SENTENZA N.
179
ANNO 2012
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario
Rosario MORELLI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’articolo 49, commi 3, 4, 4-quater, e 4- quinquies
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78
(Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi dalle Regioni Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, Toscana, Liguria, Emilia-Romagna e Puglia,
notificati il 24-27 e il 28 settembre 2010, depositati in cancelleria il 28 e
il 30 settembre, il 6 e il 7 ottobre 2010 e rispettivamente iscritti ai nn. 96, 97, 102, 106 e 107 del registro ricorsi 2010.
Visti gli
atti di costituzione di Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica dell’8 maggio 2012 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;
uditi gli
avvocati Ulisse Corea per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, Giandomenico Falcon
per le Regioni Liguria ed Emilia-Romagna, Stefano Grassi per la Regione Puglia,
Marcello Cecchetti per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Antonio
Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso (reg. ric. n. 96 del 2010), depositato il 28 settembre 2010, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha promosso questione di legittimità costituzionale in via principale, fra l’altro, dell’articolo 49, commi 4-quater e 4-quinquies, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento all’art. 117, quarto e sesto comma, della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché in riferimento agli articoli 2, primo comma, lettere g), p) e q), e 3, primo comma, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) ed alle relative norme di attuazione, nonché, in subordine, al principio di leale collaborazione.
1.1.— In particolare, la ricorrente sostiene che i commi
4-quater e 4-quinquies dell’art. 49 del citato d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui demandano a
regolamenti governativi di delegificazione il compito di dettare una disciplina
volta alla semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi
gravanti sulle piccole e medie imprese, al fine di promuovere lo sviluppo del
sistema produttivo e la competitività delle imprese, inciderebbero anche su
materie spettanti alla competenza legislativa della Regione medesima. Le
richiamate disposizioni, infatti, toccherebbero sia settori (industria,
commercio) riconducibili alla competenza regionale residuale di cui all’art.
117, quarto comma, Cost., attribuibile alla Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste in virtù
dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, in
relazione ai quali la potestà regolamentare non spetta allo Stato, sia settori
(artigianato, industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio;
urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza turistica)
spettanti alla competenza piena o alla competenza integrativo-attuativa della
Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ai sensi
dell’art. 2, primo comma, lettere g),
p) e q) dell’art. 3, primo comma, dello statuto speciale.
In
sintesi, la ricorrente ritiene che la disciplina introdotta dall’art. 49, commi
4-quater e 4-quinquies, non possa ascriversi, nella sua totalità, ad una
competenza esclusiva dello Stato, insistendo, in modo prevalente, su ambiti di
legislazione regionale. Pertanto, il rinvio ad un regolamento governativo per
la disciplina degli adempimenti amministrativi cui sono tenute le piccole e
medie imprese si porrebbe in immediato contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., in base al quale la potestà regolamentare spetta
allo Stato soltanto nelle materie di legislazione esclusiva, fatta salva la
possibilità di delega alla Regione.
In
subordine, la Regione sostiene che, qualora si volesse rintracciare il
fondamento dell’intervento del legislatore statale nella necessità di
soddisfare esigenze unitarie che devono essere sottoposte ad una
regolamentazione uniforme, vi sarebbe comunque una violazione del principio di
leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
giacché le disposizioni censurate non prevedono alcun meccanismo di raccordo e
di concertazione con il sistema delle autonomie territoriali e segnatamente con
la Regione autonoma Valle d’Aosta. La previsione statale relativa al citato istituto
della delegificazione, in grado di determinare l’abrogazione delle norme
regolatrici della materia adottate dalla Regione autonoma Valle d’Aosta
nell’esercizio delle proprie competenze normative, costituzionalmente garantite
nel settore dello sviluppo economico e competitività delle piccole e medie
imprese in assenza di meccanismi di concertazione e raccordo, sarebbe del tutto
sproporzionata rispetto alla finalità perseguita per violazione del principio
di leale collaborazione e quindi costituzionalmente illegittima.
2.—
Con ricorso (reg. ric. n. 106 del 2010), depositato il 6 ottobre 2010, anche la
Regione Emilia-Romagna ha promosso questione di legittimità costituzionale in
via principale dell’art. 49, comma 4-quater,
del citato d.l. n. 78 del 2010, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, in relazione all’art. 117, commi
terzo, quarto e sesto, Cost. ed al principio di leale
collaborazione.
In
particolare, la Regione sostiene che la disposizione impugnata, nella parte in
cui reca una disciplina volta alla semplificazione e riduzione degli
adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese, al fine di
promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitività delle imprese,
prevedendo il ricorso allo strumento della delegificazione, sia
costituzionalmente illegittima in quanto consentirebbe allo Stato di
intervenire, con atti di natura regolamentare, a disciplinare materie di
competenza regionale.
3.—
In entrambi i giudizi, si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, in quanto tardivo, e
comunque sia respinto.
L’Avvocatura
generale dello Stato ritiene, infatti, che l’art. 49, comma 4-quater, in quanto volto ad introdurre
una significativa semplificazione del procedimento amministrativo riguardante
le piccole e medie imprese, sia ispirato alla tutela della concorrenza, e valga
solo per le norme di competenza statale, stanti i richiami all’art. 20 e
seguenti della legge n. 59 del 1997.
4.—
Con ricorso (reg. ric. n. 97 del 2010), depositato il 30 settembre 2010, la
Regione Toscana ha promosso questione di legittimità costituzionale in via
principale, fra l’altro, dell’art. 49, comma 3, del citato d.l.
n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che
sostituisce i commi 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater dell’art. 14-quater
della legge 7 agosto 1990, n. 241
(Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso
ai documenti amministrativi), in riferimento all’art. 117, terzo e
quarto comma, Cost., anche sotto il profilo della
violazione del principio di leale collaborazione, ed in riferimento all’art.
