SENTENZA N. 116
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO
"
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a
seguito della nota del Ministero
dell’economia e delle finanze – Dipartimento per le politiche fiscali del 18
dicembre 2007, n. 27685-2007/DPF/UFF, promosso dalla Regione
Siciliana con ricorso notificato il 27 febbraio 2008, depositato in cancelleria
il 4 marzo 2008 ed iscritto al n. 4 del registro conflitti tra enti 2008.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2010 il
Giudice relatore Franco Gallo;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon,
Victor Uckmar e Giovanni Pitruzzella
per la Regione Siciliana e l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso
notificato il 27 febbraio 2008 e depositato il 4 marzo successivo, la Regione
Siciliana – in riferimento agli artt. 36 e 37 del proprio statuto (regio
decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello Statuto
della Regione siciliana», convertito nella legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 2), nonché all’intero decreto del Presidente della Repubblica 26
luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana
in materia finanziaria) e, in particolare, agli artt. 2, 4 e 7 di quest’ultimo
decreto – ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in
relazione alla nota del Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento
per le politiche fiscali del 18 dicembre 2007, n. 27685-2007/DPF/UFF.
1.1. – Riferisce
la ricorrente che, con l’atto impugnato, pervenutole in data 18 dicembre 2007,
sono state rigettate le istanze rivolte al Ministero dell’economia e delle
finanze ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri (nota prot.
n. 11766 del 3 ottobre 2007, preceduta dalle note prot.
n. 4792, n. 4793, n. 4794 e n. 4796 del 6 aprile 2006), con le quali la stessa
Regione aveva sollecitato l’«emanazione delle opportune disposizioni e […] l’adozione
dei provvedimenti necessari per consentire l’acquisizione al bilancio regionale
del gettito […]: a) dell’imposta sulle assicurazioni di cui alla legge 29
ottobre 1961, n. 1216 (Nuove disposizioni tributarie in materia di
assicurazioni private e di contratti vitalizi) versata e dovuta dagli
assicuratori che hanno il domicilio fiscale o la rappresentanza fuori dal
territorio regionale nell’ipotesi in cui i premi riscossi siano relativi a
polizze assicurative rilasciate per fattispecie contrattuali assicurative (non
solo R.C.A.) maturate nell’ambito regionale; b) dell’imposta sul valore
aggiunto versata dai depositi periferici di vendita dei generi di monopolio
ubicati in Sicilia, e, piú in generale, del gettito
di tale imposta sulle operazioni imponibili il cui presupposto si realizzi in
Sicilia; c) dell’imposta sugli interessi, premi ed altri frutti e proventi che,
a termini dell’art. 26, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è
applicata nei confronti dei titolari di conti correnti o di deposito, con
ritenuta da parte dell’Ente poste italiane e dagli istituti di credito che
hanno il domicilio fiscale fuori dal territorio regionale, nell’ipotesi in cui
le ritenute eseguite dai sostituti di imposta siano relative a interessi e
altri proventi corrisposti a depositanti e correntisti di uffici postali e
dipendenze bancarie operanti nella Regione; d) delle ritenute d’acconto operate
dalle Amministrazioni dello Stato o da altri Enti pubblici, con sede centrale
fuori dal territorio regionale, su stipendi ed altri emolumenti corrisposti in
favore di dipendenti o altri soggetti che abbiano espletato stabilmente la
propria attività lavorativa nel territorio della regione».
1.3. – La ricorrente deduce che
l’impugnata nota víola gli artt. 36 e 37 del proprio
statuto di autonomia ed il citato d.P.R. n. 1074 del
Rileva, in particolare, la ricorrente
che l’art. 2 delle citate norme di attuazione statutaria – il quale sancisce la
spettanza alla Regione delle entrate tributarie erariali "riscosse nell’ambito”
del territorio regionale − va inteso non nel senso che è decisivo il
luogo fisico in cui avviene «l’operazione contabile» della riscossione, ma nel
senso che va assicurato alla Regione il gettito derivante dalla "capacità
fiscale” che si manifesta nel suo territorio, in ragione della residenza
fiscale del soggetto produttore del reddito colpito (come nelle imposte sui
redditi) o luogo in cui si è verificato il fatto cui si collega il sorgere
dell’obbligazione tributaria. Tale interpretazione troverebbe conferma sia nel
tenore letterale dell’art. 4 delle stesse norme di attuazione – il quale
precisa che nelle entrate spettanti alla Regione «sono comprese anche quelle
che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale,
affluiscono, per esigenze amministrative, ad uffici finanziari situati fuori
del territorio della Regione» – sia nella previsione, da parte dell’art. 37
dello statuto e dell’art. 7 delle norme di attuazione, «di meccanismi di
riparto dei redditi assoggettati a imposizione nel caso di imprese operanti nel
territorio siciliano», che hanno sede al di fuori di esso. Ne conseguirebbe che
«il criterio della territorialità della riscossione nell’ambito regionale al
fine di identificare la quota del gettito tributario che costituisce
attribuzione della Regione siciliana, è da ritenersi mero criterio suppletivo,
utilizzato di fatto nell’impossibilità di elementi sufficienti per conoscere il
luogo in cui si sia verificato il relativo presupposto d’imposta, ed in
particolare, se lo stesso si sia verificato in ambito regionale».
1.4. – La ricorrente espone, poi, le
ragioni poste a fondamento delle sue rivendicazioni, con riferimento ai singoli
tributi che ne sono oggetto.
1.4.1. – In relazione all’imposta sulle
assicurazioni di cui alla legge n. 1216 del 1961, la ricorrente sostiene che:
a) il presupposto di detta imposta è «sostanzialmente ancorato alla sussistenza
di un contratto di assicurazione stipulato da soggetti domiciliati in Italia o
che in Italia abbiano beni o dipendenti assicurati, ovvero ancora in ragione
della localizzazione, immatricolazione o registrazione dei beni considerati nel
territorio della Repubblica»; b) pur essendo l’assicuratore il soggetto passivo
dell’imposta, l’effettivo «titolare della capacità fiscale» è il contraente e
non l’assicuratore, «sul quale ultimo […] non grava alcun obbligo se non in
dipendenza di ogni singolo pagamento, configurante peraltro una operazione
unitaria, scorporabile esclusivamente a fini contabili e documentali, ma
costituente una scrittura unitaria da indicarsi, "partitamente
per ogni polizza”, nell’apposito registro, distinguendo al suo interno
"l’importo incassato per premio e accessori” e "l’importo riscosso a titolo di
rivalsa dell’imposta” (art. 5, secondo, terzo e quarto comma, legge n. 1216 del
1961)»; c) in base ai criteri di collegamento previsti dalla legge per le varie
tipologie di assicurazione (domicilio del contraente, iscrizione in registri,
ubicazione dei beni, localizzazione degli stabilimenti cui sono addette le
persone assicurate), «è possibile anche […] individuare il radicamento nel territorio
regionale della capacità fiscale, e della sua manifestazione».
A detta della Regione, non è idoneo a
negare la spettanza regionale del tributo il richiamo, effettuato nella nota
censurata, alla sentenza della Corte di cassazione n. 3347 del 2002, nella
quale si afferma, a proposito dell’imposta sulle assicurazioni, che «nessun
rapporto tributario si instaura direttamente tra l’erario e l’assicurato». E
ciò perché, per la ricorrente, la capacità fiscale del contraente, sottesa al
rapporto tributario, consentirebbe di correlare il presupposto d’imposta al
territorio regionale.
A sostegno di tale interpretazione, la
Regione invoca il disposto dell’art. 2 della direttiva 22 giugno 1988, n.
88/357/CEE (Seconda direttiva del Consiglio che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari ed amministrative riguardanti l’assicurazione
diretta diversa dall’assicurazione sulla vita, e fissa le disposizioni volte ad
agevolare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi e modifica
la direttiva 73/239/CEE), il quale, ad avviso della Regione stessa, determina
«il luogo in cui il rischio è situato basandosi su criteri di carattere
concreto e materiale – coincidenti invero con quelli individuati dalla legge n.
1216 del 1961 – anziché su criteri di carattere giuridico». Coerente con tale
impostazione sistematica sarebbe anche la sentenza della
Corte costituzionale n. 306 del 2004, dalla quale la ricorrente desume il
principio per cui spetterebbe all’erario regionale «il gettito dell’imposta
sulle assicurazioni di cui alla legge 29 ottobre 1961, n. 1216, versata e
dovuta dagli assicuratori che hanno il domicilio fiscale o la rappresentanza
fuori dal territorio regionale nell’ipotesi in cui i premi riscossi siano
relativi a polizze assicurative rilasciate per tutte le fattispecie
contrattuali assicurative maturate nell’ambito regionale».
1.4.2. – In relazione all’imposta sul
valore aggiunto, la Regione osserva che: a) «la condizione della territorialità,
necessaria per il verificarsi del presupposto impositivo, si realizza […]
allorché la cessione sia effettuata nello Stato (e per le energie se è
effettuata a soggetti residenti o domiciliati nello Stato)»; b) se per i
servizi, in via generale, la prestazione si considera effettuata nello Stato
laddove sia resa da soggetto ivi domiciliato o residente, «tuttavia in una
rilevante serie di servizi rendibili "a distanza”, e cioè che non richiedono
necessariamente una organizzazione localizzata, il momento di collegamento è
sostanzialmente fissato in quello del luogo di utilizzazione del servizio»; c)
ne consegue che «nella maggior parte delle ipotesi riguardate dall’imposizione
sul valore aggiunto è individuabile il radicamento nel territorio regionale
della capacità fiscale, in quanto in esso il presupposto […] viene a
realizzarsi».
