda la limitazione operata dalla legge là dove dispone che gli incarichi siano conferiti a magistrati in servizio in Sicilia.
Quanto ai profili più generali, la parte osserva che il compito di stabilire i modi di tutela dell’indipendenza dei magistrati della Corte dei conti e di definire lo status dei magistrati é affidato alla legge. Ora, la possibilità di conferimento ai magistrati della Corte dei conti di incarichi extraistituzionali sarebbe prevista già dal combinato disposto dell’art. 10 della legge n. 117 del 1988 e dell’art. 13, secondo comma, numero 3, della legge n. 186 del 1982. Tale disciplina sarebbe poi stata completata con la legge n. 241 (recte: 421) del 1992, che ha delegato il Governo ad emanare norme dirette fra l’altro a prevedere che incarichi ai dipendenti della pubblica amministrazione possano essere conferiti "in casi rigorosamente predeterminati" (art. 2, comma 1, lettera p). L’art. 58 del d. lgs. n. 29 del 1993, in attuazione di tale delega, ha stabilito il principio che possono essere conferiti ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni solo incarichi espressamente contemplati dalla legge o da altra fonte normativa, e ha previsto per i magistrati l’emanazione di appositi regolamenti che determinino gli incarichi consentiti e quelli vietati. Per i magistrati della Corte dei conti, il d.P.R. 27 luglio 1995, n. 388 (Regolamento recante norme sugli incarichi dei magistrati nella Corte dei conti, ai sensi dell’art. 58, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29) ha espressamente ammesso che essi possano essere chiamati a coprire incarichi previsti dalla legge dello Stato o dallo stesso regolamento con specifico riferimento a magistrati della Corte dei conti in genere (art. 3, comma 3, lettera h), e in particolare a partecipare a collegi sindacali o di revisori dei conti nei casi espressamente previsti "da legge dello Stato o delle Regioni" (art. 3, comma 6, lettera g).
Non avrebbero dunque fondamento i dubbi avanzati sulla legge impugnata sotto il profilo della violazione dell’indipendenza dei magistrati e della riserva di legge statale in tema di magistrature: essa infatti si sarebbe limitata ad utilizzare una possibilità offerta dalla legge statale. Nè l’incarico in questione sarebbe configurato come un dovere indefettibile, con conseguente lesione dell’autonomia del magistrato, ma come una "nomina", liberamente accettabile o rinunciabile.
Per le stesse ragioni non sarebbe fondato il dubbio che la disposizione denunciata ecceda le competenze della Regione. Questa avrebbe esercitato il suo potere di disciplina di un ente o di un organismo regionale, e avrebbe disciplinato in concreto l’utilizzo della facoltà, offerta dalla legge statale, di avvalersi dell'opera di magistrati della Corte dei conti. Fonte prima dell’incarico, per il magistrato, non sarebbe dunque la legge regionale.
Quanto poi all’obiezione secondo cui, ove mancasse il consenso del magistrato, l’organo previsto dalla legge regionale resterebbe inoperante, la parte osserva che si tratterebbe pur sempre di un caso limite, che potrebbe riguardare qualsiasi organo.
La parte ritiene invece fondata la censura di contrasto con i principi di ragionevolezza ed eguaglianza per la disparità di trattamento fra i magistrati in servizio in Sicilia e gli altri. La limitazione territoriale per l’assunzione dell’incarico si tradurrebbe in un divieto per i magistrati diversi da quelli in servizio in Sicilia di assumere l’incarico, e, in ultima analisi, in un vero e proprio criterio di assegnazione degli incarichi.
La disposizione sarebbe quindi, oltre che irragionevole, contraria ad una legge fondamentale dello Stato, che riserva a se stessa o ad atti da essa delegati di stabilire i criteri di assegnazione degli incarichi nonchè gli organi competenti a fissare tali criteri: in violazione, oltre che dell’art. 3, anche degli artt. 108, primo comma, 116 e 117 della Costituzione, nonchè degli artt. 14 e 17 dello statuto speciale.
Pertanto la parte chiede l’accoglimento della questione nei limiti predetti.
3.– E’ intervenuto il Presidente della Regione Siciliana, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Secondo la Regione, la sezione del controllo della Corte dei conti per la Regione Siciliana, come il Consiglio di giustizia amministrativa in sede consultiva, sarebbe organo ausiliario dell’apparato costituzionale della Regione stessa, costituendo il complemento necessario del decentramento istituzionale realizzato con l’autonomia regionale. In tal senso deporrebbe l’art. 23, terzo comma, dello statuto siciliano, che prevede la nomina dei magistrati delle sezioni ad opera dei Governi dello Stato e della Regione d’accordo fra loro, anche se poi l’art. 10 delle norme di attuazione approvate con d. lgs. n. 655 del 1948 ha ridotto tale accordo alla previa intesa con il Governo regionale ai fini della destinazione dei magistrati, con il loro consenso, alle sezioni regionali.
