Sentenza n. 89 del 2015

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SENTENZA N. 89

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Presidente

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                 Giudice

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 402, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014), promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 25 febbraio 2014, depositato in cancelleria il 5 marzo 2014 ed iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2014.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 14 aprile 2015 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi l’avvocato Marina Valli per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Lorenzo D’Ascia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− La Regione siciliana, con ricorso notificato il 25 febbraio 2014 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 5 marzo, ha impugnato numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014), tra le quali l’art. 1, comma 402, che sancisce «Entro il 1º gennaio 2016, tutti i Corpi di polizia, compresa l’Arma dei carabinieri, si avvalgono delle procedure informatiche del Ministero dell’economia e delle finanze − Dipartimento dell’amministrazione generale, del personale e dei servizi per il pagamento al personale delle competenze fisse e accessorie. Entro il 1º gennaio 2016, le Forze armate dovranno avvalersi delle procedure informatiche del Ministero dell’economia e delle finanze − Dipartimento dell’amministrazione generale, del personale e dei servizi per il pagamento al personale delle competenze fisse e accessorie. Per le Forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, l’invio dei dati mensili di cui all’articolo 1, comma 447, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, cessa in corrispondenza della prima mensilità per il cui pagamento ci si avvale delle procedure informatiche indicate al primo e al secondo periodo del presente comma», in riferimento all’art. 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, agli artt. 81, sesto comma, 97, primo comma, della Costituzione, all’art. 119, primo e sesto comma, Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e ai principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche.

2.− La Regione ricorrente premette che alcuni recenti interventi normativi hanno modificato le procedure di pagamento dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato allo scopo di renderle omogenee, favorire il monitoraggio della spesa e ridurre i costi di gestione.

Il Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) attraverso un sistema informatico unico gestisce i processi del trattamento economico del personale delle amministrazioni dello Stato e di quello delle pubbliche amministrazioni aderenti.

In particolare: a) le amministrazioni dello Stato sono obbligate ad avvalersi dei sistemi di pagamento delle retribuzioni gestiti dal MEF; b) le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), diverse dalle amministrazioni dello Stato, sono tenute a considerare l’offerta in convenzione MEF quale parametro di riferimento per l’affidamento della gestione dei servizi di pagamento delle retribuzioni.

3.− Tanto premesso la Regione siciliana sofferma l’attenzione sulle ricadute fiscali della disposizione impugnata.

Assume che per tutte le pubbliche amministrazioni che si avvalgono delle procedure uniche integrate del MEF, il Dipartimento dell’amministrazione generale, del personale e dei servizi dello stesso Ministero, attraverso il “Service Personale Tesoro” (SPT), oggi sistema NoiPA, svolge gli adempimenti che hanno carattere di periodicità (CUD, 730, etc.), garantisce assistenza fiscale e invio telematico dei modelli di dichiarazione all’Agenzia delle entrate, effettua le ritenute erariali previste dalla legge.

La disposta centralizzazione dei pagamenti stipendiali, ed anche dei connessi adempimenti fiscali, comporta la localizzazione fuori dal territorio siciliano della fase di riscossione delle ritenute alla fonte sui redditi da lavoro dei dipendenti dell’Amministrazione dello Stato o di una pubblica Amministrazione aderente al sistema MEF che lavorano in Sicilia.

4.− Pur rammentando quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 116 del 2010, rileva la Regione siciliana che tale trasferimento della gestione dei trattamenti economici prima liquidati nell’ambito del territorio siciliano determina il venir meno per il bilancio della Regione di rilevanti entrate altrimenti di propria spettanza, in contrasto con i richiamati parametri.

5.− A sostegno della prospettata illegittimità costituzionale la Regione osserva che il depauperamento delle risorse finanziarie regionali determina l’impossibilità di garantire la corretta gestione delle proprie funzioni. Essa ricorrente ha così dovuto destinare alla copertura del concorso alla finanza pubblica una rilevante quota delle risorse destinate agli interventi da realizzare nell’ambito della programmazione regionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione (art. 6 della legge della Regione siciliana 15 maggio 2013, n. 9, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2013. Legge di stabilità regionale», e art. 4 della legge della Regione siciliana 28 gennaio 2014, n. 5, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale»).