Prive di rilievo appaiono – per la
Regione – le considerazioni formulate nella nota impugnata in relazione alla sentenza della
Corte costituzionale n. 71 del 1973, concernente le Province autonome di
Trento e Bolzano, perché, «mentre in forza delle disposizioni statutarie del
Trentino-Alto Adige (cfr. art. 75, comma 1, d.P.R. 31
agosto 1972, n. 670), alle Province autonome sono attribuite "quote del gettito
percette nei rispettivi territori provinciali”, per
la Regione Siciliana il principio della territorialità della riscossione non è
sancito nello Statuto, ma individuato dall’art. 2 delle Norme di attuazione di
cui al d.P.R. n. 1074 del 1965 quale mero criterio
suppletivo al fine della individuazione della spettanza regionale in mancanza
di altri ben piú precisi indicatori del radicamento
nel territorio regionale della sottesa capacità fiscale».
Secondo la stessa ricorrente, anche per
l’IVA sui generi di monopolio è «individuabile il radicamento nel territorio
regionale della capacità fiscale, allorché il relativo presupposto
(specificamente: cessione dei beni attraverso le rivendite di monopolio) quivi si
perfezioni»; e ciò, «ancorché l’art. 74 del d.P.R. n.
633 del 1972 preveda che l’imposta è dovuta dall’amministrazione dei monopoli
di Stato (oggi Ente tabacchi italiano), e il d.m. 6
luglio 1993 preveda un meccanismo di versamento con acconto e conguagli, perché
"la circostanza che i versamenti in acconto vengano effettuati dai depositi e
che, poi, l’Amministrazione centrale provveda alle contabilizzazioni e
conguagli, è solo una modalità particolare di versamento e contabilizzazione” e
non snatura il presupposto dell’imposta, che resta strettamente correlato al
commercio di tali beni "ceduti attraverso le rivendite dei generi di
monopolio”».
1.4.3. – In relazione all’imposta sugli
interessi e sui redditi di capitale di cui all’art. 26 del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle
imposte sui redditi), la Regione osserva che: a) «ancorché il prelievo sia
effettuato dall’Ente poste italiane e dagli istituti bancari quali sostituti
d’imposta, mediante il meccanismo della ritenuta "con obbligo di rivalsa”, i
soggetti passivi del tributo sono gli intestatari di conti correnti e di
depositi, percettori dei detti redditi di capitale»; b) il presupposto
dell’imposta, che deve essere individuato «nel possesso di redditi di capitale
e, precisamente, nell’ammontare degli interessi maturati su conto corrente», è
«sostanzialmente ancorato alla sussistenza di un deposito o di un rapporto di
conto corrente produttivi d’interessi»; c) «la sussistenza e la localizzazione
del rapporto di deposito o di conto corrente assumono valenza essenziale quale
criterio di collegamento, rendendo possibile individuare il radicamento nel
territorio regionale della capacità fiscale, e della sua manifestazione», anche
perché i soggetti passivi sono i titolari dei depositi o conti correnti
percettori di interessi o proventi, sui quali gli istituti di credito sostituti
di imposta sono obbligati a rivalersi in base al secondo comma del citato art.
26 del d.P.R. n. 600 del 1973.
1.4.4. – In relazione alle ritenute
d’acconto operate dalle amministrazioni dello Stato o da altri enti pubblici,
con sede centrale fuori dal territorio regionale, su stipendi ed altri
emolumenti corrisposti in favore di dipendenti o altri soggetti che abbiano
espletato stabilmente la propria attività lavorativa nel territorio della
Regione, la ricorrente rileva che: a) esse «costituiscono solo un meccanismo di
prelievo dell’imposta sul reddito mediante sostituzione dell’obbligato al
versamento»; b) «la ritenuta, invero, costituisce parte indifferenziata di una
imposta unitariamente dovuta da ciascun contribuente, persona fisica, in
relazione al presupposto del possesso di redditi in denaro o in natura, la cui
base imponibile è costituita dal reddito complessivo»; c) spetta, conseguentemente,
alla Regione il gettito delle ritenute erariali sui redditi di lavoro dei
dipendenti delle amministrazioni dello Stato che prestino servizio in Sicilia,
perché «l’apprensione diretta da parte dello Stato delle entrate in questione
[…] non costituisce invero ostacolo al successivo riversamento al bilancio
regionale delle somme in questione, certamente costituenti gettito derivante da
quella capacità fiscale correlabile al territorio regionale cui […] va riferita
la spettanza regionale».
A parere della ricorrente, la
fattispecie in esame sarebbe, inoltre, diversa da quella oggetto della sentenza della
Corte costituzionale n. 81 del 1973, perché, in tale pronuncia, il diritto
della Regione Siciliana al gettito delle ritenute erariali sui redditi di
categoria C/2 dei dipendenti dello Stato e degli enti parastatali con sede
centrale fuori del territorio regionale, che prestavano servizio in Sicilia,
era stato escluso in quanto la relativa riscossione avveniva al di fuori del
territorio regionale per espressa disposizione legislativa statale e non per
quelle «esigenze amministrative», che secondo la espressa previsione dell’art.
4 del d.P.R. n. 1074 del 1965, non ne avrebbero
escluso la spettanza regionale. Troverebbero invece applicazione al caso in
esame le sentenze della Corte costituzionale n. 138 del 1999,
n. 66 del 2001
e n. 306 del
2004, le quali – sempre ad avviso della ricorrente – avrebbero affermato il
principio che la spettanza del gettito del tributo alla Regione non è correlata
ad un ristretto criterio di territorialità della riscossione, ma al radicamento
del tributo nel territorio regionale, in dipendenza della residenza fiscale del
soggetto produttore del reddito colpito.
La spettanza regionale delle ritenute
d’acconto operate dalle Amministrazioni dello Stato o da altri enti pubblici,
con sede centrale fuori dal territorio regionale, sugli stipendi ed altri
emolumenti corrisposti in favore di dipendenti o altri soggetti che abbiano
espletato stabilmente la propria attività lavorativa nel territorio della
Regione non sarebbe, poi, esclusa dall’art. 37 dello statuto regionale, perché
esso consentirebbe, anzi, «di distinguere e di estrapolare da un reddito
unitariamente considerato, quale discendente da una complessa ed unitaria
attività imprenditoriale, una quota imputabile alle attività espletate in
ambito regionale». Secondo la ricorrente, nel caso in esame si è «in presenza
di un’ipotesi assolutamente contraria, atteso che, in mancanza di una sovraordinata previsione di rango costituzionale, lo Stato
pretende di distinguere in seno ad un’imposta indifferenziata, gravante sul
reddito delle persone fisiche, la quota di gettito derivante dall’attività di
lavoro dipendente, in relazione all’essere questo prestato alle sue dipendenze,
o a quelle di altri enti pubblici, ed al fine di negare la titolarità della
regione a percepire l’intero gettito dell’imposta sul reddito gravante su
soggetti fiscalmente domiciliati in un comune della Regione Siciliana».
2. – Nel giudizio si è costituito il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia rigettato.
Il
Presidente del Consiglio dei ministri osserva che, come evidenziato dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 111 del 1999, il criterio fondamentale di riparto
del gettito tributario tra Stato e Regione Siciliana è basato su un elemento
assolutamente certo, quale è il luogo della riscossione. Del resto – prosegue
la difesa erariale – già la sentenza n. 116 del 1973 della stessa Corte aveva
precisato che tale regola di riparto può essere derogata, ai sensi dell’art. 4
del d.P.R. n. 1074 del 1965, solo quando le
competenze per la riscossione siano trasferite al di fuori del territorio
regionale per particolari esigenze organizzative, e non pure quando si tratti
di analizzare la struttura del tributo.
In tale
quadro di riferimento, soggiunge l’Avvocatura generale dello Stato, deve essere
interpretata la sentenza
della Corte costituzionale n. 304 del 2004, la quale ha affermato che il
riferimento alle entrate tributarie erariali riscosse nell’àmbito
del territorio regionale, contenuto nell’art. 2 delle citate norme di
attuazione, non va inteso nel senso che sia "sempre” decisivo il luogo fisico in cui avviene l’operazione
contabile della riscossione. Infatti, per la difesa erariale, detta pronuncia
non ha inteso né alterare il principio – desumibile dalla lettera della legge e
dalle precedenti decisioni della Corte costituzionale – secondo cui il criterio
generale del riparto del gettito tributario è rappresentato dal luogo
geografico della riscossione, né sostituire questo principio (certo ed
obiettivo) con quello (spesso approssimativo ed incerto) del luogo in cui si è
verificato il presupposto del tributo. Essa ha inteso, invece, precisare che il
criterio della riscossione non può comportare mutamenti dell’attribuzione di un
tributo che la legge specificamente attribuisce ad un Ente, per il solo fatto
che la sua riscossione sia eseguita al di fuori del suo territorio per mere
ragioni di natura amministrativa. Ed è per questo – prosegue la parte
resistente – che «il luogo della riscossione non può assumere rilevanza
decisiva nel caso esaminato dalla predetta sentenza, nel quale il tributo è
devoluto per legge alle Province in base ad un criterio alternativo altrettanto
certo ed univoco, quale quello del luogo di iscrizione nel pubblico registro
del veicolo a motore o della residenza del soggetto intestatario della macchina
agricola». Per la difesa erariale, dalla stessa sentenza sono, invece, desumibili
i seguenti princípi: a) il criterio generale di
riparto rimane quello del luogo di riscossione; b) tale criterio può subire
deroga a favore di altri criteri alternativi previsti e disciplinati da norme
di legge a carattere speciale, riguardanti particolari tributi specificamente
destinati alla Regione (o agli Enti locali ubicati nella Regione), che per mere
ragioni amministrative sono riscossi altrove; c) «il criterio alternativo deve
essere comunque certo, obiettivo ed univoco, per assicurare la razionalità e
l’efficienza dell’azione amministrativa, per favorire l’immediata
individuazione dell’ente titolare dell’attribuzione tributaria e per prevenire
l’indefinita serie di conflitti che si originerebbe, qualora la destinazione
del gettito debba essere individuata a seguito di complesse indagini e di
soggettive valutazioni da svolgere per ogni singolo caso in base alla struttura
del tributo».
