Sentenza n. 245 del 2015

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SENTENZA N. 245

ANNO 2015

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Alessandro             CRISCUOLO                                     Presidente

-    Giuseppe                FRIGO                                                  Giudice

-    Paolo                      GROSSI                                                     ”

-    Giorgio                   LATTANZI                                                ”

-    Aldo                       CAROSI                                                     ”

-    Marta                     CARTABIA                                               ”

-    Mario Rosario        MORELLI                                                  ”

-    Giancarlo               CORAGGIO                                              ”

-    Giuliano                 AMATO                                                     ”

-    Silvana                   SCIARRA                                                  ”

-    Daria                      de PRETIS                                                 ”

-    Nicolò                    ZANON                                                     ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 388, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − Legge di stabilità 2014), promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 25 febbraio 2014, depositato in cancelleria il 7 marzo 2014 ed iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2014.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 4 novembre 2015 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi l’avvocato Ezio Zanon per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 7 marzo 2014, la Regione Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto, tra l’altro, l’art. 1, comma 388, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), in riferimento agli artt. 3, 42, 117, quarto comma, 118 e 119 della Costituzione.

La disposizione censurata prevede che «Anche ai fini della realizzazione degli obiettivi di contenimento della spesa, i contratti di locazione di immobili stipulati dalle amministrazioni individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non possono essere rinnovati, qualora l’Agenzia del demanio, nell’ambito delle proprie competenze, non abbia espresso nulla osta sessanta giorni prima della data entro la quale l’amministrazione locataria può avvalersi della facoltà di comunicare il recesso dal contratto. Nell’ambito della propria competenza di monitoraggio, l’Agenzia del demanio autorizza il rinnovo dei contratti di locazione, nel rispetto dell’applicazione di prezzi medi di mercato, soltanto a condizione che non sussistano immobili demaniali disponibili. I contratti stipulati in violazione delle disposizioni del presente comma sono nulli».

1.1.– Premette la Regione ricorrente che la collocazione della disposizione potrebbe indurre a superare il dato letterale, il quale non prevede un’esclusione degli enti territoriali dal proprio ambito di applicazione, dovendosi attribuire ad una mera svista del legislatore la mancata delimitazione, nel richiamo al predetto art. 1, comma 2, alle amministrazioni dello Stato.

Infatti, se pure la norma fa riferimento alle «amministrazioni individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196», la delimitazione alle sole amministrazioni appartenenti allo Stato, con conseguente esclusione delle Regioni, sarebbe suggerito dall’ambito applicativo del precedente comma 387, il quale apporta alcune modifiche alla disciplina, dettata dai commi 222, 222-bis e 224 dell’art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 196 − recte: n. 191 − (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato – legge finanziaria 2010), della stipula e del rinnovo dei contratti di locazione delle (sole) amministrazioni dello Stato, di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

Del resto – sottolinea la Regione Veneto – i poteri affidati all’Agenzia del demanio, se si considerassero riferiti alle Regioni, rimarrebbero del tutto scollegati da qualsiasi altra attività preliminare, connessa e comunque conseguente alle prescrizioni contenute nei commi 222 e seguenti della legge n. 191 del 2009.

1.2.– Tanto premesso, rileva la ricorrente che, se – arrestandosi al dato letterale del rinvio operato dal comma 388 all’art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, che non contiene alcuna delimitazione alle sole amministrazioni statali – si dovesse intendere che il comma 388 è rivolto a tutte le amministrazioni pubbliche, ivi comprese le Regioni, tale norma si porrebbe in contrasto con l’art. 117, quarto comma, Cost., in relazione agli artt. 118 Cost., nella parte in cui attribuisce all’amministrazione regionale i compiti di amministrazione diretta nelle materie di propria competenza, e all’art. 119, che riconosce espressamente alle Regioni la possibilità di avere sia un proprio patrimonio, che un’autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci. La pur apprezzabile finalità di evitare il ricorso a spese per canoni di locazione in presenza di immobili fruibili ma non utilizzati, perseguita tramite la valorizzazione del patrimonio pubblico, finirebbe infatti per compromettere le prerogative regionali.

La Regione Veneto ricorda la sentenza n. 376 del 2003, in materia di coordinamento della finanza pubblica, nel cui ambito viene ricondotta la norma censurata, e valorizza come questa Corte, in tale pronuncia, abbia affermato che possono essere previste anche disposizioni puntuali, eventualmente necessarie affinché la finalità di coordinamento possa essere concretamente realizzata, tuttavia precisando che «i poteri in questione devono essere configurati in modo consono all’esistenza di sfere di autonomia, costituzionalmente garantite, rispetto a cui l’azione di coordinamento non può mai eccedere i limiti, al di là dei quali si trasformerebbe in attività di direzione o in indebito condizionamento dell’attività degli enti autonomi».

