SENTENZA N. 19
ANNO 2015
Commento alla decisione di
Roberto Bin
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 32
della legge
12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2012), promossi dalla
Provincia autonoma di Bolzano, dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, dalla Provincia
autonoma di Trento, dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e dalla
Regione siciliana con ricorsi notificati il 10, l’11-16 ed il 13 gennaio 2012,
depositati in cancelleria il 13, il 16, il 18 e il 19 gennaio 2012 e rispettivamente
iscritti ai nn. 7, 8, 12, 13 e 15 del
registro ricorsi 2012.
Visti gli atti di costituzione, di cui uno fuori termine,
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 febbraio 2015 il Giudice
relatore Aldo Carosi;
uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste,
Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di
Trento e per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, Paolo Chiapparrone per la Regione siciliana e l’avvocato dello
Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1.– Con ricorso notificato il 10 gennaio
2012, depositato il 13 gennaio 2012 ed iscritto al n. 7 del registro ricorsi
dell’anno 2012, la Provincia autonoma di Bolzano ha promosso questione di
legittimità costituzionale dell’art. 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge di stabilità 2012) in riferimento agli artt. 8, numero 1), 9, numero 10),
16, 75, 79, 81, 83, 103, 104 e 107 del decreto
del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo
unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige), ai principi di
ragionevolezza e di leale collaborazione
ed in relazione alle norme di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige per l’istituzione
delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per
il personale ad esse addetto); all’art. 2 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali
e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e
coordinamento); agli artt. 9, 10, 10-bis,
16, 17 e 18 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale);
all’art. 2, comma 106, della legge
23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010).
1.1.– L’art. 32 della legge n. 183 del
2011 detta le regole del patto di stabilità interno per le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano, definendo, per ciascuna, la misura
del risparmio da conseguire – in conformità a quanto stabilito dal
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
15 luglio 2011, n. 111, e dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori
misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre
2011, n. 148 – e qualificando al comma 1 le disposizioni come «principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli artt. 117,
terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione».
I commi da 2 a 9 del citato art. 32
dettano la disciplina applicabile alle Regioni a statuto ordinario, mentre i
successivi commi da 10 a 13 ed il comma 15 si riferiscono alle Regioni a
statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano, con
particolare riferimento alla quantificazione del contributo, alle tipologie di
spese considerate ed alle modalità di computo delle stesse.
La disciplina in materia di monitoraggio
degli adempimenti, di cui ai successivi commi da 17 a 20, e di sanzioni per
l’ipotesi di inadempienza, di cui ai commi da 21 a 26, è invece comune a
Regioni e Province autonome.
In particolare, il comma 10 dell’art. 32
della legge n. 183 del 2011 individua per ciascuna Provincia autonoma il
contributo aggiuntivo di finanza pubblica determinato complessivamente per il
comparto dal d.l. n. 98 del 2011 e dal d.l. n. 138 del 2011 in 2.000 milioni di
euro.
I successivi commi 11 – applicabile alle
Regioni a statuto speciale, «escluse la regione Trentino-Alto Adige e le
province autonome di Trento e di Bolzano» – 12 e 13 del citato art. 32
confermano per le Regioni a statuto speciale la disciplina dei precedenti
esercizi finanziari concernente il patto di stabilità cosiddetto "concordato”.
L’art. 32, comma 12, (nella sua versione
originaria) della legge impugnata detta la disciplina per il patto di stabilità
della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e di
Bolzano prevedendo che il calcolo degli obiettivi di risparmio sia effettuato,
di intesa tra la Provincia e lo Stato, prendendo a riferimento il saldo
programmatico calcolato in termini di competenza mista, anziché il complesso
delle spese, e dettando, per ogni altro profilo, una disciplina sovrapponibile
a quella prevista per le altre Regioni a statuto speciale, ivi compresa la
previsione dell’applicazione, in caso di mancato accordo tra la Provincia ed il
Ministro competente, della disciplina dettata per le Regioni a statuto
ordinario.
Il comma 13 del medesimo articolo
dispone che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome che esercitano
in via esclusiva le funzioni in materia di finanza locale definiscono la
disciplina del patto di stabilità per gli enti locali dei rispettivi territori
nell’ambito degli accordi di cui ai commi 11 e 12, con previsione di automatica
applicazione delle regole generali per gli enti locali del restante territorio
nazionale in caso di mancato accordo.
Il successivo comma 14 reca una norma di
chiusura stabilendo che l’attuazione delle sopra elencate disposizioni deve
avvenire nel rispetto dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di
attuazione.
L’art. 32, comma 17, della legge n. 183
del 2011 dispone, nella versione vigente al momento della proposizione del
ricorso, che con decorrenza dall’anno 2013 le modalità di raggiungimento degli
obiettivi di finanza pubblica delle singole Regioni, esclusa la componente
sanitaria, delle Province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali
del territorio possono essere concordate tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome, previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali
e, ove non istituito, con i rappresentanti dell’Associazione nazionale Comuni
italiani (ANCI) e dell’Unione Province italiane (UPI) regionali. Inoltre, la
disposizione prevede, in caso di mancato rispetto degli obiettivi complessivi
concordati, un sistema sanzionatorio che impone alle Regioni e alle Province
autonome inadempienti di rispondere con un maggior concorso, nell’anno
successivo, in misura pari alla differenza tra «l’obiettivo complessivo e il
risultato complessivo conseguito».
I successivi commi da 18 a 21, nella
versione vigente al momento dell’instaurazione del presente giudizio,
riguardano, poi, termini e modalità del monitoraggio del patto per le Regioni e
per le Province autonome, introducendo in capo a queste l’obbligo di
trasmettere al Ministero dell’economia e delle finanze, con cadenza
trimestrale, le informazioni relative agli andamenti della gestione di
competenza e di quella di cassa, nonché, ai fini della verifica del patto, di
inviare la relativa certificazione. Le disposizioni in esame precisano che la
mancata trasmissione della certificazione costituisce inadempimento del patto e
sanzionano la condotta omissiva in modo analogo all’ipotesi del mancato rispetto
dell’obiettivo di risparmio. In caso di trasmissione tardiva, ma attestante,
comunque, il rispetto del patto di stabilità, il legislatore statale ha
previsto la sola sanzione del divieto di assunzione di personale.
La disciplina del sistema sanzionatorio
è oggetto dei commi da 22 a 26 dell’art. 32 impugnato. Con specifico
riferimento all’ipotesi di inadempienza al patto di stabilità interno, il comma
22 rinvia all’elenco di sanzioni di cui all’art. 7, comma 1, del decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali
relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della
legge 5 maggio 2009, n. 42), sanzioni destinate a trovare applicazione, a mente
del comma 25, anche nell’ipotesi in cui la violazione del patto di stabilità
interno sia accertata successivamente all’anno seguente a quello cui la
violazione si riferisce. Il comma 26 dispone la nullità degli atti elusivi del
patto posti in essere dalle Regioni e dalle Province autonome.
1.2.– La ricorrente rileva che con il
cosiddetto Accordo di Milano sottoscritto il 30 novembre 2009, tra la Regione
autonoma Trentino-Alto Adige, le Province autonome di Trento e di Bolzano ed il
Governo – accordo recepito nella legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2010), in particolare all’art. 2, commi da 106 a 126 – è stato
istituito un nuovo sistema di relazioni finanziarie con lo Stato, anche in
attuazione del processo di riforma in senso autonomistico contenuto nella legge
5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in
attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), prevedendo, nel contempo, che
la modificazione del Titolo VI dello statuto, recante appunto le disposizioni
di carattere finanziario, avrebbe potuto essere realizzata soltanto attraverso
la procedura rinforzata prevista dall’art. 104 dello statuto medesimo, che
ammette il ricorso alla legge ordinaria solo in presenza di concorde richiesta
del Governo, della Regione autonoma Trentino-Alto Adige e delle Province
autonome, per quanto di rispettiva competenza.
Secondo la ricorrente sarebbe, allora,
evidente come l’art. 32 della legge n. 183 del 2011 introduca modificazioni al
complesso delle disposizioni concordate con il Governo dalla Regione
Trentino-Alto Adige e dalle Province autonome di Trento e Bolzano nel 2009,
operando al di fuori dei meccanismi espressamente sanciti a livello normativo e
statutario.
La ricorrente ricorda come, in forza del
Titolo V dello statuto di autonomia ed in particolare dell’art. 79, essa goda
di una particolare autonomia in materia finanziaria quanto al suo concorso al
conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà, nonché
all’assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento
comunitario, dal patto di stabilità interno e dalle altre misure di
coordinamento della finanza pubblica.
La Provincia autonoma di Bolzano rileva,
inoltre, che l’art. 75 dello statuto di autonomia attribuisce alle Province
autonome le quote di gettito delle entrate tributarie dello Stato indicate
dallo statuto e riscosse nei rispettivi territori, mentre la normativa di
attuazione statutaria disciplina tassativamente le ipotesi di riserva del
gettito all’erario (artt. 9, 10 e 10-bis
del d.lgs. n. 268 del 1992).
La ricorrente evidenzia che l’art. 83
dello statuto, unitamente alla normativa di attuazione statutaria (art. 16 del
d.lgs. 268 del 1992 ed art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992), prevede che la Provincia
autonoma di Bolzano adegui la propria normativa alla legislazione dello Stato
in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, così escludendo
l’applicazione in via automatica di disposizioni di matrice statale.
A giudizio della ricorrente, l’art. 32,
comma 10, della legge n. 183 del 2011 introdurrebbe unilateralmente una misura
di concorso delle Province autonome agli obiettivi di finanza pubblica
aggiuntiva rispetto a quella delineata con l’art. 14 del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e
di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 30 luglio 2010, n. 122,
definendo l’entità complessiva del concorso predetto ed individuando, mediante
apposita tabella, il riparto pro quota
tra le autonomie.
La quantificazione in concreto degli
obiettivi e, soprattutto, la previsione espressa e puntuale del riparto degli
stessi tra le autonomie speciali in assenza di un procedimento concordato si
porrebbero in insanabile contrasto con il principio che regge, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 79 e 104 dello statuto, il sistema dei rapporti
Stato-autonomie speciali sotto il profilo finanziario e violerebbero la regola
dell’intesa e del principio di leale collaborazione espresso dall’art. 107
dello statuto.
Ad analoghe censure si esporrebbe,
secondo la ricorrente, il successivo comma 12 dell’art. 32 della legge n. 183
del 2011. Inoltre, il comma 13 dell’art. 32 impugnato violerebbe l’art. 79, comma 3, dello
statuto, ai sensi del quale compete in via esclusiva alle Province autonome il
compito di definire il patto di stabilità, tra gli altri, con gli enti locali
del proprio territorio.
Inoltre, secondo la ricorrente, anche la
previsione dell’automatica estensione – in caso di mancanza o di ritardo
nell’intesa – delle disposizioni dettate per le Regioni a statuto ordinario
alla Provincia autonoma di Bolzano, recata in modo esplicito sia dai commi
sopra esaminati sia dai commi successivi, oltrepasserebbe i limiti posti
dall’art. 79, commi 1 e 2, dello statuto, senza l’osservanza del meccanismo di
cui all’art. 104, il quale, a sua volta, non contempla alcun termine per
l’emanazione delle cosiddette "leggi rinforzate”. Nelle materie attribuite alla
competenza provinciale, infatti, l’art. 2, del d.lgs. n. 266 del 1992 prevede,
in capo alla Provincia, unicamente l’onere di adeguare la propria legislazione
alle norme statali, nei limiti di cui agli artt. 4 e 5 dello statuto di
autonomia. Pertanto, ove si verta in materie di competenza esclusiva
provinciale – quale la materia di «ordinamento degli uffici e del personale»
(art. 8, numero 1, dello statuto) – la Provincia sarebbe tenuta all’adeguamento
solo ove le norme statali possano qualificarsi come «norme fondamentali delle
riforme economiche e sociali», mentre in materie di competenza concorrente –
quali quelle di «finanza locale» (artt. 80 e 81 dello statuto) in relazione
alla contabilità degli enti locali e di «igiene e sanità» (art. 9, numero 10,
dello statuto) – l’adeguamento è necessario in presenza di disposizioni
qualificabili come «principi fondamentali».
Nelle more dell’adeguamento, per
espressa previsione del citato art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, restano
applicabili le norme provinciali.
La ricorrente osserva che la disciplina
introdotta dall’art. 32 della legge n. 183 del 2011 prevederebbe
l’immediata applicazione alle Province autonome delle disposizioni dettate per
le Regioni a statuto ordinario, benché le stesse, oltre ad interferire con il
peculiare regime di autonomia finanziaria riconosciuto dal Titolo VI dello
statuto (art. 83) e dalle relative norme di attuazione (art. 16 del d.lgs. n.
268 del 1992), impingerebbero in materie riservate
alla competenza provinciale esclusiva e concorrente.