120 Cost.
4.1.—
La Regione premette che il nuovo comma 3 dell’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990 disciplina il superamento del
dissenso espresso da amministrazioni preposte alla tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della
salute e della pubblica incolumità in sede di Conferenza di servizi, prevedendo
che, a fronte di tale dissenso, «la questione, in attuazione e nel rispetto del
principio di leale collaborazione e dell’articolo 120 della Costituzione, è
rimessa dall’amministrazione procedente alla deliberazione del Consiglio dei
ministri, che si pronuncia entro sessanta giorni, previa intesa con la Regione
o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra
un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali,
ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di
dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più
enti locali. Se l’intesa non è raggiunta nei successivi trenta giorni, la
deliberazione del Consiglio dei Ministri può essere comunque adottata. Se il
motivato dissenso è espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una
delle materie di propria competenza, il Consiglio dei Ministri delibera in
esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti
delle Regioni o delle Province autonome interessate».
Tale
previsione inciderebbe su molteplici competenze regionali, quali il governo del territorio, la valorizzazione
dei beni culturali ed ambientali, la tutela della salute, il turismo ed il
commercio. Proprio in tali casi, quando cioè vi sia una forte
interferenza fra competenze e funzioni statali e regionali, osserva la
ricorrente, occorre raggiungere un’intesa che, alla stregua della giurisprudenza
costituzionale formatasi con riguardo alla "chiamata in sussidiarietà” deve
avere natura "forte”, nel senso che il suo mancato raggiungimento impedisce la
decisione finale.
Ad
avviso della ricorrente, invece, il nuovo terzo comma dell’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990, a
modifica della disciplina previgente che dettava procedimenti complessi di
superamento del dissenso fra amministrazioni diverse in sede di Conferenza, a
tutela dei livelli di competenza delle Regioni e degli enti locali coinvolti,
sostanzialmente porrebbe la Regione in una posizione di subordinazione rispetto
a quella statale, consentendo la determinazione unilaterale governativa in caso
di mancato raggiungimento dell’intesa nel termine di trenta giorni dalla
rimessione della questione al Consiglio dei ministri, in violazione degli artt.
117 e 118 Cost., nonché del principio di leale
collaborazione.
Le
disposizioni censurate sarebbero inoltre costituzionalmente illegittime anche
sotto un altro profilo. Esse, infatti, equiparando il caso di contrasto fra
un’amministrazione statale ed un’amministrazione locale a quello del contrasto
fra amministrazioni locali ed amministrazione regionale, senza che sia
possibile comprendere, nel secondo caso, quali esigenze di esercizio unitario
possano giustificare la remissione della decisione al Consiglio dei ministri,
esproprierebbero la Regione di proprie competenze, in assenza di qualsiasi
elemento utile a predeterminare l’ambito di operatività di una simile
avocazione di compiti allo Stato, nonché a giustificare la stessa necessità di
tale avocazione decisionale.
Sarebbe,
inoltre, violato anche l’art. 120 Cost., posto che il
nuovo terzo comma dell’art. 14-quater
della legge n. 241 del 1990 disciplinerebbe un’ipotesi di potere sostitutivo
straordinario al di fuori dei limiti indicati dalla citata norma
costituzionale, per la quale è necessario il previo verificarsi di un
inadempimento dell’ente sostituito rispetto ad un’attività ad esso imposta come
obbligatoria. Tale, infatti, non potrebbe essere considerato il raggiungimento
dell’intesa prevista per l’esercizio di una funzione amministrativa da parte
dello Stato a seguito di "chiamata in sussidiarietà”, come riconosciuto dalla
Corte costituzionale anche nella recente sentenza n. 278 del
2010.
5.— Con ricorso (reg. ric. n. 102 del
2010), depositato il 6 ottobre 2010, anche la Regione Liguria ha promosso
questione di legittimità costituzionale in via principale dell’art. 49, comma
3, lettera b), nonché comma 4, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 122 del 2010. L’art. 49, comma
3, è censurato nella parte in cui, modificando l’art.14-quater della legge n. 241 del 1990, nel caso di dissenso espresso,
in sede di conferenza di servizi, dalla Regione in materie di propria
spettanza, attribuisce la competenza decisionale al Consiglio dei ministri,
determinando una palese violazione dell’autonomia amministrativa regionale e
dunque dell’art. 118 Cost. Anche il richiamo all’art.
120 Cost. sarebbe inidoneo a giustificare la
competenza del Consiglio dei ministri, data la palese mancanza dei presupposti
ivi prescritti per l’esercizio del potere sostitutivo. In ogni caso, poi,
difetterebbe sia il carattere obbligatorio dell’atto omesso, sia la previsione
della necessaria intesa forte, con conseguente violazione degli artt. 117 e 118
Cost e del principio di leale collaborazione. Né la
mancata previsione della suddetta intesa "forte” potrebbe – secondo la Regione
Liguria – essere in alcun modo surrogata dalla partecipazione dei Presidenti
delle Regioni o delle Province autonome interessate alla seduta del Consiglio
dei ministri che esercita il potere sostitutivo, posto che una simile
partecipazione si limita a portare nel Consiglio la voce della Regione, senza
tradursi in un potere di "codeliberazione”.
La
predetta norma è, infine, censurata anche in "combinato disposto” con l’art.