La norma denunciata si fonderebbe sul ruolo di organo al servizio dello Stato-comunità, garante imparziale dell’equilibrio economico-finanziario del settore pubblico, proprio della Corte dei conti, utilizzando, a garanzia della oculata gestione degli enti regionali, il particolare contributo di esperienza dei magistrati delle sezioni regionali della Corte dei conti per la loro neutralità e la loro specifica attitudine ad esaminare tutti gli aspetti della contabilità pubblica.
Non sussisterebbe dunque alcuna violazione degli artt. 14, 17 e 23 dello statuto, nè degli artt. 108 e 116 della Costituzione.
Quanto alla censura di violazione degli artt. 104 e 107 della Costituzione, essa sarebbe da escludere in radice, dato che la nomina di detti magistrati é subordinata alla competenza del Consiglio di presidenza della Corte dei conti. Nè l’incarico inciderebbe sullo status dei magistrati, trattandosi di funzioni non di istituto, conferite dall’organo di autogoverno con il consenso dell’interessato. L’ipotesi di inoperatività dell’organo per mancata nomina o mancato consenso sarebbe poi smentita dai fatti, che dimostrano come dall’entrata in vigore della legge impugnata non vi siano mai state difficoltà di reperimento dei magistrati delle sezioni regionali destinati a presiedere i collegi dei revisori dei conti negli enti regionali.
Sarebbe infondata anche la censura di violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza. Le esigenze di buon andamento indurrebbero a preferire, per il conferimento di incarichi presso la Regione, magistrati in servizio in Sicilia, sia per la loro maggiore esperienza in materia di enti regionali, sia per la minore spesa che l’incarico comporta: donde la non irragionevolezza della scelta, e conseguentemente l’assenza di contrasto sia con l’art. 3 che con l’art. 97 della Costituzione.
4.– Nel corso di un altro giudizio di appello avverso una sentenza del TAR per la Sicilia che ha annullato alcuni provvedimenti del Consiglio di presidenza della Corte dei conti relativi al conferimento di incarichi di presidente del collegio dei revisori in due enti regionali siciliani, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con ordinanza emessa il 16 aprile 1997, pervenuta a questa Corte il 30 ottobre 1997 (R.O. n. 794 del 1997), ha sollevato una analoga questione di legittimità costituzionale, che investe, sempre in riferimento agli articoli 3, 97, 100, 104, 107, 108 e 116 della Costituzione e agli articoli 14, 17 e 23 dello statuto speciale per la Regione Siciliana, l’art. 15 della legge regionale della Sicilia 14 settembre 1979, n. 212, recante "Norme riguardanti l’Ente di sviluppo agricolo (ESA), l’Istituto regionale della vite e del vino (IRVV), l’Azienda siciliana trasporti (AST), l’Istituto regionale per il credito alla cooperazione (IRCAC), la Cassa regionale per il credito alle imprese artigiane (CRIAS), e l’Ente acquedotti siciliani (EAS)", nella parte in cui prevede l’attribuzione degli incarichi di presidente del collegio dei revisori dei conti di alcuni enti regionali a magistrati della Corte dei conti.
Il giudice remittente premette di ritenere applicabile agli incarichi predetti l’art. 22 della stessa legge regionale, ai cui sensi "i dipendenti di amministrazioni o enti pubblici chiamati a far parte di organi collegiali di controllo di enti pubblici regionali debbono essere nominati, previa intesa con l’Amministrazione di appartenenza, tra il personale in servizio nel territorio della Regione": onde gli incarichi in questione dovrebbero essere conferiti dal Consiglio di presidenza della Corte dei conti a magistrati della Corte in servizio nelle sezioni per la Regione Siciliana.
Le censure mosse dal giudice a quo alla disposizione denunciata sono identiche a quelle svolte nella precedente ordinanza (R.O. n. 793 del 1997) riguardo alla disposizione di legge regionale colà impugnata; e identica é la motivazione della rilevanza della questione.
5.– Anche in questo giudizio si é costituito il Consiglio di presidenza della Corte dei conti, in un primo tempo chiedendo che la questione fosse dichiarata inammissibile e infondata, e chiedendo invece, in successiva memoria, sulla base delle medesime considerazioni svolte nell’altro giudizio, che la questione, la quale investirebbe anche l’art. 22 della legge regionale n. 212 del 1979, ancorchè il dispositivo dell’ordinanza non lo menzioni, sia accolta relativamente alla limitazione operata dalla legge, per cui gli incarichi in questione dovrebbero essere conferiti a magistrati in servizio nelle sezioni regionali della Corte dei conti.
