SENTENZA N. 269
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Paolo
Maria NAPOLITANO
Presidente
- Giuseppe FRIGO
Giudice
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt.
9, comma 5, 16, comma 1, 17, comma 1, 21, comma 11, 27, commi 4 e 6, lettera c),
51, commi 4, 5, lettera a), 9, 12 e 18, 57, commi 4 e 5, e 77 della legge della
Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2011, n. 18 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Provincia
autonoma di Trento – Legge finanziaria provinciale 2012), promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
spedito per la notifica il 27 febbraio 2012, depositato in cancelleria il 6
marzo 2012 ed iscritto al n. 58 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione della Provincia
autonoma di Trento;
udito nell’udienza pubblica del 4 novembre 2014 il
Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento.
1.– Con ricorso notificato il
27-28 febbraio 2012 e depositato il successivo 6 marzo 2012 (reg. ric. n. 58
del 2012), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato varie disposizioni
della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2011, n. 18
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale
2012-2014 della Provincia autonoma di Trento – Legge finanziaria
provinciale 2012). Più specificamente, sono oggetto di impugnazione
l’art. 9, comma 5; l’art. 16, comma 1; l’art. 17, comma 1;
l’art. 21, comma 11; l’art. 27, comma 4 e comma 6, lettera c);
l’art. 51, commi 4, 9 e 18; l’art. 51, comma 5, lettera a);
l’art. 51, comma 12; l’art. 57, comma 4; l’art. 57, comma 5;
e l’art. 77 della suddetta legge provinciale, in riferimento agli artt. 3, 9, 97 e 117 della Costituzione,
oltre che agli artt. 4, 8 e 73 del d.P.R.
31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
1.1.– In particolare,
relativamente all’art. 9, comma 5, della legge prov. Trento n. 18 del
2011, l’Avvocatura generale dello Stato ha osservato che tale
disposizione riduce di tre punti percentuali l’aliquota dell’imposta
sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore. Ad avviso del ricorrente, questa previsione
violerebbe anzitutto l’art. 73, comma 1-bis, del d.P.R. n. 670 del 1972,
in quanto modificherebbe l’aliquota di un tributo erariale al di fuori
dei limiti previsti dal legislatore statale. Si tratterebbe infatti di un
tributo istituito con legge dello Stato, la quale lo attribuisce alle Province
delle Regioni a statuto ordinario, dove hanno sede i pubblici registri
automobilistici in cui i veicoli sono iscritti, e che consente alle Province
medesime di variare, entro limiti predeterminati, le aliquote
dell’imposta. L’Avvocatura generale dello Stato ha osservato che
questo meccanismo non è stato esteso alle Regioni a statuto speciale,
né alle Province autonome di Trento e Bolzano, le quali pertanto, ai
sensi dell’art. 60 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446
(Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione
degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e
istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino
della disciplina dei tributi locali), rimangono titolari del gettito
dell’imposta, senza poter intervenire sulle aliquote.
Ad avviso del ricorrente, l’art.
9, comma 5, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2011
violerebbe non solo il parametro statutario, ma altresì l’art.
117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto, nel modificare l’aliquota
di un’imposta statale al di fuori dei limiti consentiti dalla
legislazione dello Stato, sarebbe invasivo della competenza statale esclusiva
in materia di disciplina del sistema tributario dello Stato. Risulterebbe
violato pure l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la disposizione
impugnata sarebbe in contrasto con i principi della legislazione statale in
materia di coordinamento della finanza pubblica, dal momento che con essa la
Provincia autonoma di Trento sarebbe intervenuta nella materia prima che
venissero dettate le relative norme di coordinamento.
1.2.– Con riguardo all’art.
16, comma 1, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, il ricorrente ha
sottolineato che tale disposizione determina la spesa complessiva per il
personale appartenente al comparto autonomie locali e al comparto ricerca per
gli anni 2012, 2013, 2014 e successivi – nella misura di 218.266.010 euro
per ciascun anno, da aumentarsi con le somme previste per gli obiettivi in
materia di riorganizzazione e di efficienza gestionale dall’art. 3, comma
2, della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2010, n. 27
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale
2011-2013 della Provincia autonoma di Trento – Legge finanziaria
provinciale 2011) – specificando, però, che in tale spesa
«non rientrano gli oneri relativi al personale assunto con contratto di
diritto privato per la realizzazione di lavori, interventi o attività
sulla base di particolari norme di settore». Ad avviso del ricorrente,
questa esclusione sottrarrebbe a limiti predeterminati sia la spesa per
personale assunto in base a particolari norme di settore, sia quella relativa
ai «contrattisti» assunti, nella misura massima di 60 unità
e mediante concorsi pubblici per titoli ed esami, con contratto a tempo
indeterminato, ai sensi dell’art. 63, comma 1, della legge della
Provincia autonoma di Trento 28 marzo 2009, n. 2 (Disposizioni per
l’assestamento del bilancio annuale 2009 e pluriennale 2009-2011 della
Provincia autonoma di Trento – Legge finanziaria di assestamento 2009).
Sempre nella prospettazione avanzata dal
ricorrente, dalla legislazione statale in materia di coordinamento della
finanza pubblica – art. 9-bis del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78
(Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con
modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 (erroneamente citati come
decreto-legge n. 78 del 2010 e legge n. 102 del 2010); art. 32, commi 10, 11 e
12, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità
2012); art. 1, commi 557 e 557-bis, della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– Legge finanziaria 2007), come modificati dall’art. 14, comma 7,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito,
con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 – si ricaverebbe
che nel limite di spesa per il personale rilevante ai fini del rispetto del
patto di stabilità interno vanno comprese tutte le spese di personale, a
qualsiasi titolo sostenute. Ne discende che la disposizione impugnata
violerebbe, anzitutto, l’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui
attribuisce alla competenza legislativa concorrente il coordinamento dei
bilanci e della finanza pubblica, in quanto, nell’esonerare la spesa per
il personale contrattista dal rispetto del limite necessario a garantire
l’osservanza del patto di stabilità interno, sarebbe in contrasto
con i principi della legislazione statale in materia di coordinamento della
finanza pubblica, ai sensi dei quali vanno incluse in tale patto tutte le spese
di personale, a qualsiasi titolo sostenute.
Ad avviso del ricorrente, la
disposizione impugnata violerebbe, altresì, l’art. 8, numero 1),
del d.P.R. n. 670 del 1972, in quanto contrasterebbe con i principi
dell’ordinamento giuridico della Repubblica, che la legislazione
provinciale in materia di personale, anche laddove interviene in materia di
competenza esclusiva, deve rispettare, per effetto del rinvio all’art. 4
del medesimo statuto presente nel suddetto art. 8. Tra questi principi
rientrerebbe, infatti, ad avviso del ricorrente, anche il divieto generale di
incremento della spesa per il personale stabilito per tutte le pubbliche
amministrazioni dall’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, conv., con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010.
1.3.– Con riguardo all’art.
17, comma 1, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, la Presidenza del
Consiglio dei ministri ha fatto presente che tale disposizione, mentre
attribuisce effetti solo giuridici alle progressioni di carriera del personale
del comparto ricerca maturate negli anni 2011, 2012 e 2013, riconosce, con
riferimento a quelle maturate nel corso del 2010, effetti anche economici,
«che inciderebbero sugli anni 2011, 2012 e successivi».
In questa parte, la disposizione
risulterebbe, pertanto, in contrasto sia con l’art. 117, terzo comma,
Cost., là dove attribuisce alla legislazione concorrente la materia del
coordinamento della finanza pubblica, sia con l’art. 8, numero 1), del
d.P.R. n. 670 del 1972, in quanto violerebbe i principi dell’ordinamento
giuridico della Repubblica, che la legislazione provinciale in materia di
personale deve rispettare per effetto del rinvio all’art. 4 del medesimo
statuto. In particolare, la disposizione impugnata risulterebbe essere in
contrasto con il principio posto dall’art. 9, comma 21, del decreto-legge
n. 78 del 2010, conv., con modificazioni, dalla legge
n. 122 del 2010, consistente nel divieto di produzione di effetti economici
delle progressioni di carriera negli anni a partire dal 2011.
Inoltre, la disposizione impugnata si
porrebbe altresì in violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., che riserva alla legislazione esclusiva statale la materia
dell’ordinamento civile, nella quale pacificamente rientra il pubblico
impiego contrattualizzato, incluso l’aspetto retributivo. Pertanto,
l’art. 17, comma 1, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, capovolgendo
la disciplina della legge dello Stato in materia di effetti degli avanzamenti
di carriera sulla retribuzione, invaderebbe la competenza esclusiva statale in
materia di ordinamento civile.
1.4.– Relativamente all’art.
21, comma 11, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, l’Avvocatura
generale dello Stato ha argomentato che tale disposizione consente alla Giunta
provinciale di definire i criteri per l’attribuzione di incarichi a
personale di categoria D o con qualifica di direttore, costituendo allo scopo
uno specifico fondo. Così facendo, essa si porrebbe in violazione sia
dell’art. 8, numero 1), del d.P.R. n. 670 del 1972, in quanto
contrasterebbe con i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica,
che la legislazione provinciale in materia di personale deve rispettare, per
effetto del rinvio all’art. 4 del medesimo statuto; sia degli artt. 3 e
97 Cost., in quanto derogherebbe alla regola del pubblico concorso, senza
specificare né i presupposti al ricorrere dei quali è consentito
attribuire gli incarichi, né di quali incarichi si tratti. In tal modo,
pertanto, la legislazione provinciale vanificherebbe il principio desumibile
dall’art. 35, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), il quale stabilisce che l’assunzione nelle
amministrazioni pubbliche con contratto individuale di lavoro deve avvenire
tramite procedure selettive che garantiscano in misura adeguata l’accesso
dall’esterno, e pone i principi di pubblicità,
imparzialità, economicità, oggettività, trasparenza e pari
opportunità, cui devono conformarsi le procedure di reclutamento nelle
pubbliche amministrazioni.
1.5.– Con riferimento all’art.
27, comma 4, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, il ricorrente ha
ricordato che tale disposizione affida alla Giunta provinciale la funzione di
formulare direttive all’Agenzia provinciale per la rappresentanza
negoziale (APRAN) per consentire all’Azienda provinciale per i servizi
sanitari di concedere un’aspettativa non retribuita e utile a ogni altro
fine, per un periodo massimo di novanta giorni ogni biennio, con oneri
previdenziali a carico del datore di lavoro e del dipendente versati
dall’Azienda medesima, al fine di favorire la partecipazione del proprio
personale a progetti di solidarietà internazionale approvati o sostenuti
dalla Provincia.
Ad avviso del ricorrente, tale
disposizione violerebbe l’art. 8, numero 1), del d.P.R. n. 670 del 1972,
in quanto contrasterebbe con i principi dell’ordinamento giuridico della
Repubblica, che la legislazione provinciale in materia di personale deve
rispettare, per effetto del rinvio all’art. 4 del medesimo statuto. In
particolare, introdurrebbe unilateralmente una nuova tipologia di aspettativa,
per progetti di solidarietà, ponendosi perciò in contrasto con il
principio della contrattazione collettiva, che regge l’intero settore del
lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, ai sensi dell’art.
40, comma 1, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Inoltre, poiché la disciplina
della contrattazione collettiva del rapporto di pubblico impiego appartiene
alla materia dell’ordinamento civile, la disposizione impugnata
violerebbe altresì l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.,
in quanto invaderebbe la competenza esclusiva statale in quest’ultima
materia, posto che solo la legge dello Stato potrebbe mutare o integrare le
decisioni assunte in sede collettiva in materia di aspettativa.
1.6.– Con riguardo all’art.
27, comma 6, lettera c), della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18
del 2011, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha sottolineato che tale
disposizione, tra l’altro, assoggetta la dirigenza del servizio sanitario
provinciale al cosiddetto spoils system, stabilendo
che la durata massima degli incarichi non può essere superiore a quella
del direttore generale dell’Azienda provinciale per i servizi sanitari.
