Sentenza n. 43 del 1982
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SENTENZA N. 43

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale:

a) degli artt. 4, 7, 8, 9, 17 e 22 della legge della Regione Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11 (Norme sul referendum abrogativo di leggi regionali e provinciali), promosso con ordinanza emessa l'11 novembre 1979 dal Tribunale di Trento nel procedimento relativo all'ammissibilità della richiesta di referendum proposta da Francescatti Andrea e Winkler Ivo, iscritta al n. 962 del registro ordinanze 1979 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 del 27 febbraio 1980;

b) dell'art. 6 della legge della Regione Sardegna 17 maggio 1957, n. 20 (Referendum popolare in applicazione degli artt. 32, 43 e 54 dello Statuto speciale per la Sardegna) promosso con ordinanza emessa il 15 ottobre 1981 dalla Corte costituzionale nel giudizio di legittimità dell'art. 1, lett. a, della predetta legge regionale, iscritta al n. 680 del registro ordinanze 1981 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 290 del 21 ottobre 1981;

visti gli atti di costituzione di Francescatti Andrea e Winkler Ivo (quali promotori del referendum abrogativo della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1978, n. 56), della Federazione italiana della caccia e Sezione provinciale di Trento, della Regione Sardegna e del Comitato promotore del referendum abrogativo della legge della Regione Sardegna 28 aprile 1978, n. 32;

visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 novembre 1981 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

uditi l'avvocato Francesco D'Onofrio, per la Federazione italiana della caccia e Sezione provinciale di Trento, l'avvocato Giuseppe Morbidelli, per Francescatti Andrea e Winkler Ivo, l'avvocato Mauro Mellini, per il Comitato promotore del referendum abrogativo della legge regionale sarda 28 aprile 1978, n. 32, l'avvocato Giuseppe Guarino, per la Regione Sardegna e l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa l'11 novembre 1979 il Tribunale di Trento, nel corso del procedimento relativo all'ammissibilità della richiesta di referendum abrogativo della legge provinciale di Trento 9 dicembre 1978, n. 56 (contenente disposizioni transitorie sulla protezione della fauna e la disciplina della caccia), ha sollevato questione di legittimità costituzionale:

a) dell'art. 8 legge regionale Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, nella parte in cui non prevede un contraddittorio nel giudizio di legittimità e ammissione delle richieste di referendum, per presunto contrasto con l'art. 24 Cost.;

b) degli artt. 4, 7, 8, 9, 11, 17 e 22 della legge regionale Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, nella parte in cui incidono sull'"ordinamento giudiziario in materia di attività e di giurisdizione degli organi giudiziari formante oggetto di riserva della legge dello Stato", per presunto contrasto con l'art. 108 Cost.;

c) dell'art. 7 della legge da ultimo citata, nella parte in cui attribuisce all'Ufficio centrale (presso il Tribunale) il giudizio sull'ammissibilità delle richieste di referendum, per presunto contrasto con l'art. 2 legge cost. 11 marzo 1953, n. 1.

Ai sensi dell'art. 4 della legge regionale n. 11 del 1957 il geometra Andrea Francescatti ed il dott. Ivo Winkler dichiaravano al cancelliere del Tribunale di Trento di promuovere referendum abrogativo della suddetta legge provinciale.

Il 27 ottobre 1979, essendosi raggiunto il numero di 7496 firme, la richiesta di referendum veniva formalizzata. Ma il 25 ottobre la Federazione della caccia e la sezione provinciale trentina avevano depositato in cancelleria un "atto di costituzione e deduzioni", col quale venivano sollevate quattro eccezioni di costituzionalità della legge regionale n. 11 del 1957, in riferimento agli artt. 3, 108 e 123 Cost. e all'art. 2 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1 e nel merito si deduceva l'inammissibilità della richiesta referendaria, asserendo la presunta violazione del quarto comma dell'art. 11 della legge regionale citata.

La prima sezione del Tribunale di Trento, costituitasi in "Ufficio per il referendum abrogativo di leggi provinciali", disponeva la chiusura della raccolta delle firme, rinviando ogni conseguente provvedimento.

Il 7 novembre 1979, i presentatori della richiesta referendaria depositavano controdeduzioni eccependo la irricevibilità dell'atto delle terze intervenienti, e affermando che la legge sul referendum regionale e provinciale non consente impugnative, in sede di procedimento sull'ammissibilità, e che non poteva quindi instaurarsi un procedimento contenzioso; in ogni caso, secondo i presentatori della richiesta referendaria, gli interessi tutelabili, sulla base dell'art. 33 della legge n. 352 del 1970 (dove la suddetta ultima norma fosse ritenuta applicabile nel caso in questione), non potrebbero che essere quelli dei promotori e della Giunta provinciale.

Le intervenienti replicavano sollevando in subordine - per l'ipotesi in cui il loro atto fosse stato ritenuto irricevibile - ulteriore questione di costituzionalità, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, in quanto, come titolari di posizioni giuridiche qualificate e differenziate, esse non avrebbero potuto essere escluse dal giudizio di ammissibilità della richiesta referendaria.

Il giudice a quo assume, anzitutto, che le funzioni esercitate dall'Ufficio previsto dalla legge impugnata siano da considerare giurisdizionali; nell'ambito del procedimento connesso all'esercizio di tali funzioni non potrebbe non riceversi un atto di un soggetto che si dichiari portatore di un diritto soggettivo perfetto, del quale si chieda la tutela, in vista di una sua possibile lesione.

L'art. 8 della legge regionale n. 11 del 1957 - continua il giudice a quo - non prevede, a differenza dell'art. 33 della legge statale sul referendum n. 352/70, un contraddittorio tra i promotori e gli altri soggetti legittimati, né prevede l'intervento di terzi titolari di situazioni giuridiche qualificate; "un tale procedimento - così si osserva testualmente - non si atteggia nemmeno a contraddittorio " chiuso ", con la conseguente impossibilità di divenire a contraddittorio " aperto "".