49, comma 4, del medesimo d.l. n. 78 del 2010, nella
parte in cui quest’ultimo, novellando l’art. 29 della legge n. 241 del 1990,
attribuisce alle disposizioni della stessa legge n. 241 concernenti la
conferenza di servizi il carattere di norme attinenti ai livelli essenziali
delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., con
l’evidente scopo di renderle vincolanti nei confronti delle Regioni. La Regione
Liguria contesta che la disciplina della conferenza di servizi attenga
effettivamente ai livelli essenziali delle prestazioni: con le richiamate
disposizioni non si stabilirebbe alcuno standard qualitativo o quantitativo di
prestazioni determinate, attinenti a questo o a quel diritto civile o sociale
garantito dalla stessa Costituzione, ma si regolerebbe lo svolgimento
dell’attività amministrativa, in settori vastissimi ed indeterminati, alcuni di
competenza regionale, quali il governo del territorio, la tutela della salute,
l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo, il commercio.
6.— Il citato art. 49, comma 3, lettera b), è stato, infine, impugnato
dalla Regione Puglia, con ricorso (reg. ric. n. 107 del 2010), depositato il 7
ottobre 2010, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118,
primo e secondo comma, e 120, secondo comma, Cost.
In particolare, la Regione sostiene che
la norma impugnata, che pone una nuova regolamentazione in materia di
conferenza di servizi, sostituendo integralmente i commi 3, 3-bis, 3-ter e 3-quater dell’art.
14-quater della legge n. 241 del
1990, violerebbe il primo comma dell’art. 118 Cost.,
in quanto avocherebbe a livello statale un fascio di competenze amministrative
senza che ciò sia in alcun modo giustificato dal principio di sussidiarietà,
non sussistendo quelle esigenze di esercizio unitario che sole, ai sensi
dell’art. 118 Cost., potrebbero giustificare una
simile avocazione. La predetta violazione sarebbe resa palese dal generale
ambito di applicazione della normativa denunciata, la quale opera la richiamata
avocazione allo Stato delle funzioni amministrative, prescindendo dalle situazioni
che caratterizzano ciascuna di esse e dunque dalla concreta ed effettiva
sussistenza delle esigenze di esercizio unitario.
L’art. 118, primo comma, Cost. sarebbe poi violato anche sotto un ulteriore profilo.
La norma impugnata, nella parte in cui
attribuisce la decisione circa il provvedimento da adottare al Consiglio dei
ministri all’esito dell’infruttuoso svolgimento della conferenza di servizi,
delineerebbe un’ipotesi di esercizio di potere sostitutivo ordinario che non
soddisfa i requisiti elaborati dalla giurisprudenza costituzionale sul punto.
Essa, infatti, stabilisce che la decisione del Consiglio dei ministri è
destinata ad intervenire non già per riparare ad una inerzia dell’ente
(regionale o locale) titolare della funzione, ma per sostituire alla
valutazione (negativa) di quest’ultimo (diniego espresso in sede di conferenza
di servizi), una diversa valutazione operata dallo Stato.
L’art. 49, comma 3, lettera b), si porrebbe altresì in contrasto con
l’art. 120, secondo comma, Cost.
Detta norma, infatti, nel consentire al
Governo di sostituirsi agli altri enti territoriali nell’eventualità che uno di
essi non presti il proprio assenso nell’ambito della conferenza di servizi,
contrasterebbe con quanto prescritto dall’art. 120, secondo comma, Cost., il quale prevede che nel caso concreto debba
esistere il rischio della lesione di uno degli interessi dal medesimo tutelati
per poter procedere alla surrogazione; rischio che non può essere meramente
presunto in astratto, ma deve risultare accertato e motivato in relazione al
caso concreto. L’esercizio del potere sostitutivo sarebbe, peraltro,
autorizzato non già in presenza di un’inerzia alla quale far fronte, ma in
presenza di un comportamento amministrativo commissivo, estrinsecatesi nel
diniego di consenso in sede di conferenza.
La Regione deduce, inoltre,
l’illegittimità costituzionale della suddetta norma anche in relazione all’art.
117, terzo e quarto comma, Cost., in quanto detta
norma avrebbe un ambito di applicazione generalizzato e coinvolgerebbe, quindi,
anche procedimenti destinati ad esplicarsi in ambiti materiali di competenza
regionale concorrente o residuale.
Essa, inoltre, si porrebbe in contrasto
con il secondo comma dell’art. 118 Cost. in quanto,
realizzando un’allocazione di funzioni amministrative in modo generalizzato ed
indifferenziato, prescindendo dalla materia in cui tali funzioni sono destinate
a svolgersi, inciderebbe anche su procedimenti amministrativi che ricadono in
ambiti di competenza regionale concorrente o residuale.
7.— In tutti e tre
i predetti giudizi (reg. ric. nn. 97, 102 e 107 del
2010) si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia
rigettato.
In via preliminare, il resistente
eccepisce la tardività del ricorso proposto avverso le norme del d.l. n. 78 del 2010 non modificate in sede di conversione
e, quindi, in ipotesi, immediatamente lesive.
Nel merito, l’Avvocatura generale dello
Stato ritiene che l’art. 49, comma 3, nella parte in cui modifica la disciplina
del procedimento amministrativo della conferenza di servizi, essendo norma
volta ad attuare una semplificazione procedurale, sfugga ad ogni censura di
illegittimità costituzionale, anche nella parte in cui regola l’intervento
sostitutivo del Consiglio dei ministri, a seguito dell’infruttuoso esperimento
della conferenza. Nella specie si sarebbe, infatti, in presenza di una
situazione inerente ai livelli essenziali delle prestazioni civili, avendo il
cittadino diritto ad ottenere una determinazione finale altrimenti paralizzata
dal dissenso opposto da una amministrazione preposta alla tutela ambientale,
culturale o sanitaria.
8.— Nell’imminenza dell’udienza
pubblica, le parti hanno depositato memorie con le quali hanno insistito per
l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.