6.– E’ intervenuto il Presidente della Regione Siciliana, chiedendo che la questione sia dichiarata in parte inammissibile e in parte infondata.
Sarebbe inammissibile, per difetto di rilevanza, nella parte in cui si riferisce al conferimento dell’incarico di presidente del collegio dei revisori dell’Ente siciliano per la promozione industriale (cui aveva riguardo una delle due nomine impugnate dai ricorrenti nel giudizio a quo), in quanto la composizione di tale organo non sarebbe disciplinata dall’impugnato art. 15 della legge regionale n. 212 del 1979, ma dall’art. 6 della legge regionale 21 dicembre 1973, n. 50 (Norme riguardanti enti pubblici istituiti con leggi regionali e provvidenze a favore delle piccole e medie imprese industriali).
La parte sostiene poi l’infondatezza della questione con i medesimi argomenti già prospettati nel giudizio promosso con l’ordinanza iscritta al n. 793 R.O. 1997.
Considerato in diritto
1.– Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha sollevato due questioni di contenuto analogo. La prima (R.O. n. 793 del 1997) investe l’art. 5, primo comma, lettera a, e terzo comma, della legge della Regione Siciliana 6 marzo 1976, n. 25 (Disposizioni per i centri interaziendali per l’addestramento professionale nell’industria): la lettera a del primo comma prevede che un membro effettivo e uno supplente del collegio dei revisori dei conti dei Centri interaziendali per l’addestramento professionale nell’industria (CIAPI), enti dipendenti dalla Regione, siano nominati dalle sezioni della Corte dei conti per la Regione Siciliana fra i magistrati in servizio presso le stesse; il terzo comma a sua volta dispone che la presidenza del collegio dei revisori sia attribuita al revisore effettivo nominato dalla Corte dei conti.
La seconda questione (R.O. n. 794 del 1997) riguarda l’art. 15 della legge della Regione Siciliana 14 settembre 1979, n. 212, recante "Norme riguardanti l’Ente di sviluppo agricolo (ESA), l’Istituto regionale della vite e del vino (IRVV), l’Azienda siciliana trasporti (AST), l’Istituto regionale per il credito alla cooperazione (IRCAC), la Cassa regionale per il credito alle imprese artigiane (CRIAS), e l’Ente acquedotti siciliani (EAS)", nella parte in cui prevede l’attribuzione degli incarichi di presidente del collegio dei revisori dei conti di alcuni enti regionali a magistrati della Corte dei conti, che dovrebbero essere scelti fra quelli in servizio in Sicilia, dovendosi ad avviso del remittente applicare anche ad essi il disposto dell’art. 22 della stessa legge regionale, ai cui sensi "i dipendenti di amministrazioni o enti pubblici chiamati a far parte di organi collegiali di controllo di enti pubblici regionali debbono essere nominati, previa intesa con l’Amministrazione di competenza, tra il personale in servizio nel territorio della Regione". Poichè anche tale questione, in taluno dei profili prospettati, investe la limitazione territoriale della scelta dei magistrati nominandi, discendente dall’ultima disposizione citata, deve ritenersi che anche l’art. 22 della legge regionale n. 212 del 1979, ancorchè non indicato nel dispositivo dell’ordinanza, sia oggetto della questione, nella parte in cui vincola a scegliere fra quelli in servizio nel territorio regionale anche i magistrati della Corte dei conti chiamati a far parte degli organi di controllo degli enti.
Le disposizioni denunciate sono ritenute dal giudice a quo operanti, a seguito della disciplina statale sopravvenuta, che attribuisce al Consiglio di presidenza della Corte dei conti, fra l’altro, la competenza per il conferimento ai magistrati di detta Corte di incarichi estranei a loro compiti istituzionali (art. 13, secondo comma, numero 3, della legge n. 186 del 1982, cui rinvia l’art. 10, comma 10, della legge n. 117 del 1988), solo per ciò che attiene all’obbligo di nominare magistrati della Corte dei conti, e di sceglierli fra quelli in servizio in Sicilia, e non più per quanto attiene alla competenza a provvedere a dette nomine, che sarebbe appunto attribuita al Consiglio di presidenza.