Secondo la ricorrente, a dispetto della
loro qualificazione, le disposizioni recate dall’art. 32 della legge n. 183 del
2011 non costituirebbero «principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica» ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., con conseguente violazione del riparto costituzionale
e statutario delle competenze tra Stato e Province autonome.
I commi da 17 a 26 dell’art. 32 della
legge n. 183 del 2011 violerebbero gli artt. 103, 104 e 107 dello statuto.
Infatti, con particolare riguardo agli enti locali, l’art. 79, comma 3, dello
statuto attribuirebbe alla Provincia il potere di definire gli obblighi
relativi al patto di stabilità interno per i propri enti locali e le relative
funzioni di coordinamento, in relazione alla competenza statutaria spettante
alla Provincia stessa in materia di finanza locale. Il riparto di competenza,
in quanto norma rientrante nell’alveo applicativo dell’art. 104 dello statuto
di autonomia, potrebbe allora essere modificato solo attraverso il particolare
procedimento "di intesa” ivi disciplinato.
L’art. 32, comma 14, della legge n. 183
del 2011 pone la norma di chiusura – peraltro, unicamente con riferimento alle
misure di cui ai commi da 11 a 13 – secondo la quale l’attuazione delle stesse
deve avvenire nel rispetto dello statuto e delle relative norme di attuazione.
Tuttavia, secondo la ricorrente, tale
generica previsione dimostrerebbe l’irragionevolezza della disposizione
censurata, che porrebbe norme di dettaglio in aperto ed insanabile conflitto
con il peculiare regime di autonomia che spetta alla Provincia autonoma di
Bolzano.
1.3– Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito con atto depositato fuori termine.
1.4– La Provincia autonoma di Bolzano ha
successivamente replicato alle difese erariali con memoria depositata in data 2
ottobre 2012.
La ricorrente segnala, in primo luogo,
che, nelle more del presente giudizio, l’art. 32 è stato modificato. Tuttavia,
la ricorrente ritiene che la questione possa essere trasferita sul testo
attualmente vigente in applicazione del principio di effettività della tutela
costituzionale. Aggiunge, inoltre, che il comma 12-bis, introdotto successivamente alla proposizione del ricorso,
prescrive, per il caso di mancato accordo di cui ai commi 11 e 12 entro il 31
luglio di ciascun anno, che gli obiettivi delle Regioni a statuto speciale e
delle Province autonome di Trento e di Bolzano siano determinati applicando
agli obiettivi definiti nell’ultimo accordo il miglioramento di cui a
determinate fonti normative specificatamente elencate e tra le quali la tabella
di cui al comma 10, predisposta in modo unilaterale da parte dello Stato.
Tuttavia, per la ricorrente gli obiettivi del patto di stabilità interno
dovrebbero essere determinati tenendo conto degli effetti positivi derivanti
dall’applicazione dell’art. 79 dello statuto, unica norma di riferimento
rilevante.
2.– Con ricorso notificato l’11-16
gennaio 2012, depositato il 16 gennaio 2012 ed iscritto al n. 8 del registro
ricorsi dell’anno 2012, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste ha promosso questione di legittimità
costituzionale, tra gli altri, dell’art. 32, commi 10 e 17, della legge n. 183
del 2011, in riferimento al principio di leale
collaborazione ed agli artt. 2, primo comma, lettera a), 3, primo comma, lettera f),
12, 48-bis e 50 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta),
agli artt. 3, 5, 117, terzo e sesto comma,
118, 119 e 120 Cost. ed
all’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione) ed in relazione alla normativa di attuazione di cui
alla legge
26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della regione
Valle d’Aosta), ed al decreto
legislativo 28 dicembre 1989, n. 434 (Norme di attuazione dello statuto
speciale per la regione Valle d’Aosta in materia di coordinamento dei programmi
degli interventi statali e regionali). Ha impugnato, altresì, l’art. 32,
commi 19, 22, 23, 24 e 25, della legge n. 183 del 2011, indicando per relationem
i parametri costituzionali evocati.
2.1.– Quanto all’art. 32, comma 10, della 1egge n. 183
del 2011, secondo la ricorrente, l’unilaterale definizione da parte del
legislatore statale dell’entità del contributo finanziario aggiuntivo
renderebbe illegittima la disposizione impugnata per violazione del principio
costituzionale di leale collaborazione, di cui agli artt. 120 e 5 Cost. In tal
modo sarebbe direttamente lesa la speciale autonomia finanziaria spettante alla
Regione autonoma Valle d’Aosta ai sensi degli artt. 2, primo comma, lettera a), 3, primo comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50 dello statuto speciale e della relativa normativa di
attuazione (legge n. 690 del 1981). Sulla base della normativa citata i
rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione medesima sarebbero retti dal
metodo dell’accordo.
La norma statale si porrebbe in
contrasto anche con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.,
poiché il legislatore ordinario avrebbe ripartito tra le diverse Regioni a
statuto speciale il «contributo agli obiettivi di finanza pubblica in termini
di competenza e di cassa aggiuntivo rispetto al 2011», a
prescindere da ogni enunciazione dei concreti criteri di ripartizione,
nonché in contrasto con il riparto precedentemente stabilito dall’art. 14 del d.l.
n. 78 del 2010 e condiviso dalle autonomie speciali. Tale affermazione, secondo
la ricorrente, sarebbe confermata dalla nota del Ministero dell’economia e
delle finanze 29 settembre 2010, n. 81651, nella quale – con riferimento al
concorso alla manovra finanziaria previsto dal citato art. 14 del d.1. n. 78
del 2010 – è stata dichiarata espressamente la necessità di procedere alla
preventiva «individuazione di puntuali criteri per il riparto del concorso
complessivamente previsto a carico delle Regioni a statuto speciale e Province
autonome, fermo restando lo strumento dell’Accordo di ciascuna autonomia
speciale con il Ministero dell’Economia e delle Finanze» .
L’art. 32, comma 17, della legge n. 183
del 2011 prevede che le modalità di raggiungimento degli obiettivi di finanza
pubblica delle singole Regioni e dei rispettivi enti locali siano definite, a
partire dall’anno 2013, attraverso il sistema dell’«accordo
integrato» tra Stato e Regioni.
Secondo la ricorrente, ove tale
previsione fosse ritenuta applicabile alle Regioni a statuto speciale – e, nel
caso di specie, alla Valle d’Aosta – la stessa si porrebbe in contrasto con
quanto stabilito dalle precedenti leggi finanziarie statali (oltre che con
l’art. 32, commi 11, 12, 13 e 14, della legge n. 183 del 2011), in base alle
quali il concorso delle autonomie speciali e dei relativi enti locali alla
manovra finanziaria andrebbe definito attraverso il diverso strumento
dell’«accordo separato» tra singola Regione speciale e Ministero dell’economia
e delle finanze. Ne conseguirebbe la lesione dell’autonomia finanziaria della
Valle d’Aosta, di cui ai richiamati articoli dello statuto speciale e della
relativa normativa di attuazione.
Secondo la ricorrente, l’illegittimità
della norma censurata rileverebbe anche ove si consideri che è stata demandata
ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro il
30 novembre 2012 e «sentita la Conferenza unificata», la disciplina delle
modalità per la stipula del suddetto accordo, anche con riguardo agli enti
locali regionali, in violazione del principio di leale collaborazione, che
esigerebbe l’intesa e non il mero parere della Conferenza ai fini
dell’effettivo raccordo tra i diversi livelli territoriali di governo. Detta
violazione si tradurrebbe in una lesione della competenza concorrente della
Regione Valle d’Aosta nella materia di «coordinamento della finanza pubblica»,
di cui agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. in
combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Secondo la ricorrente, sarebbe altresì
violato l’art. 118 Cost., poiché il legislatore statale avrebbe attratto
funzioni amministrative e ne avrebbe regolato l’esercizio in materie che
esulano dalla sua competenza esclusiva in deroga al riparto costituzionale
delle competenze senza il previo rispetto dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza, secondo quanto affermato anche dalla
giurisprudenza di questa Corte (si citano, ex
plurimis, le sentenze n. 278 del 2010,
n. 76 del 2009,
n. 165 e n. 88 del 2007,
n. 214 del 2006
e n. 151 del
2005). In particolare, la ricorrente ricorda come l’attrazione in
sussidiarietà legittimi una deroga al riparto costituzionale delle competenze
solo ove la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di
funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta
da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità
«e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata» (si cita la sentenza n. 214 del
2006). Ne conseguirebbe che l’aver rimesso ad un decreto ministeriale
l’individuazione delle modalità specifiche di attuazione della disciplina dell’ "accordo integrato”, prevedendo il solo parere della
Conferenza unificata e non già l’intesa con la singola Regione a statuto
speciale interessata, lederebbe la competenza legislativa concorrente della
Valle d’Aosta in materia di coordinamento della finanza pubblica. Inoltre, ai
sensi dell’art. 117, sesto comma, Cost., lo Stato non
potrebbe esercitare alcun potere regolamentare, trattandosi di materia in cui
non è titolare di competenza legislativa esclusiva.
Per quanto attiene, infine, ai commi 19,
22, 23, 24 e 25, dello stesso art. 32 della legge impugnata, è stato già
rilevato come tali previsioni introducano delle modifiche all’art. 7 del d.lgs.
n. 149 del 2011. Dal momento che la disposizione citata è stata impugnata dalla
Valle d’Aosta con ricorso notificato in data 18 novembre 2011, giusta
deliberazione della Giunta regionale del 28 ottobre 2011, e che perdurerebbe in
capo alla Regione medesima l’interesse all’impugnativa de quo, pure a seguito delle modifiche introdotte dalla 1egge n.
183 del 2011, viene proposta questione di legittimità costituzionale dell’art.
32, commi 19, 22, 23, 24 e 25, alla luce di tutti i motivi già fatti valere con
riferimento al d.lgs. n. 149 del 2011, da intendersi integralmente richiamati e
trascritti nell’atto introduttivo.
3.– Con ricorso notificato il 13 gennaio
2012, depositato il 18 gennaio 2012 ed iscritto al n. 12 del registro ricorsi
dell’anno 2012, la Provincia autonoma di Trento ha promosso questione di
legittimità costituzionale, tra gli altri, dell’art. 32, commi 1, 10, 12, 13,
16, 17, 19, 22, 24, 25 e 26 della legge n. 183 del 2011, in riferimento all’art. 3 Cost., agli
artt. 74, 79, 80, 81, 103, 104, 107 del d.P.R.
n. 670 del 1972, all’art. 17 del d.lgs.
n. 268 del 1992 ed all’art. 2 del d.lgs.
n. 266 del 1992.
La ricorrente rileva che l’art. 32,
comma 1, della legge n. 183 del 2011, in quanto contenente una disciplina in
materia finanziaria dettata unilateralmente dal legislatore statale, si
porrebbe in insanabile conflitto con la normativa speciale dettata dall’art. 79
dello statuto e sarebbe dunque costituzionalmente illegittimo. Il regime dei
rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali sarebbe dominato dal principio
dell’accordo, pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale (si
citano le sentenze n. 133 del 2010,
n. 82 del 2007,
n. 353 del 2004,
n. 98 del 2000
e n. 39 del 1984).
Parimenti, secondo la ricorrente, l’art.
32, comma 10, della legge n. 183 del 2011 violerebbe l’art. 79 dello statuto,
in base al quale i modi in cui la Provincia concorre al raggiungimento degli
obiettivi di finanza pubblica o sono fissati direttamente dal citato art. 79 o
vanno concordati tra Stato e Provincia. Corrispondentemente, sarebbe violato
l’art. 104 dello statuto, che richiede il consenso della Provincia autonoma per
la modifica delle norme del Titolo VI dello statuto. La fissazione da parte del
legislatore statale di un’entità finanziaria predeterminata, quale misura del
concorso della Provincia autonoma agli obiettivi di finanza pubblica,
renderebbe detto obiettivo in alcun modo pariteticamente concordato, come oggi
stabilito nello statuto speciale, secondo un criterio sempre seguito nelle
precedenti leggi finanziarie dello Stato e testualmente anche nella stessa
1egge n. 183 del 2011. Il riparto previsto dal comma 10 sembrerebbe, altresì,
privo di qualsiasi enunciazione di criterio e quindi meramente «potestativo» da
parte dello Stato.
Inoltre si osserva che, se per quanto
attiene il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui all’art. 14 del
d.l. n. 78 del 2010, le autonomie speciali avevano comunque condiviso
autonomamente tra loro il riparto, un’analoga condivisione non vi sarebbe stata
con riferimento al concorso aggiuntivo, né sarebbe ravvisabile – nel comma 10 –
una semplice riproposizione del riparto interno allora concordato tra le
autonomie speciali.
Il comma 12 dell’art. 32 confermerebbe
indirettamente la fondatezza della censura avanzata nei confronti del comma 10,
perché lo stesso legislatore statale prevederebbe che
il saldo programmatico vada concordato e poi, contraddittoriamente, disporrebbe
che l’accordo debba avere un contenuto vincolato alla somma indicata nella
tabella di cui al comma 10. Dunque, in questa parte il comma 12 sarebbe
illegittimo per le stesse ragioni esposte in relazione al comma 10, cui la
ricorrente rinvia.