Secondo l’Avvocatura
generale dello Stato, ad uguali risultati si perviene anche ove si prenda in
considerazione il luogo in cui si realizza il presupposto delle singole imposte
cui il ricorso si riferisce. Per dimostrare tale assunto, la resistente procede
all’analisi dettagliata di dette imposte.
2.1. – Quanto
all’imposta sulle assicurazioni, la difesa erariale sostiene che l’analisi
giuridica della fattispecie impositiva non può essere sostituita «con una
analisi di tipo economico», che pretenda «di attribuire rilevanza non al
soggetto passivo del tributo (l’assicuratore), ma al soggetto onerato del
pagamento dell’imposta in via di rivalsa (l’assicurato)»; e ciò perché «l’assicurato
è totalmente estraneo al rapporto giuridico di imposta, in guisa che non appare
fondata la pretesa di ricollegare al suo domicilio il luogo in cui si
verificherebbe il presupposto del tributo». In particolare, per la difesa
erariale, il presupposto del tributo, che è rappresentato «dalla stipula di un
contratto di assicurazione e dal pagamento del relativo premio», non deve
essere confuso con «una serie di elementi (principali ed accidentali) dei vari
tipi di contratto di assicurazione a cui la norma fiscale fa riferimento
(soggetto assicurato, ubicazione del bene assicurato, etc.)», i quali non
possono fungere da elementi di collegamento tra l’obbligazione tributaria ed il
territorio regionale. Sempre secondo la parte resistente, la capacità
contributiva che il legislatore ha inteso colpire è rappresentata solo dal
pagamento del premio, «indipendentemente sia dalla persona dell’assicurato che
dalla tipologia del rischio che dall’ubicazione del bene a cui il contratto si
riferisce». Tali elementi del contratto non avrebbero, dunque, nessuna
rilevanza al fine di collegare il rapporto fiscale al territorio. Inoltre, i
criteri di collegamento rappresentati dal domicilio del contraente, dall’iscrizione dei beni in registri,
dall’ubicazione dei beni, dalla localizzazione degli stabilimenti cui sono
addette le persone assicurate − ai quali fa riferimento la ricorrente −
non sarebbero univoci e potrebbero condurre a risultati contrastanti e contraddittori,
come nel caso di «un contratto di assicurazione stipulato da un soggetto non
domiciliato in Sicilia, in relazione ad un bene ubicato nel territorio
regionale». In conclusione, per la difesa erariale, il luogo della nascita
dell’obbligazione tributaria deve essere individuato nel domicilio fiscale
dell’assicuratore, unico effettivo soggetto passivo dell’obbligazione, con la
conseguenza che il tributo dovrà essere attribuito alla Regione Siciliana nei
soli casi in cui tale domicilio sia ubicato all’interno del suo territorio, ed
allo Stato in ogni altro caso.
2.2. – Quanto all’IVA dovuta sulle operazioni di cessione di beni e prestazioni di servizi effettuate nel territorio siciliano, la difesa erariale sostiene che: a) l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 prevede il criterio del luogo della riscossione, cioè del domicilio fiscale del soggetto passivo e secondo la disciplina propria di tale tributo; b) il luogo in cui si verifica il presupposto impositivo non può essere individuato – come fa la ricorrente – in base all’art. 7 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), perché tale disposizione, la quale definisce l’elemento della territorialità secondo le prescrizioni del diritto comunitario, ha solo la funzione di determinare «i limiti di applicabilità dell’ordinamento interno rispetto agli ordinamenti degli altri Stati, e non sembra estensibile al diverso tema della ripartizione del gettito tributario nell’ambito dell’ordinamento interno»; c) il legislatore, quando ha voluto ripartire il gettito dell’IVA in base al criterio della territorialità del consumo, ha introdotto specifiche modifiche all’autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome (art. 6, comma 6-bis, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268; art. 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, come sostituito dall’art. 1, comma 834, della 1egge 27 dicembre 2006, n. 296).
Quanto, in particolare, all’IVA sulle operazioni relative ai generi di monopolio, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva preliminarmente che «le materie di competenza dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) sono costituite dai giochi e dai tabacchi lavorati (sigarette, sigari e sigaretti, tabacco da fumo trinciato, tabacco da fiuto e da mastico)». Mentre il settore dei giochi è caratterizzato da un regime di esenzione dall’IVA (art. 10, primo comma, n. 6, del d.P.R. n. 633 del 1972) e dall’applicazione di un’imposta forfetaria o di un prelievo erariale unico, i tabacchi sono invece soggetti all’IVA. In particolare, l’art. 2 delle norme di attuazione dello statuto regionale prevede che competono allo Stato le entrate derivanti dal monopolio dei tabacchi; e la tabella B) ad esse allegata precisa che tali entrate sono costituite da: «1) Imposta sul consumo dei tabacchi; 2) Imposta sul consumo delle cartine e dei tubetti per sigarette; 3) Proventi del monopolio di vendita delle pietrine focaie, della bollatura degli apparecchi di accensione e dell’imposta sulla fabbricazione dei fiammiferi, tasse di licenza e proventi diversi; 4) Entrate eventuali diverse concernenti i monopoli; 5) Quote contravvenzionali spettanti al fondo per la prevenzione e la scoperta del contrabbando fuori degli spazi doganali; 6) Imposta sul consumo dei tabacchi importati direttamente da privati; 7) Proventi della vendita della saccarina di Stato». Per la difesa erariale, la previsione del numero 4) ricomprende tutte le imposte concernenti i tabacchi, compresa l’IVA relativa alle operazioni di vendita, e «non si perverrebbe a diverso risultato neppure se si volesse […] ritenere – secondo la tesi della Regione ricorrente – che il criterio di collegamento è costituito dal luogo in cui è sorto il presupposto del tributo». La normativa di carattere speciale che regola l’applicazione dell’IVA sui tabacchi impedirebbe, infatti, di affermare che il presupposto del tributo possa intendersi realizzato nel territorio della Regione, sia pure con riferimento alle operazioni di vendita effettuate nel suo àmbito. In particolare, l’art. 74, primo comma, lettera a), del d.P.R. n. 633 del 1972, prevede un criterio di applicazione monofasica dell’IVA, disponendo che – in deroga alle disposizioni che regolano l’ordinaria applicazione del tributo – per il commercio di tabacchi importati o fabbricati dall’Azienda autonoma monopoli di Stato, ceduti attraverso le rivendite dei generi di monopolio, l’imposta è dovuta dall’Amministrazione stessa, sulla base del prezzo di vendita al pubblico. A ciò si aggiunge – prosegue la parte resistente − che, in forza del decreto del Ministero delle finanze del 6 luglio 1993 recante la disciplina dell’IVA sul commercio dei generi da parte dell’Azienda autonoma monopoli di Stato, i depositi provinciali dei generi di monopolio provvedono al versamento, a titolo di acconto, dell’imposta sul valore aggiunto relativo alle vendite effettuate periodicamente, mentre il deposito dei generi di monopolio di Roma provvede, invece − oltre che ai necessari conguagli −, al recupero periodico semestrale, mediante detrazione e sotto forma di IVA a credito, dell’ammontare complessivo dell’IVA corrisposta per le operazioni di importazione e per gli acquisti di beni e servizi, nonché di quello liquidato sugli acquisti intracomunitari dall’Amministrazione stessa nel corso del semestre solare precedente.
Da tale disciplina emerge – per la difesa erariale – che «il soggetto passivo dello speciale tributo in esame è esclusivamente l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, che per mezzo del suo deposito centrale di Roma provvede alla determinazione dell’IVA dovuta ed all’assolvimento degli obblighi relativi», mentre i depositi provinciali si limitano a svolgere una funzione puramente amministrativa e contabile, perché provvedono al versamento dell’imposta dovuta a titolo di acconto, senza operare nessuna detrazione ai sensi degli artt. 19 e seguenti del d.P.R. n. 633 del 1972 (detrazione che, invece, costituisce uno degli elementi essenziali ed imprescindibili dell’applicazione dell’imposta, secondo il principio di neutralità imposto dalle direttive comunitarie). Per effetto di tale regime speciale, conclude la stessa difesa erariale, «si deve ritenere che la capacità contributiva ed il presupposto del tributo si concentrino necessariamente nel luogo in cui ha sede il deposito centrale dell’Amministrazione dei Monopoli, unico soggetto passivo, e che non si possa attribuire nessuna rilevanza ad altri elementi – quali il luogo di vendita del prodotto – che la Regione ricorrente vorrebbe invece eleggere a criterio di collegamento per la determinazione dell’Ente titolare del gettito del tributo».