Ad avviso del remittente esse sarebbero in contrasto, in primo luogo, con le norme dello statuto speciale che delimitano la potestà legislativa regionale e disciplinano la costituzione di sezioni regionali della Corte dei conti (artt. 14, 17 e 23), in quanto, prevedendo incarichi obbligatori presso enti regionali in capo a magistrati della Corte dei conti, inciderebbero sullo status di questi, che sarebbe materia estranea alle attribuzioni regionali. Sarebbero altresì in contrasto con le norme della Costituzione che riservano alla legge dello Stato la disciplina dell’ordinamento delle magistrature (art. 108, primo comma), e che garantiscono l’indipendenza della Corte dei conti (artt. 100, terzo comma, 104, primo comma, 108, secondo comma) e l’inamovibilità dei magistrati (art. 107, primo comma, che comporterebbe il necessario consenso dell’interessato per l’attribuzione di funzioni diverse da quelle di istituto), in quanto inciderebbero sullo status e sulla indipendenza dei magistrati contabili, potendosi fra l’altro ritenere inopportuno che essi rivestano incarichi nell’ambito della Regione presso cui esercitano le loro funzioni, nonchè sulla competenza del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, trattandosi di incarichi previsti dalla legge come obbligatori, con la conseguente inoperatività del collegio dei revisori in caso di mancata nomina o di mancato consenso del magistrato. Il che, inoltre, comporterebbe una violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione. Infine, le disposizioni denunciate contrasterebbero con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, per la ingiustificata disparità di trattamento che si realizzerebbe, a favore dei magistrati della Corte dei conti in servizio in Sicilia, rispetto agli altri loro colleghi.
2.– Le questioni hanno oggetti strettamente connessi, e possono perciò essere riunite per essere decise con unica pronunzia.
3.– Non può essere accolta l’eccezione di inammissibilità, sollevata dalla difesa della Regione Siciliana riguardo alla questione relativa all’art. 15 della legge regionale n. 212 del 1979, fondata sul rilievo che una delle nomine impugnate nel giudizio a quo riguarda un organo la cui composizione non é disciplinata da detta legge, bensì dall’art. 6 della legge della Regione Siciliana 21 dicembre 1973, n. 50.
Ai fini della rilevanza della questione, é sufficiente che nel giudizio a quo la disposizione impugnata debba trovare applicazione: e poichè l’ordinanza é stata emessa nei giudizi riuniti, in uno dei quali l’applicabilità della disposizione denunciata é fuori discussione, non sussiste difetto di rilevanza, restando poi affidata al giudice remittente la soluzione degli eventuali problemi di applicabilità della pronuncia di questa Corte a taluno dei giudizi riuniti che davanti ad esso si svolgono.
4.– Le questioni sono fondate nei limiti di seguito precisati.
Non può condividersi la tesi del remittente, secondo cui la semplice previsione, contenuta in una legge regionale, che un incarico, nell’ambito di un ente dipendente dalla Regione, debba essere attribuito a magistrati, in ispecie della Corte dei conti, eccederebbe dalla competenza legislativa regionale, violerebbe la riserva di legge statale in tema di ordinamento delle magistrature e di status dei magistrati, inciderebbe illegittimamente sulla indipendenza della Corte dei conti, garantita sia nel suo profilo di organo di controllo, sia nel suo profilo di organo giurisdizionale, e contrasterebbe con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
Occorre infatti distinguere nettamente fra la disciplina legislativa che determina la possibilità, i limiti, le condizioni e le modalità per l’attribuzione a magistrati (dell’ordine giudiziario o delle magistrature speciali) di incarichi estranei ai loro compiti di istituto, e una disciplina legislativa che, sul presupposto di quella, preveda l’attribuzione a magistrati di determinati incarichi.
La prima attiene allo status del magistrato, e rientra dunque nell’ambito della riserva di legge statale sancita dall’art. 108, primo comma, della Costituzione, secondo la costante interpretazione offertane nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze n. 4 del 1956, n. 81 del 1976, n. 43 del 1982, n. 150 del 1993; da ultimo, sentenza n. 86 del 1999). Infatti, come per tutti i pubblici dipendenti, così per i magistrati, i limiti di compatibilità dell’ufficio ricoperto con lo svolgimento di altre attività e con l’assunzione di altri incarichi sono un elemento del loro stato giuridico. In particolare, poi, per i magistrati, l’assunzione di compiti e lo svolgimento di attività estranee a quelle proprie dell’ufficio ad essi affidato - anche quando non richiedano una sospensione o una riduzione delle funzioni ordinarie del magistrato - sono fattori suscettibili, in astratto, di incidere sulla loro indipendenza ed imparzialità, connotato e condizione essenziale per l’esercizio della funzione loro attribuita: sia in quanto può esservi una interferenza diretta fra compiti propri e ulteriori attività svolte, sia in quanto l’attribuzione stessa, o la possibilità di attribuzione, dell’incarico, per la sua natura e per i vantaggi che possono derivarne, può tradursi in un indiretto condizionamento del magistrato.
