SENTENZA N. 46
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 461, 462, 463, 464 e 465, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), promossi dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, dalla Provincia autonoma di Bolzano, dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione siciliana, con ricorsi rispettivamente notificati il 19-22 febbraio, il 25 febbraio-4 marzo e il 27 febbraio 2013, depositati in cancelleria il 25 febbraio, il 4, il 5 e l’8 marzo 2013 e iscritti ai nn. 24, 30, 33, 35 e 43 del registro ricorsi 2013.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 febbraio 2015 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;
uditi gli avvocati Ulisse Corea per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Michele Costa per la Provincia autonoma di Bolzano, Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e per la Provincia autonoma di Trento, Paolo Chiapparrone per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 19 febbraio 2013, ricevuto il successivo 22 febbraio e depositato il 25 febbraio 2013 (reg. ric. n. 24 del 2013), la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 461, 462, 463 e 464, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), in riferimento agli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 4, 12, 43, 48-bis e 50, comma 5, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta).
Le disposizioni impugnate disciplinano, nei confronti delle Regioni e delle Province autonome, sia l’obbligo di inviare al Ministero dell’economia e delle finanze una certificazione sul rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno (art. 1, comma 461), sia le conseguenze del mancato rispetto del patto, indicando le sanzioni da applicarsi (art. 1, commi 462 e 464), e i casi in cui, viceversa, non si ha inadempimento (art. 1, comma 463).
La ricorrente premette che con tali norme si è inteso estendere automaticamente ai soggetti ad autonomia speciale «l’ambito soggettivo di applicazione dei meccanismi sanzionatori di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 149 del 2011», a suo tempo impugnato innanzi a questa Corte. Con ciò, sarebbe stato leso il «principio consensualistico» che, a parere della Regione autonoma, regola i rapporti finanziari con lo Stato, e sarebbe desumibile dagli artt. 48-bis e 50, comma 5, dello statuto regionale speciale, nonché dalle norme di attuazione «contenute nella legge n. 690/1981». In altri termini, ogni disposizione in tema di federalismo fiscale, «ivi comprese, dunque, quelle in materia di sistema sanzionatorio», dovrebbe essere introdotta secondo le procedure pattizie indicate dalla normativa statutaria e di attuazione statutaria, come questa Corte avrebbe riconosciuto con la sentenza n. 178 del 2012.
Le disposizioni impugnate, che non partecipano di tale natura, lederebbero altresì il principio di leale collaborazione, sancito dagli artt. 5 e 120 della Costituzione, e le competenze statutarie in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione» (art. 2, comma 1, lettera a, dello statuto), di «ordinamento degli enti locali» (art. 2, comma 1, lettera b, dello statuto) e di «finanze regionali e comunali» (art. 3, comma 1, lettera f, dello statuto, «anche alla luce dei novellati articoli 117, comma 3 e 119, comma 2, Cost.»).
Inoltre, sarebbe violato l’art. 4 dello statuto regionale, perché lo Stato non avrebbe potuto «attribuire ad organi statali» funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa regionale.
2.– Con ricorso spedito per la notificazione il 25 febbraio 2013, ricevuto il 4 marzo 2013 e depositato in pari data (reg. ric. n. 30 del 2013), la Provincia autonoma di Bolzano ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 461, 462, 463, 464 e 465, della legge n. 228 del 2012, in riferimento agli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), agli artt. 17 e 18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), e ai principi di ragionevolezza, di leale collaborazione e di «delimitazione temporale».
La ricorrente lamenta l’introduzione di meccanismi sanzionatori, in caso di inosservanza del patto di stabilità, al di fuori della procedura prevista dallo statuto regionale, anche con riferimento al comma 465, che prevede la nullità dei contratti di servizio e degli atti posti in essere eludendo il patto di stabilità.