2.3. – Quanto all’imposta sugli interessi, premi ed altri frutti e proventi che, a termini dell’art. 26, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, è applicata nei confronti dei titolari di conti correnti o di deposito, la difesa erariale osserva che il fatto che il soggetto passivo del tributo sia il titolare del deposito o del conto corrente, e non il sostituto d’imposta, «non adduce […] nessun argomento a sostegno della pretesa avanzata dalla Regione ricorrente, che si fonda non già sul criterio del luogo di residenza o di domicilio del titolare del rapporto di deposito o di conto corrente, ma sul criterio oggettivo del luogo di manifestazione della capacità contributiva colpita dal tributo». Né si potrebbe sostenere – aggiunge la resistente − che «nel caso di specie il criterio della riscossione non sarebbe operante perché motivato da esigenze puramente amministrative che, per quanto statuito dall’art. 4 del d.p.r. 1974/1965, siano di per sé inidonee a modificare gli effetti di norme primarie che disciplinano l’attribuzione del tributo». Infatti – prosegue la difesa erariale – le disposizioni che disciplinano gli obblighi dei sostituti di imposta non sono ispirate da ragioni "puramente amministrative”, che siano dirette solo a facilitare il sistema di riscossione, «ma sono espressione di un sistema ben piú complesso, che attribuisce una rilevanza autonoma, una specifica soggettività ed un preciso insieme di obblighi ai soggetti tenuti, in nome e per conto di altri, al pagamento dei tributi», tanto che se «la ritenuta è effettuata a titolo di imposta, piuttosto che a titolo di mero acconto, tale fase esaurisce completamente il rapporto tributario». Per la difesa dello Stato, cioè, il sostituto di imposta non può essere considerato un semplice rappresentante del contribuente, ma è un soggetto interposto nel rapporto tributario, che assume un’autonoma obbligazione di operare, dichiarare e versare le ritenute gravanti sui redditi di lavoro erogati.
Per la resistente, «solo in apparenza la capacità contributiva è rappresentata dalla fruttuosità del capitale depositato presso lo sportello dell’Ente poste o dell’Istituto di credito ubicato nel territorio regionale, e solo apparentemente il tributo è applicato sulla maggiore ricchezza cosí creata»: quest’ultima è invece rappresentata dall’incremento di reddito che «deriva dalle operazioni finanziarie operate, spesso su scala internazionale, dall’Ente poste o dall’Istituto di credito che riceve il deposito», cosí da giustificare «una tassazione nel luogo in cui opera il soggetto che esegue le intermediazioni finanziarie da cui deriva quell’aumento di ricchezza, che solo in uno stadio finale si traduce nell’accreditamento degli interessi a favore del soggetto depositante». Non troverebbero applicazione al tributo in esame – conclude la difesa erariale – i princípi espressi con la citata sentenza della Corte costituzionale n. 306 del 2004, che si riferisce non all’imposta in esame, ma ad una imposta indiretta (cioè all’imposta sulla assicurazione contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore).
2.4.
– Quanto alle ritenute di acconto operate dalle Amministrazioni dello Stato o
da altri enti pubblici, con sede centrale fuori dal territorio regionale, su
stipendi ed altri emolumenti corrisposti in favore di dipendenti o altri
soggetti che abbiano espletato stabilmente la propria attività lavorativa nel
territorio della Regione, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che «il
rapporto giuridico di imposta relativo al reddito di lavoro dipendente, al
quale ineriscono le ritenute di acconto operate e versate dal datore di lavoro,
non si instaura con l’Ufficio del luogo di svolgimento prevalente dell’attività
lavorativa, ma con quello del domicilio fiscale del lavoratore. Qualora il
lavoratore dipendente abbia il proprio domicilio fiscale al di fuori del
territorio regionale, la riscossione delle imposte avverrà in tale luogo e, in
mancanza di deroghe, la relativa entrata sarà attribuita allo Stato, nel
rispetto del fondamentale criterio di collegamento costituito dal luogo della
riscossione». Ne consegue, per la difesa erariale, «che il diverso criterio di
collegamento invocato dalla Regione ricorrente per la ripartizione degli
acconti, rappresentato dal luogo di svolgimento prevalente dell’attività
lavorativa, comporta il mantenimento di una sostanziale scissione tra
l’attribuzione degli acconti e l’attribuzione del saldo, in contraddizione con
il principio di unitarietà del tributo». La difesa dello Stato cita al
riguardo, quale precedente specifico, la sentenza della
Corte costituzionale n. 81 del 1973, secondo la quale spettano allo Stato e non alla Regione
Siciliana le ritenute erariali sui redditi di categoria C/2 (ricchezza mobile
ed imposta complementare) operate sui redditi dei dipendenti dello Stato e
degli enti parastatali con sede fuori del territorio della Regione, i quali
prestino servizio in Sicilia.
La difesa della
parte resistente erariale ribadisce, poi, che la pretesa della Regione è
comunque infondata, per le ragioni già enunciate in occasione dell’esame delle
altre rivendicazioni della Regione, e cioè perché: a) ai fini del riparto del
gettito è applicabile, in via principale, il criterio territoriale della
riscossione; b) non sussistono le condizioni per derogare al predetto criterio
della riscossione, in base all’art. 4 del d.P.R. n.
1074 del
2.5. – In generale,
con riferimento a tutti i tributi oggetto della nota impugnata, il Presidente
del Consiglio dei ministri osserva che – «ove mai si ritenesse che le pretese
avanzate dalla Regione possano ritenersi in tutto o in parte fondate –
occorrerebbe considerare che la modifica dei criteri di ripartizione delle
entrate fiscali comporterebbe conseguenze non solo a favore, ma anche a carico,
della ricorrente, in applicazione di due principi immanenti ai rapporti tra lo
Stato e le autonomie speciali: il principio di reciprocità e quello di
equivalenza tra funzioni svolte e livello di risorse disponibili».
Con riferimento al primo principio, la difesa erariale sostiene che «i criteri invocati dalla Regione ricorrente si dovrebbero applicare allo stesso modo, ed in senso contrario, per attribuire allo Stato i proventi delle imposte che, sebbene riscosse nell’àmbito del territorio regionale, sono dovute in virtú di fatti generatori che si siano verificati al proprio esterno. Cosí, ad esempio, dovrebbero attribuirsi allo Stato, e non alla Regione, i proventi dell’IVA versati da soggetti aventi il proprio domicilio fiscale nell’ambito della Regione, per cessioni di beni o prestazioni di servizi che si debbano ritenere effettuate nel territorio di altre Regioni, alla stregua dei criteri adottati per identificare il luogo dell’operazione».
Con riferimento al secondo principio, la stessa difesa rileva che – come precisato dalle sentenze n. 39 del 1984, n. 356 del 1992 e n. 138 del 1999 – in base «ai principi desumibili dall’art. 53 Cost. […] sussiste una stretta correlazione tra godimento delle entrate fiscali e svolgimento di funzioni amministrative, in quanto i tributi sono correlati alle spese dell’ente titolare e sono serventi rispetto ad esse». Ne conseguirebbe che, a fronte di una entrata aggiuntiva per la Regione, rispetto al livello economico esistente, devono «essere attribuite alla Regione, nella stessa misura, le spese relative alle funzioni statutarie che, attualmente, sono a carico della fiscalità generale».
3. – In prossimità dell’udienza, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, con la quale
ribadisce le proprie conclusioni e argomentazioni.
4. – Sempre in prossimità dell’udienza, la Regione ricorrente ha depositato una memoria, ad illustrazione di quanto già argomentato nel ricorso.
Considerato
in diritto
1. – La Regione
Siciliana – in riferimento agli artt. 36 e 37 del proprio statuto (regio
decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello Statuto
della Regione siciliana», convertito nella legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 2), nonché all’intero decreto del Presidente della Repubblica 26
luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana
in materia finanziaria), e, in particolare, agli artt. 2, 4 e 7 di quest’ultimo
decreto – ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti dello
Stato, in relazione alla nota del Ministero dell’economia e delle finanze -
Dipartimento per le politiche fiscali del 18 dicembre 2007, prot.
n. 27685-2007/DPF/UFF, con la quale lo Stato ha negato alla Regione Siciliana
l’attribuzione del gettito dei tributi erariali il cui presupposto d’imposta si
sia verificato nell’àmbito del territorio regionale,
ma il cui ammontare sia versato da soggetti passivi o sostituti d’imposta con
domicilio fiscale fuori dal territorio regionale.