Nessun dubbio può sussistere dunque sulla appartenenza alla esclusiva competenza del legislatore statale del compito di dettare la disciplina relativa agli incarichi extraistituzionali dei magistrati, disciplina che dovrà, in concreto, essere rispettosa delle esigenze di salvaguardia dell’indipendenza e dell’imparzialità, e dunque prevedere condizioni e procedure per il conferimento o per l’autorizzazione all’assunzione dell’incarico con esse compatibili. Nè, quanto alla esclusività della competenza statale, potrebbe esservi ragione per distinguere fra magistrati dell’ordine giudiziario o comunque istituzionalmente investiti solo di funzioni giurisdizionali, e magistrati cui possono essere attribuite anche funzioni diverse, come quelli del Consiglio di Stato e della Corte dei conti: sia per la unicità dello status oggi previsto per questi ultimi, al di là della contingente attribuzione di funzioni giurisdizionali o di altre funzioni, sia perchè Consiglio di Stato e Corte dei conti sono istituti appartenenti all’ordinamento statale, come tali sottratti ad ogni intervento legislativo regionale, e dei cui componenti la legge statale é tenuta a garantire l’indipendenza dal Governo (art. 100, terzo comma, della Costituzione), e a maggior ragione da organi politici territoriali.
L’art. 23, primo e secondo comma, dello statuto siciliano, e le norme di attuazione dettate con il d.lgs. 6 maggio 1948, n. 655, prevedono bensì la costituzione, in Sicilia, di una sezione di controllo e di una sezione giurisdizionale della Corte dei conti: ma non le configurano come organismi appartenenti all’ordinamento autonomo della Regione, sui cui componenti possa quindi esplicarsi una qualsiasi potestà legislativa regionale.
5.– Ad opposta conclusione deve giungersi invece, come si é accennato, in relazione ad una legge regionale che, nel disporre, entro l’ambito della competenza della Regione, circa l’organizzazione di apparati e di attività della Regione stessa, o da essa dipendenti, preveda l’utilizzo di singoli magistrati, per compiti che comportino l’attribuzione di incarichi, estranei a quelli di istituto, conferiti o autorizzati nei limiti, sulla base dei presupposti e con le modalità previste dalla normativa di status applicabile.
Siffatta previsione non si configura di per sè come incidente sulla disciplina (statale) degli incarichi extraistituzionali dei magistrati, ma piuttosto come l’utilizzazione di una facoltà prevista da quella disciplina legislativa.
In questo caso la legge regionale non incide sullo status del magistrato, più di quanto vi incida la decisione di qualunque soggetto che, in forza della facoltà riconosciuta dall’ordinamento, e nel rispetto delle condizioni stabilite dalla normativa statale sugli incarichi, intenda avvalersi dell’opera di un magistrato attraverso il conferimento di un incarico siffatto.
6.– La disciplina in tema di incarichi extraistituzionali a magistrati della Corte dei conti - a parte la norma sulla competenza del Consiglio di presidenza, contenuta, come si é detto, nell’art. 13, secondo comma, n. 3, della legge n. 186 del 1982, applicabile a detto Consiglio in forza del rinvio operato dall’art. 10, comma 10, della legge n. 117 del 1988 - é contenuta oggi nell’art. 58, commi 2 e 3, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, e nel d.P.R. 27 luglio 1995, n. 388 (Regolamento recante norme sugli incarichi dei magistrati della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 58, comma 3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29), che hanno innovato sulla generica previsione dell’art. 7, quinto e sesto comma, del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. n. 1214 del 1934, sulla cui base detti magistrati potevano ricevere o accettare incarichi, oltre che nei casi stabiliti da leggi o regolamenti, quando non fossero "in contrasto con le norme vigenti" e solo in seguito ad ordinanza del Presidente, sentito il Consiglio di presidenza.
Il principio generale affermato dall’art. 58 del d.lgs. n. 29 del 1993 é quello secondo cui le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi "che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati" (comma 2). Per quanto riguarda in ispecie i magistrati, viene demandato ad apposito regolamento l’emanazione di norme "dirette a determinare gli incarichi consentiti e quelli vietati" (comma 3), e si stabilisce che, scaduto invano il termine per l’emanazione del regolamento, "l’attribuzione degli incarichi é consentita nei soli casi espressamente previsti dalla legge o da altre fonti normative" (comma 4). Il d.P.R. n. 388 del 1995 ha dettato le norme per i magistrati della Corte dei conti.