In
particolare, la Regione Liguria, con riferimento all’art. 49, comma 3, lettera b), del d.l.
n. 78 del 2010, ribadisce le censure già proposte, rilevando che esso è stato
oggetto di una modifica puramente formale ad opera dell’art. 5, comma 2,
lettera b), numero 1), del
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni
urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio
2011, n. 106, che ne conferma la lesività.
9.— Anche all’udienza
pubblica la parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte
nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1.— La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (reg. ric. n. 96
del 2010), la Regione Toscana (reg. ric. n. 97 del 2010), la Regione Liguria
(reg. ric. n. 102 del 2010), la Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 106 del
2010) e la Regione Puglia (reg. ric. n. 107 del 2010) hanno promosso questioni
di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 31
maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e
di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30
luglio 2010, n. 122.
In particolare, le Regioni Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ed Emilia-Romagna
hanno impugnato i commi 4-quater e 4-quinquies dell’articolo 49 del d.l. n. 78 del 2010, le Regioni Toscana, Liguria e Puglia
hanno impugnato il comma 3, in specie lettera b), del citato art. 49, mentre la sola Regione Liguria ha impugnato
anche il comma 4 del medesimo art. 49.
Riservata a
separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni
contenute nel suddetto decreto-legge n. 78 del 2010, debbono essere qui
esaminate le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto l’art.
49, commi 3, lettera b), 4, 4-quater, e 4-quinquies, del d.l. n. 78 del 2010, in riferimento all’articolo 117,
terzo, quarto e sesto comma, della Costituzione, in combinato disposto con
l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché in
riferimento agli articoli 2, primo comma, lettere g), p) e q), e 3, primo comma, lettera a), della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) ed alle relative
norme di attuazione, nonché, in subordine, al principio di leale
collaborazione.
2.— In considerazione
della parziale identità delle norme impugnate e delle censure proposte con i
suddetti ricorsi, i giudizi, come sopra delimitati, devono essere riuniti per
essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia.
3.— La difesa del
Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito in via preliminare la
tardività di tutti i ricorsi, in quanto proposti avverso disposizioni della
legge di conversione già contenute, nell’identico testo, nel decreto-legge n.
78 del 2010 e non impugnate tempestivamente.
L’eccezione va
rigettata.
Come
ripetutamente affermato da questa Corte, «la Regione, qualora si ritenga lesa
nelle proprie competenze costituzionali da un decreto-legge, può impugnarlo nei
termini previsti dall’art. 127 Cost. (con il rischio,
però, che l’iniziativa di investire la Corte resti vanificata dall’eventualità
di una mancata conversione) oppure riservarsi di impugnare la sola legge di
conversione, che rende permanente e definitiva la normativa dettata con il
decreto-legge. La conversione in legge, infatti, ha l’effetto di reiterare, con
la novazione della fonte, la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere
della Regione» (sentenze
n. 151 e n.
148 del 2012, n.
232 del 2011 e n. 430 del 2007).
Deve,
pertanto, riconoscersi la tempestività delle impugnazioni, pur se relative a
disposizioni del d.l. n. 78 del 2010 non modificate
in sede di conversione (sentenza n. 148 del
2012).
4.— Nel merito, la
Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (reg. ric. n. 96 del 2010) e la Regione
Emilia-Romagna (reg. ric. n. 106 del 2010) hanno promosso questione di
legittimità costituzionale dell’art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, del
d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui demanda a
regolamenti governativi di delegificazione il compito di dettare una disciplina
volta alla semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi
gravanti sulle piccole e medie imprese, al fine di promuovere lo sviluppo del
sistema produttivo e la competitività delle imprese.
Così
disponendo, detta norma violerebbe anzitutto l’art. 117, commi terzo, quarto e
sesto, Cost. in quanto inciderebbe in ambiti
materiali (industria, commercio) riconducibili alla competenza regionale
residuale o concorrente, che è attribuibile anche alla Regione autonoma Valle
d’Aosta in virtù dell’art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001, consentendo allo Stato di intervenire su di essi con atti di natura
regolamentare. La Regione autonoma Valle d’Aosta lamenta anche la violazione
dell’art. 2, primo comma, lettere g),
p) e q), e dell’art. 3, primo comma, lettera a), dello statuto speciale per la Valle d’Aosta in quanto la norma
impugnata inciderebbe in ambiti materiali (artigianato, industria alberghiera,
turismo e tutela del paesaggio; urbanistica, piani regolatori per zone di
particolare importanza turistica) che lo statuto assegna alla competenza
primaria ovvero attuativa-integrativa di leggi della Regione autonoma Valle
d’Aosta.
In subordine
la Regione autonoma Valle d’Aosta ritiene che, anche a voler sostenere che
l’intervento del legislatore statale trovi fondamento nella necessità di
soddisfare esigenze unitarie, esso sarebbe comunque illegittimo per violazione
del principio di leale collaborazione, giacché le disposizioni censurate non
prevedono alcun meccanismo di raccordo e di concertazione con il sistema delle
autonomie territoriali.
4.1.— La questione non è fondata nei
termini di seguito precisati.
Le disposizioni impugnate demandano al
Governo il compito di individuare, tramite regolamenti di delegificazione, i
soli casi nei quali l’attività delle predette imprese debba restare
assoggettata agli adempimenti amministrativi, nel rispetto di criteri,
stabiliti dalle medesime, in termini assolutamente generali (fra i principi e
criteri direttivi contenuti in esse vi è, ad esempio, quello di eliminare le
autorizzazioni, licenze, permessi ovvero dichiarazioni, attestazioni,
certificazioni, comunque denominati, nonché gli adempimenti amministrativi e le
procedure "non necessarie” ovvero non proporzionate «in relazione alla
dimensione dell’impresa e al settore di attività, nonché alle esigenze di
tutela degli interessi pubblici coinvolti»: così le lettere a e b
del comma 4-quater dell’art. 49
del d.l. n. 78 n. 2010, come convertito dalla legge
n. 122 del 2010), con la conseguente abrogazione di tutte le disposizioni che
prevedano ulteriori adempimenti.