La disposizione impugnata, ad avviso del
ricorrente, violerebbe l’art. 8, numero 1), del d.P.R. n. 670 del 1972,
in quanto contrasterebbe con i principi dell’ordinamento giuridico della
Repubblica, che la legislazione provinciale in materia di personale deve
rispettare, per effetto del rinvio all’art. 4 del medesimo statuto, e in
particolare con gli artt. 14 e 19, comma 1-ter del decreto legislativo n. 165
del 2001, che individuano i casi di revoca degli incarichi dirigenziali e
limitano il meccanismo dello spoils system ai soli
uffici di diretta collaborazione con il vertice dell’ente.
Ad avviso del ricorrente, inoltre, la
disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., in quanto invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di
ordinamento civile, posto che solo la legge dello Stato potrebbe mutare o
integrare la materia della cessazione del rapporto di pubblico impiego.
1.7.– Relativamente all’art.
51, comma 4, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, l’Avvocatura
generale dello Stato ha fatto presente che tale disposizione introduce una
nuova causa di esclusione obbligatoria delle imprese partecipanti alle gare
pubbliche provinciali, nel caso in cui venga offerto un prezzo nel quale la
percentuale di incidenza del costo del personale sia inferiore a quella minima
indicata nel bando. Inoltre, per le sole gare di importo inferiore alla soglia
comunitaria, prevede l’obbligo di sottoporre a verifica di anomalia le
offerte nelle quali il costo del personale sia inferiore a quello indicato nel
progetto posto a base di gara.
Ad avviso del ricorrente, la
disposizione, nella parte in cui introduce una nuova clausola di esclusione
obbligatoria, violerebbe anzitutto l’art. 8, numero 17), del d.P.R. n.
670 del 1972, in quanto contrasterebbe con i principi dell’ordinamento
giuridico della Repubblica e con il diritto comunitario, che la legislazione
provinciale in materia di lavori pubblici deve rispettare, e in particolare il
«principio di concorrenza», per come desumibile dal codice dei
contratti pubblici, adottato con il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163
(Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE). In ossequio al
«principio di concorrenza», enunciato, assieme a quello di
economicità e ad altri, dall’art. 2 del d.lgs. n. 163 del 2006,
l’enumerazione delle clausole di esclusione da parte del legislatore
statale costituirebbe un numero chiuso non suscettibile di ampliamento, neppure
da parte delle Regioni speciali e delle Province autonome, benché gli
artt. 2 e 4 del d.lgs. n. 163 del 2006 lascino aperte alcune possibilità
di deroga, in nome, tra l’altro, di «esigenze sociali».
La disposizione impugnata violerebbe
altresì l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto
invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di tutela della
concorrenza, che ai sensi della giurisprudenza costituzionale costituisce una
tipica «materia trasversale». Soltanto la legge dello Stato,
perciò, potrebbe introdurre ulteriori cause di esclusione obbligatoria
– che limitano l’efficienza concorrenziale del sistema, in quanto
si traducono in limitazioni immediate delle possibilità di
partecipazione delle imprese alle gare pubbliche – e nuove ipotesi di
anomalia, al di là di quelle individuate nell’art. 86 del codice
dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006. In
quest’ultimo caso, infatti, il legislatore provinciale introdurrebbe una
restrizione della discrezionalità tecnica delle stazioni appaltanti, che
si tradurrebbe in una violazione del principio di economicità e del
principio di concorrenza.
Infine, la disposizione impugnata, in
entrambe le sue previsioni, contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., in quanto invaderebbe la competenza esclusiva statale in
materia di ordinamento civile, posto che limiterebbe la libertà
contrattuale delle imprese partecipanti di presentare le proprie offerte, le
quali hanno, dal punto di vista privatistico, natura di proposta contrattuale.
Ad avviso del ricorrente, i vizi
suddetti si trasmetterebbero all’art. 51, commi 9 e 18, dal momento che
ambedue i commi rinviano al comma 4 del medesimo articolo o, per meglio dire,
all’art. 30, comma 5-bis, della legge della Provincia autonoma di Trento
10 settembre 1993, n. 26 (Legge provinciale sui lavori pubblici), come
sostituito dall’impugnato comma 4.
1.8.– Relativamente all’art.
51, comma 12, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, sempre in materia di
contratti pubblici, il ricorrente ha evidenziato che esso, tra l’altro,
subordina l’aggiornamento dei prezzi di progetto al superamento di una
percentuale di aumento del 2,5 per cento dei medesimi prezzi, quali risultanti
dagli elenchi ufficiali, che sia intervenuto tra la data della delibera di
contrarre e quella di indizione dell’appalto.
Ad avviso del ricorrente tale previsione
violerebbe l’art. 8, numero 17), del d.P.R. n. 670 del 1972, in quanto
contrasterebbe con i principi dell’ordinamento giuridico della
Repubblica, che la legislazione provinciale in materia di lavori pubblici deve
rispettare. In particolare, viene in rilievo il «principio di adeguamento
continuo» dei prezzi posti a base di gara, per come desumibile
dall’art. 133, comma 8, del codice dei contratti pubblici, adottato con
il decreto legislativo n. 163 del 2006.
La suddetta disposizione contrasterebbe
inoltre con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto
invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile,
posto che la norma impugnata limita l’autonomia negoziale relativamente
all’offerta del prezzo della prestazione dedotta in appalto, impedendo
alle imprese di tenere conto nelle proprie offerte degli incrementi di costo
fino a quando questi non abbiano superato la percentuale del 2,5 per cento
rispetto all’elenco vigente al momento della deliberazione di contrarre.
1.9.– Con riferimento
all’art. 57, comma 4, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, il
ricorrente ha ricordato che tale disposizione introduce una sanatoria per le
violazioni commesse in materia di smaltimento di rifiuti non pericolosi,
consentendo l’autorizzazione a posteriori dell’esercizio di
impianti di smaltimento (discariche e simili), anche ove avviate in carenza o
in difformità dal prescritto titolo autorizzativo.
Ad avviso dell’Avvocatura generale
dello Stato, la disposizione provinciale violerebbe l’art. 117, primo
comma, Cost., in quanto contrasterebbe con le direttive comunitarie le quali
impongono che tutte le attività inerenti alla gestione del ciclo dei
rifiuti, compreso lo smaltimento, siano soggette ad autorizzazione preventiva.
Vengono in rilievo, in particolare, la direttiva del 19 novembre 2008, n.
2008/98/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai
rifiuti e che abroga alcune direttive) e la direttiva del 15 gennaio 2008, n.
2008/1/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla prevenzione e
la riduzione dell’inquinamento): la previsione di una sanatoria
sostanzialmente generalizzata finirebbe infatti, da un lato, per vanificare
l’efficacia delle sanzioni previste, tanto più che
l’accertamento che nella discarica siano stati sempre smaltiti criteri
«conformi» può rivelarsi impossibile, specie ove lo
smaltimento abusivo si sia protratto a lungo; dall’altro, si fonderebbe
su criteri solo in apparenza restrittivi, che in realtà non garantiscono
affatto che nella discarica non siano mai stati smaltiti rifiuti pericolosi o
comunque non conformi, e che pertanto non sono idonei ad assicurare il
soddisfacimento degli interessi pubblici ai quali il sistema autorizzativo
voluto dalle suddette direttive è informato.
L’impugnata disposizione
contrasterebbe, altresì, con l’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., in quanto invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di
tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Il ricorrente ha, infatti,
ricordato – richiamandosi, tra le altre, alla sentenza n. 249 del
2009 di questa Corte – che la disciplina dei rifiuti si colloca
nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di
competenza esclusiva statale, anche se interferisce con altri interessi e
competenze. La previsione di una sanatoria sostanzialmente generalizzata
peggiorerebbe, in particolare, il livello di tutela assicurato dalla normativa
statale, e in particolare dagli artt. 208 e seguenti del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), con cui il legislatore ha
dato attuazione alle suddette direttive comunitarie, prevedendo l’obbligo
inderogabile di autorizzazione integrata preventiva.
Da ciò il ricorrente desume,
altresì, la violazione del principio di tutela dell’ambiente
desumibile dall’art. 9 Cost., in quanto configurerebbe una sanatoria
sostanzialmente indiscriminata.
1.10.– Con riguardo all’art.
57, comma 5, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, il ricorrente ha
osservato che tale disposizione introduce, per lo specifico settore dello
smaltimento delle terre e rocce da scavo, una sanatoria del tutto analoga a
quella, appena esaminata, relativa allo smaltimento di rifiuti non pericolosi.
Dopo aver ricordato che le terre e rocce
da scavo sono sottoposte alla disciplina dei rifiuti sia ai sensi della
normativa statale (art. 186, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006), sia ai sensi
della normativa comunitaria (considerando n. 14 e art. 7 della direttiva
2008/98/CE, che fanno entrambi rinvio all’elenco dei rifiuti di cui alla
decisione della Commissione 2000/532/CE, del 3 maggio 2000), il ricorrente ha
sostenuto che la disposizione in questione violerebbe, al pari di quella
immediatamente precedente, in primo luogo l’art. 117, primo comma, Cost.,
in quanto contrasterebbe con le direttive comunitarie n. 2008/98/CE in materia
di rifiuti e n. 2008/1/CE in materia di prevenzione e riduzione
dell’inquinamento, le quali impongono che tutte le attività
inerenti alla gestione del ciclo dei rifiuti, compreso lo smaltimento, siano
soggette ad autorizzazione preventiva. E, in secondo luogo, l’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., in quanto invaderebbe la competenza esclusiva
statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, posto
che la previsione di una sanatoria indifferenziata con riferimento allo
smaltimento delle terre e rocce da scavo peggiorerebbe il livello di tutela
assicurato dalla normativa statale (e in particolare dagli artt. 208 e seguenti
del decreto legislativo n. 152 del 2006), non giustificata da apprezzabili
interessi provinciali a cui la disposizione in esame possa essere considerata
«funzionale». In particolare, la distinzione tra violazioni
«documentali o formali» e violazioni «sostanziali», su
cui la disposizione si basa, risulterebbe generica e priva di criteri
applicativi. La stessa previsione della previa analisi di rischio, per le sole
violazioni qualificate come «sostanziali», apparirebbe in ogni caso
irrilevante, poiché l’insussistenza di rischio ambientale è
comunque una condizione preliminare, necessaria anche in relazione alle
attività autorizzate.
1.11.– Con riferimento
all’art. 77 della legge prov. Trento n. 18 del 2011, il ricorrente ha osservato
che la disposizione consente che lo statuto dell’Istituto cimbro di
Luserna (che svolge funzioni di salvaguardia, promozione e valorizzazione del
patrimonio etnografico e culturale della minoranza germanofona del Comune di
Luserna), adottato dal consiglio di amministrazione dell’Istituto a
maggioranza assoluta dei componenti e approvato dalla Giunta provinciale,
consenta che venga nominato direttore dell’Istituto suddetto anche un
soggetto privo dei requisiti per la nomina a dirigente, «purché in
possesso di professionalità e attitudine alla direzione».
Ad avviso del ricorrente, tale
disposizione violerebbe anzitutto l’art. 8, numero 1), del d.P.R. n. 670
del 1972, in quanto contrasterebbe con i principi dell’ordinamento
giuridico della Repubblica, che la legislazione provinciale in materia di
personale deve rispettare, per effetto del rinvio all’art. 4 del medesimo
statuto. In particolare, l’oscuro riferimento alla professionalità
e all’attitudine alla direzione non garantisce che la persona designata
integri i requisiti di capacità e di esperienza che gli artt. 19, comma
6, e 28 del d.lgs. n. 165 del 2001 fissano con chiarezza, facendo riferimento a
pregresse attività dirigenziali, a comprovata specializzazione
professionale derivante da formazione universitaria (con il possesso per lo
meno del diploma di laurea), alla produzione scientifica.
