Sentenza n. 66/2001

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SENTENZA N. 66

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, lettere d, e, g, e 2, comma 1, lettera a, numero 2, del decreto legislativo 19 novembre 1998, n. 422, recante “Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 9 luglio 1997, n. 237 e n. 241, 4 dicembre 1997, n. 460, 15 dicembre 1997, n. 446 e 18 dicembre 1997, n. 472”, promosso con ricorso della Regione Siciliana, notificato l’8 gennaio 1999, depositato in cancelleria il 13 successivo ed iscritto al n. 2 del registro ricorsi 1999.

 Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nell’udienza pubblica del 12 dicembre 2000 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi l’avvocato Giovanni Carapezza Figlia per la Regione Siciliana e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso notificato l’8 gennaio 1999 e depositato il successivo 13 gennaio, la Regione Siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 81, 116 e 119 della Costituzione, nonché all’art. 36 dello statuto speciale e alle relative norme di attuazione di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, di quattro disposizioni contenute nel decreto legislativo 19 novembre 1998, n. 422 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 9 luglio 1997, n. 237 e n. 241, 4 dicembre 1997, n. 460, 15 dicembre 1997, n. 446 e 18 dicembre 1997, n. 472). Si tratta precisamente delle disposizioni contenute nell’art. 1, comma 1, lettere d, e, g, che recano modifiche ad alcuni articoli del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 237 (Modifica della disciplina in materia di servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari); e dell’art. 2, comma 1, lettera a, numero 2, che reca modifiche all’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto, nonché di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni).

Il provvedimento impugnato è un decreto legislativo «correttivo», emanato in base alla delega di cui all’art. 3, comma 17, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per la modifica e integrazione di precedenti decreti legislativi in materia tributaria.

La Regione ricorrente lamenta, in via generale, che le disposizioni impugnate, riguardanti le modalità di riscossione e versamento di tributi il cui gettito, di regola, spetta alla Regione medesima, differenzino irragionevolmente le relative modalità di riscossione, esclusivamente in relazione alla circostanza che il gettito sia di spettanza dello Stato o della Regione.

La prima delle disposizioni impugnate (art. 1, comma 1, lettera d) riguarda la modifica dell’art. 4 del d.lgs. n. 237 del 1997: mentre nel testo originario tale disposizione prevedeva che le entrate fossero riscosse «dal concessionario del servizio di riscossione dei tributi nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio finanziario competente» (oltre che dagli istituti di credito), la disposizione correttiva, sopprimendo le parole «nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio finanziario competente», viene a consentire la riscossione da parte di qualsiasi concessionario del servizio, indipendentemente dall’ambito territoriale.

La ricorrente lamenta che, eliminando il collegamento territoriale con l’ufficio finanziario competente, e non prevedendo, di contro, l’obbligo del riversamento nelle casse regionali delle somme riscosse in relazione a fattispecie tributarie maturate nell’ambito della Regione, detta disposizione violi l’art. 4 delle norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965, secondo cui spetta alla Regione Siciliana l’intero gettito dei tributi erariali (salvo alcune eccezioni) riscossi nel territorio regionale.

La seconda disposizione impugnata (art. 1, comma 1, lettera e, che modifica l’art. 6 del d.lgs. n. 237 del 1997), in correlazione con il ripristino dei servizi autonomi di cassa degli uffici dipendenti dal Dipartimento del territorio (di cui invece il preesistente art. 1 del d.lgs. n. 237 del 1997 prevedeva la soppressione), disposto dallo stesso comma 1, lettera a, stabilisce che la riscossione delle tasse ipotecarie e di taluni tributi speciali sia effettuata dagli uffici periferici di detto Dipartimento (salvo il caso di pagamento contestuale di imposte ipotecarie o di bollo), e demanda ad un decreto del Ministro delle finanze il compito di stabilire le modalità per il versamento nella tesoreria provinciale dello Stato delle somme così riscosse e di approvare le convenzioni che determinano i compensi agli intermediari.

Secondo la ricorrente tale previsione sottrarrebbe illegittimamente alla Regione la potestà di organizzare la riscossione di detti tributi, prevedendo soltanto una competenza ministeriale, con esclusione di ogni partecipazione della Regione alle determinazioni in ordine alle previste convenzioni e alla quantificazione dei compensi agli intermediari.