La ricorrente
riferisce in particolare che, con la suddetta nota, il Ministero dell’economia
e delle finanze ha rigettato le istanze con le quali la stessa Regione aveva sollecitato
«l’emanazione delle opportune disposizioni e l’adozione dei provvedimenti
necessari per consentire l’acquisizione al bilancio regionale del gettito […]:
a) dell’imposta sulle assicurazioni di cui alla legge 29 ottobre 1961, n. 1216
(Nuove disposizioni tributarie in materia di assicurazioni private e di
contratti vitalizi), versata e dovuta dagli assicuratori che hanno il domicilio
fiscale o la rappresentanza fuori dal territorio regionale nell’ipotesi in cui
i premi riscossi siano relativi a polizze assicurative rilasciate per
fattispecie contrattuali assicurative (non solo R.C.A.) maturate nell’ambito
regionale; b) dell’imposta sul valore aggiunto versata dai depositi periferici
di vendita dei generi di monopolio ubicati in Sicilia e, piú
in generale, del gettito di tale imposta sulle operazioni imponibili il cui
presupposto si realizzi in Sicilia; c) dell’imposta sugli interessi, premi ed
altri frutti e proventi che, a termini dell’art. 26, comma 2, del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, è applicata nei confronti dei titolari di conti
correnti o di deposito, con ritenuta da parte dell’Ente poste italiane e dagli
istituti di credito che hanno il domicilio fiscale fuori dal territorio
regionale, nell’ipotesi in cui le ritenute eseguite dai sostituti di imposta
siano relative a interessi e altri proventi corrisposti a depositanti e
correntisti di uffici postali e dipendenze bancarie operanti nella Regione; d)
delle ritenute d’acconto operate dalle amministrazioni dello Stato o da altri
enti pubblici, con sede centrale fuori dal territorio regionale, su stipendi ed
altri emolumenti corrisposti in favore di dipendenti o altri soggetti che
abbiano espletato stabilmente la propria attività lavorativa nel territorio
della regione».
Ad avviso della
ricorrente, il principio generale secondo cui spettano alla Regione Siciliana
tutti i tributi erariali, in qualsiasi modo denominati, il cui presupposto
d’imposta si sia verificato nell’àmbito della stessa
Regione (salve le specifiche eccezioni previste dal secondo comma dell’articolo
36 dello statuto e dall’art. 2 del menzionato d.P.R.
n. 1074 del 1965) si desume dai seguenti parametri: a) dall’art. 36 dello statuto regionale, per il quale: a.1.) «Al
fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali
della Regione a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima» (primo comma);
a.2.) «Sono però riservate allo Stato le imposte di produzione e le entrate dei
monopoli dei tabacchi e del lotto» (secondo comma); b) dall’art. 37 dello
stesso statuto, per il quale: b.1.) «Per le imprese
industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio
della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento
dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli
stabilimenti ed impianti medesimi» (primo comma); b.2.).
«L’imposta relativa a detta quota compete alla Regione ed è riscossa dagli
organi di riscossione della medesima» (secondo comma); c) dall’art. 2 delle norme di attuazione dello statuto regionale:
c.1.) «Ai sensi del primo comma dell’articolo 36 dello Statuto della Regione
siciliana, spettano alla Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa
direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse
nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad
eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con
apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari
finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi
medesime» (primo comma); c.2.) «Ai sensi del secondo comma dell’art. 36 dello
Statuto competono allo Stato le entrate derivanti: a) dalle imposte di
produzione; b) dal monopolio dei tabacchi; c) dal lotto e dalle lotterie
a carattere nazionale» (secondo comma); c.3.) «Le entrate previste nelle
lettere precedenti sono indicate nelle annesse tabelle A), B) e C),
che fanno parte integrante del presente decreto» (terzo comma); d) dall’art. 4 delle medesime norme di
attuazione, per il quale: «Nelle entrate spettanti alla Regione
sono comprese anche quelle che, sebbene relative a fattispecie tributarie
maturate nell’ambito regionale, affluiscono, per esigenze amministrative, ad
uffici finanziari situati fuori del territorio della Regione»; e) dall’art. 7
delle norme di attuazione dello statuto regionale, per il quale: e.1.) «In
attuazione dell’art. 37 dello Statuto, per le imprese industriali e commerciali
private e pubbliche che hanno la sede centrale fuori del territorio della
Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, l’ufficio competente ad
eseguire l’accertamento procede, d’intesa con l’ufficio nel cui distretto si
trovano gli stabilimenti ed impianti, al riparto dei redditi soggetti ad
imposta di ricchezza mobile. Il riparto è comunicato agli uffici nei cui
distretti l’impresa ha stabilimenti ed impianti, agli effetti della conseguente
iscrizione a ruolo. Il Ministro per le finanze risolve i contrasti tra uffici
per il riparto del reddito d’intesa con l’assessore regionale delle finanze»
(primo comma); e.2.) «Spettano, altresí, alla Regione
i tributi sui redditi di lavoro dei dipendenti delle imprese industriali e
commerciali di cui al comma precedente, che sono addetti agli stabilimenti
situati nel suo territorio» (secondo comma); e.3.) «La determinazione di quota
prevista dal primo comma si effettua, con la procedura ivi indicata, anche nel
caso di imprese che hanno la sede centrale nel territorio della Regione e
stabilimenti e impianti fuori di essa. In tal caso l’imposta relativa alle
quote di reddito afferenti all’attività degli stabilimenti e impianti situati
fuori della Regione, è iscritta nei ruoli degli uffici delle imposte dirette
nel cui distretto sono situati detti stabilimenti e impianti. L’imposta
relativa alle quote di reddito afferenti alle attività della sede centrale e
degli stabilimenti ed impianti situati nel territorio della Regione è iscritta
nei ruoli dei competenti uffici distrettuali delle imposte dirette» (terzo
comma); f) dall’intero testo delle suddette norme di attuazione statutaria.
La Regione
conclude affermando che la nota impugnata è lesiva delle proprie attribuzioni
in materia finanziaria garantite dagli evocati parametri e chiede, pertanto,
l’annullamento di tale atto.
2. − Il
sollevato conflitto va risolto nel senso che spettava allo Stato emanare la
nota impugnata.
2.1. – Il ricorso
della Regione Siciliana si fonda, come si è visto, sull’assunto interpretativo
che lo statuto regionale e le correlative norme di attuazione attribuiscono
alla Regione stessa il gettito di tutti i tributi erariali, in qualsiasi modo
denominati, il cui presupposto d’imposta si sia verificato nell’àmbito del territorio regionale; e ciò anche nel caso in
cui l’ammontare del tributo sia versato da contribuenti o sostituti d’imposta
con domicilio fiscale fuori dal territorio regionale.
La ricorrente
richiama, a sostegno di tale assunto, soprattutto l’art. 4 delle norme di
attuazione statutaria, secondo cui «Nelle entrate spettanti alla Regione sono
comprese anche quelle che, sebbene relative a fattispecie tributarie maturate
nell’ambito regionale, affluiscono, per esigenze amministrative, ad uffici
finanziari situati fuori del territorio della Regione», interpretato nel senso
che spettano alla Regione i tributi erariali il cui presupposto di imposta si
matura nel territorio siciliano. La Regione, a ulteriore conforto di tale
interpretazione, richiama altresí le sentenze n. 306 del 2004
e n. 138 del
1999, con le quali la Corte costituzionale ha affermato che la normativa
statutaria siciliana e le correlative norme attuative utilizzano, quale
generale criterio di riparto del gettito dei tributi erariali tra Stato e
Regione Siciliana, il criterio del luogo della realizzazione del presupposto e,
quindi, del luogo della manifestazione della capacità contributiva del soggetto
passivo d’imposta.
2.2. – La tesi
della ricorrente non può essere condivisa, perché si pone in contrasto con
l’interpretazione letterale, sistematica e storica delle norme statutarie e di
attuazione dello statuto.
2.2.1. – Come è
stato piú volte osservato da questa Corte, «il testo
dell’art. 36 dello statuto della regione siciliana lascia trasparire una
originaria concezione dell’ordinamento finanziario ispirata ad una netta
separazione fra finanza statale e finanza regionale» (sent. n. 111 del
1999), nel senso che l’ordinamento finanziario della Regione si basa
«sull’esercizio di una potestà impositiva del tutto autonoma della Regione, in
spazi lasciati liberi dalla legislazione tributaria dello Stato» (sentenza n. 138 del
1999).
È tuttavia noto
che – come sottolineato dalla stessa giurisprudenza costituzionale – le norme
di attuazione dello statuto hanno costruito un diverso modello dell’ordinamento
finanziario siciliano, in quanto, «allontanandosi dal disegno originariamente
sotteso alla formula testuale dell’art. 36 dello statuto» (sent. n. 138 del
1999), prevedono l’«attribuzione alla Regione del gettito della maggior
parte dei tributi erariali, riscosso nel territorio regionale, […], fermo
restando che […] si applicano nella Regione le disposizioni delle leggi
tributarie dello Stato (art. 6 del d.P.R. n. 1074 del
1965)» (sentenza
n. 138 del 1999; analogamente, la sentenza n. 306 del
2004).
In particolare,
l’art. 2 delle norme di attuazione statutaria stabilisce il principio generale
secondo cui, salvo specifiche eccezioni, spettano alla Regione «tutte le
entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o
indirette, comunque denominate». La generalità di tale principio, basato sul
luogo in cui si "maturano” le fattispecie di riscossione dei tributi, comporta
che, ai fini del riparto del gettito dei tributi erariali tra Stato e Regione
Siciliana, l’evocato art. 4 delle medesime norme di attuazione deve essere
interpretato in coerenza sistematica con lo stesso art. 2. Ne deriva che
l’espressione «fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale»,
contenuta nel citato art.