Inoltre, la disposizione risulterebbe in
contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., sotto i profili della ragionevolezza e
della buona organizzazione dell’amministrazione, in quanto la mera
richiesta di professionalità e attitudine alla direzione non sarebbe
idonea a perseguire la finalità di assicurare all’Istituto una
direzione efficiente e in quanto la buona organizzazione presuppone anzitutto
una qualificazione professionale adeguata a chi è preposto a funzioni
dirigenziali.
2.– Con atto depositato il 6
aprile 2012 si è costituta in giudizio la Provincia autonoma di Trento e
ha chiesto che le sollevate questioni di legittimità costituzionale
vengano dichiarate inammissibili o infondate.
3.– Con atto depositato il 28
maggio 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato di
rinunciare al ricorso indicato in epigrafe, limitatamente
all’impugnazione dell’art. 9, comma 5, della legge prov. Trento n.
18 del 2011.
La rinuncia parziale è stata
accettata dalla Provincia autonoma di Trento con atto depositato il 6 febbraio
2013, previa conforme delibera della Giunta provinciale, in data 18 gennaio
2013.
4.– Con memoria datata 5 febbraio
2013, ma depositata il 9 giugno 2014, la Provincia autonoma di Trento ha
argomentato nel senso dell’inammissibilità o
dell’infondatezza delle residue censure formulate nel ricorso.
4.1.– Con riferimento
all’art. 16, comma 1, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, la resistente
ha argomentato per l’inammissibilità della censura, sia per aver
dedotto parametri non presenti nella deliberazione della ricorso, sia per
contraddittorietà interna dei parametri. In particolare, poiché
la delibera del Governo con cui il ricorso è stato promosso non menziona
né l’art. 9-bis, comma 5, del d. l. n. 78 del 2009, conv., con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009,
né l’art. 14, comma 7, del d. l. n. 78 del 2010, conv., con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,
andrebbe, in tesi, dichiarata l’inammissibilità delle censure (in
proposito sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 198 del 2012,
n. 149 del 2012,
n. 108 del 2012,
n. 205 del 2011,
n. 27 del 2008,
n. 275 del 2007).
Analogamente, sarebbe inammissibile la
censura che lamenta la violazione dell’art. 8 dello statuto di autonomia
del Trentino-Alto Adige/Südtirol e del principio dell’ordinamento
della Repubblica che sarebbe sancito dall’art. 9, comma 1, del d. l. n.
78 del 2010, conv., con modificazioni, dalla legge n.
122 del 2010, dal momento che la delibera governativa evoca l’art. 8 del
medesimo statuto solo per affermare che la norma impugnata non rientrerebbe
nell’ambito di competenza primaria della Provincia autonoma, ma nella
materia del coordinamento della finanza pubblica, di competenza concorrente.
Sussisterebbe, inoltre, una contraddittorietà interna tra i parametri
invocati, visto che l’Avvocatura sembrerebbe ricondurre la disciplina in
questione alla potestà legislativa concorrente e, al tempo stesso, alla
potestà legislativa primaria della Provincia autonoma.
Nel merito, la Provincia autonoma di
Trento ha sostenuto l’infondatezza della censura riferita all’art.
16, comma 1, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, per erroneità
delle premesse interpretative e per difetto di pertinenza dei parametri
invocati, ricordando inoltre che l’intero art. 16 è stato abrogato
dall’art. 25, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Trento 27
dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013
e pluriennale 2013-2015 della Provincia autonoma di Trento – Legge
finanziaria provinciale 2013), a decorrere dal 1° gennaio 2013.
Quest’ultima legge ha poi fissato i limiti di spesa per gli anni
2013-2015, inferiori ai precedenti e senza ripetere la disposizione di cui
all’ultimo periodo dell’art. 16, comma 1, che escludeva da tali
limiti gli oneri relativi al personale assunto con contratto di diritto privato
sulla base di particolari norme di settore.
Infondata sarebbe anche la questione in
cui si invoca la violazione dell’art. 8, n. 1, dello statuto di autonomia
del Trentino-Alto Adige/Südtirol, sia perché la materia relativa
all’«ordinamento degli uffici provinciali e del personale»
rientrerebbe ora nell’art. 117, quarto comma, Cost. e non sarebbe
pertanto soggetta al limite dei principi generali dell’ordinamento (sentenze n. 95 del
2008 e n.
274 del 2003), sia in quanto l’art. 9, comma 1, del d. l. n. 78 del
2010, conv., con modificazioni, dalla legge n. 122
del 2010, non potrebbe essere qualificato come un principio generale
dell’ordinamento.
In ogni caso, poi, alla Provincia
autonoma di Trento, che è dotata, ai sensi dell’art. 79 del d.P.R.
n. 670 del 1972, di una speciale autonomia finanziaria, non solo rispetto alle
Regioni ordinarie, ma anche rispetto alle altre autonomie speciali, non
sarebbero applicabili i limiti derivanti dal d. l. n. 78 del 2010, conv., con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, ai
sensi di quanto espressamente previsto dall’art. 1 della legge prov. n.
27 del 2010, con disposizione non impugnata dal Governo.
Quanto, infine, alla censura riferita
all’ultimo periodo dell’art. 16, comma 1, della legge prov. Trento
n. 18 del 2011, in relazione all’esclusione della spesa per il personale
assunto in base a particolari norme di settore, essa risulterebbe
inammissibile, per le ragioni sopra esposte, e infondata. L’infondatezza
è desunta dal fatto che tale disposizione avrebbe il solo fine di
chiarire che non rientrano nella spesa generale del personale provinciale gli
oneri per il personale assunto con contratto di diritto privato nel settore
delle opere di difesa sui corsi d’acqua e di manutenzione delle foreste,
in quanto si tratta di spese già comprese negli stanziamenti destinati
agli interventi in questione.
4.2.– Con riferimento
all’art. 17, comma 1, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, la
resistente ha ribadito l’eccezione di inammissibilità della
censura, a causa della contemporanea, e non coordinata, invocazione sia del
limite dei principi generali dell’ordinamento della potestà
primaria provinciale in materia di personale, sia dei principi fondamentali in
materia di coordinamento della finanza pubblica, sia infine
dell’incidenza sulla competenza esclusiva statale in materia di ordinamento
civile. Si tratterebbe, perciò, di un motivo di ricorso internamente
contradditorio, e pertanto da ritenersi inammissibile, in base alla
giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 35 del
2011; n. 297
del 2009; n.
10 del 2008; n.
391 del 2006).
Nel merito, la Provincia autonoma di
Trento ha argomentato per l’infondatezza delle censure riferite a tale
disposizione, che sarebbe volta unicamente a modificare la disciplina delle
progressioni di carriera del personale del comparto ricerca in senso conforme
alla normativa statale, in quanto la previgente disciplina provinciale sarebbe
risultata più restrittiva di quella statale. L’art. 9, comma 21,
del d. l. n. 78 del 2010, conv., con modificazioni,
dalla legge n. 122 del 2010, richiamato dal ricorso quale parametro interposto,
infatti, oltre a non essere invocabile in virtù della speciale autonomia
finanziaria provinciale, non si occuperebbe affatto delle progressioni del
2010, ma tratterebbe solo di quelle degli anni 2011-2013, sterilizzandole a
fini economici.
Specificamente infondata sarebbe, poi,
la censura per violazione del limite dei «principi generali
dell’ordinamento», che invoca la violazione dell’art. 8, n.
1, dello statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol, dal
momento che l’art. 9, comma 21, del d. l. n. 78 del 2010, conv., con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, non
sarebbe qualificabile come tale, oltre che per il fatto che questo limite non
sarebbe più applicabile alla Provincia autonoma in forza dell’attribuzione
di una più ampia competenza in materia di personale, per effetto
dell’art. 117, quarto comma, Cost. (sono citate le sentenze n. 95 del
2008 e n.
274 del 2003 di questa Corte). La medesima censura risulterebbe inoltre
inammissibile, in quanto assente nella delibera governativa, nella quale si
sosteneva che la norma di cui all’art. 17, comma 1, della legge impugnata
non rientrasse nella materia dell’«ordinamento del
personale».
4.3.– Con riguardo all’art.
21, comma 11, della legge impugnata, la Provincia autonoma di Trento ha
argomentato nel senso dell’inammissibilità e
dell’infondatezza delle relative censure.
In primo luogo, si riscontrerebbe,
infatti, l’estraneità del parametro invocato, e in particolare,
dell’art. 97 Cost., laddove pone la regola del pubblico concorso,
rispetto alla norma impugnata, dal momento che questa si applicherebbe al
personale già in servizio e non determinerebbe alcun mutamento della
qualifica dei soggetti interessati, riferendosi ad incarichi di carattere
temporaneo (come chiarito dalla modifica apportata dalla legge prov. n. 25 del
2012).
In secondo luogo, la censura sarebbe inammissibile,
sia nella parte in cui invoca la lesione del principio del pubblico concorso,
perché tale profilo sarebbe assente nella delibera governativa; sia
nella parte in cui lamenta la mancata indicazione dei presupposti per
l’attribuzione degli incarichi, perché il parametro dei
«principi generali in tema di pubblico impiego dettati dal d.lgs. n. 165
del 2001» sarebbe invocato in maniera generica, in quanto verrebbe
indicato solo l’art. 35 di tale decreto legislativo, che non
riguarderebbe il conferimento degli incarichi, bensì le procedure di
reclutamento.
In terzo e ultimo luogo, la censura
sarebbe in ogni caso infondata, dal momento che il decreto legislativo n. 165
del 2001 non si applicherebbe alla Provincia autonoma di Trento – essendo
semmai applicabili solo i principi desumibili dalla legge 23 ottobre 1992, n.
421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline
in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza
territoriale), non menzionata nel ricorso – e il relativo art. 35 non
avrebbe rango di principio generale dell’ordinamento. Inoltre, la
disposizione impugnata si limiterebbe a prevedere uno specifico fondo, senza
innovare quanto alle procedure di conferimento degli incarichi, e interverrebbe
comunque in una materia, quella dell’«ordinamento degli uffici e
del personale», ora rientrante nella potestà legislativa primaria
provinciale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
4.4.– Relativamente all’art.
27, comma 4, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, nella memoria difensiva
si è rilevato un profilo di inammissibilità per
contraddittorietà, perché lo Stato invocherebbe
contemporaneamente sia un titolo di competenza esclusiva statale in materia di
ordinamento civile (il che implicherebbe la carenza di potere della Provincia
autonoma), sia un limite alla potestà legislativa provinciale primaria
in materia di pubblico impiego (il che implicherebbe il cattivo esercizio della
competenza legislativa provinciale).
La censura sarebbe, inoltre, infondata
laddove lamenta il contrasto con la contrattazione collettiva nazionale, dal
momento che il contratto collettivo del personale del servizio sanitario
nazionale non si applicherebbe al personale dell’Azienda provinciale per
i servizi sanitari, che sarebbe soggetto allo specifico contratto collettivo
provinciale. La norma impugnata, inoltre, lungi dall’introdurre una nuova
tipologia di aspettativa, si limiterebbe a regolare il potere di indirizzo che
la Giunta ha nei confronti dell’APRAN affinché questa ne tenga
conto nella contrattazione con i sindacati. Infine, l’art. 40 del decreto
legislativo n. 165 del 2001, evocato quale «parametro interposto»,
non avrebbe il rango di principio generale dell’ordinamento e la materia
dell’«ordinamento degli uffici provinciali e del personale»
rientrerebbe nella potestà legislativa primaria provinciale ai sensi
dell’art. 117, quarto comma, Cost.
4.5.– Con riguardo all’art.