L’art. 1, comma 1, lettera g, anch’esso impugnato, modificando i commi 1 e 2 dell’art. 8 del d.lgs. n. 237 del 1997, che disciplinano i termini e le modalità per il versamento, da parte del concessionario della riscossione, delle somme allo stesso accreditate, sopprime in detti commi le parole «o alle casse degli enti territoriali competenti», così che nel nuovo testo si dispone che il versamento avvenga soltanto «alla competente sezione della tesoreria provinciale dello Stato». Secondo la ricorrente tale modifica comporterebbe l’esclusione della Regione Siciliana dai destinatari del riversamento delle entrate da parte dei concessionari. Pur escludendosi, alla luce di quanto statuito dall’art. 9 del d.lgs. n. 237 del 1997, anch’esso modificato dal decreto impugnato, che ciò comporti la sottrazione alla Regione dei proventi dell’imposizione indiretta, oggetto della disciplina in esame, la ricorrente afferma che dalla normativa censurata conseguirebbe un ingiustificato ritardo nell’acquisizione delle entrate di spettanza regionale, mentre termini più brevi e modalità puntualmente determinate varrebbero per il versamento di detti tributi alle competenti sezioni di tesoreria provinciale dello Stato.

L’ultima delle disposizioni denunciate (art. 2, comma 1, lettera a, numero 2) modifica l’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 241 del 1997, avente ad oggetto l’individuazione dei crediti e debiti per i quali si prevede da parte dei contribuenti il versamento unitario delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle Regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti dello stesso periodo nei confronti dei medesimi soggetti. Mentre il testo originario della lettera a di tale comma 2 prevedeva che il versamento unitario e la compensazione riguardassero i crediti e i debiti relativi alle imposte sui redditi e alle ritenute alla fonte riscosse mediante versamento diretto al concessionario dei servizi di riscossione, ai sensi dell’art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973, il nuovo testo fa riferimento alle imposte sui redditi e alle ritenute alla fonte riscosse sia mediante versamento diretto al concessionario, sia mediante versamento diretto alle sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, aggiungendosi però che per le ritenute di questa seconda categoria resta ferma la facoltà di eseguire il versamento presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato. La ricorrente lamenta che la disposizione impugnata non consenta di eseguire il versamento di quanto dovuto, e per quanto spettante, presso la cassa regionale, così diversificando illegittimamente la posizione della Regione rispetto a quella dello Stato.

Il ricorso conclude affermando che la Regione non lamenta alcuna lesione causata da una riforma di vasta portata, organica e generale, incidente sul sistema finanziario, quale può riconoscersi nelle disposizioni dei decreti legislativi n. 237 e n. 241 del 1997, bensì «lo squilibrio e la disparità di trattamento» che, a causa delle modifiche apportate, si determinerebbero fra Stato e Regione in ordine agli stessi tributi, in forza dell’unico elemento differenziante della loro percezione: con l’effetto di alterare le disponibilità di cassa della Regione, quanto meno sotto il profilo della ritardata acquisizione delle relative spettanze rispetto ai più brevi termini disposti per il versamento alle competenti sezioni di tesoreria provinciale dello Stato. Ciò lederebbe altresì il principio di eguaglianza, che varrebbe anche nei confronti «degli oggetti, dei fatti, delle situazioni e degli istituti giuridici», e il canone di ragionevolezza, che verrebbe in rilievo anche a proposito della necessità di bilanciamento e di valutazione della legittimità costituzionale di atti e comportamenti, in particolare per quanto riguarda i principi desumibili dagli artt. 116 e 119 della Costituzione in ordine al riparto delle competenze tra Stato e Regioni ad autonomia differenziata e ai rapporti tra potere centrale e poteri locali. Sarebbero infatti vietate discriminazioni atte ad incidere negativamente sulle relative spettanze o comportanti una «reformatio in pejus» di attribuzioni e situazioni consolidate.

La ricorrente osserva infine che anche il semplice ritardo nella acquisizione dei tributi spettanti configurerebbe una violazione dei principi desumibili dall’art. 81 della Costituzione, nonché un pregiudizio finanziario per la Regione atto a ripercuotersi financo nell’assolvimento delle funzioni proprie della stessa.