Non appare dubbio, d'altra parte, che nel giudizio sulla ammissibilità del referendum debba applicarsi il suddetto art. 8. Di qui la rilevanza della questione relativa alla costituzionalità di detta norma.

Osserva inoltre l'Ufficio Centrale presso il Tribunale di Trento, che gli artt. 4, 7, 8, 9, 11, 17 e 22 della legge n. 11 del 1957 attribuiscono poteri inerenti al procedimento referendario alla Corte d'Appello di Trento ed ai Tribunali di Trento e Bolzano, venendo così ad incidere sull'ordinamento giudiziario, con riferimento al quale é prevista, in base all'art. 108 Cost., la riserva di legge statale.

Infine, l'art. 7 della medesima legge regionale, attribuendo all'Ufficio Centrale il giudizio sulla ammissibilità della richiesta referendaria, violerebbe l'art. 2 della legge costituzionale 11 marzo 1953 che attribuisce alla Corte costituzionale un tale giudizio, in relazione alle richieste di referendum statale. Infatti i giudizi, attribuiti nell'un caso dalla legge regionale alla Corte d'Appello ed ai Tribunali, e nell'altro dalla legge costituzionale del 1953 alla Corte costituzionale, avrebbero identica natura.

Risulterebbe perciò violato il principio di unità della giurisdizione costituzionale, anche alla luce del limite scaturente dai principi dell'ordinamento giuridico dello Stato, previsto nell'art. 4 dello Statuto regionale.

2. - Si costituiscono nel giudizio di costituzionalità i promotori del referendum, i quali sostengono l'irrilevanza della questione sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione, in quanto nel procedimento davanti al giudice a quo la Federcaccia e la sua sezione provinciale hanno depositato memorie e replicato alle deduzioni dei promotori, nonché partecipato alla discussione orale davanti al Collegio. Il diritto di difesa non sarebbe perciò scalfito. Ad ogni modo, osservano i promotori, gli intervenuti non avrebbero titolo per richiedere il rispetto dell'art. 24 Cost.; titolo che potrebbe eventualmente spettare solo ai rappresentanti degli organi "regionali", che hanno varato la legge regionale di cui si chiede la sottoposizione a referendum.

Riconoscere il diritto di intervento alla Federcaccia significherebbe - si dice - garantire un tale diritto a qualsiasi controinteressato alle proposte referendarie, e pervenire di fatto ad una risoluzione giudiziale del conflitto politico alla base della richiesta referendaria. La stessa Corte costituzionale ha rigorosamente delimitato la sfera dei soggetti abilitati a presentare memorie nei giudizi di ammissibilità del referendum.

Con riferimento, poi, alla pretesa violazione dell'art. 108 Cost., la riserva di legge statale ivi prevista non coprirebbe quelle attività, che, pur svolte da organi giudiziari, non possono considerarsi attività giurisdizionali. Diversamente, dovrebbero essere considerate incostituzionali tutte le leggi regionali che hanno attribuito alle Corti di Appello una serie di funzioni, che in base alla suddetta interpretazione le regioni non avrebbero potuto disciplinare.

Nel caso in questione, la legge regionale non modifica la normativa statale, ma interviene su un oggetto non toccato da questa; la legge regionale non disciplina istituti processuali, né interferisce nel campo delle garanzie giurisdizionali; essa attribuisce agli organi giudiziari solo funzioni di ordine amministrativo. Del resto, il carattere amministrativo delle funzioni attribuite alla Corte d'Appello e ai Tribunali di Trento e Bolzano, sarebbe dimostrato dal fatto che altre regioni hanno attribuito le stesse funzioni ai consigli regionali o ai relativi uffici di presidenza.

In relazione, poi, alla presunta violazione dell'art. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953, la difesa dei promotori rileva che non può parlarsi di unità della giurisdizione nei termini indicati nell'ordinanza di rinvio; anche su questo punto si richiama la normativa regionale, in particolare quella statutaria, approvata con legge statale. In ogni caso, il referendum, cui si riferisce l'art. 2 della legge costituzionale 1/53, é quello statale previsto dall'art. 75 della Costituzione, quindi é diverso dall'istituto previsto da leggi regionali.

3. - Nel presente giudizio si costituisce anche la Federazione della caccia, e la sua sezione provinciale trentina, per dedurre la fondatezza delle questioni sollevate.

Con riferimento alla presunta violazione dell'art. 24 Cost., si osserva che la suddetta Federazione e la sua sezione provinciale sono titolari di situazioni giuridiche collettive differenziate e qualificate, ai sensi dell'art. 2 della legge regionale del Trentino-Alto Adige n. 30/64 e dello stesso art. 7 della legge provinciale trentina n. 56/78. La legge regionale sul referendum avrebbe dovuto quindi preordinare la procedura in guisa da assicurare la difesa in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive degli interessati e dei controinteressati. Riguardo, poi, all'asserita lesione dell'art. 108, la giurisprudenza costituzionale avrebbe affermato la riserva in favore del legislatore statale, in relazione ai mezzi e alle forme di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. Da ciò deriva, non solo che non spetta alle regioni alcuna potestà legislativa in materia, ma anche che gli organi legislativi delle regioni, nelle materie di loro competenza, devono astenersi dall'interferire con la normativa statale sull'ordinamento giudiziario. La legge regionale n. 11 del 1957 avrebbe inoltre attribuito al Tribunale di Trento competenze, che sono da ritenere di spettanza della Corte costituzionale.