Dette disposizioni si inseriscono, in maniera evidente, nel novero di quegli interventi legislativi volti a realizzare la semplificazione amministrativa, le cui basi normative originarie si rintracciano nella legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), (oggetto delle modifiche introdotte dall’impugnato art. 49) e nell’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa) e successive modificazioni, sulla cui scia si collocano gli interventi normativi successivi.
In particolare, proprio con riguardo agli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese, il legislatore statale, con la legge di semplificazione 28 novembre 2005, n. 246 (Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005), da un lato, aveva delegato al Governo il riassetto delle disposizioni di legislazione statale esclusiva vigenti in tema di oneri burocratici a carico delle imprese nelle materie di competenza statale; dall’altro, aveva previsto la possibilità di intese e accordi tra Stato e Regioni al fine della semplificazione dei predetti oneri burocratici a carico delle imprese nelle materie di competenza regionale. Sulla base di tale previsione, in data 29 marzo 2007 veniva peraltro raggiunto in sede di Conferenza Stato-Regioni un accordo tra Stato e autonomie territoriali proprio sulla semplificazione e la qualità della regolazione, pur ribadendosi che non si sarebbe potuto incidere in alcun modo sull’autonomia dei Consigli regionali.
Nella medesima direzione, l’art. 19
della legge 11 novembre 2011, n. 180 (Norme per la tutela della libertà
d’impresa. Statuto delle imprese) ha stabilito che «Le regioni promuovono la
stipula di accordi e di intese in sede di Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, al fine
di favorire il coordinamento dell’esercizio delle competenze normative in
materia di adempimenti amministrativi delle imprese, nonché il conseguimento di
ulteriori livelli minimi di liberalizzazione degli adempimenti connessi allo
svolgimento dell’attività d’impresa sul territorio nazionale, previe
individuazione delle migliori pratiche e verifica dei risultati delle
iniziative sperimentali adottate dalle regioni e dagli enti locali».
Dalle richiamate disposizioni emerge con
chiarezza che il legislatore statale, pur perseguendo l’obiettivo della
semplificazione amministrativa, ha dovuto tener conto dell’impossibilità di
trattare in maniera unitaria una categoria eterogenea quale quella delle
semplificazioni amministrative incidenti genericamente sulle imprese, operanti
nei settori più disparati, molti dei quali di competenza regionale.
A tal proposito, questa Corte ha già
osservato che «non è (…) configurabile una materia "impresa”, disgiunta dai
settori (riconducibili, tra l’altro, esemplificativamente, all’agricoltura, al
commercio, al turismo, all’industria) nei quali le imprese operano» (sentenza n. 63 del
2008), di talché, così come non si può ritenere che esista una ipotetica
materia "impresa”, non espressamente prevista e quindi di competenza residuale
delle Regioni (sentenza
n. 63 del 2008), neppure é possibile ravvisare un titolo di competenza
statale esclusiva a cui ricondurre una simile disciplina. La pretesa incidenza
sulla concorrenza della prevista riduzione degli adempimenti amministrativi
gravanti sulle imprese, costituisce, infatti, un effetto puramente indiretto o
riflesso e comunque eventuale di simili misure legislative. Né la riconduzione
delle stesse alla competenza statale in materia di tutela della concorrenza può
desumersi dal riferimento a generiche finalità di promozione dello sviluppo del
sistema produttivo e della competitività delle imprese che pure vengano
espressamente evocate – come nel caso di specie – dalle norme statali. Infatti,
al di là della non necessaria coincidenza delle predette finalità con quella
della tutela della concorrenza, questa Corte ha ripetutamente affermato che «ai
fini del giudizio di legittimità costituzionale, la qualificazione legislativa
non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quella ad esse propria,
quale risulta dalla loro oggettiva sostanza» (sentenze n. 207 del
2010, n. 447
del 2006 e n.
482 del 1995), che si desume dall’oggetto e dalla disciplina delle
medesime, dalla ratio perseguita,
tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi (sentenze n. 430,
n. 169 e n. 165 del 2007).
In questa cornice si inserisce
l’impugnato art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, del d.l. n. 78 del 2010.
Le citate disposizioni, nella parte in
cui stabiliscono, testualmente, che «il Governo è autorizzato ad adottare uno o
più regolamenti ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988,
n. 400, (...) volti a semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi
gravanti sulle piccole e medie imprese (…)», precisano che ciò deve avvenire
«nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter della legge
15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni». In particolare il citato
art. 20, nell’attribuire al Governo il compito di adottare un disegno di legge
per la semplificazione e l’eventuale adozione anche di regolamenti, ai sensi
dell’art. 17, commi 1 e 2, della legge n. 400 del 1988, precisa, al comma 2,
che l’adozione dei predetti regolamenti può essere prevista solo «per le norme
regolamentari di competenza dello Stato». La medesima norma, al comma 3-bis introdotto con la legge di semplificazione
n. 246 del 2005, poi, nel demandare al Governo il compito di realizzare una
«raccolta organica delle norme regolamentari regolanti la medesima materia», ha
precisato che ciò può e deve fare «nelle materie di competenza esclusiva dello
Stato».