Ugualmente non sarebbero rispettati gli altri presupposti indicati da questa Corte affinché i compiti attribuiti allo Stato non si rivelino contrari alla Carta costituzionale.

Infatti, il ruolo attribuito all’Agenzia del demanio non configurerebbe alcun limite di carattere generale, ma interverrebbe in modo puntuale a limitare l’autonomia della Regione nella sua attività di reperimento di spazi necessari alla sua attività.

La misura peraltro apparirebbe sproporzionata rispetto al conseguimento degli obiettivi nazionali di coordinamento della finanza pubblica, perché il potere decisionale de quo sarebbe sottratto alla Regione e attribuito all’Agenzia del demanio, quasi in forma sanzionatoria e senza che vi sia stata in alcun modo la possibilità di verificare l’effettiva determinazione di un obiettivo di finanza pubblica alle Regioni anche per l’attività locatizia.

Viene altresì evidenziata la “lacunosità” del potere di coordinamento in materia di finanza pubblica esercitabile dallo Stato attraverso il censurato comma 388, in quanto mancherebbe una qualsiasi altra manifestazione di coordinamento preventivo e correlato, nonché la previsione di strumenti di raccordo istituzionale e di garanzia procedimentale (vengono richiamate, a titolo di esempio, l’intesa ai sensi dell’art. 9, comma 1 – recte: comma 2 −, lettera c, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 28, recante «Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali», e la Conferenza unificata Stato-Regioni).

Da tutto ciò conseguirebbe altresì – a parere della Regione Veneto – l’incongruità, l’irragionevolezza e l’irrazionalità della disciplina con conseguente violazione degli artt. 3 e 42 Cost.

La Regione Veneto lamenta un ulteriore profilo di incostituzionalità, in riferimento agli art. 117, 118 e 119 Cost. per invasione nelle competenze regionali da parte del comma 388, senza la previsione di idonee forme di intesa o collaborazione.

2.– Con atto depositato il 4 aprile 2014, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la non fondatezza della questione sollevata.

2.1.– Viene innanzitutto superata qualsiasi ombra interpretativa sull’ambito applicativo della norma censurata, non limitabile alle sole amministrazioni dello Stato. Tale conclusione, oltre che dal piano dato letterale della disposizione, sarebbe suggerito dall’esistenza, nell’intero impianto normativo, di diverse ipotesi di attribuzione all’Agenzia del demanio della gestione e della valorizzazione dell’intero patrimonio pubblico (incluso quello degli enti territoriali).

Del resto – premessa la riconducibilità della norma impugnata alle disposizioni di carattere straordinario finalizzate al contenimento della spesa pubblica e al rispetto dell’equilibrio di bilancio – la norma sarebbe perfettamente coerente con il primario ruolo attribuito dal legislatore all’Agenzia del demanio nella gestione del patrimonio immobiliare pubblico, in un’ottica di razionalizzazione e valorizzazione dello stesso correlata al conseguimento di obiettivi di coordinamento della finanza pubblica e di riduzione delle spese.

2.2.– Quanto, più specificamente, alla lamentata invasione dell’autonomia legislativa e amministrativa regionale, viene ricordata la giurisprudenza di questa Corte in punto di riparto di competenze, che colloca le disposizioni di contenimento della spesa pubblica nell’ambito della materia del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, oggetto di legislazione concorrente. La finalità di contenimento della spesa pubblica corrente viene ricondotta nell’ambito dei principi di coordinamento di finanza pubblica, con la conseguenza che il fatto stesso che il legislatore imponga limiti alle politiche di bilancio, come appunto quelli della cosiddetta «spending review» sul patrimonio immobiliare, volte al risparmio di spesa, escluderebbe che possa invocarsi la logica della norma di dettaglio, in considerazione del fine perseguito, consistente nella salvaguardia dell’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con gli obiettivi nazionali condizionati da obblighi comunitari.

Alla luce di tali coordinate interpretative in ordine alle norme finalizzate alla realizzazione degli obiettivi di contenimento della spesa, l’attribuzione all’Agenzia del demanio del potere di autorizzazione al rinnovo dei contratti di locazione di immobili stipulati dalle pubbliche amministrazioni rappresenterebbe principio di coordinamento della finanza pubblica, in quanto nell’ambito delle voci di spesa essa riveste importanza strategica rispetto ai vincoli nazionali ed internazionali posti alle politiche di bilancio degli enti territoriali tenuti al rispetto del patto di stabilità interno.