In particolare, la ricorrente evidenzia che il Titolo VI dello statuto può venire modificato con legge solo su concorde richiesta del Governo e della Provincia, e che l’art. 79 dello statuto ha sancito il principio secondo cui la Provincia assolve agli obblighi del patto di stabilità nelle forme indicate dal medesimo art. 79 e a seguito di accordo con il Ministro dell’economia e delle finanze. Spetta inoltre alla Provincia determinare gli obblighi degli enti locali connessi al patto di stabilità (art. 79, comma 3, dello statuto regionale).
In attuazione di quanto stabilito dallo statuto, prosegue la ricorrente, l’art. 2, commi da 106 a 126, ha regolato il «nuovo sistema di relazioni finanziarie con lo Stato», che «è dominato dal principio dell’accordo», come questa Corte avrebbe già affermato con la sentenza n. 133 del 2010.
Pertanto, sarebbe oramai precluso alla legge ordinaria di disciplinare unilateralmente il regime sanzionatorio connesso alla violazione del patto di stabilità.
Le norme impugnate violerebbero perciò gli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello statuto regionale, dai quali si evincerebbe il principio dell’accordo, e la normativa di attuazione recata dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e dagli artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 268 del 1992. Sarebbe poi leso il principio di leale collaborazione, a causa del carattere unilaterale delle modifiche introdotte dalla normativa impugnata.
3.– Con ricorso notificato il 27 febbraio 2013 e depositato il 5 marzo 2013 (reg. ric. n. 33 del 2013) la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 461, 462, 463, 464 e 465, della legge n. 228 del 2012, in riferimento agli artt. 79, 103, 104 e 107 dello statuto regionale.
A fondamento del ricorso sono richiamate anche in questo caso le norme dello statuto che affermano il «principio consensuale che domina i rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali». In particolare, la ricorrente evidenzia che l’art. 79 dello statuto espressamente prevede che non si applicano sul territorio regionale le misure adottate per le altre Regioni.
4.– Con ricorso notificato il 27 febbraio 2013 e depositato il 5 marzo 2013 (reg. ric. n. 35 del 2013) la Provincia autonoma di Trento ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 461, 462, 463, 464 e 465, della legge n. 228 del 2012, in riferimento agli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello statuto speciale, e all’art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 268 del 1992.
La ricorrente, dopo avere svolto censure analoghe a quelle mosse dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, aggiunge che la normativa impugnata sarebbe illegittima anche se fosse ritenuta applicabile agli enti locali, posto che spetta alla Provincia provvedere in tale materia ai sensi dell’art. 79 dello statuto speciale e nell’ambito della competenza regolata dagli artt. 80 e 81 dello statuto, e dall’art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 268 del 1992. Inoltre, stante la vigenza della legge provinciale 15 novembre 1993, n. 36 (Norme in materia di finanza locale), in tale materia, sarebbe violato anche l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, poiché le disposizioni impugnate «pretendono di sovrapporsi con diretta applicabilità ad una disciplina già vigente».
5.– Con ricorso notificato il 27 febbraio 2013 e depositato l’8 marzo 2013 (reg. ric. n. 43 del 2013), la Regione siciliana ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 461, 462, 463 e 464, della legge n. 228 del 2012, in riferimento agli artt. 36 e 43 del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
La ricorrente rileva che le norme impugnate estendono ai soggetti ad autonomia speciale «l’ambito soggettivo di applicazione dei meccanismi sanzionatori di cui all’articolo 7 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149», già impugnato innanzi a questa Corte, per di più prevedendone un’applicabilità non provvisoria ma definitiva.
La Regione sostiene che tale materia potrebbe venire disciplinata solo in accordo con il «principio pattizio» sancito dall’art. 43 dello statuto regionale speciale, rammentando che con la sentenza n. 178 del 2012 questa Corte ha dichiarato illegittima una disposizione che sarebbe del tutto analoga alla normativa oggi impugnata. A parere della ricorrente, la circostanza che quest’ultima, diversamente dalla prima, è stata introdotta con legge ordinaria, e non in sede di esercizio di delega legislativa, sarebbe priva di rilievo, perché il rispetto del principio pattizio sarebbe imposto dallo statuto.