A giudizio della Provincia autonoma di
Trento, per la sua contraddittorietà interna, il comma 12 sarebbe anche
irragionevole (art. 3 Cost.).
Sarebbe poi illegittima la previsione
secondo la quale «[i]n caso di mancato accordo, si applicano le disposizioni
stabilite per le regioni a statuto ordinario». Anche in questo caso sarebbero
violati il principio consensuale in materia di finanza delle Regioni speciali e
gli artt. 79 e 104 dello statuto, oltre al principio di leale collaborazione.
La norma in questione finirebbe per rimettere l’applicazione del regime previsto
per le Regioni a statuto ordinario alla mera volontà del Ministro dell’economia
e delle finanze, in tal modo vanificando la previsione dell’intesa.
Anche l’art. 32, comma 13, della legge
n. 183 del 2011 sarebbe illegittimo sotto tre profili. In primo luogo, esso
prevede che la Provincia definisca il patto di stabilità per gli enti locali
«nell’ambito degli accordi ci cui ai commi 11 e 12», il che non sarebbe
conforme né allo statuto (artt. 79, comma 3, 80 e 81) né all’art. 17 del d.lgs.
n. 268 del 1992. Inoltre, il citato comma 13 assoggetterebbe anche gli enti
locali del territorio della Provincia autonoma all’«obiettivo complessivamente
determinato in applicazione dell’articolo 31» della legge n. 183 del 2011 per
gli enti locali del restante territorio nazionale, in contrasto con la clausola
di salvaguardia di cui all’art. 32, comma 14, della legge n. 183 del 2011 e con
l’art. 79, comma 3, dello statuto, che attribuisce alle Province, «[f]ermi
restando gli obiettivi complessivi di finanza pubblica», il potere di
«stabilire gli obblighi relativi al patto di stabilità interno e provvedere
alle funzioni di coordinamento con riferimento agli enti locali», precisando
che «[n]on si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti
nel restante territorio nazionale». Infine, il comma 13 sarebbe illegittimo
anche nella parte in cui stabilisce che, in caso di mancato accordo, si
applichino le regole stabilite per gli enti locali del restante territorio
nazionale, previsione che contrasterebbe con la competenza legislativa
provinciale in materia di finanza locale e violerebbe l’art. 2 del d.lgs. n.
266 del 1992, il quale subordina la diretta applicazione di sopravvenute norme
statali all’accertamento da parte della Corte costituzionale del mancato adeguamento
della legislazione provinciale.
Secondo la Provincia autonoma di Trento,
anche il comma 16 dell’art. 32 della legge n. 183 del 2011 violerebbe l’art. 79
dello statuto per le ragioni già esposte in relazione al precedente art. 32,
comma 1.
La ricorrente rileva che il primo
periodo del comma 17 dell’art. 32 sembrerebbe puramente facoltizzante e dunque
privo di effetto lesivo. Tuttavia, ove tale disposizione potesse produrre per
la Provincia autonoma di Trento un qualunque effetto di vincolo, allora se ne
dovrebbe denunciare l’illegittimità e l’incongruità, poiché la disciplina posta
dalla legge ordinaria si sovrapporrebbe a quella di cui all’art. 79 dello
statuto.
Ad avviso della ricorrente Provincia, i
commi 17, 19, 22, 24, 25 e 26 sarebbero illegittimi per violazione dell’art. 79
dello statuto, poiché lo Stato non potrebbe definire unilateralmente le
condizioni perché la Provincia sia considerata adempiente al patto di
stabilità, le fattispecie di inadempimento e le sanzioni; ciò in violazione del
già enunciato principio consensuale che domina i rapporti finanziari fra Stato,
Regioni e Provincie ad autonomia speciale e degli artt. 103, 104 e 107 dello
statuto, che richiedono o il procedimento di revisione costituzionale o,
comunque, un procedimento concertato per la modifica o l’attuazione del Titolo
VI dello statuto medesimo. Inoltre, poiché il primo periodo del comma 17 fa
riferimento agli obiettivi di finanza pubblica delle singole Regioni, delle
Province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali del territorio, le
norme successive potrebbero essere intese come applicabili anche in relazione
agli obblighi concernenti il patto di stabilità degli enti locali.
In questo caso, tali norme violerebbero
l’art. 79, commi 3 e 4, dello statuto, in base al quale spetta alle Province
stabilire gli obblighi relativi al patto di stabilità interno e provvedere alle
funzioni di coordinamento con riferimento agli enti locali, mentre «non si
applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante
territorio nazionale».
Inoltre, sarebbero violati l’art. 80
dello statuto, che garantisce competenza legislativa alle Province autonome in
materia di finanza locale, e l’art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 268 del 1992,
che attribuisce alle stesse il potere di disciplinare «con legge i criteri per
assicurare un equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi compresi i
limiti all’assunzione di personale, le modalità di ricorso all’indebitamento,
nonché le procedure per l’attività contrattuale», potestà legislativa
esercitata con la legge provinciale 15 novembre 1993, n. 36 (Norme in materia
di finanza locale). Le norme in questione, dunque, pretenderebbero di
sovrapporsi con diretta applicabilità ad una disciplina già vigente, con
conseguente violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.
4.– Con ricorso notificato il 13 gennaio 2012,
depositato il 18 gennaio 2012 e iscritto al n. 13 del registro ricorsi
dell’anno 2012, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol ha promosso
questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 1, 10, 12, 16, 17,
19, 22, 24, 25 e 26, della legge n. 183 del 2011, in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost. in
combinato disposto con l’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, agli artt. 79, 103, 104 e 107 del d.P.R.
n. 670 del 1972, al d.lgs.
n. 268 del 1992 ed agli artt. 2 e 4 del d.lgs.
n. 266 del 1992.
4.1.– A sostegno delle censure la ricorrente adduce
motivazioni coincidenti con quelle sviluppate dalla Provincia autonoma di
Trento nel ricorso n. 12 del 2012.
5.– Con ricorso notificato il 13 gennaio
2012, depositato il 19 gennaio 2012 ed iscritto al n. 15 del registro ricorsi
dell’anno 2012, la Regione siciliana ha promosso questione di legittimità
costituzionale, tra gli altri, dell’art. 32, commi 10, 11, 16 e 22, della legge
n. 183 del 2011, in riferimento agli artt. 36 e 43 del regio
decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della
Regione siciliana) ed al principio di leale
collaborazione.
5.1.– La Regione siciliana sostiene che l’art. 32, comma
10, della legge n. 183 del 2011 violerebbe il principio di leale
collaborazione, poiché lo Stato avrebbe dovuto concordare, in sede di
Conferenza Stato-Regioni, la quantificazione del concorso alla manovra
finanziaria prevista dal comma 10 in esame, aggiuntivo rispetto a quello
disposto nel 2010. A tale proposito si richiama la giurisprudenza
costituzionale in tema di principio di leale collaborazione, di previa intesa
in seno alla Conferenza Stato-Regioni e autonomie (si citano le sentenze n. 255 del 2011,
n. 31 del 2006
e n. 204 del
1993) e di obbligo dello Stato, in caso di mancato raggiungimento
dell’intesa con le Regioni, di motivare adeguatamente le ragioni di interesse
nazionale che lo hanno determinato a decidere unilateralmente (si cita la sentenza n. 116 del
1994).
Secondo la ricorrente, l’art. 32, comma
11, della legge n. 183 del 2011, pur rientrando nell’ambito di applicazione
della clausola di salvaguardia di cui all’art. 32, comma 14, della medesima
legge, sarebbe nondimeno lesivo del principio di leale collaborazione – del
quale la previa intesa sarebbe esplicitazione – stante la previsione della detrazione
dal livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei
relativi pagamenti, della somma degli importi della tabella di cui al comma 10,
non concordati fra Stato e Regione e non compresi nell’ambito di applicazione
della citata clausola di salvaguardia.
L’art. 32, comma 16, della legge n. 183
del 2011 violerebbe gli artt. 36 e 43 dello statuto, nonché il principio di
leale collaborazione, poiché, a giudizio della ricorrente, disporrebbe un
aggravio di spese per le Regioni a statuto speciale mediante la generica
attribuzione dell’esercizio di funzioni statali, senza che vengano individuate
ed aumentate le risorse finanziarie per farvi fronte, e mediante un indefinito
rinvio a specifiche norme di attuazione statutaria volte unicamente a precisare
le modalità e l’entità del risparmio per il bilancio dello Stato da ottenere in
modo permanente o, comunque, per annualità definite.
Sarebbe palese la lesività di detta
previsione che inciderebbe sulle disponibilità finanziarie della Regione
Siciliana sottraendo risorse da questa destinate allo svolgimento di funzioni
proprie al fine di destinarle all’esercizio di funzioni statali genericamente
indicate.
Secondo la ricorrente la norma
risulterebbe, pertanto, non conforme agli artt. 36 e 43 dello statuto, nonché
al principio di leale collaborazione che dovrebbe ispirare i rapporti fra Stato
e Regioni. Essa violerebbe i suindicati parametri nella misura in cui non prevederebbe che in sede di Commissione paritetica debba
essere determinato l’importo delle somme che lo Stato dovrà trasferire alla
Regione per l’assunzione dell’esercizio delle dette funzioni ovvero che dette
funzioni siano esercitate senza aggravi finanziari dalla Regione.
La ricorrente sostiene, infine, che
l’art. 32, comma 22, della legge n. 183 del 2011 violerebbe gli artt. 36 e 43
dello statuto ed il principio di leale collaborazione. Il citato comma 22 – che
richiama l’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 149 del 2011, sostituito, quanto
all’ultimo periodo, dal comma 23 del medesimo art. 32 – sarebbe lesivo delle
prerogative statutarie in quanto i suoi contenuti sanzionatori non
rispetterebbero la clausola di salvaguardia prevista per le Regioni a statuto
speciale dall’art. 13 del medesimo d.lgs. n. 149 del 2011. Per tale ragione, la
ricorrente non avrebbe impugnato il menzionato art. 7 in sede di proposizione
del ricorso avverso talune norme del decreto legislativo che lo contiene.
In particolare, il suindicato art. 13,
non richiamato dal testo normativo in esame, è così rubricato: «Disposizioni
concernenti le Regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di
Bolzano» e dispone che «La decorrenza e le modalità di applicazione delle
disposizioni di cui al presente decreto legislativo nei confronti delle Regioni
a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, nonché nei
confronti degli enti locali ubicati nelle medesime Regioni a statuto speciale e
Province autonome, sono stabilite, in conformità con i relativi statuti, con le
procedure previste dall’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e
successive modificazioni. Qualora entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore del presente decreto legislativo non risultino concluse le procedure di
cui al primo periodo, sino al completamento delle procedure medesime, le
disposizioni di cui al presente decreto trovano immediata e diretta
applicazione nelle Regioni a statuto speciale e nelle province autonome di
Trento e di Bolzano».
In altri termini, l’art. 32, comma 22,
della legge n. 183 del 2011 riproporrebbe l’immediata applicabilità nei
confronti delle Regioni a statuto speciale, in precedenza esclusa dalla citata
clausola di salvaguardia, dei meccanismi sanzionatori di cui all’art. 7, comma
1, del d.lgs. n. 149 del 2011, e ciò in violazione del meccanismo della previa
intesa, espressione del principio di leale collaborazione.
La norma sarebbe, dunque, lesiva degli
artt. 36 e 43 dello statuto d’autonomia, in quanto sottrarrebbe risorse
finanziarie alla Regione siciliana per destinarle, in caso di comminazione di
sanzioni, a fini diversi e non prevederebbe che i
suoi contenuti possano essere concordati in sede di Commissione paritetica.
Secondo la ricorrente sarebbe, altresì,
lesiva del principio di leale collaborazione, in quanto adottata in assenza
della previa intesa che deve ispirare i rapporti fra Stato e Regioni.
6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è ritualmente
costituto in giudizio con riferimento ai ricorsi nn.
8, 12, 13 e 15 del 2012 chiedendo che siano dichiarati inammissibili o comunque
infondati.
La difesa statale ha sostanzialmente
svolto le medesime considerazioni in tutti i giudizi, che possono essere
riassunte come segue.
Il resistente innanzitutto rileva che il
contributo agli obiettivi di finanza pubblica quantificato dalla legge n. 191
del 2009 afferirebbe principalmente all’attuazione del federalismo fiscale,
sulla base di quanto stabilito dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009,
concernente il concorso delle autonomie speciali al perseguimento degli
obiettivi di perequazione e solidarietà. Inoltre il d.l. n. 138 del 2011 si
collocherebbe nell’ambito di un complesso percorso di risanamento della finanza
pubblica, e di contenimento dell’espansione del "deficit” nazionale, in coerenza con quanto concordato in sede
comunitaria ed alla luce dell’attuale contesto economico-finanziario
"emergenziale”, caratterizzato da una dilagante crisi internazionale. Le misure
di contenimento della spesa pubblica previste dall’art. 32 della legge n. 183
del 2011 rientrerebbero, quindi, tra le disposizioni riferibili ed ascrivibili
al coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
e non potrebbero in alcun modo ritenersi lesive delle
competenze regionali in materia di autonomia finanziaria.