Da quanto sopra
risulta che la ratio dell’art. 4 non
è quella di fissare un criterio di riparto dei tributi tra Stato e Regione
basato sul luogo di realizzazione del presupposto di imposta, prevalente ed
alternativo rispetto al criterio basato sul luogo di riscossione previsto
dall’art. 2 delle norme di attuazione statutaria. è solo quella di tenere ferma la spettanza alla Regione di
tributi "affluiti” ad uffici finanziari situati fuori dalla Sicilia, in quelle
specifiche ipotesi in cui tale afflusso sia stato dirottato da uffici
finanziari situati nella Regione ad uffici situati all’esterno di essa; e ciò
non per il mutamento della disciplina delle modalità di pagamento del singolo
tributo, bensí solo per contingenti esigenze
«amministrative» (contabili o di organizzazione interna) degli uffici
finanziari.
Questa
interpretazione è confermata dalla considerazione che, all’epoca, l’intento del
legislatore delle norme di attuazione statutaria era quello, eminentemente
pratico, di fondare il riparto del gettito tributario tra Stato e Regione su un
criterio generale sicuro ed efficiente, agevolmente ricavabile dalla legge –
quale quello del luogo di riscossione del tributo, data la tipicità delle forme
di riscossione – e non invece su un criterio imperniato sul luogo di
realizzazione del presupposto d’imposta; criterio che, indubbiamente, implicava
piú complesse ed incerte indagini, anche dogmatiche,
circa l’individuazione in concreto di detto presupposto.
2.2.2. – Tali conclusioni sono ulteriormente avvalorate dalla considerazione che il legislatore delle norme statutarie e di attuazione dello statuto, quando ha voluto fare applicazione del criterio di riparto basato sul luogo di realizzazione del presupposto d’imposta, lo ha espressamente stabilito.
Infatti, con gli
artt. 37 dello statuto e 7 delle corrispondenti norme di attuazione, esso ha
utilizzato questo criterio per la specifica ipotesi in cui imprese industriali
e commerciali, private e pubbliche, aventi la sede centrale fuori del
territorio della Regione, possiedano in tale territorio stabilimenti ed impianti.
In tal caso, le suddette disposizioni stabiliscono che è eccezionalmente
riservata alla Regione la quota di imposta relativa al reddito di impresa e di
lavoro dipendente riferibile a detti stabilimenti ed impianti. La specificità
di tale previsione – limitata, dal punto di vista soggettivo, alle imprese
industriali e commerciali ed ai dipendenti di queste e, dal punto di vista
oggettivo, alle imposte sui redditi – rende evidente che il criterio del luogo
di realizzazione del presupposto costituisce, appunto, solo una tassativa e
circoscritta eccezione al criterio generale del luogo di riscossione delle
imposte e, pertanto, in quanto di stretta interpretazione, è applicabile ai
soli casi previsti dallo statuto e dalle norme di attuazione statutaria, senza possibilità
di estensione analogica a casi diversi.
Da tutto ciò
consegue l’erroneità della tesi della ricorrente, che, nell’affermare la
generalità di tale criterio di riparto, trasforma una limitata e specifica
eccezione in una regola generale, con l’effetto, da un lato, di applicarlo
indebitamente a casi non contemplati dalle disposizioni che lo prevedono e,
dall’altro, di rendere ingiustificatamente inoperante il diverso criterio di
riparto basato sul luogo della riscossione, che, come si è visto, è invece
l’unico criterio generale previsto dall’art. 2 delle norme di attuazione.
2.2.3. – Le
considerazioni che precedono sono, del resto, pienamente consonanti con la piú risalente giurisprudenza di questa Corte sul punto.
In particolare,
nel senso che l’art. 4 delle norme di
attuazione va interpretato in armonia con il principio dell’attribuzione alla
Regione delle imposte riscosse nel territorio siciliano, si è già
espressa questa Corte, affermando che: a) «l’art. 4 delle norme di attuazione non può non essere considerato in
stretta relazione col menzionato art. 2, nel contesto della disciplina dei
rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione siciliana, quale risulta
delineato dal citato decreto n. 1074 del 1965» (sentenza n. 71 del
1973); b) «l’art.
Anche la sopra evidenziata natura eccezionale del criterio di riparto
previsto dagli artt. 37 dello statuto regionale e 7 delle norme di
attuazione è stata già sottolineata da
questa Corte: a) «Detto art.
37, lungi dall’esprimere un criterio applicabile ad ogni tributo erariale,
costituisce, invero, norma sicuramente eccezionale. Basta considerare che in
base ad un principio della legislazione statale, l’imposta sui redditi grava
sull’impresa nella essenziale sua unità e sorge, secondo la regola della
territorialità del tributo, nel luogo in cui l’impresa ha la sua sede,
escludendosi che assuma rilevanza ed autonomia, ai fini tributari, il singolo
stabilimento o la singola filiale. L’art. 37 dello Statuto, per contro, ha
significato e portata di eccezione, introdotta dal legislatore statutario per
dare, limitatamente all’imposta sul reddito (o, come risulta specificato
nell’art. 7 del decreto del 1965, sulla ricchezza mobile), ciò che la Regione
non avrebbe potuto acquisire» (sentenza n. 71 del
1973); b) «Una ulteriore conferma della validità di siffatta conclusione si
ricava per altro dall’art. 7 del decreto n. 1074, e, in particolare, dalla
disposizione contenuta nel secondo comma di tale articolo. Nella già menzionata
decisione n. 71 è stato messo in luce che l’art. 37 dello Statuto, lungi
dall’esprimere un principio generale, attribuisce, in via eccezionale, alla
Regione una quota di imposta sui redditi prodotti da imprese aventi sede fuori
del territorio, commisurata al reddito prodotto da stabilimenti ed impianti
situati in Sicilia, estendendo in questo modo le entrate tributarie spettanti
alla Regione […]. Orbene, il citato art. 37 Stat. che
predispone gli strumenti procedurali attraverso i quali si perviene alla
individuazione della prescritta quota, concorre a dimostrare che le stesse
norme di attuazione hanno inteso come eccezionale il disposto dell’art. 37 Stat.; ed il secondo comma, che coerentemente attribuisce
alla Regione i corrispondenti tributi sui redditi di lavoro, prova che, al di
fuori della materia attinente alle imprese con stabilimenti ed impianti in
Sicilia, e che abbiano la loro sede in altra parte del territorio nazionale,
non esistono altre ipotesi nelle quali sia possibile identificare tributi che,
riscossi e ritenuti da enti non aventi sede nella Regione, siano di spettanza
di questa ultima» (sentenza n. 81 del
1973).
2.2.4. – Come si è
sopra ricordato, la Regione ricorrente invoca, a sostegno della tesi
dell’applicabilità generale del criterio di riparto basato sul luogo di
realizzazione del presupposto di imposta, le sentenze di questa Corte n. 306 del 2004
e n. 138 del
1999. Tali pronunce – senza dar conto del sopra citato precedente orientamento
difforme della Corte – hanno affermato che: a) «L’art. 2 delle citate
norme di attuazione − pur sancendo la spettanza alla Regione delle
entrate tributarie erariali "riscosse nell’ambito” del territorio regionale −
non va inteso nel senso che sia sempre decisivo il luogo fisico in cui avviene
l’operazione contabile della riscossione. Esso tende, infatti, ad assicurare
alla Regione il gettito derivante dalla "capacità fiscale” che si manifesta nel
suo territorio, e cioè dai rapporti tributari che sono in esso radicati, in
ragione della residenza fiscale del soggetto produttore del reddito colpito o
della collocazione nell’ambito territoriale regionale del fatto cui si collega
il sorgere dell’obbligazione tributaria»; b) questa interpretazione «trova conferma, da un lato, nell’art. 4
delle stesse norme di attuazione, il quale precisa che nelle entrate spettanti
alla Regione "sono comprese anche quelle che, sebbene relative a fattispecie
tributarie maturate nell’ambito regionale, affluiscono, per esigenze
amministrative, ad uffici finanziari situati fuori del territorio della
Regione”; e, dall’altro, nella previsione (contenuta negli artt. 37 dello
statuto speciale e 7 delle norme di attuazione in materia finanziaria) di
meccanismi di riparto dei redditi soggetti a imposizione nel caso di imprese
operanti sia nel territorio siciliano sia in altri territori» (sentenza n. 306 del
2004, che richiama la sentenza n. 138 del
1999).
In ragione delle
considerazioni svolte nei punti precedenti, questa Corte ritiene di doversi
discostare dall’interpretazione dello statuto e delle norme attuative fornita
dalle suindicate pronunce e di dover riaffermare, al riguardo, la sopra
delineata ricostruzione del sistema di riparto del gettito tributario tra Stato
e Regione Siciliana, confermativa di quella evidenziata dalle sopra richiamate
sentenze n. 81
e n. 71 del 1973.
In particolare, va ribadito che: a) il criterio generale di riparto basato sul
luogo di realizzazione del presupposto, quale manifestazione della «capacità
fiscale» del soggetto passivo di imposta, non trova alcun appiglio testuale
nell’art. 2 delle citate norme di
attuazione, il quale fa esclusivo riferimento al luogo in cui viene riscosso il
tributo; b) il testo dell’art. 4 delle norme di attuazione non autorizza a
ritenere che le «fattispecie tributarie maturate nell’ambito regionale» debbano
intendersi, in ingiustificata contraddizione con il citato art. 2, come
«fattispecie in cui si realizza il presupposto d’imposta nel territorio della
Regione», ma impone, al contrario, di intendere queste ultime come «fattispecie
di riscossione che si sono realizzate nella Regione», le quali, in quanto
attengono all’adempimento dell’obbligo tributario, sono strettamente connesse
alla disciplina del tributo e, perciò, non possono essere riduttivamente
considerate quali mere "operazioni contabili” (come, invece, fanno le sentenza n. 306 del
2004 e n.