L'accentramento in un solo organo della giustizia costituzionale rappresenta, infatti, uno dei cardini del nostro sistema di giurisdizione. In base a tale assunto si deduce che compete alla Corte giudicare sull'ammissibilità dei referendum regionali o provinciali in quanto spetta a questo stesso organo, ai sensi della legge costituzionale del 1953, giudicare sull'ammissibilità dei referendum previsti dall'art. 75 della Costituzione. Ove si arrivasse all'opposta conclusione, potrebbero infatti, aversi pronunzie contrastanti nell'applicazione dei principi costituzionali. Si denunzia in conseguenza, l'illegittimità degli artt. 7 e 22 della legge regionale n. 11 del 1957, nella parte in cui attribuiscono la competenza in parola ai Tribunali di Trento e Bolzano.

4. - Interviene nel presente giudizio la Regione Trentino-Alto Adige, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato.

Si deduce prima di tutto l'irrilevanza delle censure mosse nell'ordinanza dell'Ufficio di Trento all'art. 7 della legge n. 11 del 1957 per presunta violazione dell'art. 24 Cost. Infatti, il Tribunale di Trento avrebbe dovuto esaminare di ufficio - e così, si dice, é accaduto in punto di fatto - le memorie presentate dalle intervenienti. La questione sarebbe comunque infondata.

Con sentenza n. 10 del 1972 di questa Corte, si é dichiarata irricevibile una memoria presentata nel giudizio di ammissibilità del referendum sul divorzio da parte dei soggetti controinteressati all'abrogazione della normativa.

Nel 1977, poi, il Governo - non espressamente autorizzato, a differenza di quanto previsto per il giudizio davanti a questa Corte, ad intervenire nel procedimento di competenza dell'Ufficio centrale presso la Cassazione - ha ugualmente prodotto deduzioni asserendo la propria legittimazione avanti a quell'Ufficio, senza che questo sollevasse al riguardo questioni di costituzionalità.

Nel presente caso il Tribunale di Trento, dopo aver riconosciuto natura giurisdizionale al controllo ad esso spettante, ha ritenuto che la Federazione della caccia fosse titolare di posizioni giuridiche sostanziali di vantaggio riconosciute dalla normativa. La questione dell'ammissibilità dell'intervento si presenta perciò analoga a quelle risolte in precedenza dalla Corte costituzionale e dalla Cassazione in sede interpretativa. L'operazione ermeneutica del giudice non sarebbe peraltro vincolata in questo caso da alcuna disposizione normativa, che indichi espressamente quali soggetti siano legittimati ad intervenire avanti all'Ufficio. Ove poi si dovesse negare carattere giurisdizionale al controllo in questione, la infondatezza della questione resterebbe esclusa a maggior ragione. Non sussisterebbe, d'altra parte, nemmeno la pretesa violazione dell'art. 108 Cost. La riserva statale in materia di ordinamento giudiziario e di magistratura non sarebbe inderogabile, non potendosi escludere, proprio in base ad una delle prime pronunzie di questa Corte, che specifiche norme di rango costituzionale possano consentire alle regioni di attribuire competenze ad organi della giurisdizione.

In relazione al caso in questione, tali norme andrebbero individuate nell'art. 123 Cost. e nell'art. 53 dello Statuto del Trentino-Alto Adige. Quest'ultima disposizione riserva alla legge regionale la disciplina del referendum, nulla prevedendo per i limiti posti alla relativa normativa; limiti che andrebbero dunque ricercati, non negli artt. 4 e 5 dello Statuto, ma nell'art. 123 Cost., applicabile tanto alle regioni ordinarie, quanto a quelle speciali. In virtù delle citate disposizioni costituzionali l'unico limite posto alla normativa sul referendum sarebbe quello del legiferare in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica.

Nel potere regionale così delimitato rientrerebbe anche quello di coinvolgere l'autorità giudiziaria nel controllo della legittimità del procedimento referendario, negli stessi termini in cui tale autorità interviene nel procedimento referendario relativo alla normativa statale. L'attribuzione conferita all'autorità giudiziaria non eccederebbe dalla competenza ad essa attribuita in via generale, se é vero che essa é comunque chiamata a giudicare in caso di ricorso sulla regolarità dei controlli operati nelle regioni ordinarie dai consigli regionali o dai loro uffici di presidenza. Irrilevanti sarebbero le censure mosse agli articoli della legge n. 11 del 1957, diversi dal 7 e dall'8, l'applicazione di tali norme non risultando pregiudiziale rispetto alla decisione del giudizio a quo. Sempre con riferimento a questi articoli la questione sarebbe comunque chiaramente infondata, per il fatto che la normativa statale affida all'autorità giudiziaria compiti del tutto analoghi a quelli in essi previsti.

L'attribuzione all'autorità giudiziaria del controllo sulla legittimità del procedimento in questione costituirebbe secondo la difesa della Regione un principio fondamentale del nostro ordinamento.

L'infondatezza della questione relativa alla presunta violazione dell'art. 2 legge costituzionale n. 1 del 1953 deriverebbe, poi, dalla considerazione che le competenze della Corte non possono essere stabilite altrimenti, che con norme di rango costituzionale. Quindi la legge regionale che avesse conferito alla Corte stessa il controllo sulla legittimità del referendum regionale sarebbe stata chiaramente incostituzionale. Comunque sarebbe da escludere che tale controllo possa rientrare nell'ambito del concetto di giurisdizione costituzionale; a differenza di quanto può dirsi per il controllo sul referendum nazionale, disciplinato espressamente dall'art. 75 della Costituzione, la disciplina dei referendum regionali é infatti demandata dall'art. 123 Cost. agli statuti ordinari e dall'art. 53 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige alla legge regionale ordinaria; il controllo relativo all'ammissibilità delle richieste referendarie va in quest'ultimo caso operato assumendo come parametro, almeno diretto, la legge regionale, non la normativa costituzionale, e rientra pertanto nei compiti dell'autorità giudiziaria ordinaria.