La Regione conclude, quindi, nel senso che la norma impugnata, per gli effetti che la sua applicazione determina sul proprio bilancio, in ragione della sottrazione del gettito IRPEF in questione, viola l’autonomia finanziaria presidiata dall’art. 36 dello statuto e i principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche, all’esercizio delle quali le prime sono preordinate, di cui agli artt. 81, sesto comma, 97, primo comma, e 119, primo e sesto comma, Cost., come novellati, quest’ultimo anche in riferimento all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2011.

6.− È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha dedotto la infondatezza del ricorso.

In particolare, l’Avvocatura dello Stato ha richiamato la sentenza n. 116 del 2010, che ha affermato che «lo Stato può, anche con legge, a fini di razionale organizzazione degli uffici, determinare modificazioni delle competenze di questi ed al caso disciplinare diversamente le modalità della riscossione», sottolineando come nell’ipotesi di un sostituto d’imposta avente domicilio fiscale fuori dal territorio siciliano, non è applicabile l’art. 4 delle norme di attuazione dello statuto siciliano.

Considerato in diritto

1.− La Regione siciliana con ricorso notificato il 25 febbraio 2014 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 5 marzo, ha impugnato numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014).

2.− Riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni, la Corte delimita l’oggetto del giudizio alle censure relative all’art. 1, comma 402, della legge n. 147 del 2013, che sancisce: «Entro il 1º gennaio 2016, tutti i Corpi di polizia, compresa l’Arma dei carabinieri, si avvalgono delle procedure informatiche del Ministero dell’economia e delle finanze − Dipartimento dell’amministrazione generale, del personale e dei servizi per il pagamento al personale delle competenze fisse e accessorie. Entro il 1º gennaio 2016, le Forze armate dovranno avvalersi delle procedure informatiche del Ministero dell’economia e delle finanze − Dipartimento dell’amministrazione generale, del personale e dei servizi per il pagamento al personale delle competenze fisse e accessorie. Per le Forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, l’invio dei dati mensili di cui all’articolo 1, comma 447, secondo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, cessa in corrispondenza della prima mensilità per il cui pagamento ci si avvale delle procedure informatiche indicate al primo e al secondo periodo del presente comma», sospettato di illegittimità costituzionale, in riferimento all’art. 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, agli artt. 81, sesto comma, 97, primo comma, della Costituzione, all’art. 119, primo e sesto comma, Cost., in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e ai principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche.

3.− La disposizione censurata prevede dunque l’estensione del sistema “Service Personale Tesoro” (SPT), ora NoiPA, per il trattamento dei ruoli di spesa fissa, concernenti le buste paga del personale di tutte le amministrazioni centrali, gestito dal Ministero dell’economia e delle finanze, anche alle amministrazioni del Comparto sicurezza-difesa (Forze armate, compresa l’Arma dei Carabinieri), che ne erano state escluse fino ad ora.

Essa costituisce un ulteriore gradino della complessiva riorganizzazione delle modalità di gestione dei pagamenti dei dipendenti delle amministrazioni statali, in funzione di razionalizzazione delle risorse. Difatti già la legge finanziaria 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2007), all’art. 1, commi 446 e 448, recava analoghe disposizioni in materia di pagamento degli stipendi, da cui, tuttavia rimaneva escluso il personale in esame.

In precedenza, dunque, per quest’ultimo vi erano appositi centri regionali di elaborazione dati, che provvedevano al pagamento degli stipendi, operazione che pertanto avveniva nel territorio della Regione, con la conseguenza che il tributo erariale, oggetto della relativa ritenuta alla fonte, veniva riscosso nella stessa Regione e quindi era ad essa spettante per il disposto dell’art. 36 dello statuto, nonché dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).