27, comma 6, lettera c), della legge prov. Trento n. 18 del 2011, la Provincia
autonoma ha riferito anche alle censure rivolte a tale articolo
l’eccezione di inammissibilità per contraddittorietà,
perché lo Stato invocherebbe contemporaneamente sia un titolo di
competenza esclusiva statale, quella in materia di ordinamento civile (il che
implicherebbe la carenza di potere della Provincia autonoma), sia un limite
alla potestà legislativa provinciale primaria in materia di pubblico
impiego (il che implicherebbe il cattivo esercizio della competenza legislativa
provinciale).
Anche tale questione sarebbe, comunque,
infondata, dal momento che essa non prevedrebbe affatto un caso di spoils system, limitandosi a regolare, in via transitoria,
l’attribuzione di nuovi incarichi dirigenziali, disciplinandone la
durata, che deve consistere in un tempo certo e definito, ma non superiore a
quella dell’incarico di direttore generale dell’azienda. La
disposizione secondo cui, in caso di cessazione anticipata, per qualunque
causa, del rapporto di lavoro del direttore generale, il nuovo direttore generale
procede alla verifica qualitativa dell’operato dei direttori, con
facoltà di revocare gli incarichi a fronte di una valutazione negativa,
è collocata, invece, nell’art. 28, comma 3, della legge della
Provincia autonoma di Trento 23 luglio 2010, n. 16 (Legge provinciale sulla
tutela della salute), che non forma oggetto del giudizio e che è evocato
nella richiamato nell’art. 56, comma 4-bis, lettera a), della medesima
legge n. 16 del 2010, come introdotto dalla disposizione impugnata.
Sempre secondo la memoria, inoltre, i
parametri evocati non sarebbero pertinenti, si riscontrerebbe una
sovrapposizione tra il concetto di principi generali dell’ordinamento e
quello di principi fondamentali, e la materia rientrerebbe nella materia
“organizzazione amministrativa” della Provincia, dal momento che
l’Azienda per i servizi sanitari è un ente paraprovinciale.
4.6.– Con riferimento
all’art. 51, commi 4, 9 e 18, la Provincia autonoma di Trento ha
anzitutto fatto presente che l’art. 51, comma 4 – che ha sostituito
l’art. 30, comma 5-bis, della legge prov. n. 26 del 1993 – è
stato in seguito più volte modificato e, nella sua versione originaria,
oggetto del presente giudizio non sarebbe mai stato applicato, in quanto la
Provincia non ha predisposto gli idonei mezzi informatici richiesti
dall’impugnata disposizione. Ha pertanto chiesto che sia dichiarata la
cessazione della materia del contendere.
Tra le modifiche successivamente
apportate all’art. 30, comma 5-bis, viene richiamata la sua integrale
sostituzione ad opera dell’art. 16, comma 1, lettera c), della legge
della Provincia autonoma di Trento 3 agosto 2012, n. 18 (Modificazioni della
legge provinciale 10 settembre 1993, n. 26 – Legge provinciale sui lavori
pubblici), della legge della Provincia autonoma di Trento 15 dicembre 1980, n.
35 (Determinazione delle quote di aggiunta di famiglia e disposizioni varie in
materia di personale), della legge della Provincia autonoma di Trento 3 aprile
1997, n. 7 (Legge sul personale della Provincia), dell’art. 14
(Costituzione della società «Patrimonio del Trentino
s.p.a.») della legge della Provincia autonoma di Trento 10 febbraio 2005,
n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale
2005-2007 della Provincia autonoma di Trento – Legge finanziaria), della
legge della Provincia autonoma di Trento 16 maggio 2012, n. 9 (Interventi a
sostegno del sistema economico e delle famiglie), e della legge provinciale 31
maggio 2012, n. 10 (Interventi urgenti per favorire la crescita e la
competitività del Trentino), con disposizione che è stata
impugnata davanti a questa Corte – peraltro decisa dalla sentenza n. 187 del
2013, sul punto con estinzione del processo a seguito di rinuncia – e
ulteriormente modificata, con l’aggiunta di un inciso, ad opera
dell’art. 68 della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre
2012, n. 25 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e
pluriennale 2013-2015 della Provincia autonoma di Trento – Legge finanziaria
provinciale 2013).
Ad ogni modo nella memoria viene
altresì fornita una serie di argomenti nel senso
dell’inammissibilità e dell’infondatezza delle relative
censure. Tali argomenti sono riferiti anche alle censure aventi ad oggetto i
commi 9 e 18 dell’art. 51 della legge prov. Trento n. 18 del 2011, visto
che, ai sensi del ricorso, i vizi dell’art. 51, comma 4, si
trasmetterebbero, per derivazione, anche a tali commi.
4.7.– Inoltre, in memoria la
Provincia autonoma di Trento ha segnalato che dall’epigrafe e dal petitum
del ricorso risulta impugnato anche l’art. 51, comma 5, lettera a), della
legge prov. Trento n. 18 del 2011, senza peraltro che nel ricorso sia svolta
alcuna argomentazione al riguardo: tale questione dovrebbe pertanto ritenersi
inammissibile per totale assenza di motivazione.
4.8.– Relativamente all’art.
51, comma 12, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, che sostituisce
l’art. 44, comma 1, della legge n. 26 del 1993, sempre in materia di
lavori pubblici, in memoria si è ritenuta la censura inammissibile ove
invoca la violazione dell’art. 8, n. 17, dello statuto di autonomia del
Trentino-Alto Adige/Südtirol, sia in quanto tale censura non sarebbe
presente nella delibera governativa – ove viene richiamata solo la
competenza statale in materia di ordinamento civile – sia in quanto
sarebbe generica, non indicando quale dei limiti della potestà
legislativa primaria sarebbe violato.
La censura sarebbe, nel merito,
infondata per assenza del contrasto tra la norma impugnata e quella statale
invocata, dato che esse disciplinerebbero fenomeni diversi. L’art. 133,
comma 8, del d.lgs. n. 163 del 2006, infatti, definirebbe il prezzario
esclusivamente con riferimento alla fase di progettazione, senza disciplinare
le possibili evenienze dalla data di approvazione del progetto in poi, e quindi
senza preoccuparsi di tutelare l’appaltatore in caso di ritardo
nell’indizione della gara. In altri termini, l’aggiornamento
condizionato ad un aumento dei prezzi superiore al 2,5 per cento rispetto
all’anno precedente, previsto dalla disposizione impugnata, non
corrisponderebbe all’aggiornamento annuale previsto dall’art. 133,
comma 8, del codice dei contratti pubblici, bensì ad un ulteriore
aggiornamento, che scatta quando cambi l’elenco prezzi fra il momento
della delibera a contrarre e quello dell’inizio dell’appalto.
Inoltre, e in ogni caso, la Provincia autonoma di Trento ha argomentato nel
senso che non si potrebbe comunque dedurre la violazione dell’art. 8, n.
17, del d.P.R. n. 670 del 1972, perché la norma statale invocata, che
non sarebbe attuativa di prescrizioni europee, non concreterebbe alcuno dei
limiti della potestà legislativa primaria della Provincia autonoma. E,
altresì, nel senso di negare la violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost., dal momento che la norma, regolando
l’attività delle amministrazioni anteriore al momento di
aggiudicazione dell’appalto, non rientrerebbe
nell’«ordinamento civile».
4.9.– Con riferimento
all’art. 57, comma 4, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, che
introduce l’art. 86-ter nel decreto del Presidente della Giunta
Provinciale 26 gennaio 1987, n. 1-41/Legisl
(Approvazione del testo unico delle leggi provinciali in materia di tutela
dell’ambiente dagli inquinamenti), la Provincia autonoma lamenta,
anzitutto, l’inammissibilità della censura per violazione
dell’art. 9 Cost., sia perché tale parametro non sarebbe stato
invocato nella deliberazione del Consiglio dei ministri, sia per la totale
genericità della censura medesima, priva di ogni supporto motivazionale.
Nel merito, la censura, nella parte in
cui invoca la violazione dell’art. 117, primo comma, e dell’art.
117, secondo comma, lettera s) Cost., sarebbe infondata, in quanto frutto di un
sostanziale equivoco interpretativo: la disposizione impugnata, lungi dal
consentire l’esercizio di impianti di smaltimento di rifiuti non
pericolosi in assenza della relativa autorizzazione, riguarderebbe unicamente
lo smaltimento in difformità dall’autorizzazione, ma pur sempre in
impianti autorizzati. Ne deriverebbe, altresì, l’assenza di
contrasto con la normativa comunitaria richiamata, nella parte in cui afferma
la necessità di autorizzazione preventiva per l’attività di
smaltimento dei rifiuti, posto che la disposizione impugnata presupporrebbe
tale sistema autorizzatorio e farebbe comunque salvo
il sistema sanzionatorio previsto. In sostanza, la disposizione impugnata si
limiterebbe a stabilire una regola di buon senso e di ragionevolezza, mirando
ad impedire che debba essere obbligatoriamente disposta la rimozione di
rifiuti, smaltiti in difformità dall’autorizzazione, da un
impianto già di per sé autorizzato, per avviarli a un altro
impianto autorizzato o eventualmente anche presso il medesimo impianto, previa
integrazione della relativa autorizzazione. La movimentazione dei rifiuti in
questione genererebbe, infatti, un impatto sull’ambiente e sulla salute
pubblica decisamente maggiore di quello che deriverebbe dal mantenimento in
situ dei rifiuti originariamente non autorizzati.
4.10.– Con riguardo all’art.
57, comma 5, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, che introduce
l’art. 86-ter nel decreto del Presidente della Giunta Provinciale n.
1-41/Legisl del 1987, la Provincia autonoma ha
preliminarmente rilevato l’inammissibilità della censura con cui
si lamenta il contrasto con l’art. 186, comma 5, del decreto legislativo
n. 152 del 2006, in quanto tale previsione non sarebbe indicata nella
deliberazione del Consiglio dei ministri.
Nel merito, secondo la memoria, il
ricorso sarebbe infondato, in quanto anche in questo caso si baserebbe su un
equivoco interpretativo, visto che la disposizione impugnata sarebbe
chiarissima nel subordinare la propria applicabilità al pieno rispetto
della normativa statale e, di conseguenza, anche di quella comunitaria, della
quale la prima costituisce attuazione. Nel comma 1 della disposizione impugnata
il necessario rispetto della normativa statale è espressamente ribadito,
precisandosi che la regolarizzazione potrà riguardare unicamente le
gestioni di terre e rocce da scavo avvenute in difformità dalle
direttive della Provincia emanate ai sensi delle norme provinciali:
rappresentate dalle deliberazioni della Giunta provinciale 22 maggio 2009, n.
1227 (Linee guida e indicazioni operative per l’utilizzo di terre e rocce
derivanti da operazioni di scavo) e 3 luglio 2009, n. 1666 (Ulteriori
indicazioni integrative per l’utilizzo di terre e rocce da scavo
provenienti da aree interessate da fenomeni naturali che abbiano determinato il
superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione). Allo
stesso modo, è riaffermata la salvezza dell’apparato sanzionatorio
previsto a livello statale.
In memoria si è fatto inoltre
presente che non sarebbe corretto affermare, come invece avviene nel ricorso,
che la normativa nazionale e quella comunitaria qualificherebbero le terre e
rocce da scavo necessariamente come rifiuti, essendo prevista, altresì,
la possibilità di considerarle come «sottoprodotto» (ai
sensi dell’art. 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006). Questa
interpretazione sarebbe ora ulteriormente confermata dal decreto ministeriale
10 agosto 2012, n. 161 (Regolamento recante la disciplina
dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo), il cui art. 2, comma 1,
stabilisce le condizioni e i criteri affinché i materiali da scavo siano
considerati «sottoprodotti» e non «rifiuti». Anche
nella normativa comunitaria sarebbe escluso, secondo la memoria, che le rocce e
le terre da scavo costituiscano automaticamente e necessariamente un rifiuto:
ai sensi dell’art. 3, punto 1, della direttiva 2008/98/CE, infatti, per
rifiuto si intende qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o
abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi; il successivo art. 7,
inoltre, chiarisce che l’inclusione di una sostanza nell’elenco non
significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi.