5. - In prossimità dell'udienza i promotori del referendum producono una nuova memoria, osservando, anzitutto, che l'art. 24 "non riguarda la partecipazione ad ogni procedimento di formazione di atti". L'aver attribuito il controllo in questione alla magistratura non basterebbe per inquadrarlo nello schema della giurisdizione. Il relativo procedimento potrebbe essere configurato come esplicazione di quella che é definita in dottrina come funzione neutra, non giurisdizionale. La decisione sull'ammissibilità del referendum dovrebbe quindi prescindere dall'intervento di controinteressati davanti all'Ufficio centrale; intervento che comunque nella fattispecie sarebbe concretamente già avvenuto.

Con riferimento alla presunta violazione dell'art. 108 Cost., la difesa dei promotori rileva che la Corte si é già occupata in passato di funzioni amministrative attribuite ad organi giurisdizionali, sotto il profilo della proponibilità da parte di questi organi di questioni di costituzionalità; la Corte ha concluso che il problema della ammissibilità delle relative questioni non va confuso con quello della natura da attribuire ai procedimenti nel corso dei quali i giudici hanno deciso di adire la Corte stessa.

Comunque, la questione non sarebbe nel merito fondata, nemmeno a voler assumere la natura giurisdizionale del controllo in esame.

In base alla giurisprudenza costituzionale, infatti, la riserva statale in materia giurisdizionale andrebbe interpretata tenendo conto del complesso della normativa costituzionale, dovendosi talora ritenere legittima l'attribuzione alle regioni di competenze, che tocchino, nell'ambito delle materie attribuite ad esse in via esclusiva, la sfera giurisdizionale. D'altro lato, la legge regionale censurata non avrebbe istituito nuovi organi giurisdizionali, né disciplinato la loro formazione: essa avrebbe soltanto posto le condizioni per l'effettivo e regolare svolgimento del referendum, attivando, sulla base dei principi vigenti in materia, quella collaborazione fra organi statali e regionali, che la Corte ha già in varie occasioni ritenuto legittima.

Con riguardo, infine, alla presunta violazione dell'art. 2 della legge costituzionale n. 1 del 1953 si ribadiscono i precedenti assunti difensivi e si afferma che il principio dell'unità della giurisdizione é comunque assicurato con lo strumento del controllo (successivo) di costituzionalità sull'atto regionale che dichiara gli effetti del referendum, là dove la consultazione popolare abbia dato esito positivo.

6. - Anche la difesa della Federcaccia produce una memoria aggiuntiva. Dato che l'Ufficio centrale può sollevare questioni di costituzionalità e può quindi essere considerato giudice a quo - si osserva - la potestà legislativa regionale tocca nella specie il settore giudiziario coperto, ex art. 108 Cost., dalla riserva statale. Precisamente, la legge regionale si ingerirebbe nella sfera della giurisdizione, sia con l'attribuire agli organi giurisdizionali compiti che li distolgono dalle normali funzioni, sia con l'incidere sui controlli di costituzionalità, configurando un nuovo caso, nel quale può promuoversi il giudizio di questa Corte. La giurisprudenza costituzionale avrebbe peraltro ribadito che anche alle regioni a Statuto speciale non spetta alcuna competenza in materia di giurisdizione.

L'art. 7 della legge n. 11 del 1957, attribuisce all'Ufficio centrale per il referendum presso il Tribunale di Trento il potere di giudicare, in relazione all'ammissibilità del referendum abrogativo, se sussista violazione della Costituzione, dello Statuto o delle norme della stessa legge n. 11 del 1957; laddove tale potere, almeno con riferimento al parametro costituzionale e statutario, sarebbe ai sensi della normativa costituzionale dovuto spettare alla Corte, giacché incide, e senza possibilità di impugnativa, sui delicati equilibri fra corpo elettorale ed istituti di democrazia rappresentativa.

In conclusione, tolto il giudizio di ammissibilità, che si assume sempre e comunque riservato a questa Corte, le altre competenze demandate agli organi giudiziari nel corso della procedura referendaria, lederebbero il principio stabilito dell'art. 108 Cost., a meno che non siano previste o altrimenti autorizzate dagli Statuti regionali, adottati con leggi dello Stato. La carenza di una congrua normativa statale ha giustificato l'emergere di una confusa normativa a livello regionale. Si chiede alla Corte di dichiarare fondate le questioni sollevate con l'ordinanza di rimessione.

7. - Con ordinanza emessa il 15 ottobre 1981 la Corte costituzionale, nel corso del giudizio di costituzionalità dell'art. 1 lettera a) della legge regionale sarda 17 maggio 1957, n. 20, ha sollevato davanti a se medesima questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della stessa legge, nella parte in cui conferisce alla Corte di Appello di Cagliari - Ufficio per il referendum - le attribuzioni che concernono le richieste di referendum abrogativo, per presunto contrasto con l'articolo 108 della Costituzione.

La Corte ha rilevato che la sezione della Corte di Appello costituita in ufficio per il referendum regionale ha sollevato la questione relativa alla costituzionalità dell'art. 1 lett. a) della legge regionale n. 20/57, in quanto é chiamata dall'art. 6 della stessa legge a controllare la legittimità delle richieste di referendum abrogativo prima di provvedere alla verifica del numero delle firme e agli ulteriori compiti spettanti in base al titolo I del testo legislativo.