Esso stabilisce fra l’altro che i magistrati non possono ricoprire incarichi se non nei casi espressamente previsti "da leggi dello Stato o dal presente regolamento" (art. 2, comma 1); che gli incarichi "non possono essere conferiti nè autorizzati quando l’espletamento degli stessi, tenuto anche conto delle circostanze ambientali, sia suscettibile di determinare una situazione pregiudizievole per l’indipendenza e l’imparzialità del magistrato, o per il prestigio e l’immagine della magistratura della Corte dei conti" (art. 2, comma 2); che il Consiglio di presidenza, sulla base di criteri oggettivi previamente adottati - che devono assicurare anche una "equa ripartizione" degli incarichi fra tutti i magistrati -, valuta la natura e il tipo dell’incarico, il suo fondamento normativo, la compatibilità con l’attività d’istituto, il numero complessivo di magistrati della Corte utilizzati dall’amministrazione richiedente, il numero e la qualità degli incarichi espletati dall’interessato nell’ultimo quinquennio (art. 2, commi 3 e 4); che gli incarichi sono attribuiti sulla base di una richiesta non nominativa dell’amministrazione interessata o anche, in base a motivate ragioni, e previo consenso del magistrato interessato, su indicazione nominativa (art. 3, commi 2 e 4); che sono consentiti in via generale una serie di tipi di incarichi elencati (art. 3, comma 3), fra cui quelli "previsti da legge dello Stato o dal presente regolamento, con specifico riferimento a magistrati della Corte dei conti in generale, salvo quanto previsto dall’art. 2" (lettera h); che sono, invece, vietati alcuni tipi di incarichi elencati (art. 3, comma 6), fra i quali quelli di "partecipazione a collegi sindacali o di revisori dei conti", ma con salvezza dei "casi espressamente previsti da legge dello Stato o delle regioni" (lettera g).
7.– La Corte non é chiamata in questa sede a vagliare la conformità a Costituzione della norma (art. 58, comma 3, del d.lgs. n. 29 del 1993) che demanda ad un regolamento la determinazione degli incarichi consentiti e di quelli vietati. E’ sufficiente, ai fini del presente giudizio, constatare che la disciplina in vigore non esclude l’assunzione, da parte dei magistrati della Corte dei conti, di incarichi nell’ambito di collegi di revisori dei conti di enti disciplinati da legge regionale (art. 3, comma 6, lettera g, del d.P.R. n. 388 del 1995); e che, del resto, il principio legislativamente affermato, destinato a valere anche in mancanza del regolamento, é quello dell’ammissibilità di incarichi espressamente previsti da legge o da "altre fonti normative" (art. 58, comma 2 e comma 3, del d. lgs. n. 29 del 1993), onde ancora una volta non é esclusa la possibilità di assunzione di incarichi previsti da una legge regionale, fermo restando che é solo la fonte statale, secondo quanto si é sopra precisato, a poter determinare i limiti e le condizioni di ammissibilità degli incarichi in generale.
8.– Le disposizioni impugnate, nella parte in cui prevedono l’attribuzione dell’incarico di revisore dei conti di enti regionali a magistrati della Corte dei conti, non eccedono dunque dalla competenza regionale, nè di per sè violano i parametri costituzionali invocati, relativi alle garanzie di indipendenza della Corte dei conti e dei suoi magistrati, in quanto non vanno intese come dirette a prevedere la possibilità o i limiti della attribuzione ai magistrati contabili di incarichi extraistituzionali, incidendo così sul loro status, ma come dirette a disciplinare l’organizzazione degli enti regionali considerati, utilizzando, per quanto riguarda la composizione dei loro collegi dei revisori, la facoltà, discendente dalle norme statali, di conferimento di detti incarichi a magistrati della Corte dei conti, sul presupposto, dunque, e alla condizione che essi risultino attribuibili in base alla normativa concernente il loro status.
9.– Nè può condividersi il rilievo secondo cui, configurandosi tali incarichi, nelle leggi regionali, come necessariamente attribuiti a magistrati della Corte dei conti, le relative previsioni verrebbero ad incidere sulla competenza del Consiglio di presidenza, che sarebbe costretto a conferire gli incarichi, perchè altrimenti si determinerebbe l’inoperatività dell’organo, con violazione, dunque, anche del principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
Il carattere "necessario" di tali incarichi, ai fini della regolare composizione dei collegi dei revisori secondo la disciplina legislativa regionale, non comporta affatto nè l’obbligo per il magistrato designato di accettare l’incarico, estraneo ai suoi compiti di istituto, nè l’obbligo per il Consiglio di presidenza di conferirlo: al contrario, il Consiglio conserva intatti i suoi poteri-doveri di deliberazione sulla sola base delle norme statali che disciplinano in generale gli incarichi e dei criteri oggettivi che esso deve preventivamente darsi, ai sensi dell’art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 388 del 1995.