138 del 1999); c) le condizioni di applicazione del criterio basato sul
luogo di realizzazione del presupposto, previste dagli artt. 37 dello statuto e
7 delle norme di attuazione, sono piú dettagliate e
circoscritte di quelle di applicazione del criterio generale del luogo di
riscossione, previste dall’art.
2 delle norme di attuazione, con la conseguenza che tali criteri sono tra loro
in rapporto di eccezione e regola.
2.2.4.1. – Per completezza, va altresí osservato che nella sentenza n. 306 del
2004 il suddetto erroneo assunto interpretativo circa la generalità del
criterio di riparto basato sul luogo di realizzazione del presupposto di imposta
non era necessario per giungere alla conclusione della spettanza alle Province
della Regione Siciliana del gettito relativo al conflitto di attribuzione tra
enti deciso con quella pronuncia, cioè del gettito dell’imposta sulle
assicurazioni sulla responsabilità civile per la circolazione dei veicoli, «dovuta dagli assicuratori che hanno il
domicilio fiscale o la rappresentanza fuori dal territorio regionale,
nell’ipotesi in cui i premi riscossi siano relativi a polizze di assicurazione
rilasciate per veicoli a motore iscritti in pubblici registri automobilistici
aventi sede nelle Province siciliane, ovvero per macchine agricole con carte di
circolazione intestate a residenti nelle indicate Province» (punto 1. del Considerato
in diritto). In quel giudizio, veniva in rilievo il decreto
legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, che attribuisce
il gettito di tale imposta alle Province nei cui pubblici registri sono
iscritti i veicoli assicurati e demanda la sua attuazione, per quanto attiene
alle Regioni a statuto speciale, a dette Regioni, in conformità ai rispettivi
statuti di autonomia. La Regione Siciliana aveva puntualmente riprodotto la
norma statale in una propria legge regionale, ma lo Stato si era ugualmente
rifiutato di attribuire il gettito dell’imposta alle Province siciliane, nel
caso di assicuratori aventi il
domicilio fiscale o la rappresentanza fuori del territorio siciliano, pur se i
premi riscossi riguardavano polizze assicurative rilasciate per veicoli
iscritti in pubblici registri delle Province siciliane. L’illegittimità del
rifiuto statale di corrispondere il gettito, tuttavia, derivava non già dalla
normativa statutaria della Regione Siciliana, ma dalla stessa legge statale.
Infatti, nel caso di assicuratori aventi il domicilio fiscale o la rappresentanza
fuori dal territorio siciliano, la riscossione dell’imposta viene effettuata
fuori dalla Sicilia ed il relativo gettito spetterebbe allo Stato, in base al
sopra ricordato art. 2 della normativa di attuazione statutaria. Lo Stato,
però, con il citato d.lgs. n. 446 del 1997
(riprodotto, sul punto, dalla legge regionale), ha assegnato alle Province siciliane tale gettito, derogando al
suddetto criterio generale di riparto.
2.2.4.2. – Tra i
precedenti invocati dalla ricorrente, pertanto, solo nella sentenza n. 138 del
1999 è riscontrabile, quale unica ratio decidendi idonea a sorreggere la decisione, il criterio
di riparto, interpretato erroneamente come generale, basato sul luogo di
realizzazione del presupposto di imposta. Infatti con tale pronuncia, la Corte, rigettando le argomentazioni della Regione
Siciliana (la quale lamentava che i criteri di ripartizione del gettito
dell’IRAP tra le varie Regioni interessate fossero diversi da quello del luogo
della riscossione dell’imposta, previsto dall’art. 2 delle norme di attuazione statutaria), ha affermato che il criterio di
ripartizione tra Stato e Regione previsto dalla legge statale per l’IRAP è
essenzialmente basato sul luogo di «realizzazione del valore della produzione
netta, […] che esprime la "capacità fiscale” riferibile alla Regione» e che
tale criterio è identico a quello fissato in generale dagli artt. 2 e 4 delle
norme di attuazione dello statuto speciale. Tale ultima affermazione non può
essere condivisa, per le considerazioni sopra svolte.
2.3. – Ciò
premesso, va precisato, ai fini di una corretta applicazione del criterio di
riparto basato sul luogo della riscossione, che questa si realizza nel luogo
previsto dalla legge per l’adempimento dell’obbligo tributario. In particolare,
nel caso in cui il versamento del tributo è effettuato, previa ritenuta (a
titolo definitivo o di acconto), dal sostituto d’imposta – cioè da un obbligato
diverso dal soggetto che ha realizzato il presupposto –, il luogo di
riscossione si identifica in quello del versamento delle ritenute, cioè nel
luogo del domicilio fiscale del sostituto stesso. Il versamento dell’imposta da
parte del sostituto – obbligato in via autonoma rispetto al soggetto sostituito
ed «in luogo» di questo (ai sensi dell’art. 64 del d.P.R.
n. 600 del 1973) – costituisce, infatti, un elemento essenziale della
fattispecie legale della riscossione, in quanto attiene alla struttura della
riscossione stessa, disciplinata direttamente dalla legge. Ne consegue che,
nell’ipotesi prospettata dalla ricorrente di un sostituto d’imposta avente
domicilio fiscale fuori dal territorio siciliano e di un sostituito con
domicilio fiscale nel territorio regionale, non è applicabile l’art. 4 delle
norme di attuazione statutaria, secondo cui spettano alla Regione anche le
entrate che, «sebbene relative a fattispecie tributarie maturate nell’ambito
regionale, affluiscono, per esigenze amministrative, ad uffici finanziari
situati fuori del territorio della Regione». Tale inapplicabilità discende da
due diverse e concorrenti ragioni: a) perché la fattispecie tributaria di
riscossione è "maturata” nel domicilio fiscale del sostituto che ha versato le
ritenute e, dunque, nell’ipotesi in esame, fuori dal territorio della Regione;
b) perché, in ogni caso, le ritenute versate dal suddetto sostituto affluiscono
ad uffici finanziari situati fuori dal territorio della Regione per motivi
inerenti alla stessa struttura della riscossione del tributo e non certo per
quelle contingenti esigenze, meramente «amministrative» ed interne
all’amministrazione finanziaria, che, ai sensi dell’art. 4 delle norme di
attuazione statutaria, renderebbero irrilevante, ai fini della spettanza del
gettito alla Regione, la dislocazione del locus
solutionis fuori dalla Sicilia. Contrariamente a
quanto affermato dalla ricorrente, nella sostituzione d’imposta, ai fini della
riscossione e del riparto dei tributi tra Stato e Regione Siciliana, è dunque
rilevante solo il domicilio fiscale del sostituto e non quello del sostituito.
Nello stesso
senso, del resto, si è già espressa questa Corte con la sentenza n. 81 del
1973, la quale ha affermato, con riferimento all’ipotesi di «ritenute erariali sui redditi di categoria
C/2 dei dipendenti statali e dei dipendenti di enti parastatali», che «non si tratta […] di entrate la cui
riscossione avrebbe dovuto o potuto aver luogo nel territorio regionale
siciliano e che solo per "esigenze amministrative” affluiscono ad uffici
situati fuori di quel territorio; ci si trova al contrario di fronte ad un
principio generale della legislazione statale, in forza del quale le
amministrazioni interessate debbono operare determinate ritenute e corrispondere
le retribuzioni al netto di esse».
2.4. – Dalla sopra
accertata correttezza della premessa interpretativa, secondo cui l’art. 2 delle
norme di attuazione statutaria stabilisce il principio generale che
spettano alla Regione le entrate di tutti i tributi erariali riscossi nell’àmbito del territorio regionale, discende che il gettito
dei tributi rivendicati dalla Regione ricorrente è di spettanza statale,
trattandosi di tributi riscossi fuori dalla Regione Siciliana e non riservati
alla Regione stessa da alcuna norma statutaria o di attuazione statutaria. Solo
per quanto riguarda l’IVA concernente i generi di monopolio (tabacchi), il
relativo gettito deve ritenersi riservato allo Stato in forza della normativa
statutaria in tema di monopoli, indipendentemente dal luogo della riscossione.
Per una conferma
di queste conclusioni, è opportuno procedere all’analisi separata dei singoli
prelievi oggetto del ricorso.
2.4.1. – La Regione rivendica, in primo luogo, l’imposta
sulle assicurazioni prevista dalla legge 29 ottobre 1961, n. 1216,
limitatamente alle ipotesi in cui detta imposta sia versata da assicuratori che
abbiano il domicilio fiscale o la rappresentanza fuori dal territorio
regionale, ma con riferimento a premi percepiti per polizze assicurative
«rilasciate per fattispecie contrattuali assicurative maturate nell’ambito
regionale». La stessa ricorrente precisa che la richiesta non riguarda
l’imposta sulle assicurazioni sulla responsabilità civile per la circolazione
dei veicoli, dovuta da assicuratori
aventi il domicilio fiscale o la rappresentanza fuori del territorio siciliano,
con riferimento ai premi riguardanti polizze assicurative rilasciate per
veicoli iscritti in pubblici registri delle Province siciliane o per macchine
agricole i cui intestatari risiedano in tali Province. Si è già visto, infatti,
che per tale imposta, il d.lgs. n. 446 del 1997
attribuisce il gettito alle Province nei cui pubblici registri sono iscritti i
veicoli assicurati (come confermato dalla sentenza di questa
Corte n. 306 del 2004).