4.− La doglianza della Regione verte sulla sottrazione del relativo gettito IRPEF derivante dalla localizzazione fuori dal territorio siciliano della fase di riscossione delle ritenute alla fonte sui redditi da lavoro dipendente in questione. Ciò ad avviso della Regione violerebbe l’art. 36 dello statuto siciliano, gli artt. 81, sesto comma, e 97, primo comma, Cost., l’art. 119, primo e sesto comma, Cost., anche in riferimento all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, così ledendo la propria autonomia finanziaria, nonché i principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche.

5.− In via preliminare va dichiarata la inammissibilità delle censure di violazione degli artt. 97, primo comma, e 81, sesto comma, Cost., parametri che non rientrano nel Titolo V della Costituzione.

Questa Corte ha più volte affermato che le Regioni possono evocare parametri di legittimità diversi da quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni solo quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una lesione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni (sentenze n. 8 del 2013 e n. 199 del 2012) e queste abbiano sufficientemente motivato in ordine ai profili di una possibile ridondanza della predetta violazione sul riparto di competenze, assolvendo all’onere di operare la necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione (sentenze n. 229 del 2013 e n. 33 del 2011).

Nella specie, queste condizioni di ammissibilità non sono soddisfatte, attesa la genericità del riferimento alla lesione dei principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche, a cui sarebbero preordinate le norme costituzionali invocate.

6.− Anche inammissibile è la censura di violazione dell’art. 119, primo e sesto comma, Cost., prospettata invocando l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Per la Regione siciliana la materia della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, cui, secondo la ricorrente, afferirebbe la norma censurata, è disciplinata, in attuazione dell’art. 36 dello statuto speciale, dall’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, il quale prevede che spettano in via generale alla Regione «le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate».

La ricorrente, quindi, avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali l’art. 119 Cost. garantirebbe una maggiore autonomia della Regione e sarebbe, perciò, applicabile, ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, in luogo delle disposizioni statutarie (ordinanza n. 250 del 2007). Sennonché il ricorso non offre argomenti circa la prevalenza delle disposizioni costituzionali rispetto ai parametri statutari, e non si sofferma, neppure sull’aspetto delle attribuzioni competenziali della norma impugnata. Pur dando per scontato che la stessa afferisca alla compartecipazione al gettito dei tributi erariali, non fa alcun cenno alla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), il cui art. 27, come la Corte ha già affermato (sentenze n. 241 e n. 71 del 2012), pone una vera e propria «riserva di competenza alle norme di attuazione degli statuti» speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata, così da configurarsi quale autentico presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti, e della sua attuazione da parte della Regione medesima.

7.− La censura da esaminare nel merito riguarda la violazione, da una parte, dell’art. 36 dello statuto siciliano, con lesione della sua autonomia finanziaria, e, dall’altra, dei principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche.

8.− Quanto al primo profilo, non può negarsi che a seguito dell’emanazione della norma impugnata la Regione subisca la sottrazione delle ritenute sulle retribuzioni del personale in questione: questi tributi erariali, infatti, non vengono più “riscossi” nell’ambito del territorio siciliano, ai sensi del citato art. 2, primo comma, delle norme di attuazione dello statuto speciale; e in proposito, questa Corte nella sentenza n. 116 del 2010, richiamata da entrambe le parti, ha ritenuto che alla stregua di tale norma: «rileva, dunque, soltanto il luogo in cui le ritenute sono versate all’erario, cioè il luogo in cui è la sede centrale di dette amministrazioni, senza che vengano in considerazione né il domicilio fiscale del dipendente, né la localizzazione degli impianti e stabilimenti dell’amministrazione presso i quali viene svolta l’attività lavorativa».

8.1.− Ciò tuttavia non determina l’illegittimità costituzionale della disposizione.

L’incidenza negativa sulle finanze regionali è infatti l’effetto solo indiretto della norma impugnata che ha ad oggetto non l’imposta sul reddito delle persone fisiche né la sua devoluzione, bensì una diversa disciplina contabile e organizzativa della gestione dei pagamenti stipendiali effettuati dalle amministrazioni centrali dello Stato.

Essa deve pertanto ricondursi alla previsione dell’art. 117, secondo comma, Cost., con riferimento sia alla lettera e), che affida alla potestà esclusiva dello Stato il sistema tributario e contabile, sia alla lettera g), che affida sempre alla potestà esclusiva dello Stato la sua organizzazione amministrativa.