Quella che nessuno, in concreto, possa essere designato, ovvero che nessuno accetti l’incarico, é una eventualità di mero fatto, verificandosi la quale spetterebbe al legislatore regionale valutare l’opportunità o la necessità di modificare la disciplina di sua competenza per rendere comunque possibile la costituzione degli organi in questione. Non basta questa mera eventualità, nè l’eventuale inconveniente di fatto che si verifichi, a configurare un contrasto della disposizione regionale con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
10.– Si deve a questo punto valutare se le disposizioni censurate confliggano con i parametri costituzionali invocati nella parte in cui restringono la scelta, ai fini degli incarichi in questione, ai magistrati contabili in servizio nell’ambito della Regione Siciliana: o direttamente, come nel caso dell’art. 5 della legge regionale n. 25 del 1976, o attraverso l’applicazione ai magistrati contabili della norma dettata in generale per i dipendenti di amministrazioni ed enti pubblici chiamati a far parte degli organi collegiali di controllo (art. 22 della l.r. n. 219 del 1979).
Non é fondata la prospettazione dell’autorità remittente, secondo cui tale limitazione contrasterebbe con l’art. 3 della Costituzione per la ingiustificata disparità di trattamento che ne deriverebbe fra i magistrati contabili in servizio in Sicilia e i loro colleghi in servizio in altre aree territoriali.
La censura appare viziata dallo stesso equivoco già considerato ad altro proposito: poichè la disposizione regionale non modifica lo status dei magistrati contabili, ma si limita ad utilizzare nell’ambito della competenza regionale, e per fini che riguardano la Regione, la possibilità di conferimento di incarichi extraistituzionali a magistrati contabili, non può parlarsi di una norma di status che discrimini fra questi ultimi. Nè d’altra parte, in un regime che consente incarichi anche su "indicazione nominativa" (art. 3, comma 4, del d.P.R. n. 388 del 1995), può ritenersi che contrasti col principio di eguaglianza la semplice possibilità che uno o alcuni magistrati, a differenza di altri, siano investiti di determinati incarichi. Quanto poi al criterio della "equa ripartizione degli incarichi fra tutti i magistrati", di cui é parola nell’art. 2, comma 4, del d.P.R. n. 388 del 1995, esso é un criterio guida che deve valere per le deliberazioni del Consiglio di presidenza, e che deve essere rispettato nel complesso delle deliberazioni medesime; non vale per i soggetti che, utilizzando la facoltà concessa dalle norme statali, decidono di avvalersi di magistrati o di determinati magistrati della Corte dei conti per incarichi extraistituzionali.
La delimitazione territoriale, di per sè considerata, non esprime altro che un criterio di scelta delle persone da incaricare in base alle esigenze proprie del soggetto che provvede in tal modo, nella specie la Regione: e non vi é dubbio che ragioni, ad esempio, di agilità organizzativa o di contenimento della spesa possano indurre legittimamente a ricorrere, per tali incarichi, a persone che già operano, nei loro compiti di istituto, nello stesso ambito territoriale ove dovrebbe essere svolta l’attività.
11.– Tuttavia, nella specie, la delimitazione territoriale, per il contesto normativo in cui si colloca, e per le caratteristiche degli incarichi in questione, contrasta con le esigenze di salvaguardia dell’indipendenza e dell’imparzialità dei magistrati contabili (espresse fondamentalmente nell’art. 100, terzo comma, e nell’art. 108, secondo comma, della Costituzione), le quali, come si é detto, governano anche la materia degli incarichi extraistituzionali, e sono affidate, per la loro cura in concreto, alle determinazioni del Consiglio di presidenza della Corte dei conti.
Le sezioni regionali siciliane della Corte dei conti svolgono, in posizione di indipendenza, nei confronti dell’amministrazione regionale, comprensiva degli enti pubblici dipendenti dalla Regione, e degli amministratori e dei funzionari che operano presso di essa, tutte le funzioni di controllo e giurisdizionali proprie della Corte stessa: ivi comprese le funzioni di riscontro a posteriori sulla gestione delle pubbliche amministrazioni, disciplinate dall’art. 3, commi 4, 5, 6 e 7, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, nel cui ambito fra l’altro la Corte verifica il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi regionali (comma 5), riferisce all’assemblea regionale sull’esito del controllo eseguito, anche con valutazioni sul funzionamento dei controlli interni, e formula alle amministrazioni interessate le proprie osservazioni (commi 6 e 7).
I collegi dei revisori dei conti degli enti regionali in questione svolgono le funzioni tipiche del controllo interno, essendo dunque a loro volta soggetti alle valutazioni "esterne" della Corte dei conti.
E’ palese il rischio di un intreccio fra i due ordini di funzioni, suscettibile di tradursi in una menomazione dell’indipendenza e dell’imparzialità dei magistrati delle sezioni regionali della Corte, a causa della necessaria presenza istituzionale di magistrati, appartenenti alle stesse sezioni, nell’ambito, e addirittura alla presidenza, degli organi degli enti regionali.