La pretesa della ricorrente non è fondata.
L’imposta di cui
alla legge n. 1216 del 1961 è dovuta e pagata all’erario dall’assicuratore – a favore
del quale è prevista la rivalsa nei confronti degli assicurati − con
riferimento ai premi assicurativi da lui percepiti e denunciati con
dichiarazioni periodiche complessive. La fattispecie di riscossione si
realizza, perciò, nel domicilio fiscale dell’assicuratore, con la conseguenza
che, nel caso in cui tale domicilio sia situato fuori dal territorio siciliano,
il gettito del tributo spetta allo Stato, in forza del piú
volte citato art. 2 delle norme di attuazione statutaria. L’accertato rilievo
esclusivo del luogo della riscossione, ai fini del riparto del gettito
tributario tra Stato e Regione, consente di trascurare sia le discussioni
dottrinali circa l’identificazione del soggetto passivo (l’assicuratore o
l’assicurato oppure il terzo contraente) sia le difficoltà di determinare in
concreto il luogo di realizzazione del presupposto d’imposta (connesse con la
variabilità del locus solutionis
del premio, a seconda delle modalità prescelte dall’assicuratore per la sua
organizzazione imprenditoriale: filiali, agenti con rappresentanza, sede).
2.4.2. – La Regione rivendica, in secondo luogo, il
gettito dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), limitatamente alle
«operazioni imponibili il cui presupposto si realizzi in Sicilia» e per le quali
il versamento dell’imposta sia effettuato fuori dal territorio regionale.
Anche tale pretesa
non è fondata.
L’IVA (per quel
che qui interessa, in relazione alle richieste della ricorrente) è dovuta e
versata all’erario − con riferimento a dichiarazioni periodiche
complessive – da chi, nell’esercizio di imprese o di arti e professioni, cede
beni o fornisce servizi. Il cedente o fornitore agisce in via di rivalsa
obbligatoria nei confronti del cessionario del bene o del committente e, al
fine di determinare l’importo netto da versare all’erario, effettua complessive
detrazioni dell’IVA da lui, a sua volta, corrisposta in via di rivalsa a terzi
per gli acquisti inerenti all’impresa.
Come si è sopra
accertato, le norme di attuazione statutaria prevedono, quale criterio generale
di riparto, quello del luogo di riscossione. In base a tale criterio, pertanto,
rileva il domicilio fiscale del cedente il bene o del fornitore di servizi,
cioè il luogo in cui detti soggetti, in quanto obbligati al pagamento dell’IVA,
realizzano la fattispecie di riscossione. Ne consegue che, contrariamente a
quanto sostenuto dalla Regione ricorrente, nel caso in cui chi è tenuto al
versamento dell’IVA all’erario abbia domicilio fiscale fuori dal territorio
siciliano, il gettito dell’imposta spetta allo Stato.
2.4.3. – La Regione rivendica, in terzo luogo, il
gettito dell’IVA versata all’erario dai depositi periferici di vendita
dei generi di monopolio (tabacchi) ubicati nella Regione, con riferimento alle
«operazioni imponibili il cui presupposto si realizzi in Sicilia».
La pretesa della
ricorrente non è fondata, sia pure per motivi diversi dall’applicazione del
sopra menzionato criterio generale di riparto basato sul luogo della
riscossione dei tributi erariali.
I depositari
periferici, ubicati in Sicilia, della vendita dei generi di monopolio
(tabacchi) sono tenuti a corrispondere alle tesorerie provinciali, in via di
acconto, l’IVA relativa alle loro vendite (applicata eccezionalmente, per detti
beni, come imposta monofase), ma il conguaglio finale, con dichiarazione
unitaria e complessiva, è effettuato dal deposito centrale, in Roma,
dell’Amministrazione autonoma per i monopoli di Stato. In tale sistema, lo
speciale tipo di IVA dovuta sulla base del prezzo di vendita dei suddetti generi
di monopolio va annoverato tra le entrate tributarie afferenti a tale monopolio
e quindi – indipendentemente dal luogo della riscossione del tributo − è
riservata espressamente allo Stato, in forza dell’art. 36, secondo comma, dello
statuto («sono […] riservate allo Stato [..] le entrate dei monopoli dei
tabacchi e del lotto»), dell’art. 2, secondo comma, delle norme attuative
(«competono allo Stato le entrate derivanti […] dal monopolio dei tabacchi») e
della tabella B) ad esse annessa
(«Entrate tributarie riservate allo Stato […]. Proventi del monopolio dei
tabacchi: […] Entrate eventuali diverse concernenti i monopoli»).
Va soggiunto al
riguardo che, non rientrando ovviamente l’IVA (ivi compresa quella in esame sui
monopoli) nella categoria delle imposte sui redditi, non sono applicabili nella
specie, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, gli artt. 37 dello
statuto e 7 delle norme di attuazione, i quali (come si è visto) riguardano
esclusivamente le imposte sui redditi.
2.4.4. – La Regione rivendica, in quarto luogo, il
gettito dell’imposta sugli interessi ed altri proventi applicata nei
confronti dei titolari di conti correnti o di deposito − ai sensi
dell’art. 26, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973 −,
mediante ritenute effettuate dall’Ente poste italiane (ora s.p.a. Poste
Italiane) e dagli istituti di credito aventi il domicilio fiscale fuori dal
territorio regionale, nell’ipotesi in cui le ritenute eseguite dai suddetti
«sostituti di imposta siano relative a interessi e altri proventi corrisposti a
depositanti e correntisti di uffici postali e dipendenze bancarie operanti
nella Regione».
Al pari dei
tributi precedentemente esaminati, la rivendicazione di tale imposta da parte
della ricorrente non è fondata.
Il tributo in
esame è versato all’erario dall’Ente Poste o dalla banca che, nella loro
qualità di sostituti di imposta, hanno effettuato ritenute (in via di acconto o
di imposta, a seconda dei casi) in relazione agli interessi e proventi dovuti
al depositante. In base al criterio del luogo della riscossione da applicare
nella specie, rileva il luogo in cui il sostituto d’imposta ha effettuato il
versamento all’erario, e cioè il luogo in cui esso ha domicilio fiscale. Ne
consegue che, nel caso in cui i sostituti d’imposta siano l’Ente Poste italiane
o banche che abbiano il proprio domicilio fiscale fuori dal territorio
siciliano, il gettito del tributo spetta allo Stato, ai sensi dell’art. 2 delle
norme di attuazione statutaria.
2.4.5. – Infine, in quinto luogo, la Regione rivendica il gettito
delle «ritenute d’acconto operate dalle amministrazioni dello Stato o da
altri enti pubblici, con sede centrale fuori dal territorio regionale, su
stipendi ed altri emolumenti corrisposti in favore di dipendenti o altri
soggetti che abbiano espletato stabilmente la propria attività lavorativa nel
territorio della regione».
La pretesa della
ricorrente non è fondata neppure in questa ipotesi.
Deve prendersi
preliminarmente atto che – come già notato in precedenza − non è
controversa tra le parti la spettanza regionale della quota delle imposte sui
redditi di impresa o di lavoro dipendente afferente agli stabilimenti od
impianti ubicati in Sicilia ed appartenenti ad imprese pubbliche o private con
sede centrale fuori dal territorio della Regione (artt. 37 dello statuto e 7
delle relative norme di attuazione). La richiesta della ricorrente riguarda,
infatti, ipotesi diverse, relative a datori di lavoro pubblici non
imprenditori, per le quali opera il generale criterio di riparto basato sul
luogo della riscossione del tributo e non quello eccezionale basato sul luogo
di realizzazione del presupposto d’imposta. Per tali ritenute d’acconto,
operate alla fonte (ai sensi dell’art. 23 del d.P.R.
n. 600 del 1973) nei confronti dei propri dipendenti, da amministrazioni
pubbliche di natura non imprenditoriale, nella loro qualità di sostituti
d’imposta, e riscosse dall’erario mediante versamento diretto (ai sensi
dell’art. 3, primo comma, numero 1, del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 602), rileva, dunque, soltanto il luogo in cui le ritenute
sono versate all’erario, cioè il luogo in cui è la sede centrale di dette
amministrazioni, senza che vengano in considerazione né il domicilio fiscale
del dipendente, né la localizzazione degli impianti e stabilimenti
dell’amministrazione presso i quali viene svolta l’attività lavorativa. Poiché
la questione è posta dalla ricorrente solo per le amministrazioni pubbliche con
sede centrale situata fuori dal territorio siciliano, il gettito delle ritenute
spetta, in tali ipotesi, allo Stato e va rigettata, pertanto, la richiesta
della Regione. A maggior ragione, tale conclusione vale per l’ipotesi di
ritenuta diretta in acconto da parte dello Stato, ai sensi degli artt. 29 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 2 del d.P.R.
n. 602 del 1973.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che spettava allo Stato e, per esso, al
Ministero dell’economia e delle finanze emettere la nota in data 18 dicembre
2007, n. 27685-2007/DPF/UFF, del Dipartimento per le politiche fiscali presso
detto Ministero, impugnata dalla Regione Siciliana con il ricorso per conflitto
di attribuzione indicato in epigrafe.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta il 22 marzo
2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 marzo 2010.