Inoltre, il «congelamento delle disponibilità finanziarie» regionali arrecherebbe «pregiudizio al bilancio della Regione», in violazione dell’art. 36 dello statuto.
6.– Si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
L’Avvocatura ritiene che le norme impugnate costituiscano principi di coordinamento della finanza pubblica, che solo la normativa dello Stato può dettare, per stabilire se un ente territoriale sia o no inadempiente al patto di stabilità interno (art. 117, terzo comma, Cost.).
In particolare, a tale considerazione non sarebbe opponibile il principio dell’accordo, che trova conferma nell’art. 1, comma 456, della legge n. 228 del 2012, quanto alla definizione degli obiettivi del patto di stabilità, ma che non sarebbe estensibile al meccanismo sanzionatorio conseguente alla violazione del patto.
7.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica tutte le ricorrenti hanno depositato memorie.
Con esse, si dà atto che le norme impugnate sono state modificate dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014).
La Regione siciliana, fatta salva l’abrogazione del comma 463 impugnato, ritiene che la novità normativa non abbia carattere satisfattivo. Nel merito ribadisce che, anche alla luce della sentenza n. 219 del 2013, con cui questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42), le norme impugnate non possono applicarsi alle autonomie speciali.
La Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Provincia autonoma di Trento, con memorie di analogo contenuto, osservano che lo ius superveniens è «verosimilmente» dovuto alla sentenza di questa Corte n. 219 del 2013. Nel merito affermano che l’Avvocatura dello Stato non ha replicato alle censure né ha tenuto conto del particolare regime di autonomia finanziaria assicurato dall’art. 79 dello statuto speciale.
La Provincia autonoma di Bolzano a propria volta richiama l’art. 79 dello statuto speciale, con il quale sarebbe stata assicurata una «permanente specialità» a favore della ricorrente.
La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste reputa che, per effetto nella sentenza n. 219 del 2013 di questa Corte e della modifica normativa recata dall’art. 1, comma 507, della legge n. 147 del 2013, le norme impugnate debbano ritenersi inapplicabili alla ricorrente e chiede perciò che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere.
Considerato in diritto
1.– Le Regioni autonome Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e Trentino-Alto Adige/Südtirol, la Regione siciliana e le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno impugnato, tra le altre disposizioni, l’art. 1, commi 461, 462, 463 e 464, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013). La Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome hanno impugnato anche l’art. 1, comma 465, della legge n. 228 del 2012.
Le disposizioni censurate disciplinano le sanzioni connesse all’inosservanza del patto di stabilità interno (art. 1, commi da 462 a 465) e l’obbligo di inviare una certificazione a proposito dell’applicazione del patto (art. 1, comma 461).
Le ricorrenti, ciascuna con riferimento alle rispettive competenze statutarie, lamentano che tali previsioni sono state adottate dalla legge dello Stato in via unilaterale, ovvero senza che fosse stato raggiunto preventivamente un accordo con le autonomie speciali.
In particolare, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste denuncia la violazione degli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 4, 12, 43, 48-bis e 50, comma 5, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta).
La Provincia autonoma di Bolzano lamenta l’inosservanza degli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), degli artt. 17 e 18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), e dell’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), nonché dei principi di ragionevolezza, di leale collaborazione e di «delimitazione temporale».
La Provincia autonoma di Trento reputa violati gli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello statuto speciale e l’art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 268 del 1992.
La Regione autonoma Trentino-Alto-Adige/Südtirol lamenta la violazione degli artt. 79, 103, 104 e 107 dello statuto regionale speciale.
La Regione siciliana denuncia l’inosservanza degli artt. 36 e 43 del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana).
2.– I ricorsi, che vertono sulle medesime disposizioni, pongono analoghe questioni e vanno perciò riuniti al fine di essere decisi con un’unica sentenza.