Si prospetta allora il dubbio che la legge regionale con il conferire a tale Ufficio le attribuzioni relative al controllo di legittimità del referendum, abbia interferito nell'ambito che in base all'art. 108 della Costituzione sarebbe riservato al legislatore statale. Si assume altresì che la suddetta questione sia rilevante ai fini del giudizio di costituzionalità nel corso del quale essa é sorta, perché investe la norma istitutiva delle attribuzioni, nell'esercizio delle quali detto giudizio era stato promosso dalla Corte d'Appello - Ufficio per il referendum di Cagliari.

Si costituiscono nel presente giudizio i promotori del referendum regionale per l'abrogazione della legge regionale sarda n. 32 del 1978 costituitisi in giudizio a quo.

Essi rilevano che la riserva di legge statale prevista dall'art. 108 Cost. non riguarda le attribuzioni dell'ordine giudiziario regolate invece dall'art. 102 della Costituzione. Quest'ulteriore disposizione non prevederebbe alcuna riserva della legge statale, in quanto la materia é disciplinata immediatamente dalla Costituzione; le attribuzioni della magistratura vanno individuate non in relazione alla previsione di specifiche norme ma all'attribuzione, ad essa conferita, della funzione giurisdizionale. Che il controllo della legittimità delle richieste referendarie abbia natura giurisdizionale sarebbe d'altra parte confermato dal fatto che la Corte ha promosso incidentalmente il presente giudizio, dopo aver dato ingresso alla questione innanzi ad essa sollevata, proprio in sede di tale controllo, dall'Ufficio di Cagliari. Una volta stabilito che il controllo in questione ha natura giurisdizionale, esso in base all'art. 102 Cost. andrebbe attribuito, precisamente, alla magistratura ordinaria. Ad ogni modo, la legge impugnata non violerebbe nemmeno l'art. 108 della Costituzione da un punto di vista formale, poiché non conterrebbe norme che modificano l'organizzazione della magistratura.

Viene, quindi, anche in questo caso rilevato che già in altre occasioni la legge regionale ha attribuito competenze all'Autorità giudiziaria: così, in materia elettorale.

8. - Interviene nel presente giudizio la Regione Sardegna, in persona del suo Presidente, che deduce, riservandosi di presentare ulteriori memorie, l'infondatezza della presente questione.

Nella memoria depositata in prossimità dell'udienza la difesa della Regione afferma che l'Ufficio per il referendum presso la Corte d'Appello di Cagliari non é organo appartenente all'ordinamento giudiziario né svolge funzioni giurisdizionali. Sebbene composto da magistrati e configurato implicitamente dall'ordinanza che ha posto la presente questione come giudice a quo, esso non avrebbe i caratteri della giurisdizionalità.

Sarebbero infatti abilitati a sollevare questioni di costituzionalità, organi anche diversi dalle magistrature giudicanti, nel momento in cui devono applicare norme nel corso di procedure contenziose. La Corte ha con sentenza n. 226 del 1976 riassunto il proprio iter giurisprudenziale sul punto. Il fatto che essa abbia ammesso l'esame della questione sollevata dall'Ufficio per il referendum presso la Corte d'Appello di Cagliari non implica, quindi, che questo debba essere configurato come organo giurisdizionale.

La difesa della Regione Sardegna rileva poi che la qualificazione del controllo di legittimità delle operazioni referendarie come esercizio di una funzione giurisdizionale risulterebbe errata, essendo anzitutto tale controllo, in base al testo normativo, strumentale rispetto al complesso dei compiti attribuiti all'Ufficio; né a sostegno delle tesi contrarie potrebbe valere la normativa per il referendum statale, essendo la competenza per il controllo sui referendum regionali attribuita, nella maggior parte dei casi, all'Ufficio di Presidenza del Consiglio, mentre l'Ufficio presso la Corte di Appello interviene unicamente per il riscontro della regolarità nella fase elettorale.

La funzione attribuita dalla legge sarda n. 20/57 all'Ufficio per il referendum si riferisce ad una fase immediatamente anteriore a quella della verifica delle firme dei richiedenti.

La norma in esame fa uso dunque solo dell'"istituto dell'avvalersi, da parte della Regione, di un Ufficio statale", che non ha però carattere giurisdizionale. Il carattere giurisdizionale del controllo in questione non potrebbe desumersi nemmeno attraverso un'interpretazione integrativa. L'inciso contenuto nel secondo comma dell'art. 6 non potrebbe in nessun caso configurare una fase giurisdizionale.

La memoria conclude rilevando che non é stata mai imposta, una uniformità delle procedure rispetto a quelle previste dalle leggi statali; pertanto i principi stabiliti dalla legge statale nel campo in esame non dovrebbero risultare vincolanti nell'ambito del referendum afferente alla legge regionale.

9. - All'udienza pubblica del 24 novembre 1981 la difesa della Regione sarda e della Regione Trentino-Alto Adige, dei promotori della consultazione referendaria per l'abrogazione delle suddette leggi della Regione Sardegna e della Provincia di Trento, e della "Federcaccia", hanno ribadito e sviluppato le conclusioni già prese.

 

Considerato in diritto

 

1. - Nel presente giudizio sono sotto vario riguardo censurate le disposizioni di due leggi regionali - una della Sardegna (legge 17 maggio 1957, n. 20: "Referendum popolare in applicazione degli artt. 32, 43 e 54 dello Statuto speciale per la Sardegna"); l'altra, del Trentino-Alto Adige (legge 24 giugno 1957, n. 11: "Norme sul referendum abrogativo di leggi regionali e provinciali") - le quali configurano una sezione della Corte d'Appello, che ha sede nelle rispettive regioni ed é all'uopo designata dal Presidente di detto organo, come "Ufficio centrale per il referendum abrogativo delle leggi regionali", e ne stabiliscono le attribuzioni con riguardo alla procedura referendaria da esse disciplinata. Nel sistema del Trentino- Alto Adige, analoga disposizione - anche questa oggetto di censura - é dettata per il Tribunale di Trento e di Bolzano, dove la richiesta di abrogazione popolare concerna leggi di quelle provincie.