2.- Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto le norme impugnate non produrrebbero alcun pregiudizio sostanziale alla Regione né sottrarrebbero ad essa la disponibilità immediata dei tributi di sua spettanza, e osservando in via generale che l’interesse avuto di mira da parte del legislatore è quello di favorire il contribuente nell’assolvimento dei suoi obblighi, donde deriverebbe la necessità di alcuni adattamenti meramente procedurali per consentire la gestione contabile dei versamenti.

In una successiva memoria l’Avvocatura erariale articola più ampiamente la propria difesa, osservando preliminarmente che il ricorso sarebbe ammissibile solo nei limiti in cui lamenta la violazione di norme costituzionali sulla competenza o comunque una effettiva ed attuale lesione della autonomia costituzionalmente garantita alla Regione, non là dove sembra denunciare, di per sé, la violazione dei criteri di ragionevolezza e di uguaglianza.

Quanto alla prima delle disposizioni denunciate, la difesa del Presidente del Consiglio osserva poi che, abolendo la correlazione territoriale tra ufficio finanziario cui compete la determinazione delle entrate e concessionario del servizio di riscossione cui si effettuano i pagamenti, con la finalità di semplificare gli adempimenti dei contribuenti, i quali possono effettuare i propri pagamenti ovunque sul territorio nazionale, non si lederebbe l’autonomia tributaria della Regione, la quale continuerebbe a percepire le entrate tributarie relative a fattispecie maturate nell’ambito del suo territorio, senza alcun apprezzabile ritardo, non diversamente, del resto, da quanto era già previsto dall’art. 4 delle norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965 per le entrate affluite, per esigenze amministrative, ad uffici finanziari extraregionali.

In ordine alla censura che investe la lettera e del primo comma dell’art. 1 del decreto impugnato, si osserva che la norma demanda alla disciplina di un decreto ministeriale non già la materia della riscossione delle entrate, in questo caso riservata agli uffici, bensì quella delle modalità di riversamento da parte degli uffici periferici delle somme riscosse e che siano destinate alla tesoreria provinciale dello Stato. Tale decreto non sarebbe dunque destinato ad interferire pregiudizievolmente nella potestà regionale di organizzazione delle entrate, neppure sotto il profilo del riversamento di esse alla Regione, che continuerebbe ad avvenire mediante versamento da parte degli uffici riscuotitori alla cassa regionale, secondo le specifiche norme in proposito vigenti, come esplicitamente presupposto dagli artt. 4, comma 2, 5, comma 2, e 7, ultimo comma, del decreto interministeriale 16 dicembre 1998, emanato in attuazione della norma impugnata.

Quanto alla terza censura, relativa all’art. 1, comma 1, lettera g, del decreto, che, nel disciplinare il riversamento delle entrate da parte del concessionario del servizio di riscossione, elimina il riferimento alle casse degli enti territoriali, rilevata la inammissibilità del profilo di doglianza fondato sulla asserita lesione del principio costituzionale di uguaglianza, l’Avvocatura erariale contesta che la modifica introdotta determini la sottrazione delle entrate in questione alla Regione, e sostiene che l’asserito limitato ritardo nella acquisizione di dette entrate non comporterebbe alcun pregiudizio alla autonomia finanziaria della Regione, né quindi alcuna menomazione della sfera di questa costituzionalmente garantita.

Quanto infine all’ultima censura, relativa alla disposizione dell’art. 2, comma 1, lettera a, numero 2 – che, sempre nella prospettiva della semplificazione degli adempimenti dei contribuenti, si sarebbe limitata a consentire la deroga al sistema del versamento unitario per certe entrate tributarie -, ribadita la inammissibilità dei profili non attinenti alla competenza regionale, si sostiene che dalla norma contestata non verrebbe messa in discussione la spettanza delle entrate alla Regione; mentre l’affermazione secondo cui ne deriverebbe un ritardo nel versamento delle entrate alla cassa regionale sarebbe apodittica e indimostrata, non essendovi ragione per ipotizzare che il versamento non debba avvenire immediatamente e comunque in tempi non superiori a quelli che, nel sistema, non contestato, del versamento unitario con compensazione, sono strettamente necessari per la ripartizione e il riversamento delle somme ai soggetti destinatari.