In merito a tali aspetti, l’Avvocatura
dello Stato ricorda che la consolidata giurisprudenza costituzionale (si citano
le sentenze n.
82 del 2007, n. 353 e n. 36 del 2004)
avrebbe sancito la necessità che anche le autonomie speciali concorrano al
perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, non costituendo la garanzia
costituzionale dell’autonomia finanziaria un’esimente da tale partecipazione.
Secondo il Presidente del Consiglio dei
ministri, invero, la procedura di cui al comma 11 dell’art. 32 impugnato, – il
quale prevede che le Regioni a statuto speciale concordino, entro il 31
dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell’economia e delle
finanze, per ciascuno degli anni 2012, 2013 e successivi, il livello
complessivo delle spese correnti e in conto capitale, determinato riducendo gli
obiettivi programmatici dell’esercizio 2011 della somma degli importi indicati
dalla tabella di cui al precedente comma 10 – sarebbe volta a salvaguardare la
speciale autonomia finanziaria di cui godono le Regioni a statuto speciale e
sarebbe coerente con quanto previsto, per la Regione autonoma Trentino-Alto
Adige, dall’art. 79 del d.P.R. n. 670 del 1972 e con l’insegnamento della Corte
costituzionale (si cita la sentenza n. 390 del
2004).
A giudizio del resistente, al fine di
assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, le Regioni autonome
concordano con il Ministro dell’economia e delle finanze gli obblighi relativi
al patto di stabilità interno, con riferimento ai saldi di bilancio da
conseguire in ciascun periodo, che attiene alle modalità con cui devono essere
perseguiti gli obiettivi di finanza pubblica, piuttosto che alla determinazione
della misura del concorso agli obiettivi medesimi, che rientra, come sopra
evidenziato, nell’ambito delle primarie prerogative dello Stato, ai sensi
dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Inoltre, le disposizioni oggetto di
censura, diversamente da quanto sostenuto dalle ricorrenti, non conterrebbero
previsioni eccessivamente precise per l’attuazione dei principi generali
indicati, atteso che «I principi di coordinamento della finanza pubblica
comprendono anche "norme puntuali adottate dal legislatore per realizzare in
concreto la finalità del coordinamento finanziario, che per sua natura eccede
le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali”» (si citano
le sentenze n.
284 e n. 237
del 2009 e n.
35 del 2005).
Sulla legittimità di quanto disposto dal
comma 13 dell’art. 32 in esame, il Presidente del Consiglio dei ministri richiama
la sentenza di
questa Corte n. 82 del 2007, in quanto l’applicazione nei confronti degli
enti locali delle autonomie speciali delle disposizioni del patto di stabilità
interno per gli altri enti locali, sarebbe da considerare provvisoria nelle
more della conclusione dei necessari accordi, al fine di evitare un vuoto
normativo.
Sarebbe infondata anche la censura
sollevata nei confronti del comma 14 dell’art. 32, in relazione al nuovo testo
dell’art. 79 dello statuto, atteso che detto comma richiama chiaramente la
necessità del «rispetto degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle
province autonome di Trento e di Bolzano e delle relative norme di attuazione».
La semplice esistenza di questa norma di salvaguardia varrebbe a rendere
inammissibili le censure, con particolare riferimento all’asserita violazione
degli artt. 103, 104 e 107 del d.P.R. n. 670 del 1972, inerenti al procedimento
da seguire ai fini della modifica statutaria.
L’art. 32, comma 14, della legge n. 183
del 2011 introdurrebbe, al contrario, a tutela del particolare grado di
autonomia delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento
e di Bolzano, una clausola di compatibilità volta a bilanciare il rapporto tra
il rispetto delle norme statutarie e relative norme di attuazione e le misure
necessarie a fronteggiare l’eccezionale e grave situazione
economico-finanziaria.
Il Presidente del Consiglio dei ministri
afferma che le modalità operative delle clausole di salvaguardia di cui
all’art. 32, commi 14 e 17, della legge n. 183 del 2011 andrebbero valutate
alla luce della gravità ed eccezionalità dell’intervento legislativo de quo, nella più volte evidenziata
situazione di crisi internazionale che non consente indugi negli interventi
programmati, in nome del superiore principio di solidarietà nazionale e per
evitare il grave rischio della compromissione dell’unità economica della
Repubblica (ex art. 32, comma 1,
della legge medesima).
Inoltre, secondo la difesa erariale il
principio di collaborazione, al cui rispetto sono tenute tutte le istituzioni
della Repubblica nell’attuale difficile contingenza (si cita la sentenza n. 121 del
2010), sarebbe violato proprio dall’atteggiamento di contrasto
all’applicazione della normativa in oggetto attuata dalle ricorrenti.
Quanto alla ragionevolezza
dell’intervento, essa sarebbe avvalorata non tanto dal richiamo ai criteri
finanziari che sono alla base dell’intervento normativo quanto dal consenso
internazionale ricevuto e dagli effetti positivi sul mercato già conseguiti
dalla "manovra”.
7.– Successivamente alla proposizione
dei ricorsi questa Corte, con la sentenza n. 176 del
2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis del d.l. n. 138 del 2011 ed, in via
consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),
l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 4, lettera n), della legge n. 183 del 2011.
Il legislatore statale ha altresì
abrogato, con l’art. 16, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95
(Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei
servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese
del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 7 agosto 2012, n. 135, i rispettivi ultimi periodi dei commi 11 e
12 dell’art. 32 della legge n. 183 del 2011, i quali adesso dispongono: «11. Al
fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, le regioni a
statuto speciale, escluse la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome
di Trento e di Bolzano, concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno
precedente, con il Ministro dell’economia e delle finanze, per ciascuno degli
anni 2012, 2013 e successivi, il livello complessivo delle spese correnti e in
conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, determinato riducendo gli
obiettivi programmatici del 2011 della somma degli importi indicati dalla
tabella di cui al comma 10. A tale fine, entro il 30 novembre di ciascun anno
precedente, il presidente dell’ente trasmette la proposta di accordo al
Ministro dell’economia e delle finanze. Con riferimento all’esercizio 2012, il
presidente dell’ente trasmette la proposta di accordo entro il 31 marzo 2012.
12. Al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la
Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano
concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro
dell’economia e delle finanze, per ciascuno degli anni 2012, 2013 e successivi,
il saldo programmatico calcolato in termini di competenza mista, determinato
migliorando il saldo programmatico dell’esercizio 2011 della somma degli
importi indicati dalla tabella di cui al comma 10. A tale fine, entro il 30
novembre di ciascun anno precedente, il presidente dell’ente trasmette la
proposta di accordo al Ministro dell’economia e delle finanze. Con riferimento
all’esercizio 2012, il presidente dell’ente trasmette la proposta di accordo
entro il 31 marzo 2012».
L’art. 16, comma 4, del d.l. n. 95 del
2012 ha aggiunto, infine, il seguente comma 12-bis: «In caso di mancato accordo di cui ai commi 11 e 12 entro il
31 luglio, gli obiettivi delle regioni a statuto speciale e delle province
autonome di Trento e Bolzano sono determinati applicando agli obiettivi
definiti nell’ultimo accordo il miglioramento di cui: a) al comma 10 del
presente articolo; b) all’articolo 28, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1,
della legge 22 dicembre 2011, n. 214, come rideterminato dall’articolo 35,
comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e dall’articolo 4, comma 11,
del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla
legge 26 aprile 2012, n. 44; c) all’articolo 35, comma 4, del decreto-legge 24
gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1,
comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, come ridotto dall’articolo 4, comma
11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito in legge, con
modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44; d)
agli ulteriori contributi disposti a carico delle autonomie speciali». La legge
di conversione n. 135 del 2012 ha disposto la modifica della lettera b) e la soppressione della lettera c) del comma in oggetto.
L’art. 1, comma 470, della legge 24
dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013) ha abrogato i commi 6, 7, 8
e 9 dell’art. 32 della legge n. 183 del 2011.
L’art. 1, comma 471, della medesima
legge n. 228 del 2012 ha modificato il comma 21 del citato art. 32, espungendo
le informazioni di cui al comma 20 di detto articolo – vale a dire il prospetto
che evidenzi il rispetto del patto di stabilità da parte della Regione autonoma
Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e di Bolzano – da
quelle che devono essere messe a disposizione della Camera dei deputati e del
Senato della Repubblica, nonché della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e
delle Province autonome, da parte del Ministero dell’economia e delle finanze.
8.– Con memoria depositata
in vista dell’udienza del 28 gennaio 2014 la Provincia autonoma di Bolzano,
riepilogate le modifiche intervenute successivamente alla proposizione del
ricorso, sostiene che esse non avrebbero fatto perdere rilevanza alle questioni
di legittimità costituzionale proposte, che dovrebbero pertanto essere
trasferite sul testo attualmente vigente della normativa impugnata. La
ricorrente evidenzia che le misure di partecipazione di cui ai commi l e 3
dell’art. 79 dello statuto avrebbero carattere peculiare e tassativo ed inoltre
che, in base al successivo comma 4, le disposizioni statali relative
all’attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarietà, nonché al
rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilità interno, non trovano
applicazione con riferimento alla Regione ed alle Province autonome e sono in
ogni caso sostituite da quanto previsto da detto articolo.
Diversamente,
secondo la ricorrente, le disposizioni impugnate avrebbero sostanzialmente
recato delle modifiche sostanziali alle norme del Titolo VI dello statuto in
difetto delle procedure concertative ivi previste.
9.– Con
memorie di eguale contenuto, depositate in prossimità dell’udienza del 28
gennaio 2014 la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Provincia
autonoma di Trento, in replica alla difesa erariale, secondo la quale il patto
di stabilità atterrebbe «alle modalità con cui devono essere perseguiti gli
obiettivi di finanza pubblica, piuttosto che alla determinazione della misura
del concorso agli obiettivi medesimi, che rientra [...] nell’ambito delle
primarie prerogative dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma,
della Costituzione», osservano che in realtà, l’art. 79, comma terzo, dello
statuto stabilisce che «la regione e le province concordano con il Ministro
dell’economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di stabilità
interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo».
I saldi di bilancio, proseguono le ricorrenti, consistono nel "risparmio pubblico” (entrate
correnti meno spese correnti), nel "saldo
netto da finanziare” (entrate finali meno spese finali), nell’"avanzo
primario” e nel "ricorso
al mercato”. In tutti i casi – si sostiene – si tratterebbe di valori e non di modalità, ed anche l’art. 79,
comma 3, che più volte menziona gli «obiettivi» e le «misure» farebbe
chiaramente riferimento a valori e non a modalità.
Per tali
motivi, sostengono le ricorrenti, l’art. 32, comma 12, laddove vincola il
contenuto dell’accordo relativo al patto di stabilità, violerebbe l’art. 79,
comma 3, dello statuto, che assoggetterebbe al principio pattizio non solo le modalità con cui devono essere
perseguiti gli obiettivi, ma anche la misura
del concorso della Regione al risanamento della finanza pubblica.
10.– Con
memoria depositata in prossimità dell’udienza del 28 gennaio 2014 la Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
prende atto che, con la sentenza n. 219 del
2013 questa Corte ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 7 del
d.lgs. n. 149 del 2011, nel testo vigente a seguito delle modifiche introdotte
dall’art. l della legge n. 228 del 2012, nella parte in cui si applica alle
Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome, e pertanto chiede
che sia dichiarata cessata la materia del contendere, limitatamente alle
questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 32, commi 19, 22, 23
e 24, della legge n. 183 del 2011.
Con
riferimento invece ai commi 10 e 17 del medesimo art. 32, la Regione autonoma
Valle d’Aosta evidenzia che il richiamo posto dalla difesa erariale all’art. 27
della legge n. 42 del 2009 in realtà confermerebbe l’assunto di essa
ricorrente, poiché tale disposizione prevede espressamente il rispetto delle
autonomie speciali e delle norme statutarie. Né, secondo la Regione, si
potrebbe fondare la legittimità costituzionale delle norme impugnate sulla base
della loro natura di «norme
finanziarie "eccezionali”, volte a fronteggiare una situazione economica
"emergenziale”, caratterizzata da una dilagante crisi internazionale», in
quanto «il principio salus rei publicae
suprema lex esto non può essere invocato al fine di sospendere le garanzie
costituzionali di autonomia degli enti territoriali stabilite dalla
Costituzione. Lo Stato, pertanto, deve affrontare l’emergenza finanziaria
predisponendo rimedi che siano consentiti dall’ordinamento costituzionale» (si
cita la sentenza n. 151 del 2012).