2. - La illegittimità costituzionale della normativa testé richiamata é denunciata alla Corte sostanzialmente nei seguenti termini:

A) Il Tribunale di Trento, costituito in Ufficio per il referendum abrogativo delle leggi provinciali, censura l'art. 7 - in relazione, va precisato, all'art. 22 - della citata legge n. 11 del 1957 del Trentino-Alto Adige, in forza del quale é ad esso attribuito il giudizio di ammissibilità sulle richieste referendarie, per presunto contrasto con l'art. 2 della legge costituzionale n. 1 dell'11 marzo 1953. La norma che si assume violata riserva a questa Corte il giudizio sull'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo con riferimento alle leggi dello Stato. Viene al riguardo dedotto che il giudizio di ammissibilità é sempre diretto ad accertare se la richiesta referendaria sia conforme ad un qualche parametro costituzionale, ed in particolare se essa investa leggi o disposizioni eccettuate, secondo Costituzione o Statuto, dal regime dell'abrogazione popolare. Si tratti di legge dello Stato, della Regione ovvero, come nella specie, della Provincia, la natura del giudizio qui considerato, identica in tutti i suddetti casi, esigerebbe che esso debba ritenersi comunque rimesso a questa Corte: anche in conformità, si soggiunge, del principio dell'unità della giurisdizione costituzionale, che la legge regionale avrebbe dovuto rispettare, perché é principio dell'ordinamento giuridico dello Stato, consacrato, ex art. 4 dello Statuto speciale, tra i limiti dell'autonomia del Trentino-Alto Adige.

B) Questa Corte, nel corso di un procedimento promosso dalla Corte d'Appello - Ufficio per il referendum di Cagliari, ha proposto incidente di legittimità costituzionale con riguardo all'art. 6 della citata legge sarda n. 20 del 1957: la disposizione censurata é quella che appunto contempla una sezione della Corte d'Appello come Ufficio per il referendum, con le relative attribuzioni in ordine alla procedura referendaria. Si prospetta il dubbio se la legge regionale abbia con ciò indebitamente interferito nell'ambito riservato alla legge dello Stato dal precetto costituzionale (art. 108 Cost.), che governa la produzione delle norme sull'ordinamento giudiziario e su ogni magistratura.

B 1) Identica questione é sollevata dall'anzidetto Ufficio di Trento col censurare le attribuzioni ivi conferite, con gli artt. 4, 7, 8, 9, 11, 17 e 22 della legge regionale Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11, sia alla Corte d'Appello di Trento, sia ai Tribunali di Trento e Bolzano. Ciò sempre sull'assunto che la legge regionale incida sull'"attività e sulla giurisdizione degli organi giudiziari", e dunque sulla materia coperta dall'ordinamento giudiziario, con il risultato di vulnerare la riserva posta dall'invocata statuizione costituzionale a favore della legge statale.

C) L'Ufficio di Trento impugna, poi, l'art. 8 della legge 24 giugno 1957, n. 11, in riferimento all'art. 24 Cost. Si deduce che tale disposizione manca di prevedere, per la fase della procedura referendaria nella quale l'Ufficio é chiamato ad accertare la legittimità e ammissibilità delle richieste di abrogazione popolare, il contraddittorio tra i promotori della consultazione referendaria e gli altri soggetti legittimati, nonché l'intervento di terzi titolari di situazioni soggettive. Difetterebbe, dunque, qualsiasi mezzo di tutela giurisdizionale delle posizioni sostanziali di vantaggio conferite ai privati dalla legge (nella specie, dalle norme, di cui si promuove l'abrogazione). Tale, si dice, é il caso della "Federcaccia" e della relativa sezione nel Trentino-Alto Adige, intervenute, com'è spiegato in narrativa, nel procedimento a quo.

3. - Data l'identità o la connessione delle prospettate questioni, i giudizi promossi con le ordinanze in epigrafe possono essere riuniti e congiuntamente decisi.

4. - Ai fini dell'attuale indagine - va subito avvertito importa considerare la sola attribuzione dell'Ufficio per il referendum (costituito presso la Corte d'Appello o il Tribunale, secondo i casi) che riguarda il controllo sull'ammissibilità e legittimità delle richieste di abrogazione popolare. É, infatti, esclusivamente l'esercizio di questa competenza a rilevare per i provvedimenti demandati, nella specie, all'Ufficio per il referendum di Trento, nonché - nel giudizio dal quale trae origine la questione incidentalmente promossa da questa Corte - all'Ufficio di Cagliari. Correttamente, dunque, l'Avvocatura dello Stato eccepisce, in relazione all'ordinanza dell'Ufficio di Trento, l'irrilevanza delle censure ivi mosse (per asserita lesione dell'art. 24 Cost. e dell'art. 2 legge costituzionale n. 1 del 1953) alle norme che a detto Ufficio affidano altri compiti in fasi procedurali diverse - ora precedenti, ora successive - rispetto al giudizio di ammissibilità. Devono, precisamente, ritenersi ultroneamente censurate le disposizioni, per le quali l'autorità giudiziaria é abilitata:

1) a ricevere la dichiarazione dell'elettore che promuove la procedura referendaria (art. 4);

2) a disporre, su istanza dei presentatori della richiesta, la chiusura delle operazioni di raccolta delle firme (quando di queste risulti depositato il numero prescritto, prima della scadenza dei quattro mesi dagli adempimenti previsti dall'art. 4): il provvedimento che qui prevede la legge (art. 8) risulta peraltro, in punto di fatto, già adottato dall'Ufficio di Trento come preliminare al giudizio di ammissibilità, in vista del quale é promossa l'attuale questione;