4.11.– Con riferimento
all’art. 77 della legge prov. Trento n. 18 del 2011, che inserisce il
comma 1-bis nell’art. 8-bis della legge della Provincia autonoma di
Trento 31 agosto 1987, n. 18 (Istituzione dell’Istituto mocheno e
dell’Istituto cimbro e norme per la salvaguardia e la valorizzazione
della cultura delle popolazioni germanofone in provincia di Trento), la
Provincia autonoma, dopo aver ricordato che i cimbri sono una piccola minoranza
germanofona (poco più di mille abitanti) e che l’Istituto cimbro
ha lo scopo di promuovere le conoscenze della cultura e delle tradizioni di
tale minoranza, sostiene che la norma impugnata, che consente una deroga ai
requisiti richiesti dalla legge provinciale per gli incarichi dirigenziali,
serva a permettere che a capo di tale Istituto possa essere posta una persona
che conosca la lingua cimbra e la cultura di tale popolazione.
La questione sollevata sarebbe, ad ogni
modo, inammissibile, in quanto difforme rispetto alla delibera governativa, sia
nella parte in cui contesta la mancanza dei requisiti di capacità e di
esperienza di cui all’art. 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165
del 2001, sia nella parte in cui invoca il principio di ragionevolezza.
Nel merito, in memoria si è
sostenuta l’infondatezza di ambedue le censure. Riguardo a quella basata
sull’art. 8, n. 1, dello statuto di autonomia del Trentino-Alto
Adige/Südtirol, si è rilevato che il decreto legislativo n. 165 del
2001 non si applicherebbe alla Provincia autonoma di Trento, che sarebbe
soggetta solo ai principi desumibili dall’art. 2 della legge n. 421 del
1992, i quali, ai sensi dell’art. 1, comma 3, del medesimo decreto
legislativo, costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale. In
proposito, l’art. 2, comma 1, lettera f), della legge n. 421 del 1992 si
limita a prescrivere la necessità di «prevedere criteri generali
per la nomina dei dirigenti di più elevato livello, con la garanzia di
specifiche obiettive capacità professionali».
D’altro canto, il limite dei
«principi generali dell’ordinamento» non sussisterebbe
più, dato che la materia dell’«ordinamento degli uffici
provinciali e del personale» rientrerebbe ora nell’art. 117, quarto
comma, Cost. Neppure i «principi fondamentali dell’ordinamento
statale» potrebbero essere invocati, in quanto inidonei a limitare la
potestà provinciale in materia di personale, che è primaria e non
concorrente. Inoltre, l’art. 28 del decreto legislativo n. 165 del 2001
non sarebbe pertinente, in quanto regolerebbe l’accesso alla qualifica di
dirigente, e non il conferimento di un incarico dirigenziale.
In definitiva, la disposizione impugnata
– secondo la memoria – si limiterebbe a prevedere un incarico
«direzionale» temporaneo in un piccolo ente, senza che ciò
implichi l’acquisizione della qualifica di dirigente, dando attuazione
alla tutela delle minoranze culturali e linguistiche, in coerenza con
l’art. 6 Cost., l’art. 2 dello statuto di autonomia del
Trentino-Alto Adige/Südtirol e le norme di attuazione di cui al decreto
legislativo 16 dicembre 1993, n. 592 (Norme di attuazione dello statuto
speciale della Regione Trentino-Alto Adige concernenti disposizioni di tutela
delle popolazioni ladina, mochena e cimbra della provincia di Trento). In
questa chiave, andrebbe riconosciuta la ragionevolezza della norma, dovendosi
invece ritenere irragionevole una disciplina che ponesse la necessità
della laurea come limite insuperabile, senza tener conto delle difficoltà
di reclutamento che si incontrano all’interno di una cerchia
ristrettissima quale è la popolazione cimbra.
5.– Con memoria datata 30 maggio
2014 e depositata il 3 giugno 2014 la Provincia autonoma di Trento, oltre a
svolgere alcune considerazioni integrative in relazione ai motivi di ricorso
per i quali sono intervenute novità rilevanti, ha chiesto di dichiarare
la cessazione della materia del contendere limitatamente alla censura
riguardante l’art. 27, comma 6, lettera c), della legge prov. Trento n.
18 del 2011. La disposizione introdotta da tale legge, ossia l’art. 56,
comma 4-bis, della legge prov. Trento n. 16 del 2010, è stata infatti
abrogata dall’art. 12, comma 3, della legge della Provincia autonoma di
Trento 9 agosto 2013, n. 16 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale 2014 e pluriennale 2014-2016 della Provincia autonoma di Trento –
Legge finanziaria provinciale 2014) e, secondo quanto attestato dalla medesima
Provincia autonoma, non avrebbe avuto applicazione prima della sua abrogazione.
Quanto alle restanti censure, la
Provincia autonoma di Trento ha preannunciato l’accettazione delle
rinunce ai motivi del ricorso che il Consiglio dei ministri ha deliberato il 6
aprile 2013 – ma che al momento del deposito della memoria non risultavano
ancora depositate presso questa Corte – relativamente agli artt. 21,
comma 11, e 51, comma 4, della legge prov. Trento n. 18 del 2011. Ad avviso
della Provincia autonoma di Trento la rinuncia al motivo di ricorso relativo
all’art. 51, comma 4, della legge prov. Trento n. 18 del 2011
comprenderebbe altresì i successivi commi 9 e 18, impugnati in quanto
rinviano al comma 4. In ogni caso, la Provincia autonoma di Trento ha
dichiarato che né il comma 9, né il comma 18 dell’art. 51
della legge prov. Trento n. 18 del 2011 sono mai stati applicati, con la
conseguenza che in riferimento ai medesimi commi dovrebbe, comunque, essere
dichiarata la cessazione della materia del contendere.
Riguardo alla censura relativa
all’art. 16, comma 1, la Provincia autonoma ha ricordato come
l’art. 79 del d.P.R. n. 670 del 1972 sia stato interpretato in senso
riduttivo da alcune pronunce di questa Corte, a partire dalla sentenza n. 221 del
2013: in particolare, la Corte ha negato che tale disposizione statutaria
regoli, al di là del patto di stabilità interno, anche le misure
di coordinamento della finanza pubblica, rilevando che essa non modifica
l’obbligo di adeguare la legislazione delle Province autonome ai principi
di coordinamento della finanza pubblica. La Provincia autonoma di Trento ha
criticato tale orientamento, segnalando che solo i commi 3 e 4, primo periodo,
dell’art. 79 dello statuto di autonomia del Trentino-Alto
Adige/Südtirol concernono specificamente il patto di stabilità
interno, il quale peraltro non è qualcosa di alternativo al
coordinamento finanziario, ma al contrario costituisce una parte di tale
più ampio settore.
Infine, la memoria della Provincia
autonoma di Trento si è soffermata sulle censure relative all’art.
57, comma 5, e all’art. 77 della legge in questione. Nel primo caso, per
segnalare che l’art. 41-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69
(Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, avrebbe confermato che i
materiali da scavo non equivalgono necessariamente a rifiuti. Nel secondo caso,
per fare presente che una delle norme invocate, quale norma interposta, nel
ricorso, ossia l’art. 28 del decreto legislativo n. 165 del 2001,
è stata in parte abrogata dal d.P.R. 16 aprile 2013, n. 70 (Regolamento
recante riordino del sistema di reclutamento e formazione dei dipendenti
pubblici e delle Scuole pubbliche di formazione, a norma dell’articolo 11
del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla
legge 7 agosto 2012, n. 135), salvo peraltro rilevare, subito dopo, che la
modifica non risulta mutare i termini della questione, dato che la laurea
è richiesta anche dalla nuova disciplina per l’accesso alla
seconda fascia della dirigenza.
6.– Con memoria datata 13 ottobre
2014 e depositata il giorno successivo, la Provincia autonoma di Trento ha
svolto alcune considerazioni integrative limitatamente alle disposizioni per le
quali lo Stato non risulta aver deliberato la rinuncia ai motivi del ricorso.
Riguardo all’art. 16, comma 1, si
è ribadita l’avvenuta abrogazione della disposizione, ma si
è altresì osservato che la questione di costituzionalità
non è venuta meno in relazione al 2012.
Relativamente all’art. 57, comma
4, la Provincia autonoma ha fatto presente che l’art. 208 del decreto
legislativo n. 152 del 2006, invocato come parametro interposto nel ricorso,
è stato modificato in alcuni punti dall’art. 13 del decreto legislativo
4 marzo 2014, n. 46 (Attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle
emissioni industriali. Prevenzione e riduzione integrate
dell’inquinamento), ma ha sostenuto che le modifiche non inciderebbero
sulla materia del contendere.
Con riferimento all’art. 57, comma
5, nella memoria si è segnalato che in materia di gestione di terre e
rocce da scavo sono intervenute tre recenti pronunce di questa Corte (le sentenze n. 232
e n. 70 del 2014
e n. 300 del
2013), le quali, però, hanno avuto ad oggetto norme legislative
diverse da quelle in esame. A differenza di quelle esaminate nelle suddette
pronunce – ha sostenuto la Provincia autonoma – la disciplina
impugnata non inciderebbe sull’ambito di applicazione delle procedure
regolate dalle norme statali, delle quali, anzi, presupporrebbe il pieno
rispetto, ma si limiterebbe a prevedere una regolarizzazione amministrativa nei
casi in cui si sia verificata una gestione delle terre e rocce da scavo in
difformità dalle direttive della Provincia (che prevedono alcuni
obblighi formali e verifiche analitiche, ad integrazione in melius
della normativa statale).
Infine, per i restanti articoli si sono
ribadite le considerazioni già svolte nelle precedenti memorie.
7. – In prossimità
dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato un
atto in cui ha dichiarato di rinunciare al ricorso indicato in epigrafe,
limitatamente agli artt. 21, comma 11, e 51, comma 4, della legge prov. Trento
n. 18 del 2011.
La rinuncia parziale è stata
accettata dalla Provincia autonoma di Trento, previa conforme delibera della
Giunta provinciale.
1.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri ha impugnato gli artt. 9, comma 5; 16, comma 1; 17, comma 1; 21,
comma 11; 27, comma 4 e comma 6, lettera c); 51, commi 4, 9 e 18; 51, comma 5,
lettera a); 51, comma 12; 57, comma 4; 57, comma 5; e 77 della legge della
Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2011, n. 18 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Provincia
autonoma di Trento – Legge finanziaria provinciale 2012), per violazione
degli artt. 3, 9, 97 e 117 della Costituzione e degli artt. 4, 8 e 73 del
d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi
costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
2.– Quanto alle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 9, comma 5, 21, comma 11, e 51,
comma 4 (e, in quanto basati su quest’ultimo, commi 9 e 18), della legge
prov. Trento n. 18 del 2011 è intervenuta la rinuncia
all’impugnazione da parte del ricorrente, seguita da rituale accettazione
da parte della Regione resistente, di tal che i relativi giudizi devono essere
dichiarati estinti, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale.
3.– Come segnalato dalla Provincia
autonoma di Trento la censura relativa all’art. 51, comma 5, lettera a),
della legge prov. Trento n. 18 del 2011, pur presente nell’epigrafe e nel
petitum del ricorso, non è in alcun modo ripresa, né motivata,
nel corpo del ricorso medesimo. In assenza di qualsivoglia argomentazione a
sostegno della asserita incostituzionalità, deve pertanto essere
dichiarata manifestamente inammissibile la questione avente ad oggetto
l’art. 51, comma 5, lett. a) della legge provinciale n. 18 del 2011, per
assoluta carenza di motivazione (ex plurimis, sentenza n. 189 del
2014, ordinanza
n. 123 del 2012).