Considerato in diritto

1.- Il ricorso della Regione Siciliana investe alcune disposizioni del decreto legislativo 19 novembre 1998, n. 422 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 9 luglio 1997, n. 237 e n. 241, 4 dicembre 1997, n. 460, 15 dicembre 1997, n. 446 e 18 dicembre 1997, n. 472), che secondo la ricorrente lederebbero l’autonomia finanziaria della Regione di cui agli artt. 116 e 119 della Costituzione, con riferimento anche all’art. 81 della Costituzione, come delineata nell’art. 36 dello statuto e nelle norme di attuazione contenute nel d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, a cui termini spettano alla Regione, e dovrebbero essere dalla stessa riscosse, tutte le entrate tributarie erariali ad eccezione di quelle esplicitamente riservate allo Stato; e contrasterebbero altresì con i principi di uguaglianza – per il diverso trattamento riservato allo Stato e alla Regione – e di ragionevolezza, per l’ingiustificato peggioramento che ne discenderebbe nella situazione della Regione in ordine alla acquisizione delle entrate ad essa spettanti.

Precisamente:

a) l’art. 1, comma 1, lettera d, modificativo dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 237 del 1997, consentendo il pagamento da parte dei contribuenti a favore di qualunque concessionario del servizio di riscossione sul territorio nazionale, e non più soltanto di quello nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio finanziario competente, e non prevedendo, secondo la ricorrente, l’obbligo del riversamento nelle casse regionali delle somme riscosse in relazione a fattispecie tributarie maturate nell’ambito della Regione, violerebbe l’art. 4 delle norme di attuazione approvate con d.P.R. n. 1074 del 1965, che sancisce il criterio della spettanza alla Regione delle entrate relative a fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale;

b) l’art. 1, comma 1, lettera e, modificativo dell’art. 6 del d.lgs. n. 237 del 1997, prevedendo, per alcune entrate tributarie riscosse dagli uffici periferici dipendenti dal Dipartimento del territorio, un decreto interministeriale che stabilisce le modalità per il versamento alla tesoreria provinciale dello Stato delle somme riscosse e approva le convenzioni che determinano i compensi agli intermediari, senza contemplare alcun coinvolgimento della Regione, sottrarrebbe alla Regione stessa la potestà di organizzare la riscossione di detti tributi e violerebbe il principio di leale collaborazione;

c) l’art. 1, comma 1, lettera g, modificativo dell’art. 8 del d.lgs. n. 237 dello 1997, eliminando il riferimento alle casse degli enti territoriali competenti ai fini del versamento delle somme riscosse dal concessionario del servizio, comporterebbe l’esclusione della Regione Siciliana dai destinatari del riversamento ai sensi del citato art. 8 e, pur non determinando la sottrazione alla stessa di detti proventi, darebbe luogo ad un ritardo nell’acquisizione di essi, che non troverebbe alcuna giustificazione in relazione al fatto che, per gli stessi tributi, il versamento nella competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato avverrebbe entro termini più brevi e con modalità puntualmente determinate;

d) infine, l’art. 2, comma 1, lettera a, numero 2, modificativo dell’art. 17, comma 2, lettera a, del d.lgs. n. 241 del 1997, prevedendo che il versamento unitario, con eventuale compensazione, riguardi anche i pagamenti per i quali è previsto il versamento diretto alle sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, e non più solo quelli per i quali è previsto il versamento diretto al concessionario del servizio di riscossione, e prevedendo però, per le ritenute di quest’ultima categoria, in via facoltativa, il versamento presso la tesoreria provinciale dello Stato, non consentirebbe di eseguire il versamento presso la cassa regionale, con ciò illegittimamente differenziando la posizione della Regione rispetto a quella dello Stato.

2.- Le questioni sono infondate.

Lo è, anzitutto, quella relativa all’art. 1, comma 1, lettera d, del decreto impugnato, in quanto la facoltà di riscossione dei tributi da parte di qualunque concessionario del servizio, nell’intero territorio nazionale, introdotta dal legislatore delegato, non incide sulla spettanza alla Regione Siciliana dei tributi riscossi con riguardo a fattispecie maturate nel relativo territorio. Il meccanismo di riscossione lascia infatti del tutto impregiudicata la titolarità in capo alle varie amministrazioni del diritto a percepire il gettito, secondo le norme che disciplinano il riparto delle entrate. Contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, resta intatto l’obbligo di riversamento nelle casse regionali del gettito di spettanza della Regione: del resto, le stesse norme di attuazione dello statuto siciliano (art. 4 del d.P.R. n. 1074 del 1965) prevedono che siano comprese fra le entrate spettanti alla Regione anche “quelle che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale, affluiscono, per esigenze amministrative, ad uffici finanziari situati fuori del territorio della Regione”.