11.– Anche il Presidente
del Consiglio dei ministri, in prossimità dell’udienza del 28 gennaio 2014, ha
depositato memorie con riferimento a tutti i ricorsi regionali. Con riguardo a
quelli proposti dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige e dalla Provincia
autonoma di Trento, il resistente osserva che non potrebbe essere condiviso il
presupposto comune su cui si fondano le contestazioni delle ricorrenti, secondo
cui la disciplina sull’adempimento degli obblighi di carattere finanziario a
carico della Regione e delle Province autonome si collocherebbe esclusivamente
nell’ambito dello statuto speciale, restando quindi in ogni caso indifferenti
rispetto alle misure statali adottate nei confronti della generalità delle
Regioni anche laddove esse siano qualificate come «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi
degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione». La
difesa erariale, infatti, evidenzia che l’intervento statale ai fini della
fissazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica – oltre che in
sede costituzionale – è espressamente previsto dallo stesso art. 79 dello
statuto, che richiama la Regione e le Province autonome «all’assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti
dall’ordinamento comunitario, dal patto di stabilità interno e dalle altre
misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa
statale» (comma 1) nell’ambito di un rapporto in cui «la regione e le province concordano con il
Ministro dell’economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di
stabilità interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun
periodo» (comma 3).
Ne
deriverebbe, quindi, che l’autonomia finanziaria delle Regioni e delle Province
autonome risulta essere pur sempre condizionata dagli «obiettivi complessivi di finanza pubblica», ponendo l’art. 79,
comma 3, dello statuto, come unica condizione, che tali obiettivi vengano
fissati nell’ambito di procedure concordate tra Regione, Province autonome e
Ministero dell’economia e delle finanze. Sicché il denunciato contrasto
potrebbe configurarsi soltanto nell’ipotesi in cui, effettivamente, dovesse
essere violato il principio dell’accordo, violazione che – secondo la difesa
erariale – dovrebbe escludersi in ragione della specifica clausola di salvaguardia
contenuta nel comma 14 dell’art. 32, che non si esaurirebbe in una mera formula
di stile, essendo piuttosto finalizzata a chiarire che il contributo delle
autonomie speciali all’azione di risanamento si realizza nel rispetto ed in
attuazione dei rispettivi statuti di autonomia.
Con riguardo
ai ricorsi promossi dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste e dalla Regione siciliana – laddove la prima
contesta, in particolare, l’incompatibilità tra il comma 10 dell’art. 32 e gli
artt. 2, primo comma, lettera a), 3,
primo comma, lettera f), e 50 dello
statuto di autonomia, in quanto verrebbe lesa la particolare autonomia
finanziaria ad essa riconosciuta e la seconda si richiama invece al principio
di leale collaborazione – il Presidente del Consiglio dei ministri rammenta che
il legislatore può «legittimamente
imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento
finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi
comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono,
inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti
territoriali» (sentenza n. 229 del
2013) e che la stessa giurisprudenza costituzionale (si cita ancora la sentenza n. 229 del
2013) individuerebbe due condizioni affinché possa riconoscersi la qualità
di principi generali dell’ordinamento a norme statali che fissano limiti alla
spesa di Regioni ed enti locali: da una parte, l’indicazione degli obiettivi di
riequilibrio della spesa degli enti, «intesi
nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale,
della spesa corrente»; dall’altra, la non esaustività di tale
disciplina, che deve configurarsi pur sempre come normativa di principio,
circoscritta, cioè, alla fissazione di un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (si
citano le sentenze n. 236 del 2013,
n. 211 del 2012,
n. 297 del 2009,
n. 289 del 2008
e n. 169 del
2007), senza prevedere in modo analitico strumenti e modalità per il
perseguimento dei suddetti obiettivi. Nel caso di specie – secondo il
resistente – dovrebbero ritenersi rispettati entrambi i requisiti: le
disposizioni in questione, infatti, si limiterebbero a porre soglie di
contenimento complessivo della spesa, lasciando per il resto ampio spazio
all’autonomia regionale.
Quanto poi al
dettato del comma 10, secondo la difesa erariale esso andrebbe letto in
combinato disposto con i commi 11, 12 e 13 dello stesso art. 32. Se, infatti,
il primo indica l’entità complessiva dell’apporto di ciascuna autonomia, i
successivi tre commi specificano che il contributo corrisposto «al fine di assicurare il concorso agli
obiettivi di finanza pubblica» deve derivare da una correlativa
riduzione dei rispettivi obiettivi programmatici, cioè conseguendo un
equivalente risparmio di spesa. Poiché il comma 12 prevede espressamente una
procedura concordata ai fini della determinazione del saldo programmatico,
richiamando però, al tempo stesso, la tabella di cui al comma 10, secondo il
Presidente del Consiglio dei ministri, dovrebbe ritenersi che il legislatore
abbia inteso riconoscere a quest’ultima la funzione di parametro di
riferimento, del quale, allora, bisognerà tener conto sia in sede di
formulazione della proposta che di conclusione dell’accordo. Ne risulterebbe,
in quest’ottica, che il rinvio agli importi indicati al comma 10 andrebbe
inteso come parametro di "coerenza”, cui le parti sarebbero chiamate ad
attenersi ai fini della determinazione del saldo programmatico, il che non
significherebbe imporre una perfetta coincidenza tra i due valori ma,
piuttosto, evitare scostamenti eccessivi rispetto al limite complessivo fissato
in tabella (si richiama la sentenza n. 169 del
2007). Secondo lo Stato, quindi, il comma 10 svolgerebbe «funzione
meramente ancillare ed integrativa» rispetto il contenuto degli accordi.
Con riguardo
ai commi 12 e 13, nella parte in cui, in caso di mancato raggiungimento
dell’intesa entro la scadenza del termine indicato – fissato al 31 dicembre di
ciascun anno precedente per gli anni 2012, 2013 e successivi – prevedono
l’applicazione delle disposizioni dettate, rispettivamente, per le Regioni a
statuto ordinario e gli enti locali del restante territorio nazionale, secondo
il resistente si tratterebbe di una disciplina applicabile esclusivamente in
via provvisoria, al solo fine di assicurare una copertura medio tempore per
il periodo che intercorre tra la scadenza del termine e l’effettivo
raggiungimento dell’intesa (è richiamata la sentenza n. 219 del
2013).
Osserva in
proposito la difesa erariale che, in assenza di tale disciplina provvisoria –
se, cioè, fallito ogni tentativo di arrivare ad un accordo sul saldo
programmatico entro il termine del 31 dicembre, non fosse in alcun modo
determinabile il contributo agli obiettivi di finanza pubblica in termini di
competenza e di cassa aggiuntivo rispetto al 2011 – la finalità perseguita
dall’accordo verrebbe certamente frustrata.
Relativamente infine alle censure
rivolte al comma 16, il
Presidente del Consiglio dei ministri osserva che sarebbe lo stesso comma 1,
lettera c), dell’ art. 79 dello
statuto a prevedere espressamente, tra le modalità con le quali Regione e
Province autonome concorrono all’assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario, «l’assunzione di oneri
relativi all’esercizio di funzioni statali, anche delegate, definite d’intesa
con il Ministero dell’economia e delle finanze». D’altra parte, prosegue
il resistente, il comma 16 specifica che tali misure sono definite «attraverso l’emanazione, con le modalità
stabilite dai rispettivi statuti, di specifiche norme di attuazione
statutaria», il che porterebbe ad escludere ogni possibile violazione
dello statuto di autonomia e del principio dell’accordo.
Quanto alle
censure mosse al comma 17, l’osservazione secondo cui il principio dell’accordo
imporrebbe, di per sé, il ricorso al modello del cosiddetto «accordo separato», secondo la difesa erariale non
troverebbe riscontro né nel dato costituzionale né nella giurisprudenza di
questa Corte relativa al principio di leale collaborazione (si richiama
la sentenza n.
31 del 2006): nulla impedirebbe quindi al legislatore statale di ricorrere
al più efficace strumento dell’accordo integrato, specie alla luce delle già
considerate esigenze di efficienza e celerità imposte dall’attuale congiuntura
economica.
12.– La
Regione autonoma Trentino-Alto Adige, con memoria depositata in prossimità
dell’udienza del 21 ottobre 2014, ha replicato alle difese erariali,
evidenziando che l’interpretazione suggerita dall’Avvocatura erariale, che
punterebbe a sminuire il significato dell’art. 32, comma 10, sostenendo che
l’accordo di cui al successivo comma 12 dovrebbe solamente evitare scostamenti
eccessivi rispetto ai valori del comma 10, sarebbe smentita dal chiaro dettato
delle disposizioni, dato che gli importi previsti da quest’ultimo sono
richiamati dal comma 12.
13.– Con memoria depositata
in prossimità dell’udienza del 21 ottobre 2014 la Provincia autonoma di Bolzano
ha riepilogato lo ius superveniens intervenuto
successivamente alla proposizione del ricorso ed ha sostenuto che le modifiche
recate alle disposizioni impugnate non ne hanno alterato la portata precettiva.
Quindi, le questioni promosse dalla Provincia autonoma manterrebbero inalterata
la loro attualità in riferimento ai motivi di impugnazione dedotti, dovendosi
pertanto intendersi trasferiti sul testo vigente delle disposizioni
censurate.
Successivamente,
la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di
Trento e di Bolzano, in seguito all’accordo concluso con il Governo in data 15
ottobre 2014, hanno deliberato di rinunciare integralmente ai rispettivi
ricorsi.
14.– La Regione siciliana
ha depositato memoria in data 19 gennaio 2015.
La
ricorrente, pur avendo concluso a sua volta un accordo in materia di finanza
pubblica con il Ministro dell’economia e delle finanze in
data 9 giugno 2014, ha confermato l’intenzione di proseguire nel
giudizio, in quanto in gran parte le disposizioni impugnate non hanno subito
modificazioni, mentre le modifiche apportate non avrebbero portata
satisfattiva.
Nel merito,
la Regione siciliana, con riguardo all’impugnato comma 10 dell’art. 32, osserva
che la disposizione è rimasta invariata rispetto ai contenuti originari e
pertanto ribadisce le originarie censure. Relativamente al comma 11, la
ricorrente prende atto che varie rimodulazioni e parziali abrogazioni della
norma ne hanno reso meno gravoso il contenuto, nondimeno – secondo la medesima
– la manovra nel suo complesso continuerebbe ad incidere sulla disponibilità
della Regione siciliana, comportando uno squilibrio incompatibile con le
complessive esigenze di spesa regionale. Relativamente al comma 16, la
ricorrente evidenzia come esso sia rimasto immutato, mentre quanto al comma 22
(che conferma le misure sanzionatorie previste dall’art. 7 del d.lgs. n. 149
del 2011), la Regione siciliana, richiamando la decisione della Corte
costituzionale n. 219 del 2013, ritiene che si possa dichiarare la cessazione
della materia del contendere.
15. – Con
deliberazioni depositate rispettivamente il 4 febbraio ed il 9 febbraio 2015 il
Consiglio della Regione autonoma Trentino Alto-Adige/Südtirol e quello della
Provincia autonoma di Trento hanno ratificato quelle con le quali
rispettivamente la Giunta regionale e la Giunta provinciale hanno rinunciato ai
ricorsi in precendenza proposti, intendendo così
agire in ottemperanza agli accordi intervenuti con lo Stato anche sulle
questioni oggetto del presente giudizio.
Considerato
in diritto
1.– Con cinque ricorsi (rispettivamente iscritti ai nn. 7, 8, 12, 13 e 15 del registro ricorsi dell’anno 2012)
la Provincia autonoma di Bolzano, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, la Provincia
autonoma di Trento, la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Regione siciliana
hanno promosso questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 32
della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2012).
Mentre è riservata ad altre pronunce la
trattazione delle questioni promosse nei confronti di ulteriori disposizioni
impugnate, i richiamati ricorsi, in ragione dell’evidente connessione, vanno
riuniti limitatamente al citato art. 32, censurato da tutte le ricorrenti in
riferimento a parametri parzialmente coincidenti.
La Provincia autonoma di Bolzano ha
impugnato l’intero art. 32 della legge n. 183 del 2011 in riferimento agli
artt. 8, numero 1, 9, numero 10, 16, 75, 79, 81, 83, 103, 104 e 107 del decreto
del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo
unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige) ed ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione
ed in relazione alle norme di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15
luglio 1988, n. 305 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione
Trentino-Alto Adige per l’istituzione delle sezioni di controllo della Corte
dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto); all’art.
2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti
legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale
di indirizzo e coordinamento); agli artt. 9, 10, 10-bis, 16, 17 e 18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268
(Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in
materia di finanza regionale e provinciale) ed all’art. 2, comma 106, della
legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010).