Da tali argomentazioni conseguirebbe altresì che risulta inconferente la lamentata assenza di forme di intese, ritenute necessarie dalla Regione ricorrente per le ipotesi derogatorie di intervento dello Stato sul patrimonio di Regioni ed enti locali, posto che nel caso in esame non è intervenuta alcuna deroga rispetto al riparto disegnato dall’art. 117 Cost.

3.– In data 13 ottobre 2015, la Regione Veneto ha depositato memoria, ribadendo le argomentazioni precedentemente svolte a supporto dell’asserita illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, insistendo sull’avvenuto travalicamento, ad opere della stessa, dei confini del coordinamento della finanza pubblica.

Considerato in diritto

1.– La Regione Veneto dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 388, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), in riferimento agli artt. 3, 42, 117, quarto comma, 118 e 119 della Costituzione.

La disposizione impugnata prevede che «Anche ai fini della realizzazione degli obiettivi di contenimento della spesa, i contratti di locazione di immobili stipulati dalle amministrazioni individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non possono essere rinnovati, qualora l’Agenzia del demanio, nell’ambito delle proprie competenze, non abbia espresso nulla osta sessanta giorni prima della data entro la quale l’amministrazione locataria può avvalersi della facoltà di comunicare il recesso dal contratto. Nell’ambito della propria competenza di monitoraggio, l’Agenzia del demanio autorizza il rinnovo dei contratti di locazione, nel rispetto dell’applicazione di prezzi medi di mercato, soltanto a condizione che non sussistano immobili demaniali disponibili. I contratti stipulati in violazione delle disposizioni del presente comma sono nulli».

1.1.– La prima censura concerne la presunta violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost. in relazione all’art. 118 Cost., nella parte in cui attribuisce all’amministrazione regionale i compiti di amministrazione diretta nelle materie di propria competenza, e all’art. 119 Cost., che riconosce espressamente alle Regioni la possibilità di avere sia un proprio patrimonio, che un’autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci.

La Regione, pur apprezzando l’intento perseguito con la norma impugnata dal legislatore statale di valorizzazione del patrimonio pubblico (evitando il ricorso a spese per canoni di locazione in presenza di beni demaniali fruibili e inutilizzati), sostiene che tale scopo non potrebbe essere perseguito comprimendo le prerogative regionali costituzionalmente garantite.

L’attribuzione all’Agenzia del demanio del potere di rilasciare un nulla osta cui è condizionata la possibilità per la Regione di rinnovare i contratti di locazione lederebbe infatti – a parere della Regione Veneto – la propria autonomia finanziaria e organizzativa. Il legislatore statale sarebbe intervenuto nella materia di legislazione concorrente «coordinamento della finanza pubblica» con una disposizione che non presenta i caratteri di principio fondamentale, travalicando i limiti individuati dalla giurisprudenza costituzionale nell’opera di perimetrazione di tale nozione. E ciò in quanto il potere attribuito all’Agenzia del demanio non configurerebbe alcun limite di carattere generale, ma interverrebbe in modo puntuale a limitare in via generale l’autonomia della Regione nella sua attività di reperimento di spazi necessari alla sua attività.

1.2.– Inoltre, il censurato comma 388 violerebbe gli artt. 3 e 42 Cost., perché la misura introdotta sarebbe sproporzionata rispetto al conseguimento degli obiettivi nazionali di contenimento della spesa pubblica, in quanto il potere decisionale in materia di rinnovo di contratti di locazione sarebbe sottratto alla Regione e attribuito all’Agenzia del demanio, «[q]uasi in forma sanzionatoria e senza che vi sia stata in alcun modo la possibilità di verificare» l’effettiva determinazione di «un obiettivo di finanza pubblica alle Regioni anche per l’attività locatizia». 

La sproporzione e l’irragionevolezza della misura ivi prevista emergerebbe anche alla luce della “lacunosità” del potere esercitabile dallo Stato attraverso il comma 388, in quanto mancherebbe un qualsiasi momento di interlocuzione tra la Regione e l’Agenzia del demanio, e, comunque, qualsivoglia strumento di raccordo istituzionale e di garanzia procedimentale, diversamente da quanto, peraltro, previsto dall’art. 2, commi 222 e seguenti, della legge 23 dicembre 2009, n. 196 − recte: n. 191 − (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), per la stipula dei contratti di locazione delle amministrazioni dello Stato.