Da tali richiami risulta, pertanto,
evidente che anche l’art. 49, commi 4-quater e 4-quinquies, del d.l. n. 78 del 2010 delimita
la competenza del Governo all’adozione di regolamenti di semplificazione nelle
sole materie di competenza statale esclusiva, senza quindi determinare alcuna
lesione delle competenze regionali, in linea con quanto stabilito dal sesto
comma dell’art. 117 Cost. ed in armonia con il
principio affermato da questa Corte secondo il quale «alla fonte secondaria
statale è inibita in radice la possibilità di vincolare l’esercizio della
potestà legislativa regionale o di incidere su disposizioni regionali
preesistenti (sentenza
n. 22 del 2003); e neppure i principî di sussidiarietà e adeguatezza
possono conferire ai regolamenti statali una capacità che è estranea al loro
valore, quella cioè di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario»
(sentenza n. 303
del 2003).
Ove, tuttavia,
in applicazione del suddetto art. 49,
commi 4-quater e 4-quinquies,
fossero adottati regolamenti di delegificazione invasivi delle sfere di
competenza legislativa regionale, residuale o concorrente, è avverso di
essi che le Regioni ben potranno esperire gli ordinari rimedi giurisdizionali,
nonché eventualmente il ricorso avanti a questa Corte in sede di conflitto di
attribuzione a tutela dei predetti ambiti di competenza (sentenza n. 33 del
2011; sentenza
n. 322 del 2009).
5.— Le Regioni Toscana, Liguria e Puglia
hanno impugnato l’art. 49, comma 3, lettera b),
del d.l. n. 78 del 2010, come convertito dalla legge
n. 122 del 2010, il quale, introducendo il nuovo terzo comma dell’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990,
disciplina il superamento del dissenso espresso da amministrazioni preposte
alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio
storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità in
sede di conferenza di servizi. Tale disposizione stabilisce che, nel predetto
caso di dissenso, «la questione (…) è rimessa dall’amministrazione procedente
alla deliberazione del Consiglio dei ministri, che si pronuncia entro sessanta
giorni, previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome
interessate, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale
o tra più amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli
enti locali interessati, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o
regionale e un ente locale o tra più enti locali».
In
particolare, il citato art. 49, comma 3, lettera b), è censurato, sotto svariati profili, nella parte in cui
prescrive che, se la predetta «intesa non è raggiunta nei successivi trenta
giorni, la deliberazione del Consiglio dei ministri può essere comunque
adottata», e che, ove «il motivato dissenso sia espresso da una Regione o da
una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, il Consiglio
dei Ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la
partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome
interessate».
Così
disponendo essa, in primo luogo, invaderebbe la sfera di competenza legislativa
regionale di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
in quanto, avendo un ambito di applicazione generalizzato, coinvolgerebbe anche
procedimenti destinati ad esplicarsi in ambiti materiali di competenza
regionale concorrente o residuale, oltre a ledere l’autonomia amministrativa
regionale, di cui all’art. 118 Cost.
Ove si assuma,
poi, che essa sia dettata per il soddisfacimento di esigenze unitarie, sarebbe
comunque costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione,
consentendosi al Consiglio dei ministri di assumere la determinazione in
maniera unilaterale, in spregio al carattere forte dell’intesa prescritta.
Essa, inoltre,
disciplinerebbe un’ipotesi di potere sostitutivo straordinario al di fuori dei
casi e dei limiti indicati dall’art. 120 Cost.
La medesima
disposizione è, inoltre, censurata in specie dalla Regione Liguria, in "combinato
disposto” con l’art. 49, comma 4, del d.l. n. 78 del
2010, nella parte in cui integra il comma 2-ter
dell’art. 29 della legge n. 241 del 1990, introducendo fra le disposizioni
individuate e qualificate da quest’ultimo come attinenti ai livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera m), Cost., anche quelle concernenti la conferenza di servizi.
Tale "combinato disposto” sarebbe costituzionalmente illegittimo, tenuto conto
che, con le disposizioni sulla conferenza di servizi, non si stabilirebbe
alcuno standard qualitativo o quantitativo di prestazioni determinate,
attinenti a questo o a quel diritto civile o sociale garantito dalla stessa
Costituzione, ma si regolerebbe lo svolgimento dell’attività amministrativa, in
settori vastissimi ed indeterminati, molti dei quali di competenza regionale,
con conseguente violazione dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
5.1.— In via preliminare, va rilevato che
la Regione Liguria, nell’imminenza dell’udienza pubblica, ha osservato che
l’art. 49, comma 3, lettera b), del d.l. n. 78 del 2010, è stato oggetto di una modifica
puramente formale ad opera dell’art. 5, comma 2, lettera b), numero 1), del d.l. 13 maggio 2011,
n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia),
convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106. Tale
modifica, lasciando sostanzialmente immutato il contenuto normativo della
disposizione impugnata, ne confermerebbe la lesività. La Regione ha pertanto
ribadito le medesime censure rivolte al testo originariamente impugnato anche
con riguardo al testo modificato.
5.1.1.— L’art. 49, comma 3, lettera b), del d.l.
n. 78 del 2010, come convertito dalla legge n. 122 del 2010, ha introdotto il
nuovo terzo comma dell’art. 14-quater della
legge n. 241 del 1990 con il quale ha dettato la suddetta nuova disciplina del
superamento del dissenso in sede di conferenza di servizi. Con l’art. 5, comma
2, lettera b), numero 1), del
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, l’art. 14-quater, comma 3, della
legge n. 241 del 1990 è stato ulteriormente modificato, nel senso che, al secondo periodo, le parole "nei successivi” trenta
giorni sono state sostituite dalla parola "entro” trenta giorni. Dallo stesso
tenore letterale della modifica apportata risulta evidente che il contenuto
normativo risultante dalla stessa appare sostanzialmente immutato.