3) ad effettuare le operazioni di verifica ed il computo delle firme raccolte (art. 9);

4) a concertare con altri organi (Presidente della Giunta regionale e Commissario del Governo), la data di svolgimento della consultazione popolare (art. 11);

5) a decidere, una volta espletata la votazione, sulle proteste e sui reclami relativi alle operazioni di referendum (art. 17). Le norme della legge del Trentino-Alto Adige, che residuano all'esame della Corte, sono, allora, quelle contenute negli artt. 7 e 22, il quale ultimo estende, agli uffici per i referendum abrogativi delle leggi provinciali, costituiti presso i Tribunali di Trento e Bolzano, i compiti dell'Ufficio centrale in seno alla Corte d'Appello. Della legge sarda viene, ad egual titolo, in considerazione esclusivamente l'art. 6. Ivi é appunto attribuito all'Ufficio di Cagliari il giudizio di legittimità sulle richieste referendarie.

5. - Nell'ambito così precisato va, poi, tenuto presente l'ordine logico delle censure. Quella che concerne l'art. 2 legge costituzionale n. 1 del 1953 deve essere esaminata per prima. Infatti, con essa si prospetta come incostituzionale l'attribuzione del suddetto controllo di ammissibilità (o legittimità) ad ogni organo, diverso da questa Corte; mentre, in relazione all'art. 108 Cost., non si assume che il controllo in questione sia necessariamente attribuito alla Corte, né si asserisce l'inidoneità della fonte legislativa ordinaria - statuale o regionale - ad alterare questo schema fisso dell'organo attributario della competenza: si assume, soltanto, l'inidoneità della legge regionale, dalla quale promana l'attribuzione dell'Ufficio per il caso in esame, ad intervenire nella sfera, riservata alla legge statale, dell'ordinamento e degli organi giudiziari. É chiaro peraltro che - dichiarata l'eventuale fondatezza della questione sotto l'uno o l'altro degli anzidetti profili - rimane assorbito l'ulteriore motivo di illegittimità, dedotto dall'Ufficio di Trento in riferimento all'art. 24 Cost.: giacché verrebbe allora meno lo stesso giudizio di ammissibilità, com'è attualmente configurato, e quindi il presupposto per censurare se esso sia regolato in conformità del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.

6. - I disposti delle due leggi in esame, nonostante la diversità delle formule testuali, coincidono sostanzialmente, per quel che interessa in questa sede. L'art. 7 della legge Trentino-Alto Adige recita, al secondo comma: "Non appena costituito, l'Ufficio centrale esamina la richiesta e dove, ritenga la proposta inammissibile perché si mostri contrastante con norme della Costituzione, dello Statuto regionale o della presente legge, dichiara con propria ordinanza inammissibile la proposta". Dal canto suo, l'art. 6, secondo comma, della legge sarda dispone che "l'Ufficio provvede immediatamente, ove ritenga legittima la proposta, alla verifica del numero complessivo dei richiedenti".

Nell'un caso e nell'altro, l'organo giudiziario, in virtù della legge regionale che lo istituisce come Ufficio per il referendum, esercita un controllo, che necessariamente precede le autonome operazioni di computo e di verifica della regolarità e del numero delle firme, nonché tutti i rimanenti compiti a detto Ufficio demandati nel corso della procedura referendaria. Com'esso é congegnato, il giudizio di legittimità e ammissibilità ha dunque per oggetto la rispondenza della proposta di referendum a prescrizioni diverse, rispetto a quelle che concernono specificamente il numero o la modalità delle firme, richieste a corredo dell'iniziale atto di impulso del procedimento (che é consentito al singolo elettore: cfr. artt. 4 legge Trentino-Alto Adige, 4 legge Sardegna). Per questo verso, vengono in rilievo i limiti - sanciti dalla Costituzione, dallo Statuto speciale e, in conformità di esso, anche dalla legge regionale - i quali servono a definire la sfera di applicazione dell'istituto (cfr. art. 32 Statuto Sardegna; art. 1, lett. a, legge sarda n. 20 del 1957; art. 53 Statuto Trentino-Alto Adige; art. 1, secondo comma, art. 2 legge Trentino-Alto Adige n. 11 del 1957); spetta all'Ufficio verificare l'osservanza, anche con lo stabilire se le leggi o le singole disposizioni indicate nella richiesta di referendum siano sottratte alla possibilità dell'abrogazione popolare.

6. 1) - Ad avviso dell'Ufficio di Trento, come si é premesso, la norma istitutiva del controllo testé descritto vulnererebbe la sfera garantita alla Corte costituzionale ex art. 2 legge costituzionale n. 1 del 1953. Quest'ordine di rilievi va, tuttavia, disatteso. Basta in proposito la semplice, ma decisiva considerazione che la citata legge costituzionale demanda, bensì, a questa Corte il giudizio di ammissibilità sulle richieste di referendum abrogativo, ma con esclusivo riferimento alle leggi dello Stato. Siamo, allora, di fronte ad una tassativa attribuzione di competenza, la quale non può, senza il ricorso ad una nuova legge costituzionale, essere estesa al referendum abrogativo delle leggi regionali e provinciali. Del resto, il testo fondamentale distingue gli istituti ed i fenomeni della democrazia diretta, secondo che essi si inquadrino nell'ordinamento dello Stato, ovvero in quelli degli enti autonomi. In questa prospettiva, l'abrogazione popolare delle leggi regionali (e provinciali) deve avere una propria disciplina, prodotta dallo Statuto o dalla legge regionale (cfr. art. 123 Cost. e per gli Statuti delle regioni speciali: art. 32 Statuto Sardegna, art. 30 Valle d'Aosta, art. 53 Trentino-Alto Adige, artt. 5 e 33 Statuto Friuli-Venezia Giulia), laddove l'invocata previsione costituzionale abbraccia il diverso e autonomo piano in cui, con la legge n. 352 del 25 maggio 1970, (cfr. art. 33), ha ricevuto attuazione l'art. 75 Cost.