4.– Sempre in via preliminare, va
considerato che la Provincia autonoma di Trento, con riferimento a diverse
delle disposizioni impugnate, lamenta profili di inammissibilità,
derivanti sia dall’invocazione di parametri interposti non presenti nella
deliberazione della controversia (nel caso delle censure riferite agli artt.
16, comma 1; 51, comma 12; 57, comma 5; e 77), sia per contraddittorietà
interna dei parametri invocati, dal momento che in più casi il ricorso
parrebbe ricondurre la disciplina impugnata sia alla potestà legislativa
concorrente sia, al tempo stesso, nella potestà legislativa primaria
della Provincia autonoma (è il caso delle censure riferite agli artt.
16, comma 1; 17, comma 1; 27, comma 4; e 27, comma 6).
Entrambe le eccezioni di inammissibilità,
con riguardo alle censure riferite alle indicate disposizioni, debbono essere
respinte.
Quanto all’individuazione dei
parametri interposti, la delibera del Consiglio dei ministri individua
correttamente sia la disposizione di volta in volta oggetto della questione,
sia i parametri costituzionali poi invocati nel ricorso. Il fatto che la
delibera del Consiglio dei ministri abbia indicato solo alcuni dei rilevanti
parametri interposti non costituisce elemento idoneo a determinare
l’inammissibilità della censura, visto che la difesa tecnica,
nell’esercizio della sua discrezionalità, ben può integrare
una solo parziale indicazione dei motivi di censura (ex plurimis,
sentenza n. 290
del 2009).
Quanto alla asserita
contraddittorietà del ricorso, va ricordato che questa Corte ha in molte
occasioni riconosciuto che nel contenzioso tra Stato, Regioni e Province
autonome ben può accadere che la normativa oggetto di giudizio afferisca
ad una pluralità di ambiti materiali e competenziali
e che gli stessi limiti evocati dagli statuti speciali siano ribaditi in leggi
dello Stato approvate nell’esercizio di competenze attribuite
dall’art. 117, secondo e terzo comma, Cost. (ex plurimis,
sentenze n. 187
del 2013; n.
114 del 2011). Di conseguenza, è evenienza ricorrente che, in questo
tipo di giudizi, l’impugnativa prospetti una pluralità di
questioni, anche alternative tra loro, riferite a diversi parametri
costituzionali e dipendenti dalle diverse possibili qualificazioni della norma
impugnata sotto il profilo della competenza. Pertanto, diversamente da quel che
accade per i giudizi in via incidentale, la giurisprudenza di questa Corte
consente, nei giudizi in via principale, che le questioni siano prospettate in
termini dubitativi o alternativi (sentenze n. 187 del
2013, n. 289
del 2008, n.
447 del 2006; ordinanza
n. 342 del 2009).
5.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri, nel suo ricorso, afferma che l’art. 16, comma 1, della
legge prov. Trento n. 18 del 2011, nel determinare la spesa complessiva per il
personale appartenente al comparto autonomie locali e al comparto ricerca per
gli anni 2012, 2013, 2014 e successivi, specificando che in tale spesa
«non rientrano gli oneri relativi al personale assunto con contratto di
diritto privato per la realizzazione di lavori, interventi o attività sulla
base di particolari norme di settore», violerebbe, in primo luogo,
l’art. 117, terzo comma, Cost. Infatti, nell’esonerare la spesa per
il personale contrattista dal rispetto dal limite necessario a garantire il
rispetto del patto di stabilità interno, tale disposizione si porrebbe
in contrasto con i principi della legislazione statale in materia di
coordinamento della finanza pubblica e in particolare con l’art. 9-bis
del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché
proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009,
n. 102; e con l’art. 32, commi 10, 11 e 12, della legge 12 novembre 2011,
n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – Legge di stabilità 2012); nonché con l’art.
1, commi 557 e 557-bis, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge
finanziaria 2007), come sostituiti dall’art. 14, comma 7, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122, ai sensi dei quali vanno incluse in tale patto
tutte le spese per il personale, a qualsiasi titolo sostenute. Inoltre, il
ricorrente ravvisa una violazione dell’art. 8, numero 1), dello statuto
di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol, in quanto contrasterebbe
con i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, che la
legislazione provinciale in materia di personale deve rispettare, per effetto
del rinvio all’art. 4 del medesimo statuto, e in particolare con il
divieto generale di incremento della spesa per il personale, stabilito per
tutte le pubbliche amministrazioni dall’art. 9, comma 1, del
decreto-legge n. 78 del 2010, conv., con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010.
5.1.– Con riguardo alla censura
riferita all’art. 16, comma 1, della legge prov. Trento n. 18 del 2011,
la Provincia autonoma di Trento chiede che sia dichiarata la cessazione della
materia del contendere con riferimento agli anni 2013 e successivi, dal momento
che l’intero art. 16 è stato abrogato dall’art. 25, comma 3,
della legge provinciale 27 dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Provincia autonoma di
Trento – Legge finanziaria provinciale 2013), a decorrere dal 1°
gennaio 2013. Quest’ultima legge – poi a sua volta abrogata a
decorrere dal 1° gennaio 2014 dall’art. 1 della legge prov. Trento 9
agosto 2013, n. 16 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2014 e
pluriennale 2014-2016 della Provincia autonoma di Trento – Legge
finanziaria provinciale 2014) – ha poi fissato i limiti di spesa per gli
anni 2013-2015, inferiori ai precedenti e senza ripetere la disposizione di cui
all’ultimo periodo dell’art. 16, comma 1, che escludeva da tali
limiti gli oneri relativi al personale assunto con contratto di diritto privato
sulla base di particolari norme di settore.
Secondo costante giurisprudenza
costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 97 del
2014, n. 272,
n. 266 e n. 228 del 2013),
per addivenire alla cessazione della materia del contendere in caso di modifica
delle disposizioni impugnate occorre, da un lato, che la nuova disciplina possa
ritenersi pienamente satisfattiva delle pretese del ricorrente e,
dall’altro, che le norme previgenti non abbiano ricevuto medio tempore
applicazione.
Poiché, nel caso di specie,
questa seconda condizione non si verifica, tant’è che la norma ha
ricevuto applicazione, seppure limitatamente al 2012, la relativa censura deve
essere esaminata nel merito.
La questione è fondata.
In proposito, la giurisprudenza
costituzionale ha già avuto modo di qualificare l’art. 9, comma 1,
del decreto-legge n. 78 del 2010, conv., con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, come principio fondamentale di
coordinamento della finanza pubblica, vincolante anche per le Regioni a statuto
speciale (sentenze
n. 221 del 2013, n. 217 e n. 215 del 2012).
Dal momento che tale disposizione fissa il livello massimo del trattamento
economico complessivo dei singoli dipendenti delle Regioni e degli enti
regionali, ancorandolo a quanto percepito nel 2010, essa produce
l’effetto di predeterminare «l’entità complessiva
degli esborsi a carico delle Regioni a titolo di trattamento economico del
personale […] così da imporre un limite generale ad una rilevante
voce del bilancio regionale» (così la sentenza n. 217 del
2012, che applica tale limite ad una Regione a statuto speciale). Un simile
vincolo generale di spesa può essere legittimamente imposto con legge
dello Stato a tutte le Regioni, comprese quelle ad autonomia differenziata, per
ragioni di coordinamento finanziario, connesse ad obiettivi nazionali, a loro
volta condizionati anche dagli obblighi comunitari.
L’impugnato art. 16, comma 1,
della legge prov. Trento n. 18 del 2011 permette che tale limite sia
oltrepassato, e pertanto viola un principio fondamentale di coordinamento della
finanza pubblica, nella parte in cui esclude alcune categorie di dipendenti e
contrattisti dall’ammontare complessivo della spesa per il personale da
esso stesso individuato. Ne deve, pertanto, essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost.
6.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri impugna l’art. 17, comma 1, della legge prov. Trento n. 18
del 2011, nella parte in cui, modificando l’art. 3, comma 1, lettera a),
della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2010, n. 27
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale
2011-2013 della Provincia autonoma di Trento – Legge finanziaria
provinciale 2011), stabilisce che per il 2010 si riconoscano al personale del
comparto ricerca le progressioni di carriera, comunque denominate, maturate nel
corso del 2010. Tale disposizione, infatti, violerebbe, in primo luogo,
l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto, capovolgendo la
disciplina della legge dello Stato in materia di effetti degli avanzamenti di
carriera sulla retribuzione, invaderebbe la competenza esclusiva statale in
materia di ordinamento civile; in secondo luogo, l’art. 117, terzo comma,
Cost., nella parte in cui attribuisce alla legislazione concorrente la materia
del coordinamento della finanza pubblica, in quanto consentirebbe di attribuire
anche effetti economici agli avanzamenti di carriera di personale pubblico, in
contrasto con l’art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, conv., con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010; in
terzo ed ultimo luogo, l’art. 8, numero 1), dello statuto di autonomia
del Trentino-Alto Adige/Südtirol, in quanto non rispetterebbe il limite
dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica che si impongono
alla legislazione provinciale in materia di personale, per effetto del rinvio
all’art. 4 del medesimo statuto.
6.1.– La questione di
legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, è
inammissibile.
La censura erariale si appunta su quella
parte della disposizione provinciale che si occupa delle sole progressioni di
carriera del personale del comparto ricerca, comunque denominate, che siano
maturate nel corso del 2010. Viceversa, il parametro interposto di cui
all’art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, conv., con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010,
invocato nel ricorso, contiene il divieto – che questa Corte ha
già ritenuto applicabile anche alle Regioni a statuto speciale (sentenze n. 181 del
2014 e n. 3
del 2013) – di riconoscere effetti economici alle progressioni di
carriera relative agli anni 2011, 2012 e 2013. Pertanto, la norma di principio
statale e la disposizione provinciale, nella parte in cui è impugnata,
si riferiscono ad ambiti temporali diversi, essendo la prima riferita al
triennio 2011-2013, mentre la seconda al solo 2010. Ne consegue che il
parametro interposto invocato è, sotto questo profilo, inconferente.
D’altra parte, in relazione al
triennio 2011-2013, l’impugnato art. 17, comma 1, reitera testualmente il
divieto stabilito dalla legge statale, laddove afferma che «le
progressioni di carriera dello stesso personale, comunque denominate, disposte
negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per gli anni in questione, a fini
esclusivamente giuridici». Deve pertanto escludersi che all’art.
17, comma 1, della l. prov. n. 18 del 2011 possa essere attribuito un
significato in contrasto con quanto disposto dall’art. 9, comma 21, del
decreto-legge n. 78 del 2010, conv., con
modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010.
7.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri impugna l’art. 27, comma 4, della legge prov. Trento n. 18
del 2011, nella parte in cui, introducendo il comma 10-bis nell’art. 44
della legge della Provincia autonoma di Trento 23 luglio 2010, n. 16 (Legge
provinciale sulla tutela della salute), affida alla Giunta provinciale la
funzione di formulare direttive all’Agenzia provinciale per la
rappresentanza negoziale (APRAN) per consentire all’Azienda provinciale
per i servizi sanitari di concedere un’aspettativa non retribuita e utile
a ogni altro fine, per un periodo massimo di novanta giorni ogni biennio, con
oneri previdenziali a carico del datore di lavoro e del dipendente versati
dall’Azienda medesima, per favorire la partecipazione del proprio
personale a progetti di solidarietà internazionale approvati o sostenuti
dalla Provincia. Tale disposizione violerebbe, in primo luogo, l’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invaderebbe la competenza
esclusiva statale in materia di ordinamento civile, posto che solo la legge
dello Stato potrebbe mutare o integrare le decisioni assunte in sede
contrattazione collettiva in materia di aspettativa; in secondo luogo,
l’art. 8, numero 1), dello statuto di autonomia del Trentino-Alto
Adige/Südtirol, in quanto contrasterebbe con i principi
dell’ordinamento giuridico della Repubblica, che la legislazione
provinciale in materia di personale deve rispettare, per effetto del rinvio
all’art. 4 del medesimo statuto, e in particolare il principio della
contrattazione collettiva, che regge l’intero settore del lavoro alle
dipendenze della pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 40, comma
1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche).