Pertanto,
considerato che dal raffronto fra le disposizioni risulta evidente che l’ultima
modifica, dato il suo carattere sostanzialmente marginale, non incide in alcun
modo sul contenuto precettivo delle disposizioni impugnate, la questione di
legittimità costituzionale – in forza del principio di effettività della tutela
costituzionale – deve essere trasferita sulla norma nel testo risultante dalla
modifica realizzata dall’art. 5, comma 2, lettera b), numero 1), del d.l. n. 70 del 2011 (sentenza n. 114 del
2012).
5.2.— Nel merito, la questione è fondata
per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del
principio di leale collaborazione.
5.2.1.— I censurati commi 3, lettera b), e 4, si inseriscono nel testo
complessivo del citato art. 49 del d.l. n. 78 del
2010, che è intitolato «Disposizioni in materia di conferenza di servizi». Esso
apporta modifiche specifiche alla disciplina dell’istituto della conferenza di
servizi, introdotto, in via generale, dall’art. 14 della legge n. 241 del 1990,
come strumento di accelerazione e semplificazione dei procedimenti
amministrativi particolarmente complessi perché implicanti una valutazione
contestuale di vari interessi pubblici di competenza di diverse
amministrazioni. Attraverso la valutazione contestuale e non più separata ed
autonoma, da parte delle diverse amministrazioni, degli interessi pubblici
coinvolti dal medesimo procedimento, si mirava, sin d’allora, ad accelerarne la
conclusione e ad agevolarne la razionalizzazione.
La conferenza
di servizi costituisce, pertanto, come riconosciuto dalla giurisprudenza
amministrativa, un modulo procedimentale-organizzativo suscettibile di produrre
un’accelerazione dei tempi procedurali e, nel contempo, un esame congiunto
degli interessi pubblici coinvolti.
Esso, infatti,
consente l’assunzione concordata di determinazioni sostitutive, a tutti gli
effetti, di concerti, intese, assensi, pareri, nulla osta, richiesti da un
procedimento pluristrutturale specificatamente
conformato dalla legge, senza che ciò comporti alcuna modificazione o
sottrazione delle competenze, posto che ciascun rappresentante, partecipante
alla conferenza, imputa gli effetti giuridici degli atti che compie
all’amministrazione rappresentata, competente in forza della normativa di
settore (Consiglio Stato, sezione V, 8 maggio 2007, n. 2107).
Questa Corte
ha già avuto occasione di confermare che tale istituto, «introdotto dalla legge
non tanto per eliminare uno o più atti del procedimento, quanto per rendere
contestuale quell’esame da parte di amministrazioni diverse che, nella
procedura ordinaria, sarebbe destinato a svolgersi secondo una sequenza
temporale scomposta in fasi distinte» (sentenza n. 62 del
1993), è «orientato alla realizzazione del principio di buon andamento ex art. 97 Cost.»,
in quanto «assume, nell’intento della semplificazione e accelerazione
dell’azione amministrativa, la funzione di coordinamento e mediazione degli
interessi in gioco al fine di individuare, mediante il contestuale confronto
degli interessi dei soggetti che li rappresentano, l’interesse pubblico
primario e prevalente» (sentenza n. 313 del
2010). Esso, quindi, «realizza (...) un giusto contemperamento fra la
necessità della concentrazione delle funzioni in un’istanza unitaria e le
esigenze connesse alla distribuzione delle competenze fra gli enti che
paritariamente vi partecipano con propri rappresentanti, senza che ciò implichi
attenuazione delle rispettive attribuzioni» (sentenza n. 348 del
1993).
Dall’insieme
delle richiamate indicazioni della giurisprudenza, da un lato, risulta agevole desumere
come esista un’esigenza unitaria che legittima l’intervento del legislatore
statale anche in ordine alla disciplina di procedimenti complessi estranei alle
sfere di competenza esclusiva statale affidati alla conferenza di servizi, in
vista dell’obiettivo della accelerazione e semplificazione dell’azione
amministrativa; dall’altro, è ugualmente agevole escludere che l’intera
disciplina della conferenza di servizi, e dunque anche la disciplina del
superamento del dissenso all’interno di essa, sia riconducibile ad una materia
di competenza statale esclusiva, tenuto conto della varietà dei settori
coinvolti, molti dei quali sono innegabilmente relativi anche a competenze
regionali (es.: governo del territorio, tutela della salute, valorizzazione dei
beni culturali ed ambientali).
In
particolare, va ancora ricordato che questa Corte ha ripetutamente
affermato che, per individuare la materia alla quale devono essere ascritte le
disposizioni oggetto di censura, non assume rilievo la qualificazione che di esse
abbia dato il legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto ed alla
disciplina delle medesime (sentenze n. 430,
n. 169 e n. 165 del 2007).
In questo caso, la qualificazione, operata dalla stessa norma impugnata – letta
in combinato disposto con l’art. 49, comma 4 – della disciplina inerente alla
conferenza di servizi, quale disciplina attinente alla determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
risulta contraddetta dal contenuto della medesima. Essa, infatti, lungi dal
determinare uno standard strutturale o qualitativo di prestazioni determinate,
attinenti a questo o a quel diritto civile o sociale, in linea con il secondo
comma, lettera m), dell’art. 117 Cost. (di recente, sentenza n. 248 del
2011), assolve al ben diverso fine di regolare l’attività amministrativa,
in settori vastissimi ed indeterminati, molti dei quali di competenza
regionale, (quali il governo del territorio, la tutela della salute,
l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo, il commercio),
in modo da soddisfare l’esigenza, diffusa nell’intero territorio nazionale, di
uno svolgimento della stessa il più possibile semplice e celere.