3.– La Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome, dopo avere raggiunto un accordo con il Governo in materia di finanza pubblica, hanno rinunciato ai ricorsi. In base alla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 310 del 2011, n. 199 e n. 179 del 2010), la dichiarazione di rinuncia, pur non accettata dalla parte resistente, comporta la cessazione della materia del contendere, ove, anche alla luce della condotta delle parti, non emerga alcun interesse a che la questione sia decisa. Nel caso di specie, la rinuncia ai ricorsi fa seguito ad un accordo siglato con il Governo ed era espressamente prevista tra gli obblighi della Regione e delle Province autonome stipulanti. Ne consegue che è cessata la materia del contendere.
4.– Il ricorso della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste è inammissibile, perché è basato su parametri di competenza che non sono stati indicati nella delibera di Giunta che ne ha autorizzato la proposizione (sentenza n. 220 del 2013). Tale atto, a proposito dell’art. 1, commi 461, 462, 463 e 464, della legge n. 228 del 2012 impugnata, si limita a rinviare, quanto ai parametri violati, ad altra delibera di Giunta, con cui era stato deciso di censurare, in un precedente giudizio, l’art. 7 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42). In tal modo non sono stati specificati autonomamente, com’era necessario, anziché per relationem, i termini della questione di legittimità costituzionale da proporre a questa Corte (sentenza n. 175 del 2014). Si può aggiungere che il solo parametro desumibile direttamente dalla delibera di Giunta relativa all’odierno giudizio è l’art. 76 Cost., che era stato posto a fondamento del ricorso indirizzato contro l’art. 7 del d.lgs. n. 149 del 2011, ma rispetto all’attuale questione tale parametro non rileva, e la difesa tecnica della Regione autonoma ha conseguentemente omesso di citarlo.
5.– Con riferimento al ricorso della Regione siciliana, che resta da decidere, si deve rilevare che le norme censurate hanno subito alcune modifiche ad opera della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014).
L’art. 1, comma 463, è stato abrogato a decorrere dal 2014 (art. 1, comma 504, della legge n. 147 del 2013), tuttavia ciò non determina cessazione della materia del contendere, perché la norma ha avuto vigore per il periodo precedente.
L’art. 1, comma 461, non contiene più il rinvio all’art. 7, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 149 del 2011, relativo alla sanzione applicabile in caso di ritardo nella trasmissione della certificazione sull’osservanza del patto di stabilità. Peraltro, il contenuto della norma impugnata è rimasto immutato, poiché la medesima sanzione è ora prevista grazie ad un analogo rinvio all’art. 1, comma 462, lettera d), della legge n. 228 del 2012 (art. 1, comma 502, della legge n. 147 del 2013).
È perciò evidente che la questione di costituzionalità deve essere trasferita sul nuovo testo della disposizione impugnata, in forza del principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via d’azione (ex plurimis, sentenza n. 8 del 2014).
Analogo trasferimento va disposto per l’art. 1, comma 462, anche se i criteri applicativi della sanzione prevista sono stati parzialmente modificati dall’art. 1, comma 503, lettere a), b) e c), della legge n. 147 del 2013. Questa modificazione, infatti, non ha alcuna incidenza sul profilo di legittimità costituzionale proposto a questa Corte, in quanto non elide l’applicabilità della sanzione alle autonomie speciali, che la ricorrente contesta in questa sede. A confronto con le censure svolte nel ricorso, la modifica legislativa non è perciò tale da soddisfare la Regione autonoma o da alterare i termini del quadro normativo così profondamente da esigere un’autonoma impugnazione.
6.– La Regione siciliana sostiene che le norme impugnate violano gli artt. 36 e 43 del r.d.lgs. n. 455 del 1946, perché sono state introdotte senza l’osservanza delle «speciali procedure “pattizie” previste per le norme di attuazione statutaria». L’obbligo di adottare tali procedure sarebbe stato ribadito da questa Corte con le sentenze n. 178 del 2012 e n. 219 del 2013. Quest’ultima sarebbe particolarmente significativa perché ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione, l’art. 7 del d.lgs. n. 149 del 2011, che le norme impugnate hanno riprodotto o alla quale operano in ogni caso un rinvio. Ciò confermerebbe, a parere della ricorrente, la necessità costituzionale che interventi normativi aventi ad oggetto la finanza pubblica regionale siano preventivamente concordati con la Regione.