7.1.– La questione è
fondata.
La disposizione impugnata, infatti,
ancorché formulata come volta a indirizzare il potere di direttiva che
la Giunta provinciale esercita nei confronti dell’APRAN, in realtà
definisce con precisione un nuovo tipo di aspettativa, specificandone la causa,
la durata massima, il regime degli oneri previdenziali. Ai sensi di tale
disposizione, il potere di direttiva va esercitato per favorire la concessione
di «aspettativa non retribuita e utile a ogni altro fine, per un periodo
massimo di novanta giorni ogni biennio, con oneri previdenziali a carico del
datore di lavoro e del dipendente versati dall’azienda», al fine di
consentire la partecipazione del personale dell’Azienda provinciale per i
servizi sanitari a progetti di solidarietà internazionale approvati o
sostenuti dalla Provincia. Pertanto, il legislatore provinciale ha sconfinato nell’ambito
dell’ordinamento civile, riservato alla competenza legislativa esclusiva
statale, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.,
ancorché l’aspettativa delineata nella disposizione oggetto del
presente giudizio sia rivolta esclusivamente al personale della Provincia
autonoma (analogamente si vedano le sentenze n. 77 del
2013 e n. 61
del 2014, entrambe riferite alla Provincia autonoma di Bolzano).
8.– La Presidenza del Consiglio
dei ministri impugna l’art. 27, comma 6, lettera c), della legge prov.
Trento n. 18 del 2011, nella parte in cui, inserendo il comma 4-bis
nell’art. 56 della legge prov. n. 16 del 2010, assoggetta la dirigenza
del servizio sanitario provinciale al cosiddetto spoils
system, stabilendo che la durata massima degli incarichi non può essere
superiore a quella del direttore generale dell’Azienda provinciale per i
servizi sanitari. Tale disposizione violerebbe infatti, in primo luogo,
l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invaderebbe la
competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, posto che
soltanto la legge dello Stato potrebbe mutare o integrare la materia della
cessazione del rapporto di pubblico impiego; in secondo luogo, l’art. 8,
numero 1), dello statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol, in
quanto contrasterebbe con i principi dell’ordinamento giuridico della
Repubblica, che la legislazione provinciale in materia di personale deve
rispettare, per effetto del rinvio all’art. 4 del medesimo statuto, e in
particolare con gli artt. 14 e 19, comma 1-ter, del d.lgs. n. 165 del 2001, che
individuano i casi di revoca degli incarichi dirigenziali e limitano il
meccanismo dello spoils system ai soli uffici di
diretta collaborazione.
8.1 – Con riferimento a tale
censura, la Provincia autonoma chiede che sia dichiarata la cessazione della
materia del contendere, in quanto la disposizione introdotta da tale legge,
ossia l’art. 56, comma 4-bis, della legge prov. Trento n. 16 del 2010,
è stata abrogata dall’art. 12, comma 3, della Provincia autonoma
di Trento n. 16 del 2013 e, secondo quanto attestato dalla medesima Provincia
autonoma, anche sulla base di apposito documento sottoscritto dal dirigente
generale del dipartimento salute e solidarietà sociale, datato 30 maggio
2014 e depositato in allegato a una memoria, non avrebbe avuto applicazione
prima della sua abrogazione.
L’abrogazione della disposizione
impugnata è dunque intervenuta a decorrere dal 14 agosto 2013.
Secondo gli orientamenti costanti della
giurisprudenza di questa Corte, perché sia dichiarata la cessazione
della materia del contendere occorre che sussistano due requisiti: a) la
sopravvenuta abrogazione o modificazione delle norme censurate in senso
satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso; b) la mancata applicazione,
medio tempore, delle norme abrogate o modificate (sentenze n. 68 del
2014; nn.
300, 193
e 32 del 2012
e n. 325 del
2011).
Nel caso di specie possono ritenersi
sussistere sia la prima condizione, sia – secondo quanto attestato dalla
Provincia autonoma di Trento, nella memoria e nel documento ad essa allegato
– la seconda condizione.
Deve pertanto essere dichiarata la
cessazione della materia del contendere in riferimento alla questione avente ad
oggetto l’art. 27, comma 6, lettera c), della legge prov. Trento n. 18
del 2011.
9.– Il ricorrente censura
l’art. 51, comma 12, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, nella parte
in cui, sostituendo il comma 1 dell’art. 44 della legge della Provincia
autonoma di Trento 10 settembre 1993, n. 26 (Legge provinciale sui lavori
pubblici), subordina l’aggiornamento dei prezzi di progetto al
superamento della percentuale di aumento del 2,5 per cento dei medesimi prezzi,
quali risultanti dagli elenchi ufficiali, intervenuto tra la data della
delibera di contrarre e quella di indizione dell’appalto, per violazione,
in primo luogo, dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in
quanto invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento
civile, posto che la disposizione impugnata limiterebbe l’autonomia
negoziale relativamente all’offerta del prezzo della prestazione dedotta
in appalto, impedendo alle imprese di tenere conto nelle proprie offerte degli
incrementi di costo fino a quando questi non abbiano superato la percentuale
del 2,5 per cento; in secondo luogo, dell’art. 8, numero 17), dello
statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol, in quanto
contrasterebbe con i principi dell’ordinamento giuridico della
Repubblica, che la legislazione provinciale in materia di lavori pubblici deve
rispettare, e in particolare del «principio di adeguamento
continuo», per come desumibile dall’art. 133, comma 8, del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE).
9.1.– La questione è
fondata.
Questa Corte ha già avuto modo di
pronunciarsi numerose volte sul riparto di competenze tra Stato e Regioni in
materia di appalti pubblici, anche con specifico riferimento alla Provincia
autonoma di Trento. Come ha chiarito la sentenza n. 45 del
2010, il fatto che l’art. 8, numero 17), dello statuto di autonomia
del Trentino-Alto Adige/Südtirol attribuisca alle Province autonome di
Trento e di Bolzano competenza legislativa primaria in materie specificamente
enumerate, tra le quali rientra anche quella dei «lavori pubblici di
interesse provinciale», non significa «che – in relazione
alla disciplina dei contratti di appalto che incidono nell’ambito
territoriale della Provincia – la legislazione provinciale sia libera di
esplicarsi senza alcun vincolo e che non possano trovare applicazione le
disposizioni di principio contenute nel d.lgs. n. 163 del 2006». La Corte
ha poi di recente precisato, con sentenza n. 74 del
2012, che «la competenza della Provincia autonoma di Trento
nell’ambito dei lavori pubblici di interesse regionale è
perimetrata innanzitutto dall’art. 4 dello statuto, che annovera, tra gli
altri, il limite del rispetto dei “principi dell’ordinamento
giuridico della Repubblica”» e che «tale limite include anche
i principi dell’ordinamento civile». In particolare, i principi della
«disciplina di istituti e rapporti privatistici relativi, soprattutto,
alle fasi di conclusione ed esecuzione del contratto di appalto […]
devono essere uniformi su tutto il territorio nazionale, in ragione
dell’esigenza di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza».
Alla luce dei suddetti orientamenti, va
valutata la disposizione impugnata, nella parte in cui subordina
l’aggiornamento dei prezzi di progetto al superamento di una percentuale
di aumento del 2,5 per cento dei medesimi prezzi, quali risultanti dagli
elenchi ufficiali, che sia intervenuto tra la data della delibera a contrarre e
quella di indizione dell’appalto.
L’art. 51, comma 12, della legge
prov. Trento n. 18 del 2011 si pone in contrasto con la disciplina
sull’aggiornamento annuale dei prezzari delle stazioni appaltanti e con
il «principio di adeguamento continuo» dei prezzi posti a base di
gara, per come affermati dall’art. 133, comma 8, del d.lgs. n. 163 del
2006. La disciplina dell’adeguamento dei prezzi, anche se nella
fattispecie in giudizio riguarda la fase pubblicistica delle procedure di
appalto, essendo riferita al periodo che intercorre tra la data di delibera a
contrarre e quella di indizione dell’appalto, in realtà si
ripercuote su tutte le fasi successive, comprese quelle della stipulazione del
contratto e della sua esecuzione. Pertanto, essa produce un effetto
condizionante sull’autonomia negoziale, sia della stazione appaltante,
sia delle imprese interessate, dal momento che impedisce a queste ultime di
tenere conto degli incrementi di costo fino a quando questi non abbiano
superato la percentuale del 2,5 per cento. Per tali motivi, la disposizione
impugnata, discostandosi dalle sopra citate previsioni del codice degli appalti
in materia di aggiornamento dei prezzi, interferisce con la competenza esclusiva
dello Stato in materia di ordinamento civile, in violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. (sentenze n. 74 del
2012, n. 53
del 2011, n.
45 del 2010, n.
401 del 2007).
10.– Il ricorrente impugna
l’art. 57, comma 4, della legge prov. Trento n. 18 del 2001, che
introduce l’art. 86-ter nel decreto del Presidente della Giunta
Provinciale 26 gennaio 1987, n. 1-41/Legisl
(Approvazione del testo unico delle leggi provinciali in materia di tutela
dell’ambiente dagli inquinamenti), nella parte in cui prevede una
sanatoria per le violazioni commesse in materia di smaltimento di rifiuti non
pericolosi, consentendo l’autorizzazione a posteriori di attività
svolte in carenza o in difformità dal prescritto titolo autorizzativo.
Tale disposizione violerebbe, in primo luogo, l’art. 117, primo comma,
Cost., in quanto contrasterebbe con la direttiva del 19 novembre 2008, n.
2008/98/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai
rifiuti e che abroga alcune direttive) e la direttiva del 15 gennaio 2008, n.
2008/1/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla prevenzione e
la riduzione dell’inquinamento), le quali impongono che tutte le
attività inerenti alla gestione del ciclo dei rifiuti, compreso lo
smaltimento, siano soggette ad autorizzazione preventiva; in secondo luogo,
l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto invaderebbe la
competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, posto che la previsione di una sanatoria sostanzialmente
generalizzata peggiorerebbe il livello di tutela assicurato dalla normativa
statale (e in particolare dagli artt. 208 e seguenti del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale»); in terzo
luogo, l’art. 9 Cost., in quanto configurerebbe una sanatoria
sostanzialmente indiscriminata, in contrasto con il principio di tutela
dell’ambiente.
10.1.– La questione è
fondata.
Occorre anzitutto ricordare che, secondo
la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 285 del
2013, n. 244
del 2011, n.
249 del 2009, n.
62 del 2008), la disciplina dei rifiuti «si colloca
nell’àmbito della tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri
interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il
potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio
nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi
funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali»
(così, in particolare, la sentenza n. 249 del
2009).
In tema di autorizzazione allo
smaltimento dei rifiuti, la legislazione statale stabilisce, nell’art.
208, comma 13, del decreto legislativo n. 152 del 2006, a prescindere
dall’applicazione di norme sanzionatorie, quali siano le conseguenze
dell’infrazione in caso di inosservanza delle prescrizioni
dell’autorizzazione. La suddetta disposizione del codice
dell’ambiente prevede, infatti, che in tali casi l’autorità
competente proceda, a seconda della gravità dell’infrazione, alla
diffida, con eventuale sospensione dell’autorizzazione, o alla revoca
dell’autorizzazione.
Trattandosi di una disciplina che
è adottata dallo Stato nell’esercizio di una sua competenza
legislativa esclusiva, quella in materia ambientale, il legislatore regionale
non può introdurvi deroghe, né dettare una diversa disciplina.
Resta assorbito ogni altro profilo di
censura.