La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha impugnato i
commi 10 e 17 del medesimo art. 32 in riferimento al principio di leale
collaborazione, agli artt. 2, primo comma, lettera a), 3, primo comma, lettera f),
12, 48-bis e 50 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta),
agli artt. 3, 5, 117, terzo e sesto comma, 118, 119 e 120 Cost. ed all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ed in
relazione alla normativa di attuazione di cui alla legge 26 novembre 1981, n.
690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della regione Valle d’Aosta), ed al
decreto legislativo 28 dicembre 1989, n. 434 (Norme di attuazione dello statuto
speciale per la regione Valle d’Aosta in materia di coordinamento dei programmi
degli interventi statali e regionali). Ha impugnato, altresì, i commi 19, 22,
23, 24 e 25 dello stesso articolo, richiamando per relationem i motivi di censura svolti
in diverso ricorso.
La Provincia autonoma di Trento ha
impugnato l’art. 32, commi 1, 10, 12, 13, 16, 17, 19, 22, 24, 25 e 26, della
legge n. 183 del 2011 in riferimento all’art. 3 Cost.;
agli artt. 74, 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello statuto del Trentino-Alto Adige
(d.P.R. n. 670 del 1972) ed in relazione all’art. 17 del d.lgs. n. 268 del 1992
ed all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.
La Regione autonoma Trentino-Alto
Adige/Südtirol ha impugnato l’art. 32, commi 1, 10, 12, 16, 17, 19, 22, 24, 25
e 26, della legge n. 183 del 2011 in riferimento agli artt. 117 e 119 Cost. in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001; agli artt. 79, 103, 104 e 107 del d.P.R. n. 670 del 1972; al d.lgs.
n. 268 del 1992 ed agli artt. 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992.
La Regione siciliana ha impugnato l’art.
32, commi 10, 11, 16 e 22, della legge n. 183 del 2011, in riferimento agli
artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455
(Approvazione dello statuto della Regione siciliana), ed al principio di leale
collaborazione.
2.– La Provincia autonoma di Bolzano, con atto
depositato il 21 gennaio 2015, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige, con
atto depositato il 28 gennaio 2015, e la Provincia autonoma di Trento, con atto
depositato il 27 gennaio 2015, hanno rinunciato ai rispettivi ricorsi.
I ricorsi della Regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste e
della Regione siciliana sono parzialmente coincidenti quanto alle norme
impugnate. Queste ultime – tutte contenute nell’art. 32 della legge n. 183 del
2011 – sono: i commi 10 e 22, censurati da entrambe le Regioni; i commi 11 e 16
impugnati dalla Regione siciliana; i commi 17, 19, 23, 24 e 25, impugnati dalla
Regione autonoma Valle d’Aosta.
Il comma 10 dell’art. 32 riguarda «[i]l
concorso alla manovra finanziaria delle Regioni a statuto speciale e delle
Province autonome di Trento e di Bolzano, di cui all’articolo 20, comma 5, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge
15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’articolo 1, comma 8, del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148, aggiuntivo rispetto a quella disposta
dall’articolo 14, comma 1, lettera b),
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122», indicante, per ciascuno degli anni 2012, 2013 e
successivi, secondo una tabella articolata, l’entità dei singoli contributi
posti a carico di ciascuna delle autonomie speciali.
La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha impugnato detto
comma in riferimento agli artt. 3 (principio di ragionevolezza), 5 e 120
(principio di leale collaborazione) Cost., al
principio di autonomia finanziaria spettante statutariamente alla Regione ai
sensi degli artt. 2, primo comma, lettera a),
3, primo comma, lettera f), 12, 48-bis e 50 dello statuto e della relativa
normativa di attuazione (legge n. 690 del 1981).
La ricorrente lamenta il contrasto della
norma statale con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. –
poiché il legislatore ordinario avrebbe ripartito tra le diverse Regioni a
statuto speciale il «contributo agli obiettivi di finanza pubblica in termini
di competenza e di cassa aggiuntivo rispetto al 2011» a prescindere da ogni
enunciazione dei criteri sulla cui base è stata effettuata la concreta
ripartizione – nonché in contrasto con il riparto precedentemente stabilito
dall’art. 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia
di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Tale
disposizione prevedeva che l’accordo dovesse essere recepito con decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri, tenendo conto dell’adozione di misure
idonee ad assicurare il rispetto del patto di stabilità interno e della minore
incidenza percentuale della spesa per il personale rispetto alla spesa corrente
complessiva, nonché di misure di contenimento della spesa sanitaria e di azioni
di contrasto al fenomeno dei falsi invalidi.
Con riguardo al comma 10, la Regione
siciliana lamenta il mancato previo raggiungimento dell’intesa, in sede di
Conferenza Stato-Regioni, circa i criteri e la conseguente quantificazione del
concorso delle autonomie speciali alla manovra finanziaria.
Il principio della leale collaborazione
dovrebbe prevedere, comunque, il coinvolgimento della Conferenza stessa «per
favorire l’accordo e la collaborazione tra l’uno e le altre [autonomie
speciali]». In ogni caso, il mancato raggiungimento dell’intesa comporterebbe
per il Governo «l’obbligo di motivare adeguatamente le ragioni di interesse
nazionale che lo hanno determinato a decidere unilateralmente».
Il comma 11 dell’art. 32, integrativo
del precedente comma sotto il profilo del procedimento e dei contenuti
dell’accordo in tema di obiettivi programmatici, è impugnato dalla sola Regione
siciliana in riferimento al principio di leale collaborazione, del quale la
previa intesa tra Stato ed autonomie speciali sarebbe esplicazione. La
ricorrente sostiene che non vi sarebbe in concreto possibilità di accordo in quanto
il contenuto sarebbe predeterminato secondo gli importi della tabella di cui al
comma 10, non concordati fra Stato e Regione e non compresi nell’ambito di
applicazione della clausola di salvaguardia di cui al successivo comma 14 del
medesimo art. 32.
L’art. 32, comma 16, della legge n. 183
del 2011, in tema di misure a carico delle Regioni a statuto speciale
finalizzate a produrre un risparmio per il bilancio dello Stato, è impugnato
dalla sola Regione siciliana in riferimento agli artt. 36 e 43 dello statuto,
nonché al principio di leale collaborazione.
Il successivo comma 17, contenente
disposizioni inerenti ad accordi tra lo Stato e gli enti territoriali per il
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, è impugnato dalla Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
per violazione dell’autonomia finanziaria attribuitale dagli artt. 2, primo
comma, lettera a), 3, primo comma,
lettera f), 12, 48-bis e 50 dello statuto speciale e dalla
relativa normativa di attuazione (legge n. 690 del 1981 e d.lgs. n. 434 del
1989), del principio di leale collaborazione nonché degli artt. 117, terzo e
sesto comma, 118 e 119 Cost. e 10 della legge cost. n.
3 del 2001.
L’art. 32, comma 22, della legge n. 183
del 2011, inerente all’applicazione del sistema sanzionatorio per le violazioni
del patto di stabilità, è impugnato dalla Regione siciliana per violazione
degli artt. 36 e 43 dello statuto, nonché del principio di leale
collaborazione.
I commi 19, 22, 23, 24 e 25 del medesimo
art. 32, tutti inerenti all’applicazione alle Regioni a statuto speciale del
sistema sanzionatorio previsto per le violazioni del patto di stabilità, sono
impugnati dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste «alla luce di tutti i motivi già fatti valere
[con separato ricorso] in riferimento al d.lgs. n. 149 del 2011, da intendersi
in questa sede integralmente richiamati».
Si è costituito nei diversi giudizi, poi
riuniti, il Presidente del Consiglio dei ministri, affermando che le
disposizioni di cui all’art. 32 costituirebbero effettivamente principi
generali in materia di finanza pubblica e, pertanto, non comporterebbero alcuna
indebita invasione dell’autonomia finanziaria delle Regioni e delle Province
autonome.
Quanto al parametro della leale
collaborazione, l’indicazione in tabella della misura con cui ciascuna
autonomia concorre al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica non
colliderebbe con il principio dell’accordo, il quale avrebbe una portata più
ampia della semplice negoziazione del contributo di ciascuna Regione agli
obiettivi di finanza pubblica: l’accordo con lo Stato riguarderebbe infatti il
livello complessivo delle spese correnti ed in conto capitale ed – in
definitiva – i saldi complessivi della gestione finanziaria di pertinenza di
ciascuna Regione. In sostanza, si tratterebbe di una procedura concordata ai
fini della determinazione degli obiettivi programmatici, nell’ambito della
quale i valori riportati nella tabella di cui al comma 10 costituirebbero
soltanto uno degli elementi dell’accordo. A differenza di altri importi
maggiormente negoziabili, le somme indicate per i singoli enti territoriali
potrebbero essere concordate solo all’interno del principio di invarianza
complessiva della manovra di bilancio riguardante la totalità delle Regioni a
statuto speciale e delle Province autonome. Ciò non significherebbe imporre una
perfetta coincidenza tra i due valori, ma, piuttosto, evitare scostamenti
rispetto al limite complessivo fissato in tabella – come peraltro, in casi non
dissimili, avrebbe affermato la giurisprudenza costituzionale (si cita la sentenza n. 169 del
2007) – secondo un modello che, nel rispetto del principio di leale
collaborazione, non rinuncerebbe a definire la razionale scansione del
procedimento di stipulazione dell’accordo.
Il metodo dell’accordo dovrebbe essere
concepito come uno strumento di bilanciamento tra l’autonomia finanziaria degli
enti territoriali e l’esigenza di raggiungimento degli obiettivi di finanza
pubblica – alcuni dei quali, peraltro, derivanti da impegni assunti in sede
sovranazionale – del cui adempimento anche le Regioni speciali devono farsi
carico alla luce dei principi di solidarietà politica, economica e sociale di
cui all’art. 2 Cost., di unitarietà della Repubblica di cui all’art. 5 Cost.,
nonché di responsabilità internazionale dello Stato.
Questa Corte (si cita la sentenza n. 239 del
2013) avrebbe chiarito che il principio di leale collaborazione si
tradurrebbe per entrambe le parti – e dunque anche per le stesse Regioni –
nell’onere «di sostenere un dialogo, e quindi di tenere un comportamento
collaborativo, che consenta di pervenire in termini ragionevoli alla
definizione del procedimento». In questo modo, il suddetto principio troverebbe
applicazione anche in senso, per così dire, "ascendente” richiedendo che gli
enti territoriali cooperino attivamente con lo Stato centrale per il
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.
3.– Le rinunce ai ricorsi della Provincia autonoma di
Bolzano, della Provincia autonoma di Trento e della Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol conseguono ad impegni specificamente assunti in
sede di accordi stipulati con il Ministro dell’economia e delle finanze in
materia di finanza pubblica, ai sensi dell’art. 1, commi 454 e 456, della legge
24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2013). Dette rinunce, non avendo
riportato la formale accettazione del Presidente del Consiglio dei ministri,
comportano la cessazione della materia del contendere in relazione alle parti
dei ricorsi oggetto del presente giudizio.
4.– I predetti accordi, unitamente a quelli intervenuti
con altre Regioni a statuto speciale, sono relativi agli esercizi finanziari
successivi al 2012, annualità di riferimento dei ricorsi che qui vengono in
discussione. Ciò nonostante, l’impegno a.ssunto dagli
enti in questione riguarda anche i ricorsi aventi ad oggetto le disposizioni
contenute nell’art. 32 della legge n. 183 del 2011. Per quanto si dirà in
prosieguo in tema di regole di invarianza del contributo complessivo a carico
delle Regioni a statuto speciale ed alla luce del principio di continuità degli
esercizi di bilancio, il contenuto degli accordi stipulati dalle autonomie
speciali concorre, comunque, a definire il quadro finanziario di riferimento
delle questioni qui in esame proposte dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalla Regione
siciliana, che non hanno rinunziato ai rispettivi ricorsi.
Peraltro, anche il Presidente della
Regione siciliana ha sottoscritto in data 9 giugno 2014 un’ipotesi di accordo
riguardante gli esercizi successivi al 2012. In detta ipotesi, parzialmente
trasfusa nell’art. 42, commi da 5 a 8, del decreto-legge 12 settembre 2014, n.
133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere
pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica,
l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività
produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
11 novembre 2014, n. 164, la Regione siciliana si impegna «a ritirare, entro il
30 giugno 2014, tutti i ricorsi contro lo Stato pendenti dinanzi alle diverse
giurisdizioni relativi alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in
materia di finanza pubblica, promossi prima del presente accordo, o, comunque,
a rinunciare per gli anni 2014-17 agli effetti positivi sia in termini di saldo
netto da finanziare che in termini di indebitamento netto che dovessero
derivare da eventuali pronunce di accoglimento».
Tuttavia, l’accordo in questione non ha
riportato l’approvazione della Giunta regionale e con successiva memoria del 19
gennaio 2015 la Regione siciliana ha confermato l’intenzione di proseguire il
giudizio, asserendo che gran parte delle disposizioni impugnate – anche alla
luce della concreta articolazione della normativa statale di recepimento – non
avrebbero subito modificazioni, mentre quelle effettivamente apportate non
avrebbero carattere satisfattivo.