1.3.– Ulteriore profilo di incostituzionalità, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost. per invasione nelle competenze regionali da parte del comma 388, sarebbe, inoltre ravvisabile per l’assenza di idonee forme di intesa o collaborazione.

Rileva sul punto la Regione che la deroga al riparto operato dall’art. 117 Cost. potrebbe essere giustificato solo se l’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato, oltre che proporzionata e non irragionevole, fosse oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata, accordo del tutto assente nel caso di specie.

2.– Prima di procedere all’esame delle censure, deve essere chiarito, in risposta al dubbio avanzato sul punto dalla Regione Veneto, l’ambito di operatività dell’impugnato art. 1, comma 388, della legge n. 147 del 2013.

La ricorrente, infatti, ipotizza che da esso possano ritenersi escluse le Regioni, le Province autonome e gli enti locali con i rispettivi enti strumentali. Le questioni di costituzionalità sono quindi sollevate subordinatamente al riconoscimento dell’applicabilità della disposizione nei suoi confronti. 

2.1.– Va premesso che costituisce affermazione costante nella giurisprudenza di questa Corte l’ammissibilità, nei giudizi in via principale, delle questioni prospettate in termini dubitativi o alternativi (tra le ultime, sentenze n. 269 e n. 207 del 2014), purché le interpretazioni «non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate, così da far ritenere le questioni del tutto astratte e pretestuose» (ex plurimis, sentenza n. 412 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 144 del 2014 e n. 278 del 2010), ipotesi, questa, non ravvisabile nel caso di specie.

2.2.– Contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione, tuttavia, non è superabile il dato letterale relativo alla delimitazione dell’ambito soggettivo di applicazione della disposizione. Il riferimento, infatti, è alle «amministrazioni individuate ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni», norma quest’ultima che a sua volta richiama «le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni», fra le quali sono appunto comprese le Regioni.

D’altro canto, non è certo un argomento esegetico valido affermare che si tratti di una “mera svista” del legislatore, desumibile dalla circostanza che il precedente comma 387 si rivolga alle sole «amministrazioni dello Stato»; anche considerato che quest’ultimo ha appunto ad oggetto il solo demanio statale.

3.– Nel ricorso della Regione è possibile individuare una prima censura di violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.: si contesta la lesione delle prerogative regionali, atteso che la norma concreterebbe l’esercizio del potere di coordinamento della finanza pubblica, ex art. 117, terzo comma, Cost., senza che ne ricorrano le condizioni.

3.1.– Il suo esame implica l’individuazione della materia cui va ricondotta la disciplina censurata, individuazione, che deve avvenire – secondo la giurisprudenza di questa Corte – tenendo conto della ratio, della finalità, del contenuto e dell’oggetto della disciplina stessa (tra le ultime, sentenze n. 167 e n. 121 del 2014).

Nel caso di specie, la disposizione riguarda il rinnovo del contratto di locazione, lo subordina a determinate condizioni e ne prevede la nullità in caso di mancata verificazione delle stesse: l’ambito, pertanto, è quello proprio dell’ordinamento civile, trattandosi di una disciplina dell’attività contrattuale, sia pure speciale e limitata all’autonomia privata dei soggetti pubblici individuati dalla norma.

La circostanza, poi, che le condizioni ricordate si sostanzino in un nulla osta dell’Agenzia del demanio non è certo incompatibile con l’esercizio di un’attività jure privatorum, non diversamente dallo schema ben noto dei contratti ad evidenza pubblica.

Va soggiunto che, nella specifica prospettiva della competenza qui esaminata, non viene in rilievo la finalità dell’intervento legislativo, che dunque non è correttamente valorizzata a questo fine dalla Regione. Il fatto che il legislatore persegua la tutela di un superiore interesse pubblico può essere – come si vedrà – rilevante ad altri effetti, ma non esclude che la materia vada individuata nell’ordinamento civile, perché ciò si deve ritenere connaturato ad ogni limitazione dell’autonomia privata, in quanto condizione della sua legittimità costituzionale ai sensi degli artt. 41 e 42 Cost.

La norma è dunque riconducibile all’«ordinamento civile» di cui alla lettera l) del secondo comma dell’art. 117 Cost., e quindi alla competenza esclusiva dello Stato.