3.- Quanto all’art. 1, comma 1, lettera e, del decreto impugnato, oggetto della seconda censura, esso non fa che ripristinare, con riguardo a particolari tributi (tasse ipotecarie e taluni tributi speciali), il sistema di riscossione tramite i servizi autonomi di cassa dipendenti dal Dipartimento del territorio, già previsto dalla legislazione preesistente e sostituito dal testo originario del d.lgs. n. 237 del 1997 (art. 6, comma 3), che aveva soppresso tali servizi (art. 1, comma 1, a sua volta ora modificato dall’art. 1, comma 1, lettera a, numero 1, del d.lgs. n. 422 del 1998, non impugnato), con il sistema di riscossione centralizzato tramite l’Ente poste italiane.

Il fatto che la nuova disciplina contempli un decreto ministeriale, che stabilisce le modalità di versamento delle somme riscosse e approva le convenzioni che determinano i compensi agli intermediari, è conseguenza della necessità di regolamentare le nuove procedure in tutto il territorio nazionale. Esso non intacca né la spettanza dei tributi alla Regione (del resto il decreto del Direttore generale del Dipartimento del territorio 16 dicembre 1998, emanato in attuazione della norma impugnata, esplicitamente prevede il versamento dei tributi alle tesorerie provinciali dello Stato “o alle casse regionali”: art. 4, secondo comma; art. 5, secondo comma; art. 7, secondo comma), né la potestà della Regione di disciplinare, entro i limiti chiariti dalla giurisprudenza di questa Corte, la riscossione dei tributi nell’ambito del territorio regionale, ferma restando, in assenza di normativa regionale, l’applicazione anche in Sicilia delle leggi dello Stato (art. 6 del d.P.R. n. 1074 del 1965; e cfr., da ultimo, sentenze n. 111, n. 138 e n. 186 del 1999).

Non si verifica dunque la lamentata violazione della competenza regionale, né quella del principio di leale collaborazione, poiché il decreto ministeriale previsto dalla norma impugnata non riguarda, come tale, la Regione Siciliana, ma il sistema nazionale di riscossione dei tributi in questione.

4.- Con riguardo alla terza censura, avente ad oggetto l’art. 1, comma 1, lettera g, del decreto impugnato, la stessa ricorrente ammette che tale disposizione non determina la sottrazione alla Regione dei proventi tributari ad essa spettanti, ma ritiene che la nuova procedura dia luogo a ritardo nell’acquisizione di essi alle casse regionali.

La modifica normativa in esame riguarda la disciplina dei versamenti, rispettivamente, a favore dello Stato e a favore degli enti territoriali, delle entrate di varia natura, tributarie e non tributarie, di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 237 del 1997: disciplina prima uniforme, in base al testo originario del d.lgs. n. 237 del 1997, e ora differenziata, in base al nuovo testo dell’art. 9 del medesimo decreto, secondo cui i versamenti agli enti territoriali seguono i ritmi temporali previsti per i versamenti agli enti diversi dallo Stato (pur sempre con termini precisi: entro il 12 e il 27 di ogni mese).

Le parti sembrano ritenere che la nuova disciplina del versamento delle entrate in questione da parte dei concessionari del servizio di riscossione, recata dagli artt. 8 e 9, modificati, del d.lgs. n. 237 del 1997, comprenda anche le somme riscosse a titolo di tributi erariali spettanti alla Regione Siciliana ai sensi degli artt. 2, 3 e 4 del d.P.R. n. 1074 del 1965 fra quelle assoggettate alle modalità di versamento agli “enti diversi dallo Stato” (art. 9 del decreto legislativo), e non fra quelle assoggettate alle modalità di versamento previste per le somme riscosse allo stesso titolo, nel restante territorio nazionale, per conto dello Stato (art. 8).