8.2.− Il danno lamentato dalla Regione, pur sussistente, non può dunque mettere in discussione l’esercizio di un potere tipico ed esclusivo dello Stato, per di più rispondente nel caso di specie ad evidenti principi di razionalità sia organizzativa che economica.

9.− Quanto agli altri profili, non sussiste la lesione degli invocati principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche, in ragione della ricaduta della norma impugnata sull’attribuzione dei tributi erariali.

9.1.− In proposito la giurisprudenza costituzionale ha anzitutto ritenuto che non sia desumibile alcun principio di invarianza di gettito per la Regione siciliana in caso di modifica di tributi erariali. In particolare questa Corte, con la sentenza n. 241 del 2012, ha affermato – in conformità alla giurisprudenza precedente – che «le norme statutarie e di attuazione non stabiliscono, a favore della Regione, una rigida garanzia “quantitativa”, cioè la garanzia della disponibilità di entrate tributarie non inferiori a quelle ottenute in passato: onde nel caso di abolizione di tributi erariali il cui gettito era devoluto alla Regione, o di complesse operazioni di riforma e di sostituzione di tributi [...] possono aversi, senza violazione costituzionale, anche riduzioni di risorse per la Regione, purché non tali da rendere impossibile lo svolgimento delle sue funzioni (sentenza n. 138 del 1999)».

9.2.− Quanto agli altri profili, la Regione non ha fornito alcuna dimostrazione che la riduzione di gettito renda impossibile lo svolgimento delle funzioni regionali, essendosi limitata al generico richiamo delle proprie disposizioni normative.

10.− Ritiene tuttavia questa Corte che gli effetti, mediati ma rilevanti, conseguenti alle connessioni tra la norma impugnata e la disciplina della riscossione dell’IRPEF, debbano indurre le parti ad una riflessione sull’opportunità di porre in essere meccanismi pattizi nello spirito di leale collaborazione tra Stato e Regione, collaborazione che, nella specie, appare lo strumento più idoneo a risolvere problematiche come quelle in esame che attengono all’equità più che alla legittimità. E ciò, anche tenendo conto dell’ampia accezione offerta dalla Corte dello strumento dell’accordo (sentenza n. 19 del 2015, in relazione al patto di stabilità), nel senso che lo stesso «serve a determinare nel loro complesso punti controversi o indefiniti delle relazioni finanziarie tra Stato e Regioni, sia ai fini del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto dei vincoli europei, sia al fine di evitare che il necessario concorso delle Regioni comprima oltre i limiti consentiti l’autonomia finanziaria ad esse spettante. Ciò anche modulando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti, in relazione alla diversità delle situazioni esistenti nelle varie realtà territoriali. Per questo motivo, il contenuto degli accordi, oltre che la riduzione dei programmi in rapporto al concorso della Regione interessata ad obiettivi di finanza pubblica, può e deve riguardare anche altri profili di natura contabile quali, a titolo esemplificativo, le fonti di entrata fiscale, la cui compartecipazione sia quantitativamente controversa […]».

11.− Rimane il problema di fondo, già posto in rilievo con la sentenza n. 66 del 2001, che «A ben vedere, molte delle difficoltà e dei contrasti che insorgono in ordine al regime di ripartizione delle entrate fra Stato e Regione Siciliana, e di riscossione delle entrate nella Regione Siciliana, sono da addebitarsi alla mancanza di una normativa di attuazione dello statuto che tenga conto delle profonde trasformazioni intervenute nel sistema tributario e nei rapporti finanziari fra Stato e Regione dall’epoca delle norme dettate con il d.P.R. n. 1074 del 1965».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nella legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2014);

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 402, della legge n. 147 del 2013, promossa, in riferimento agli artt. 81, sesto comma, 97, primo comma, della Costituzione, dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 402, della legge n. 147 del 2013, promossa, in riferimento all’art. 119, primo e sesto comma, in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 402, della legge n. 147 del 2013, promossa, in riferimento all’art. 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e ai principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche, dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 aprile 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2015.