3.2.– La definizione in questi termini dell’ambito materiale della disposizione in esame comporta la non fondatezza dei profili di censura sollevati in ordine agli artt. 117, 118 e 119 Cost. sull’erroneo presupposto dell’esistenza di competenze regionali nella materia in questione.

4.– È anche in base a queste considerazioni che si deve dichiarare la non fondatezza della censura relativa all’assenza dell’intesa con la Regione o – almeno – del parere della Conferenza unificata. È giurisprudenza costante di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 36 del 2014, n. 121 del 2013, n. 372 e n. 222 del 2008), infatti, che tali adempimenti, in quanto riferiti alle modalità di adozione della norma, non sono necessari, e ciò è tanto più evidente in presenza di una competenza esclusiva dello Stato.

5.– Il potere legislativo esercitato dallo Stato viene, poi, contestato dalla Regione, con invocazione degli artt. 3 e 42 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità dell’obiettivo perseguito rispetto all’incidenza sull’autonomia privata regionale, nonché su quella organizzativa e finanziaria, con conseguente violazione dei parametri costituzionali già evocati (artt. 117, 118 e 119 Cost.).

5.1.– Viene dunque in rilievo – come si è anticipato – la finalità perseguita dalla norma. Essa è individuata dall’incipit di quest’ultima nella «realizzazione degli obiettivi di contenimento della spesa» pubblica, grazie all’eliminazione di spese per canoni di locazione in presenza di immobili demaniali rispondenti al fabbisogno di spazio allocativo delle amministrazioni, e ciò nell’ambito di una più ampia operazione di valorizzazione e razionalizzazione del patrimonio pubblico.

La ricorrente non disconosce l’esistenza e la meritevolezza di tale interesse, la cui tutela del resto va a vantaggio anche delle sue finanze, ma ritiene che esso non possa giustificare una normativa come quella in esame, così incisiva delle sue prerogative.

In effetti, non si può contestare che lo Stato si faccia qui portatore di un interesse che gli è proprio quale titolare del potere di coordinamento della finanza pubblica, trattandosi della valorizzazione dei beni demaniali e dei conseguenti risparmi, ma è altrettanto evidente che tali finalità non possono essere utilmente perseguite se non con meccanismi in grado di impedire comportamenti non coerenti con esse.

5.2.– Il sistema, dunque, si presenta – in astratto – non manifestamente irragionevole.

6.– La Regione deduce la violazione dei canoni in questione anche in concreto, e cioè con riferimento alle modalità procedimentali e sanzionatorie con cui l’interesse pubblico viene perseguito.

6.1.– Si contesta anzitutto la scelta del soggetto competente al rilascio del nulla osta.

L’individuazione dell’Agenzia del demanio quale interlocutore della Regione deve ritenersi legittima sotto i profili indicati, in considerazione del ruolo e delle funzioni che le sono proprie. Ad essa compete infatti la gestione e la valorizzazione del demanio statale, e ciò sarebbe di per sé ragione sufficiente a giustificare la scelta, atteso che è proprio quest’ultimo ad essere oggetto – se pur non unico – della verifica di disponibilità di immobili idonei. L’Agenzia del demanio, inoltre, è l’unica detentrice di un patrimonio di conoscenze del mercato immobiliare nazionale nel suo complesso, essendo chiamata ad esprimere pareri ogni qualvolta il sistema fiscale ha come riferimento i relativi valori.

6.2.– Lamenta poi la Regione la lacunosità della normativa circa le modalità dell’esercizio del potere attribuito all’Agenzia del demanio, e ciò a scapito, sia delle garanzie che le competono quale soggetto inciso, sia della effettiva realizzabilità dell’operazione, anche a causa della ristrettezza dei tempi.

Va in contrario evidenziato che il nulla osta, come ogni altro provvedimento amministrativo, presuppone lo svolgimento di un procedimento ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e che tale normativa riconosce le più ampie garanzie agli interlocutori dell’autorità decidente, e in particolare la loro partecipazione attiva, al fine di pervenire ad un soddisfacente assetto degli interessi in gioco.

Tantomeno può lamentarsi l’inadeguatezza temporale del relativo iter, inadeguatezza desunta dalla ristrettezza del termine intercorrente fra la data sino alla quale l’Agenzia del demanio può esprimere il nulla osta e la data entro la quale l’amministrazione locataria può avvalersi della facoltà di comunicare il recesso dal contratto di locazione. Non si tiene conto evidentemente del fatto che niente impone alla Regione di sottoporre la questione all’Agenzia nell’imminenza della scadenza di quest’ultimo termine, essendo auspicabile, ed anzi necessario, che i contatti siano presi per tempo, con una domanda articolata e puntuale circa le esigenze funzionali dell’apparato regionale interessato.