7.– Le questioni non sono fondate.
In primo luogo è opportuno precisare che, ai fini della decisione, non è pertinente il richiamo alla sentenza n. 219 del 2013, con cui questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione di tenore analogo alle norme oggi censurate. In quel caso, infatti, si era ritenuto che il legislatore delegato avesse violato l’art. 76 Cost., dato che la legge di delega non gli consentiva di intervenire sulle autonomie speciali, e in particolare di sanzionarle nel caso di inosservanza del patto di stabilità. È evidente che lo stesso argomento non è opponibile a una legge ordinaria, come è quella n. 228 del 2012, oggetto della questione di legittimità costituzionale.
8.– Ciò premesso, va ribadito quanto affermato ripetutamente da questa Corte, ovvero che, di regola, i principi di coordinamento della finanza pubblica recati dalla legislazione statale si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale (sentenza n. 36 del 2004; in seguito, sentenze n. 54 del 2014, n. 229 del 2011, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 353 del 2004).
È vero che, rispetto a questi ultimi, merita di essere privilegiata la via dell’accordo (sentenza n. 353 del 2004), con la quale si esprime un principio generale, desumibile anche dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione» (sentenze n. 193 e n. 118 del 2012), ma è anche vero che quel principio in casi particolari può essere derogato dal legislatore statale (sentenze n. 23 del 2014 e n. 193 del 2012). È da aggiungere che, contrariamente a quanto ha sostenuto la ricorrente, si tratta di un principio che non è stato recepito dallo statuto di autonomia, o dalle norme di attuazione di esso, e non si estende ai meccanismi sanzionatori previsti in caso di inosservanza del patto di stabilità.
Questa Corte ha già affermato che «i margini costituzionalmente tutelati dell’autonomia finanziaria e organizzativa della Regione si riducono, quando essa ha trasgredito agli obblighi legittimamente imposti dalla legislazione dello Stato, al fine di garantire la tenuta della finanza pubblica allargata» (sentenza n. 219 del 2013; in precedenza, sentenza n. 155 del 2011). A questo effetto non si sottraggono certamente le autonomie speciali, dato che si rende necessario anche nei loro confronti consentire allo Stato di decidere autonomamente quale sanzione, nei limiti della non manifesta irragionevolezza e della proporzionalità, abbia una sufficiente efficacia compensativa e deterrente.
Una volta chiarito questo punto, viene da sé che, contrariamente a quanto dedotto dalla Regione siciliana, le sanzioni possono avere applicazione definitiva. Non occorre perciò che la legge statale ne preveda un’efficacia «provvisoria», in attesa che esse siano introdotte con una norma di attuazione statutaria, posto che questa eventualità resta possibile, ma certamente non è costituzionalmente dovuta.
Allo stesso modo, l’incidenza pregiudizievole sul proprio bilancio, che la ricorrente denuncia, è componente connaturata al tratto sanzionatorio delle misure adottate, e non si traduce in una lesione delle prerogative statutarie, una volta che sia stata attribuita allo Stato la competenza a disciplinare gli effetti della violazione del patto di stabilità.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 461, 462, 463, 464 e 465 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), promosse, in riferimento agli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), agli artt. 17 e 18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), all’art. 2 del decreto legisativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), e ai principi di ragionevolezza, di leale collaborazione e di «delimitazione temporale», dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e dalle Province autonome di Trento e Bolzano, con i ricorsi indicati in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 461, 462, 463 e 464, della legge n. 228 del 2012, promosse, in riferimento agli artt. 2, comma 1, lettere a) e b), 3, comma 1, lettera f), 4, 12, 43, 48-bis e 50, comma 5, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 461, 462, 463 e 464, della legge n. 228 del 2012, quanto ai commi 461 e 462 nel testo modificato dall’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014), promosse, in riferimento agli artt. 36 e 43 del r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 marzo 2015.