Invero, la considerazione del particolare regime previsto in Sicilia per la destinazione e la riscossione del gettito dei tributi erariali consente una lettura del nuovo testo degli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 237 del 1997 più aderente a tale regime, che cioè accomuni la disciplina delle entrate tributarie erariali riscosse in Sicilia e attribuite alla Regione alla disciplina prevista per le entrate tributarie dello Stato, piuttosto che a quella delle entrate di pertinenza degli altri enti territoriali: e in tal senso, del resto, risulta a questa Corte che si sia orientata la stessa amministrazione statale.

Così intesa la disposizione impugnata, non ha ragion d’essere la censura mossa dalla ricorrente.

5.- Il sistema dei versamenti unitari, con eventuale compensazione fra debiti e crediti anche relativi a diversi tributi, è stato introdotto, per semplificare gli adempimenti dei contribuenti, dagli artt. 17 e seguenti del d.lgs. n. 241 del 1997, senza contestazioni da parte della Regione Siciliana, che anzi, in questa sede, ammette trattarsi di “una riforma di vasta portata, organica e generale”, e sembra dunque apprezzarne il contenuto.

L’art. 2, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 442 del 1998, oggetto della quarta ed ultima censura, non fa altro che estendere tale sistema – già limitato ai soli contribuenti titolari di partita IVA ed escluso per alcune ritenute alla fonte – a tutti i contribuenti nonché alle ritenute alla fonte prima escluse; per queste ultime la disposizione censurata (il numero 2 della citata lettera a dell’art. 2, comma 1, del decreto impugnato, che riguarda l’estensione “oggettiva” alle menzionate entrate tributarie), lascia però la facoltà ai contribuenti di eseguire il versamento, come avveniva in precedenza, presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato, in questo caso senza possibilità di compensazione.

Si tratta di una modifica che non incide in alcun modo non solo sulla spettanza delle entrate, ma nemmeno sul sistema di versamento dei proventi, riscossi dai concessionari, alle casse degli enti creditori, né, infine, sul sistema di riversamento dei proventi che vengano ancora riscossi dalle tesorerie provinciali dello Stato, secondo il sistema previgente, facoltativamente mantenuto dalla norma in esame per le ritenute già così disciplinate dal testo originario.

Nessuna lesione, dunque, si verifica, per effetto della norma impugnata, nella posizione costituzionalmente garantita della Regione. Per quanto poi riguarda la presunta differenziazione fra Regione e Stato – ammesso che essa sussista, ma non per effetto della norma in questione – varrebbe comunque la considerazione che una eventuale e marginale diversità di disciplina fra Stato e Regione, ai fini delle modalità di riscossione e riversamento delle entrate, non potrebbe di per sé considerarsi irragionevole e contrastante con l’art. 3 della Costituzione.

6.- A ben vedere, molte delle difficoltà e dei contrasti che insorgono in ordine al regime di ripartizione delle entrate fra Stato e Regione Siciliana, e di riscossione delle entrate nella Regione Siciliana, sono da addebitarsi alla mancanza di una normativa di attuazione dello statuto che tenga conto delle profonde trasformazioni intervenute nel sistema tributario e nei rapporti finanziari fra Stato e Regione dall’epoca delle norme dettate con il d.P.R. n. 1074 del 1965 (cfr. sentenze n. 111 e n. 138 del 1999).

 E’ pertanto da rinnovare l’auspicio (già espresso nella sentenza n. 138 del 1999) che Stato e Regione, attraverso la specifica forma di collaborazione prevista dall’art. 43 dello statuto ai fini della adozione delle norme di attuazione, si attivino per adeguare alle nuove esigenze e realtà l’attuale assetto normativo in questa materia.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, lettere d, e, g, e dell’art. 2, comma 1, lettera a, numero 2, del d.lgs. 19 novembre 1998, n. 422 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 9 luglio 1997, n. 237 e n. 241, 4 dicembre 1997, n. 460, 15 dicembre 1997, n. 446 e 18 dicembre 1997, n. 472), sollevate, in riferimento agli articoli 3, 81, 116 e 119 della Costituzione, nonché all’art. 36 dello statuto speciale e alle relative norme di attuazione di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, dalla Regione Siciliana con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2001.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2001.