Il
soddisfacimento di una simile esigenza unitaria giustifica, pertanto,
l’attrazione allo Stato, per ragioni di sussidiarietà, sia dell’esercizio
concreto della funzione amministrativa che della relativa regolamentazione
nelle materie di competenza regionale, ma deve obbedire alle condizioni
stabilite dalla giurisprudenza costituzionale, fra le quali questa Corte ha
sempre annoverato la presenza di adeguati strumenti di coinvolgimento delle
Regioni. In particolare, si è affermato che «l’ordinamento costituzionale
impone il conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e organi
regionali per l’esercizio concreto di una funzione amministrativa attratta in
sussidiarietà al livello statale in materie di competenza legislativa» (sentenza n. 383 del
2005) e che tali «intese costituiscono condizione minima e imprescindibile
per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale che
effettui la "chiamata in sussidiarietà” di una funzione amministrativa in
materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve
trattarsi di vere e proprie intese "in senso forte”, ossia di atti a struttura
necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale
di una delle parti» (sentenza n. 383 del
2005). In tali casi, ha inoltre precisato questa Corte, «il secondo comma
dell’art. 120 Cost. non può essere applicato» (sentenza n. 383 del
2005).
È in questo
quadro che occorre valutare la disciplina del superamento del dissenso
espresso, appunto, in sede di conferenza, introdotta dall’impugnato comma 3,
lettera b), dell’art. 49, in specie
nella parte in cui, modificando l’art. 14-quater
della legge n. 241 del 1990, stabilisce che, ove il motivato dissenso sia
espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di
propria competenza e non sia raggiunta la prescritta intesa con la Regione o le
Regioni e le Province autonome interessate entro trenta giorni, «il Consiglio
dei ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la
partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome
interessate».
Questa Corte,
applicando i principi suddetti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di
analoga norma statale che prevedeva un potere sostitutivo del Governo in caso
di mancato raggiungimento dell’intesa, esercitabile decorsi trenta giorni dalla
convocazione del primo incontro tra il Governo e la Regione o la Provincia
autonoma interessata, affermando che «la previsione dell’intesa, imposta dal
principio di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma
contenente una "drastica previsione” della decisività della volontà di una sola
parte, in caso di dissenso, ma che siano necessarie "idonee procedure per
consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze” (ex plurimis, sentenze n. 121 del
2010, n. 24
del 2007, n.
339 del 2005). Solo nell’ipotesi di ulteriore esito negativo di tali
procedure mirate all’accordo, può essere rimessa al Governo una decisione
unilaterale» (sentenza
n. 165 del 2011), come nel caso relativo alla disciplina del procedimento
di certificazione dei siti idonei all’insediamento degli impianti nucleari (sentenza n. 33 del
2011).
Allorquando,
invece, l’intervento unilaterale dello Stato viene prefigurato come mera
conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell’intesa, è violato il
principio di leale collaborazione con conseguente sacrificio delle sfere di
competenza regionale.
Anche la norma
oggi impugnata reca la «drastica previsione» della decisività della volontà di
una sola parte, in caso di dissenso, posto che il Consiglio dei ministri
delibera unilateralmente in materie di competenza regionale, allorquando, a
seguito del dissenso espresso in conferenza dall’amministrazione regionale
competente, non si raggiunga l’intesa con la Regione interessata nel termine
dei successivi trenta giorni: non solo, infatti, il termine è così esiguo da
rendere oltremodo complesso e difficoltoso lo svolgimento di una qualsivoglia
trattativa, ma dal suo inutile decorso si fa automaticamente discendere l’attribuzione
al Governo del potere di deliberare, senza che siano previste le necessarie
«idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le
divergenze» (come, peraltro, era invece previsto dall’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990, nel
testo previgente, come risultante dalle modifiche introdotte dalla legge n. 15
del 2005).
Né, d’altro
canto, la previsione che il Consiglio dei ministri delibera, in esercizio del
proprio potere sostitutivo, con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni
o delle Province autonome interessate, «può essere considerata valida
sostituzione dell’intesa, giacché trasferisce nell’ambito interno di un organo
costituzionale dello Stato un confronto tra Stato e Regione, che deve
necessariamente avvenire all’esterno, in sede di trattative ed accordi,
rispetto ai quali le parti siano poste su un piano di parità» (sentenza n. 165 del
2011).
Deve,
pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 49, comma 3,
lettera b), del d.l.
n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,
nella parte in cui prevede che, in caso di dissenso espresso in sede di
conferenza di servizi da una Regione o da una Provincia autonoma, in una delle
materie di propria competenza, ove non sia stata raggiunta, entro il breve
termine di trenta giorni, l’intesa, «il Consiglio dei ministri delibera in
esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti
delle Regioni o delle Province autonome interessate», senza che siano previste
ulteriori procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le
divergenze.
5.2.2.—
Conseguentemente, la questione promossa dalla Regione Liguria (ric. n. 102 del
2010) nei confronti del predetto art. 49, comma 3, lettera b), letto in "combinato disposto” con il comma 4 del medesimo art.
49 deve ritenersi assorbita.
PER QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate
pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale
riguardanti le altre disposizioni contenute nel decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122;
riuniti i
giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 49, comma 3,
lettera b), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti
in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui prevede che, in caso di
dissenso espresso in sede di conferenza di servizi da una Regione o da una
Provincia autonoma, in una delle materie di propria competenza, ove non sia
stata raggiunta, entro il breve termine di trenta giorni, l’intesa, «il
Consiglio dei ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con
la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome
interessate»;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 49 commi 4-quater e 4-quinquies del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, promosse, in riferimento all’articolo 117, quarto e sesto comma, della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché in riferimento agli articoli 2, primo comma, lettere g), p) e q), e 3, primo comma, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), ed alle relative norme di attuazione, nonché, in subordine, al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ed Emilia-Romagna, con i ricorsi, rispettivamente, n. 96 e n. 106 del 2010.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 luglio
2012.