Pertanto, deve procedersi all’esame nel
merito sia del ricorso della Regione siciliana sia di quello della Regione
autonoma Valle d’Aosta/ Vallée d’Aoste.
5.– Lo scrutinio del comma 10, impugnato da entrambe le
ricorrenti, e del comma 11, impugnato dalla sola Regione siciliana, va eseguito
congiuntamente, poiché il primo stabilisce l’entità del contributo alla manovra
finanziaria di ciascuna Regione a statuto speciale ed il secondo delinea il
procedimento per la stipulazione dell’accordo. In sostanza le due norme sono
complementari nella determinazione delle contestate modalità di concorso delle
autonomie speciali alla manovra finanziaria.
6.– Nel merito, le censure proposte da entrambe le
Regioni nei confronti del comma 10 e dalla sola Regione siciliana nei confronti
del comma 11 non sono fondate.
Esse si basano essenzialmente sulle
seguenti argomentazioni: a) il contributo sarebbe determinato in via
unilaterale e non preventivamente concordato con le Regioni e le Province
autonome; b) l’accordo sarebbe svuotato di ogni significato perché le somme
iscritte nella apposita tabella sarebbero insuscettibili di negoziazione tra le
parti; c) le ripartizioni non sarebbero rispettose di previ criteri fissati in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano per il riparto del sacrificio tra le
autonomie speciali.
In sostanza, i punti da dirimere nella
presente controversia riguardano la legittimità della determinazione
unilaterale da parte dello Stato del contributo di ciascuna autonomia speciale,
l’oggetto dell’accordo in relazione alla pretesa predeterminazione unilaterale,
l’assenza o il mancato rispetto di criteri obiettivi ed imparziali per il
riparto del concorso tra gli enti territoriali compresi nella tabella di cui al
comma 10.
6.1.– Quanto al profilo sub a), occorre considerare che il
complessivo concorso delle Regioni a statuto speciale, così come quello delle
Regioni a statuto ordinario, rientra nella manovra finanziaria che lo Stato
italiano, in quanto membro dell’Unione europea, è tenuto ad adottare per
dimostrare il rispetto dei vincoli di bilancio previsti o concordati in ambito
dell’Unione europea (art. 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea; artt. 2 e 3 del Protocollo n. 12 sulla procedura per i disavanzi
eccessivi). Si tenga, inoltre, conto che con l’introduzione del semestre
europeo per il coordinamento delle politiche economiche da parte del
Regolamento (UE) n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16
novembre 2011 che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio del 7
luglio 1997 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio
nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche – cui
è conseguita la modifica della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di
contabilità e finanza pubblica) da parte dell’art. 1 della legge 7 aprile 2011,
n. 39 (Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove
regole adottate dall’Unione europea in materia di coordinamento delle politiche
economiche degli Stati membri) – è stata anticipata la presentazione e la
valutazione dei programmi di stabilità da parte degli Stati membri. Si tratta,
quindi, di misure legislative statali direttamente riconducibili agli artt. 11
e 117, primo comma, Cost. Considerate, inoltre, le modalità temporali
anticipate di quantificazione di detta manovra, non è ipotizzabile che lo Stato
possa presentare quella inerente al concorso regionale dopo aver completato il
complesso iter di negoziazione con
ciascuno degli enti a statuto speciale interessati.
Conseguentemente, la determinazione
unilaterale preventiva appare funzionale alla manovra e, in quanto tale,
conforme a Costituzione nei termini appresso specificati relativamente al
carattere delle trattative finalizzate all’accordo.
6.2.– Quanto alla questione sub b), non è esatto sostenere che il contributo, così come
determinato dalla legge di stabilità, non sia negoziabile in assoluto: in
proposito l’impugnato comma 11 prevede una riduzione degli obiettivi
programmatici dell’esercizio di riferimento pari alla somma degli importi
analitici indicati nella tabella di cui al precedente comma 10. Dal momento che
la manovra di finanza pubblica prende a riferimento il totale dei contributi
delle autonomie speciali, questi ultimi potrebbero essere singolarmente
rimodulati a condizione dell’invarianza del saldo complessivo.
Tale principio è stato da ultimo
espressamente enunciato nell’art. 46, comma 4, del decreto-legge 24 aprile
2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale,
convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014,
n. 89), il quale dispone: «Gli importi delle tabelle [inerenti al concorso
delle autonomie speciali] possono essere modificati, ad invarianza di concorso
complessivo alla finanza pubblica, mediante accordo tra le regioni e le
province autonome interessate […] in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
Tale riparto è recepito con successivo decreto del Ministero dell’economia e
delle finanze. Il predetto accordo può tener conto dei tempi medi di pagamento dei
debiti e del ricorso agli acquisti centralizzati di ciascun ente interessato».
Occorre tuttavia riconoscere che, ove il
margine di negoziabilità fosse limitato ad una rimodulazione interna tra le
varie componenti presenti nella citata tabella relative alle diverse autonomie
speciali, con obbligo di integrale compensazione tra variazioni attive e
passive, la censura avrebbe fondamento, poiché ogni margine di accordo
comportante un miglioramento individuale dovrebbe essere compensato da un
acquiescente reciproco aggravio di altro ente, difficilmente realizzabile.
Così limitatamente interpretato, il
meccanismo normativo – ancorché astrattamente compatibile con il concetto di
accordo – sarebbe sostanzialmente svuotato dalla prevedibile indisponibilità di
tutti gli enti interessati ad accollarsi l’onere dei miglioramenti destinati ad
altri e, conseguentemente, sarebbe lesivo del principio di leale collaborazione
e dell’autonomia finanziaria regionale.
In realtà, una lettura
costituzionalmente orientata della norma, peraltro confermata dalla prassi ed
in particolare dalla morfologia degli ultimi accordi stipulati in questa
materia tra Governo ed autonomie speciali (Accordo tra il Governo e la Regione
Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 15
ottobre 2014; Accordo tra il Ministro dell’economia e delle finanze e la
Regione siciliana del 9 giugno 2014; Accordo tra il Ministro dell’economia e
delle finanze e la Regione autonoma Sardegna del 21 luglio 2014; Accordo tra il
Ministro dell’economia e delle finanze e la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia del 28 ottobre 2014) dimostra che lo strumento dell’accordo serve a
determinare nel loro complesso punti controversi o indefiniti delle relazioni
finanziarie tra Stato e Regioni, sia ai fini del raggiungimento degli obiettivi
di finanza pubblica nel rispetto dei vincoli europei, sia al fine di evitare
che il necessario concorso delle Regioni comprima oltre i limiti consentiti
l’autonomia finanziaria ad esse spettante. Ciò anche modulando le regole di
evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti, in relazione alla diversità
delle situazioni esistenti nelle varie realtà territoriali.
Per questo motivo, il contenuto degli
accordi, oltre che la riduzione dei programmi in rapporto al concorso della
Regione interessata ad obiettivi di finanza pubblica, può e deve riguardare
anche altri profili di natura contabile quali, a titolo esemplificativo, le
fonti di entrata fiscale, la cui compartecipazione sia quantitativamente
controversa, l’accollo di rischi di andamenti difformi tra dati previsionali ed
effettivo gettito dei tributi, le garanzie di finanziamento integrale di spese
essenziali, la ricognizione globale o parziale dei rapporti finanziari tra i
due livelli di governo e di adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni
svolte o di nuova attribuzione, la verifica di congruità di dati e basi
informative finanziarie e tributarie, eventualmente conciliandole quando
risultino palesemente difformi, ed altri elementi finalizzati al percorso di necessaria
convergenza verso gli obiettivi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.
In definitiva, l’oggetto dell’accordo è
costituito dalle diverse componenti delle relazioni finanziarie che, nel loro
complesso, comprendono e trascendono la misura del concorso regionale. Infatti,
gli obiettivi conseguenti al patto di stabilità esterno sono i saldi
complessivi, non le allocazioni di bilancio. Per questo motivo, ferme restando
le misure finanziarie di contenimento della spesa concordate in sede europea,
le risorse disponibili nel complesso della finanza pubblica allargata ben
possono essere riallocate, a seguito di accordi, anche ad esercizio inoltrato.
Dunque, l’accordo stipulato dalle
autonomie speciali consente la negoziazione di altre componenti finanziarie
attive e passive, ulteriori rispetto al concorso fissato nell’ambito della
manovra di stabilità ed è soprattutto in questo spazio convenzionale che deve
essere raggiunto l’accordo previsto dall’impugnato comma 11.
Il principio dell’accordo non implica un
vincolo di risultato, bensì di metodo (sentenza n. 379 del
1992). Ciò significa che le parti devono porre in essere un confronto realmente
orientato al superiore interesse pubblico di conciliare, nei limiti del
possibile, l’autonomia finanziaria della Regione con l’indefettibile vincolo
comunitario di concorso alla manovra di stabilità.
Il dovere di discussione ricadente su
entrambe le parti comporta che si realizzi, in tempi ragionevolmente brevi, un
serio tentativo di superare le divergenze «attraverso le necessarie fasi
dialogiche, quanto meno articolate nello schema proposta-risposta,
replica-controreplica» (sentenza n. 379 del
1992).
Anche lo Stato, dunque, deve fare in
modo che l’attività di concertazione si svolga secondo comportamenti coerenti e
non contraddittori, tanto in riferimento ai limiti di accoglimento delle
proposte formulate dalle autonomie speciali, quanto in relazione alle possibili
alternative da offrire a queste ultime. Ciò senza dar luogo ad atteggiamenti
dilatori, pretestuosi, ambigui, incongrui o insufficientemente motivati, di
modo che il confronto possa avvenire su basi di correttezza e di apertura
all’altrui posizione.
Proprio in tema di relazioni finanziarie
con le Regioni a statuto speciale, questa Corte ha avuto modo di censurare un
comportamento dello Stato, osservando che «Indubbiamente l’inerzia statale
troppo a lungo ha fatto permanere uno stato di incertezza che determina
conseguenze negative sulle finanze regionali, alle quali occorre
tempestivamente porre rimedio, trasferendo, senza ulteriore indugio, le risorse
determinate a norma dello statuto» (sentenza n. 95 del
2013).
Così interpretata, pertanto, la norma
risulta immune dai dedotti vizi di costituzionalità.
6.3.– Quanto alla censura sub c), secondo la quale le ripartizioni
previste dalla tabella di cui al comma 10 dell’art. 32 della legge n. 183 del
2011 non sarebbero rispettose di criteri prefissati per il riparto del
sacrificio tra le autonomie speciali, è utile osservare che la disciplina delle
relazioni finanziarie tra queste e lo Stato, quale risultante dai principi
costituzionali e dalla normativa in tema di concorso al patto di stabilità e,
più in generale, da quella inerente agli obiettivi di finanza pubblica,
presenta due caratteri indefettibili: a) l’individuazione di criteri obiettivi
e trasparenti per la definizione del riparto; b) la ricerca di soluzioni
condivise tra Stato ed autonomie speciali, finalizzate a bilanciare i principi
costituzionali della stabilità economica e dell’autonomia nel doveroso concorso
degli enti territoriali. La sede naturale per realizzare tale bilanciamento è
stata individuata dal legislatore nella Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.
La disposizione impugnata, sebbene non
menzioni espressamente il coinvolgimento della Conferenza, deve essere
interpretata in modo costituzionalmente orientato attraverso il combinato
disposto con l’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, peraltro invocato dalla stessa
ricorrente. Quest’ultimo prevedeva in subiecta materia sia alcuni criteri di massima, sia il
coinvolgimento della Conferenza stessa. Per la verità il citato art. 14 si
riferisce espressamente alle Regioni a statuto ordinario, ma dai commi 1 e 2
del medesimo articolo si ricava inequivocabilmente che anche il riparto del
concorso indiviso delle autonomie speciali deve essere effettuato secondo
criteri e modalità concordati in sede di Conferenza. Tale interpretazione,
peraltro condivisa dalle stesse ricorrenti, oltre ad essere conforme a
Costituzione, risulta anche l’unica logicamente percorribile.
Propriola dedotta nota del Ministero dell’economia e delle
finanze n. 81651 del 29 settembre 2010 – antecedente all’art. 32, comma 10,
della legge n. 183 del 2011 – testimonia la conforme interpretazione del
collegamento teleologico tra le due disposizioni: essa rivolge, infatti, un
invito alle autonomie speciali a partecipare all’istruttoria finalizzata ad una
proficua intesa, in grado di vincolare in modo imparziale le parti interessate.
La nota così prevede: «l’art. 14, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.