È nella logica di una corretta amministrazione che la Regione, da parte sua, fornisca tempestivamente all’Agenzia del demanio gli elementi necessari per valutare gli aspetti specifici e concreti della situazione, e che quest’ultima a sua volta si esprima sulla disponibilità di un bene adeguato all’esigenza della Regione, con il pieno coinvolgimento della stessa e in termini congrui, nello spirito di collaborazione istituzionale.

Al riguardo può essere anche richiamata la più articolata disciplina dettata in materia dai commi 222 e seguenti dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009, la quale prevede appunto una fase comunicativa fra gli interessati, tale da consentire, tra l’altro, all’Agenzia del demanio di conoscere il concreto fabbisogno di spazio allocativo, la mappatura degli immobili idonei e le risultanze delle indagini di mercato circa il canone degli immobili stessi.

6.3.– Infine, anche la nullità comminata in caso di rinnovo non consentito non può ritenersi lesiva dei canoni invocati dalla ricorrente. Il riferimento, in particolare, è a quello di proporzionalità ed è correttamente richiamato dalla Regione nei confronti di una sanzione; ma la norma in questione deve qualificarsi come imperativa e dunque la violazione va colpita appunto con questa forma di invalidità radicale (art. 1418 del codice civile).

6.4.– Conclusivamente l’individuazione del soggetto deputato al rilascio del nulla osta quale unico provvisto delle necessarie competenze, la struttura del procedimento e la sua tempistica, nonché l’eventuale sanzione vanno esenti dalle censure in questione.

7.– Tali censure sono invece fondate con riferimento alla soluzione adottata per la conclusione del procedimento e al rischio che l’impedimento al rinnovo del contratto derivi non dall’accertata esistenza di un bene pubblico idoneo, ovvero dalla inadeguatezza del canone pattuito, bensì anche dal mero silenzio dell’Agenzia del demanio entro il termine dato.

La soluzione non supera il vaglio di costituzionalità, sempre condotto alla stregua dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità.

Se è vero, infatti, che le finalità perseguite sono meritevoli di tutela al punto tale da giustificare un’indubbia compressione dell’autonomia regionale, è anche vero che solo la dimostrata esistenza delle condizioni che permettono la valorizzazione di beni demaniali e la riduzione dei canoni può produrre tale effetto. Ciò evidentemente non avviene quando l’Agenzia del demanio si limita a non provvedere: quali che siano le ragioni di tale comportamento, è indubbio che non è stato accertato che ricorrono le condizioni in questione.

In tale evenienza l’effetto preclusivo dell’esercizio dell’autonomia privata regionale troverebbe il suo fondamento non nella effettiva tutela dell’interesse pubblico, ma in un meccanismo meramente formale, per di più contrastante con il principio generale enunciato dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990, secondo cui il procedimento deve concludersi con un provvedimento espresso.

Non ignora questa Corte che la sua giurisprudenza è tradizionalmente rispettosa delle scelte compiute dal legislatore, cosicché si deve in linea di principio riconoscere che la disciplina della conclusione del procedimento è ad esso riservata.

Tuttavia nel caso in esame non può dirsi che vi sia una possibilità di scelta, poiché, alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, l’efficacia preclusiva non può derivare, pena la incostituzionalità della disciplina stessa, da una mera omissione: essa può derivare solo da un espresso e motivato diniego di nulla osta.

La norma in questione è dunque costituzionalmente illegittima nella parte in cui ricollega al semplice silenzio dell’Agenzia del demanio un’efficacia preclusiva al rinnovo del contratto, e cioè nella parte in cui prevede «non abbia espresso il nulla osta» anziché «espresso il diniego di nulla osta», cosicché la formulazione della disposizione nella parte di interesse diviene la seguente «i contratti di locazione di immobili stipulati dalle amministrazioni individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non possono essere rinnovati, qualora l’Agenzia del demanio, nell’ambito delle proprie competenze, abbia espresso il diniego di nulla osta sessanta giorni prima della data entro la quale l’amministrazione locataria può avvalersi della facoltà di comunicare il recesso dal contratto».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 388, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − Legge di stabilità 2014), nella parte in cui prevede «non abbia espresso il nulla osta» anziché «espresso il diniego di nulla osta»;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 388, della legge n. 147 del 2013, promossa, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 dicembre 2015.