11.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri censura l’art. 57, comma 5, della legge prov. Trento n. 18
del 2011, che introduce l’art. 86-ter nel d. Pres. Prov. Trento n. 1-41/Legisl del 1987, nella parte in cui prevede, per il settore
dello smaltimento delle terre e rocce da scavo, una sanatoria per le violazioni
commesse in materia di smaltimento di rifiuti non pericolosi, consentendo
l’autorizzazione a posteriori di attività svolte in carenza del
prescritto titolo. La disposizione impugnata violerebbe infatti, in primo
luogo, l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto contrasterebbe con la
normativa comunitaria (direttive n. 2008/1/CE, in materia di prevenzione e
riduzione dell’inquinamento, e n. 2008/98/CE, in materia di rifiuti, che
rinvia all’elenco dei rifiuti di cui alla decisione della Commissione n.
2000/532/CE), le quali impongono che tutte le attività inerenti alla
gestione del ciclo dei rifiuti, compreso lo smaltimento, siano soggette ad
autorizzazione preventiva; in secondo luogo, l’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., in quanto invaderebbe la competenza esclusiva statale in
materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, posto che la
previsione di una sanatoria sostanzialmente generalizzata con riferimento allo
smaltimento delle terre e rocce da scavo peggiorerebbe il livello di tutela
assicurato dalla normativa statale, anche perché la distinzione tra
violazioni «documentali o formali» e violazioni
«sostanziali», su cui la disposizione si basa, risulterebbe
generica e priva di criteri applicativi.
11.1. Anche tale questione è
fondata per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Che quella dello smaltimento delle terre
e rocce da scavo sia disciplina che interviene in materia di legislazione
statale esclusiva, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost. è principio reiteratamente affermato da una serie di recenti
sentenze di questa Corte (n. 232 del 2014;
n. 70 del 2014;
n. 300 del 2013):
«la disciplina delle procedure per lo smaltimento delle rocce e terre da
scavo attiene al trattamento dei residui di produzione ed è
perciò da ascriversi alla “tutela dell’ambiente”,
affidata in via esclusiva alle competenze dello Stato, affinché siano
garantiti livelli di tutela uniformi su tutto il territorio nazionale».
Pertanto, «in materia di smaltimento delle rocce e terre da scavo non
residua alcuna competenza – neppure di carattere suppletivo e cedevole
– in capo alle Regioni e alle Province autonome in vista della
semplificazione delle procedure da applicarsi ai cantieri di piccole
dimensioni» (così la sentenza n. 232 del
2014).
In particolare, come ricordato
dall’appena richiamata sentenza n. 232 del
2014, il legislatore statale, con gli artt. 266, comma 7, e 184-bis del
codice dell’ambiente, relativamente al trattamento dei sottoprodotti
– a cui il sopravvenuto art. 41-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n.
69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, riconduce il regime delle
terre e delle rocce da scavo – ha previsto che siano appositi decreti
ministeriali a fissare la disciplina per la semplificazione amministrativa
dell’utilizzazione dei materiali da scavo e a individuare i criteri in
base ai quali alcune sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti,
anziché rifiuti. Trattandosi di una disciplina che è adottata
dallo Stato nell’esercizio di una sua competenza legislativa esclusiva,
quella in materia ambientale, il legislatore regionale non può
sovrapporvisi in alcun modo.
Devono quindi ritenersi assorbiti gli
altri motivi di censura.
12.– Il ricorrente censura
l’art. 77 della legge prov. Trento n. 18 del 2011, che inserisce il comma
1-bis nell’art. 8-bis della legge della Provincia autonoma di Trento 31
agosto 1987, n. 18 (Istituzione dell’Istituto mocheno e
dell’Istituto cimbro e norme per la salvaguardia e la valorizzazione della
cultura delle popolazioni germanofone in provincia di Trento), nella parte in
cui consente che l’incarico di direttore dell’Istituto cimbro di
Luserna sia affidato anche a un soggetto privo dei requisiti per la nomina a
dirigente, «purché in possesso di professionalità e
attitudine alla direzione». Tale disposizione violerebbe, in primo luogo,
l’art. 8, numero 1), dello statuto di autonomia del Trentino-Alto
Adige/Südtirol, in quanto contrasterebbe con i principi
dell’ordinamento giuridico della Repubblica, che la legislazione
provinciale in materia di personale deve rispettare, per effetto del rinvio
all’art. 4 del medesimo statuto, e in particolare con quelli risultanti
dagli artt. 19, comma 6, e 28 del d.lgs. n. 165 del 2001; in secondo luogo, gli
artt. 3 e 97 Cost., sotto i profili della ragionevolezza e della buona
organizzazione dell’amministrazione, in quanto la mera richiesta di
professionalità e attitudine alla direzione non sarebbe idonea a
perseguire la finalità di assicurare all’Istituto una direzione
efficiente e in quanto la buona organizzazione presuppone anzitutto una
qualificazione professionale adeguata a chi è preposto a funzioni
dirigenziali.
12.1.– La questione prospettata
con riferimento all’art. 8, numero 1), dello statuto di autonomia del
Trentino-Alto Adige/Südtirol è inammissibile, perché i
parametri interposti invocati non risultano essere conferenti.
Occorre anzitutto considerare che la
disposizione impugnata non si occupa in alcun modo dell’accesso alla
qualifica dirigenziale, ma disciplina esclusivamente le modalità di
affidamento delle funzioni di direttore dell’Istituto cimbro. Essa dunque
si limita a prevedere un incarico direzionale temporaneo in un piccolo ente,
senza che ciò implichi l’acquisizione della qualifica di
dirigente. Di conseguenza, l’art. 28 del d.lgs. n. 165 del 2001, indicato
dal ricorrente quale parametro interposto, non costituisce un termine di
raffronto pertinente, dal momento che esso stabilisce i requisiti e le
modalità per l’accesso alla qualifica di dirigente nelle amministrazioni
statali.
Viene altresì richiamato nel
ricorso, come parametro interposto, l’art. 19, comma 6, del d.lgs. n. 165
del 2001. Questa disposizione, applicabile al personale degli enti locali ai
sensi del successivo comma 6-ter, consente di conferire incarichi dirigenziali
a persone, esterne alla pubblica amministrazione, di particolare e comprovata
qualificazione professionale, che abbiano un’esperienza di almeno un
quinquennio in funzioni dirigenziali oppure che siano in possesso di formazione
universitaria e postuniversitaria (che, secondo quanto dispone l’ultimo
periodo, deve corrispondere al conseguimento del diploma di laurea
specialistica-magistrale o vecchio ordinamento). Anche in questo caso non
risulta esservi coincidenza con la fattispecie disciplinata dalla disposizione
impugnata, che non ha riguardo a personale esterno alla pubblica
amministrazione.
12.2.– La medesima disposizione
è censurata anche in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., sotto i
profili della ragionevolezza e del buon andamento della pubblica
amministrazione.
La questione non è fondata.
Occorre ricordare che i cimbri
costituiscono una piccola minoranza linguistica germanofona, la cui
entità può essere stimata in circa un migliaio di persone,
concentrate per lo più nel comune di Luserna, come risulta anche
dall’art. 3 della legge provinciale 19 giugno 2008, n. 6 (Norme di tutela
e promozione delle minoranze linguistiche locali): «Il territorio del
Comune di Luserna-Lusérn costituisce,
all’interno della provincia di Trento, territorio dell’insediamento
storico della popolazione cimbra». L’Istituto cimbro, che ha
appunto sede a Luserna, ha lo scopo di promuovere le conoscenze della cultura e
delle tradizioni di tale minoranza storica. Tenendo conto delle
difficoltà di reclutamento che si possono incontrare all’interno
di una ristrettissima cerchia di persone come è quella costituita dalla
minoranza cimbra, la disposizione impugnata consente di non applicare i
requisiti stabiliti dalla legge provinciale sugli incarichi dirigenziali
– in particolare si vedano gli artt. 24 e 28 della legge della Provincia
autonoma di Trento 3 aprile 1997, n. 7 (Legge sul personale della Provincia)
– all’evidente scopo di permettere che a capo di tale istituto
possa essere posta una persona che conosca la lingua cimbra e la cultura di
tale popolazione. La disposizione è dunque giustificata dal principio
della tutela delle minoranze linguistiche garantito sia dall’art. 6
Cost., sia dallo statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol (in
generale dall’art. 2 e, con specifico riferimento alla lingua cimbra,
dagli artt. 92 e 102), sia dalle norme di attuazione di quest’ultimo:
decreto legislativo 16 dicembre 1993, n. 592 (Norme di attuazione dello statuto
speciale della regione Trentino-Alto Adige concernenti disposizioni di tutela
delle popolazioni ladina, mochena e cimbra della provincia di Trento). Essa
appare, dunque, conforme ai principi di ragionevolezza e di buon andamento
della pubblica amministrazione, nel presupposto, non esplicitato nella
disposizione impugnata ma chiaramente desumibile dalla disciplina
dell’Istituto cimbro, che tale soluzione si renda necessaria al fine di
affidare l’incarico in questione a un esperto della lingua e della
cultura dei cimbri. D’altra parte, occorre precisare che
l’impugnato art. 77, laddove afferma che l’incarico di direttore
dell’Istituto cimbro «può essere conferito anche a persone
non in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa provinciale per
ricoprire l’incarico di dirigente, purché in possesso di
professionalità e attitudine alla dirigenza», deve essere inteso
nel senso che la professionalità richiesta sia da valutarsi con
specifico riferimento alla conoscenza della lingua e della cultura cimbra, in
modo che la deroga da esso posta sia subordinata alla condizione che la persona
candidata all’incarico di direttore sia esperto conoscitore della lingua
e della cultura della minoranza protetta.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della
legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2011, n. 18 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della
Provincia autonoma di Trento – Legge finanziaria provinciale 2012);
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 4, della
legge prov. Trento n. 18 del 2011, nella parte in cui introduce il comma 10-bis
nell’art. 44 della legge della Provincia autonoma di Trento 23 luglio
2010, n. 16 (Legge provinciale sulla tutela della salute);
3) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 12, della
legge prov. Trento n. 18 del 2011, nella parte in cui sostituisce il comma 1
dell’art. 44 della legge della Provincia autonoma di Trento 10 settembre
1993, n. 26 (Legge provinciale sui lavori pubblici);
4) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 4, della
legge prov. Trento n. 18 del 2011, nella parte in cui introduce l’art.
86-ter nel decreto del Presidente della Giunta Provinciale 26 gennaio 1987, n.
1-41/Legisl (Testo unico provinciale sulla tutela
dell’ambiente dagli inquinamenti);
5) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 57, comma 5, della
legge prov. Trento n. 18 del 2011, nella parte in cui introduce l’art.
86-quater nel decreto del Presidente della Giunta Provinciale 26 gennaio 1987,
n. 1-41/Legisl (Testo unico provinciale sulla tutela
dell’ambiente dagli inquinamenti);
6) dichiara
manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 51, comma 5, lettera a), della legge prov. Trento n. 18 del
2011, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso
indicato in epigrafe;
7) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.
17, comma 1, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, promossa dal Presidente
del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
8) dichiara inammissibile la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 77 della legge prov.
Trento n. 18 del 2011, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri con
il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’art. 8, numero 1),
del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi
costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige);
9) dichiara,
ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale, estinto, relativamente alle questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 9, comma 5, 21, comma 11, e 51,
commi 4, 9 e 18, della legge prov. Trento n. 18 del 2011, il giudizio promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara
cessata la materia del contendere in relazione alla questione di
legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 6, lettera c),
della legge prov. Trento n. 18 del 2011, promossa dal Presidente del Consiglio
dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento l’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost., e all’art. 8, numero 1), del
d.P.R. 670 del 1972;
11) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
77 della legge prov. Trento n. 18 del 2011, promossa dal Presidente del
Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento agli
artt. 3 e 97 Cost.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2014.
Paolo Maria NAPOLITANO, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 3 dicembre 2014.