78 ha previsto il concorso delle Regioni e delle province autonome di Trento e
Bolzano al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica […]. Pertanto, al
fine di definire un testo condiviso con le autonomie regionali si propone un
incontro tecnico […]. Al solo scopo di agevolare i lavori è stata predisposta
l’unita bozza di articolato [per …] l’individuazione di puntuali criteri per il
riparto del concorso complessivamente previsto a carico delle regioni a statuto
speciale e province autonome, fermo restando lo strumento dell’accordo di
ciascuna autonomia speciale con il Ministro dell’economia e delle finanze. Nel
ribadire che l’unita bozza di lavoro costituisce un mero esercizio tecnico
aperto, pertanto, a tutte le modifiche o integrazioni che verranno proposte, si
resta in attesa di un cortese ed urgente cenno di riscontro». La tesi del
Ministero conferma che l’intesa è lo strumento per il riparto, mentre l’accordo
è lo strumento bilaterale avente ad oggetto il complesso delle relazioni
finanziarie precedentemente specificate.
Dunque, l’art. 14 del d.l. n. 78 del
2010 fa sistema e completa il citato comma 10 sotto il profilo del procedimento
necessario per raggiungere criteri ed obiettivi condivisi. Perché si realizzi
in concreto tale integrazione tra le citate disposizioni – nel senso di una
previa definizione dei criteri di riparto – occorre, tuttavia, l’intesa fra
tutte le parti interessate, esito non raggiunto (e ancora oggi in itinere) al momento della manovra
annuale successiva all’invito del Ministero dell’economia e delle finanze
precedentemente richiamato. Se non si realizza l’intesa, una determinazione
normativa unilaterale provvisoria dello Stato risulta adempimento indefettibile
per assicurare alla manovra di stabilità la sua naturale scadenza.
In quest’ottica, come di seguito
specificato, anche le norme di coordinamento finanziario successive si sono
orientate nello stesso senso, pur differenziandosi nei criteri di volta in
volta enucleati come base di partenza per realizzare una proficua intesa
nell’ambito della suddetta Conferenza permanente.
Peraltro, non essendo stata raggiunta in
tale sede, fino ad oggi, alcuna intesa specifica per definire preventivamente
il riparto del concorso delle autonomie speciali, lo Stato ha dovuto fare ricorrrso a riferimenti provvisori per assicurare il
rispetto dei vincoli europei, nelle more del raggiungimento di ipotesi
condivise. In questa prospettiva provvisoria deve essere letta l’evoluzione
normativa successiva al d.l. n. 78 del 2010 ed in particolare la formulazione
della norma recentemente adottata dal legislatore statale, l’art. 46, comma 6,
del d.l. n. 66 del 2014, il quale ha cercato di coniugare il principio dell’intesa
con termini specifici per il suo raggiungimento. Esso dispone: «Le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano, in conseguenza dell’adeguamento dei
propri ordinamenti ai principi di coordinamento della finanza pubblica […] ai
sensi dell’articolo 117, comma secondo, della Costituzione, assicurano un
contributo alla finanza pubblica […] in ambiti di spesa e per importi proposti
in sede di autocoordinamento dalle regioni e province
autonome medesime, tenendo anche conto del rispetto dei tempi di pagamento
stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE, nonché dell’incidenza degli acquisti
centralizzati, da recepire con intesa sancita dalla Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 maggio 2014, con
riferimento all’anno 2014 ed entro il 31 ottobre 2014, con riferimento agli
anni 2015 e seguenti. In assenza di tale Intesa entro i predetti termini, con
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottarsi, previa deliberazione
del Consiglio dei ministri, entro 20 giorni dalla scadenza dei predetti
termini, i richiamati importi sono assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti
alle singole regioni e Province autonome di Trento e Bolzano, tenendo anche
conto del Pil e della popolazione residente, e sono eventualmente rideterminati
i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le modalità di
acquisizione delle risorse da parte dello Stato».
Si tratta a ben vedere di una norma che
conferisce scadenze ed ipotesi alternative alla intesa, nel solco del tracciato
concettuale precedentemente ricostruito sulla base della necessaria
conciliazione dei principi scaturenti dai vincoli finanziari europei e di
quelli di tutela delle autonomie.
Alla luce delle esposte argomentazioni,
dunque, si deve concludere che il combinato disposto dell’art. 32, comma 10,
della legge n. 183 del 2011 e dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010 –
successivamente evoluto nella contestuale e più articolata normativa contenuta
nell’art. 46 del d.l. n. 66 del 2014 – presuppone l’individuazione concertata
di criteri per il riparto del concorso individuale delle autonomie speciali al
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. Nelle more del
raggiungimento dell’intesa, detta normativa è finalizzata ad assicurare
l’attuazione dei vincoli sottesi alla manovra di bilancio annuale e
pluriennale.
Vale anche per le problematiche connesse
al raggiungimento dell’intesa quanto osservato precedentemente a proposito
degli accordi circa il vincolo di metodo, che deve caratterizzare le trattative
finalizzate al perfezionamento della stessa.
In questo caso, il dovere di discussione
ricade su tutte le parti interessate, dallo Stato alle autonomie speciali,
attraverso le necessarie fasi dialogiche, le quali, per quanto riguarda
l’intesa, devono assumere una dimensione collegiale improntata alla leale
collaborazione. In tale prospettiva va letto anche il potere di proposta dello
Stato, che deve essere inteso quale base di discussione, idonea a circoscrivere
il thema decidendum e
ad assumere il ruolo di riferimento per le proposte emendative dei soggetti
partecipanti alla Conferenza permanente.
L’adozione unilaterale dei criteri di
riparto «non può pertanto essere prevista come "mera conseguenza automatica del
mancato raggiungimento dell’intesa”, con sacrificio della sfera di competenza
costituzionalmente attribuita alla Regione e violazione, per l’effetto, del
principio di leale collaborazione (sentenza n. 179 del
2012)» (sentenza
n. 39 del 2013).
Fermo restando che il contributo
collaborativo dello Stato in sede istruttoria e nella sede collegiale della
Conferenza non può ridursi alla mera attesa della scadenza del termine (sentenza n. 39 del
2013), la determinazione unilaterale dei criteri deve essere concepita come
rimedio ultimo per assicurare il rispetto dei vincoli europei connessi alla
manovra di bilancio e deve sempre avere una valenza provvisoria in relazione
all’auspicato raggiungimento dell’intesa in tempi utili alle future manovre.
A maggior ragione, considerato il
reiterato fallimento delle trattative fino ad oggi espletate, la determinazione
normativa unilaterale dello Stato deve essere strettamente contenuta secondo
canoni di ragionevolezza e di imparzialità nei confronti dei soggetti chiamati
a concorrere alla dimensione complessiva della manovra. Canoni che nel caso dei
commi 10 e 11 dell’art. 32, letti nel quadro sistematico precedentemente
ricostruito, non risultano violati.
6.4.– Con riguardo al complesso delle
censure riferite ai commi 10 ed 11 può dunque concludersi che la determinazione
unilaterale da parte dello Stato, in assenza di criteri condivisi con le
autonomie speciali, è legittima in quanto assolve provvisoriamente all’onere di
assicurare il raggiungimento, nei termini temporali previsti, degli obiettivi finanziari
delle manovre di bilancio in attesa del perfezionarsi dell’intesa, mentre
l’accordo bilaterale con ciascuna autonomia costituisce momento di ricognizione
e di eventuale ridefinizione delle relazioni finanziarie tra lo Stato e l’ente
territoriale.
Alla luce delle esposte ragioni la
normativa oggetto di scrutinio risulta immune da vizi di costituzionalità e le
censure proposte nei confronti dei commi 10 e 11 non risultano fondate.
7.– La questione proposta dalla Regione siciliana nei
confronti dell’art. 32, comma 16, della legge n. 183 del 2011 non è fondata.
La norma impugnata dispone che «Le
regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano
concorrono al riequilibrio della finanza pubblica, oltre che nei modi stabiliti
dai commi 11, 12 e 13, anche con misure finalizzate a produrre un risparmio per
il bilancio dello Stato, mediante l’assunzione dell’esercizio di funzioni
statali, attraverso l’emanazione, con le modalità stabilite dai rispettivi
statuti, di specifiche norme di attuazione statutaria; tali norme di attuazione
precisano le modalità e l’entità dei risparmi per il bilancio dello Stato da
ottenere in modo permanente o comunque per annualità definite». Dalla
formulazione della stessa emerge chiaramente che la sua applicazione è
condizionata al rispetto degli statuti delle autonomie speciali, sia in termini
procedurali che sostanziali, ed è proprio per questo motivo che non può essere
considerata lesiva dell’autonomia regionale come sostenuto dalla ricorrente.
Come già affermato da questa Corte, il
principio dell’autonomia regionale deve essere contemperato con gli obiettivi e
i vincoli di risparmio concordati in sede europea (sentenza n. 118 del
2012). Detti obiettivi non si esauriscono negli ambiti discrezionali
dell’accordo, ma possono – nell’indefettibile rispetto delle norme statutarie –
prevedere, come nel caso in esame, forme di riorganizzazione delle funzioni
amministrative e del loro riparto tra Stato e Regioni, capaci di produrre
effetti favorevoli in termini di efficienza ed economicità.
8.– Con riguardo alla questione proposta dalla Regione
autonoma Valle d’Aosta nei confronti dell’art. 32, comma 17, della legge n. 183
del 2011 deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
La disposizione, nella formulazione
originaria, fissava la propria decorrenza a partire dall’esercizio 2013. È
stata poi modificata dapprima dall’art. 1, comma 433, lettere a), b)
e c), della legge n. 228 del 2012 –
il quale ha sostituito l’inciso «a decorrere dall’anno 2013» con quello «a
decorrere dall’anno 2014» – e successivamente dall’art. 1, comma 505, lettere a), b),
c) e d) della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità
2014), che ne ha posticipato ulteriormente l’entrata in vigore all’esercizio
2015. Infine, l’art. 1, comma 493, della legge 23 dicembre 2014, n. 190
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge di stabilità 2015), ne ha disposto l’abrogazione a decorrere dal 1°
gennaio 2015.
In ragione delle modifiche intervenute
il comma 17 non ha, dunque, avuto concreta applicazione nei tre anni di vigenza
e la successiva abrogazione è completamente satisfattiva delle pretese della
ricorrente.
9.– Anche per la questione proposta dalla Regione
siciliana nei confronti dell’art. 32, comma 22, della legge n. 183 del 2011
deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
La norma impugnata stabilisce che
«Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 7, comma 1, del decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 149». L’art. 7 del decreto legislativo 6
settembre 2011, n. 149 (Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni,
province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009,
n. 42), è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nel testo risultante
dalle modifiche introdotte dall’art. 1 della legge n. 228 del 2012, «nella parte
in cui si applica alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome» (sentenza n. 219 del
2013). Pertanto, il precetto legislativo così modificato non è più
riferibile alla Regione siciliana, in quanto ente territoriale a statuto
speciale.
10.– Le questioni proposte dalla Regione autonoma Valle
d’Aosta /Vallée d’Aoste nei confronti dell’art. 32, commi 19, 22, 23,
24 e 25, della legge n. 183 del 2011 sono inammissibili.
Le relative censure sono espresse nel
ricorso in relazione a «tutti i motivi già fatti valere con riferimento
all’art. 7 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149 […] da intendersi in questa sede
integralmente trascritti». In tale maniera esse sono dedotte in modo puramente
assertivo ed, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte, non
può valere a colmare l’anzidetta lacuna il semplice rinvio ad un precedente
atto.
Proprio con riguardo ad altra questione
inerente allo stesso ricorso questa Corte ha affermato che «la Regione autonoma
Valle d’Aosta si è limitata a rinviare ai "motivi […] già fatti valere con
riferimento al d.lgs. n. 149 del 2011”, il cui art. 7 essa aveva impugnato con
il ricorso n. 157 del 2011. Una tale motivazione dell’odierno ricorso, esclusivamente
per relationem, ne comporta, per ciò
stesso, l’inammissibilità (sentenze n. 68 del 2011,
n. 40 del 2007,
per tutte)» (sentenza
n. 175 del 2014).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta /Vallée d’Aoste, dalla Provincia autonoma di Trento, dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige /Südtirol e dalla Regione siciliana con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2012), promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 1, 10, 12, 13, 16, 17, 19, 22, 24, 25 e 26 della legge n. 183 del 2011, promosse dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 1, 10, 12, 16, 17, 19, 22, 24, 25 e 26, della legge n. 183 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 17, della legge n. 183 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 22, della legge n. 183 del 2011, promosse dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 19, 22, 23, 24 e 25, della legge n. 183 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta /Vallée d’Aoste con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 10, della legge n. 183 del 2011, promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in riferimento al principio di leale collaborazione, agli artt. 2, primo comma, lettera a), 3, primo comma, lettera f), 12, 48-bis e 50 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), in relazione alla normativa di attuazione di cui alla legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della Regione Valle d’Aosta), nonché in riferimento agli artt. 3, 5, 117, terzo e sesto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione ed all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione);
8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 10, 11 e 16 della legge n. 183 del 2011, promosse dalla Regione siciliana in riferimento agli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana) ed al principio di leale collaborazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10
febbraio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2015.