Detto ciò, s'impone una precisazione. L'Ufficio di Trento afferma che il controllo di ammissibilità resta, nell'ipotesi qui considerata, comunque precluso ad ogni organo, diverso da questa Corte. L'assunto é prospettato in ragione del rango costituzionale delle norme di raffronto, che valgono per l'esercizio del controllo, e della natura che questo rivestirebbe, vertendo su materia che, si dice, ne esige l'accentramento in un solo ed apposito organo, qual é il giudice costituzionale. L'asserita esclusione della competenza di ogni altro organo opererebbe, quindi, anche quando - come, si é or ora detto, occorre ritenere - il controllo sull'ammissibilità delle richieste afferenti al referendum abrogativo delle leggi regionali e provinciali non risulti attribuito alla Corte, ai sensi del vigente ordinamento. Ma una simile conseguenza non é sotto alcun riguardo giustificata, né può ritenersi implicita nel principio dell'unità della giurisdizione costituzionale, al quale si fa riferimento nell'ordinanza in esame. Com'è in altra pronunzia spiegato (sentenza n. 125 del 1975), la competenza che si esercita sulle richieste di referendum abrogativo sta fuori dal nucleo originario delle attribuzioni demandate alla Corte dall'art. 134 Cost., alle quali essa é stata successivamente aggiunta. "Il relativo giudizio" - si é appunto affermato nella decisione citata, richiamando la sentenza n. 10 del 1972 - "per la sua inserzione in un procedimento unitario che si articola in più fasi consecutive e conseguenziali, per la sua peculiare funzione di controllo in ordine ad un atto di procedimento di abrogazione in corso, si atteggia con caratteristiche specifiche ed autonome nei confronti degli altri giudizi riservati a questa Corte, e in particolare rispetto ai giudizi sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge".

6. 2). - Fondata, invece, é la questione che ha riguardo alla violazione dell'art. 108 Cost. Le norme impugnate emanano, certo, dalla potestà, costituzionalmente garantita alla Regione, di disciplinare l'istituto referendario in conformità ed attuazione del proprio Statuto speciale. Senonché, l'esercizio di questa autonomia incontra i limiti posti dalla Costituzione e dallo stesso Statuto (art. 3 Statuto Sardegna, art. 4 Statuto Trentino-Alto Adige); e secondo la costante giurisprudenza della Corte, la riserva della legge statale, stabilita dall'art. 108 Cost., opera, assurgendo a principio dell'ordinamento giuridico dello Stato, nel senso di escludere il settore giudiziario dal sistema del decentramento, e così dalle competenze dell'ente Regione, pur a regime differenziato. Le disposizioni in esame conferiscono, però, alla Corte d'Appello o al Tribunale, insieme con la veste di Ufficio per il referendum, l'attribuzione radicalmente nuova che sopra si é vista, diversa da quelle ad essi spettanti in base ad idonea produzione di norme sulla magistratura, e, in particolare, in base allo stesso ordinamento giudiziario (cfr. artt. 43 e 53 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modifiche). Gli anzidetti organi sono preposti al controllo sull'ammissibilità delle richieste referendarie e distolti dai compiti istituzionali senza copertura di alcuna legge statale, dalla quale possa trarre giustificazione questa interferenza della legge regionale in un ambito, che concerne struttura e funzioni dell'ordine giudiziario. Invero, non si ravvisano gli estremi perché il potere di attuare le disposizioni dello Statuto, pur riservato all'organo legislativo della Regione in materia di referendum, debba qui attrarre nella sfera dell'ente autonomo, per connessione, anche quello di ampliare e regolare attribuzioni della magistratura. La legge regionale, si deve concludere, non era, nemmeno implicitamente, abilitata dalla fonte statutaria a derogare il fondamentale principio, che l'art. 108 configura: e così la censurata disciplina del controllo di ammissibilità vulnera la riserva di legge statale posta in detta statuizione costituzionale. Deve di conseguenza dichiararsi l'illegittimità costituzionale dell'art. 6 della legge sarda 17 maggio 1957, n. 20, dell'art. 22 della legge Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11 e dell'art. 7 di quest'ultima legge, nella parte in cui contiene la norma istitutiva del controllo, che l'Ufficio di Trento era nella specie chiamato ad esercitare sulla richiesta referendaria.

Il risultato raggiunto dispensa la Corte - per le ragioni dette sopra - dall'esaminare la questione che si solleva per la presunta violazione dell'art. 24 Cost.: nonché dal pronunziarsi, in rapporto ad essa, sull'ammissibilità della costituzione, nei giudizi riuniti ai fini della presente decisione, da un canto dei promotori delle richieste referendarie (rispettivamente afferenti all'abrogazione della legge della Regione Sardegna 28 aprile 1978, n. 32, e della legge della Provincia di Trento 9 dicembre 1978, n. 56), dall'altro della "Federcaccia" e delle relative sezioni sarda e trentina.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale:

a) dell'art. 6 della legge regionale della Sardegna 17 maggio 1957, n. 20;

b) dell'art. 7 della legge regionale del Trentino-Alto Adige 24 giugno 1957, n. 11;

c) dell'art. 22 della citata legge del Trentino-Alto Adige n. 11 del 1957, nella parte in cui estende ai Tribunali ivi previsti le funzioni di cui all'art. 7 della legge medesima.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Edoardo VOLTERRA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI. - Francesco SAJA.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 16 febbraio 1982.