A ben vedere, la previsione dell’affidamento di siffatti incarichi ai soli magistrati delle sezioni siciliane della Corte, contenuta nelle disposizioni impugnate, non ha il senso e la portata di una semplice scelta di opportunità per ragioni organizzative, ma esprime una linea di coinvolgimento istituzionale di dette sezioni, attraverso i magistrati ad esse addetti, in un’attività di controllo interno nell’ambito di amministrazioni regionali, a loro volta poi soggette ai poteri istituzionali di controllo esercitati dalle stesse sezioni. Non é un caso, infatti, che non si tratti di una scelta isolata ed occasionale, ma corrisponda ad una linea di politica istituzionale applicata sistematicamente nella disciplina dell’organizzazione degli enti regionali in Sicilia: la disposizione, impugnata, dell’art. 5 della legge regionale n. 25 del 1976 si riferisce ad una categoria di enti (i centri interaziendali per l’addestramento professionale nell’industria); la disposizione, pure impugnata, dell’art.15, primo comma, della legge regionale n. 212 del 1979 si riferisce a quattro enti regionali; nello stesso senso dispone, per altri due enti regionali, il terzo comma dello stesso art. 15; identica previsione si trova, a proposito di altri enti, in altre leggi regionali (cfr. ad esempio art. 6, primo comma, della legge regionale 21 dicembre 1973, n. 50, a proposito dei collegi dei revisori di tre enti).
Che siffatta linea possa corrispondere all’intento del legislatore regionale, di per sè lodevole, di imprimere caratteri di serietà e di "neutralità" al controllo interno agli enti, attraverso la presenza della professionalità tipica dei magistrati contabili, non elimina la "contaminazione" fra controlli interni ed esterni, che si può realizzare attraverso la sistematica attribuzione di incarichi di controllo interno, conferiti e remunerati dalla Regione o da enti regionali, a molti degli stessi magistrati che per i compiti di istituto operano, nel medesimo ambito territoriale, nell’organo di controllo esterno. La limitazione territoriale, in questo caso, si traduce in un ostacolo all’esercizio dei compiti di salvaguardia dell’indipendenza e dell’imparzialità dei magistrati, affidati al Consiglio di presidenza, cui spetta, proprio a questi fini, deliberare sugli incarichi, e che non potrebbe impedire, non tanto in singole occasioni (per le quali esso potrebbe sempre esercitare la sua potestà di rifiutare in concreto la designazione), ma sistematicamente, che si crei l’accennato rischio di intreccio, pericoloso per l’indipendenza della Corte e dei suoi magistrati.
12.– Deve dunque concludersi che sono costituzionalmente illegittime, per contrasto con gli articoli 100, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, le disposizioni denunciate nella parte in cui limitano ai magistrati in servizio presso le sezioni regionali siciliane la scelta dei magistrati contabili cui possono essere conferiti gli incarichi in questione.
La dichiarazione di illegittimità deve colpire pertanto l’art. 5, primo comma, lettera a, della legge regionale n. 25 del 1976, nella parte in cui enuncia detta limitazione; e l’art. 22 della legge regionale n. 212 del 1979 nella parte in cui prevede che anche i magistrati della Corte dei conti, chiamati a far parte di organi collegiali di controllo di enti pubblici regionali, debbono essere nominati tra il personale in servizio nel territorio della Regione. Rimane invece indenne da tale dichiarazione l’art. 15 della stessa legge regionale n. 212 del 1979, il quale non si riferisce alla limitazione territoriale predetta.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi
a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, primo comma, lettera a, della legge della Regione Siciliana 6 marzo 1976, n. 25 (Disposizioni per i centri interaziendali per l’addestramento professionale nell’industria), nella parte in cui prevede che i magistrati della Corte dei conti nominati come membri dei collegi dei revisori debbano essere scelti fra quelli in servizio presso le sezioni per la Regione Siciliana;
b) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 22 della legge della Regione Siciliana 14 settembre 1979, n. 212, recante "Norme riguardanti l’Ente di sviluppo agricolo (ESA), l’Istituto regionale della vite e del vino (IRVV), l’Azienda siciliana trasporti (AST), l’Istituto regionale per il credito alla cooperazione (IRCAC), la Cassa regionale per il credito alle imprese artigiane (CRIAS), e l’Ente acquedotti siciliani (EAS)", nella parte in cui prevede che anche i magistrati della Corte dei conti chiamati a far parte di organi collegiali di controllo di enti pubblici regionali debbono essere nominati tra quelli in servizio nel territorio della Regione;
c) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, primo comma, lettera a - salvo quanto disposto sopra, al capo a - e terzo comma, della predetta legge della Regione Siciliana 6 marzo 1976, n. 25, e dell’art. 15 della predetta legge della Regione Siciliana 14 settembre 1979, n. 212, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 97, 100, 104, 107, 108 e 116 della Costituzione, nonchè agli articoli 14, 17 e 23 dello statuto della Regione Siciliana, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 3 giugno 1999.