Sentenza n. 215 del 2012

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 215

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                              Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                            

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             

-           Sabino                         CASSESE                                                

-           Giuseppe                     TESAURO                                               

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          

-           Paolo                           GROSSI                                                   

-           Giorgio                        LATTANZI                                              

-           Aldo                            CAROSI                                                   

-           Marta                           CARTABIA                                             

-           Sergio                          MATTARELLA                                                  

-           Mario Rosario              MORELLI                                                

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 2-bis, 4 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni dell’articolo 1 della legge 30 luglio 2010 n. 122, promosso dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalle Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia con ricorsi notificati il 24-27 e il 28 settembre 2010, depositati in cancelleria il 28 settembre, il 6 e il 7 ottobre 2010 e rispettivamente iscritti ai nn. 96, 102, 103, 106 e 107 del registro ricorsi 2010.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; 

udito nell’udienza pubblica del 3 luglio 2012 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi gli avvocati Ulisse Corea per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Giandomenico Falcon per le Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna, Marcello Cecchetti per la Regione Puglia e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 27 settembre 2010, depositato in cancelleria il 28 settembre 2010 ed iscritto al n. 96 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale degli articoli 9, commi 2-bis e 4, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e agli articoli 2, lettere a) e b), 3, lettere f) e l), e 4, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta).

1.1.– La ricorrente premette che il comma 2-bis dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 prevede che «a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio».

La difesa regionale sostiene, in via principale, che tale norma contrasta con gli artt. 2, lettera a), e 4, primo comma, dello statuto della Valle d’Aosta, nonché con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

La ricorrente afferma che, ai sensi dell’art. 2, lettera a), dello statuto regionale speciale, essa gode di una competenza primaria in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale». Conseguentemente, nella relativa disciplina, la Regione valdostana non può essere limitata dall’intervento del legislatore statale, essendo venuto meno anche il limite del rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, dell’interesse nazionale e delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, in virtù della previsione di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Nella medesima materia, poi, in forza del c.d. parallelismo posto dall’art. 4 dello statuto, la Regione autonoma Valle d’Aosta esercita le rispettive funzioni amministrative.

Ad avviso della ricorrente, tali attribuzioni statutarie sarebbero lese dal comma 2-bis dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, perché, per effetto di tale disposizione, la Regione e gli enti pubblici regionali non potranno autonomamente determinarsi circa il trattamento accessorio da destinare al personale, né potranno – per la parte eccedente il limite fissato con legge statale – assumere nuovo personale o mantenere i rapporti contrattuali in essere, dovendo, altrimenti, rideterminarne, in senso peggiorativo, il relativo trattamento economico.

La predetta disposizione del decreto-legge n. 78 del 2010 inciderebbe pertanto in maniera diretta su aspetti concernenti lo «stato economico» del personale.

1.1.1.– In subordine, la ricorrente sostiene che l’art. 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 sarebbe illegittimo anche ove si volesse invocare il titolo competenziale rappresentato dalla materia del coordinamento della finanza pubblica. In particolare, risulterebbero violati l’art. 3, lettera f), dello statuto di autonomia speciale e gli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., applicabili alla Regione ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Infatti la norma impugnata, lungi dall’introdurre principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, si risolve nell’imposizione di misure analitiche e di dettaglio che non lasciano alcun margine di intervento al legislatore regionale in ordine alla scelta degli strumenti idonei a perseguire l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica.

Lo Stato, quindi, avrebbe esorbitato dalla competenza concorrente prevista dall’art. 117, terzo comma, Cost., limitando indebitamente l’autonomia finanziaria di spesa della Regione, nonché quella dei Comuni situati nel suo territorio, in relazione alla quale la competenza spetta alla ricorrente ai sensi dell’art. 3, lettera f), dello statuto di autonomia speciale.

1.2.– La ricorrente impugna, poi, l’art. 9, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010.

Al riguardo premette che tale norma dispone che i rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni e i miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico, relativi al biennio 2008-2009, non possono, in ogni caso, determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento; tale divieto (che non vale per il comparto sicurezza-difesa, né per i vigili del fuoco) si applica anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010 e determina l’inefficacia delle clausole difformi contenute nei predetti contratti ed accordi a decorrere dalla mensilità successiva alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, con conseguente adeguamento dei trattamenti retributivi.

La ricorrente sostiene che ove si ritenesse che la disciplina ora ricordata sia vincolante anche per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e per gli altri enti del comparto unico valdostano, essa determinerebbe un’indebita compressione dell’autonomia legislativa, organizzativa e finanziaria della Regione.

1.2.1.– In particolare, il divieto di determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento non esprime un mero indirizzo rivolto al legislatore regionale, né un obiettivo che quest’ultimo possa perseguire con autonome decisioni, ma incide direttamente su una specifica e puntuale voce della spesa regionale, privando la Regione della possibilità di decidere autonomamente su quali voci e con quali modalità realizzare l’obiettivo del contenimento della spesa. Sarebbero lesi, pertanto, gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., i quali garantiscono, ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, anche la sfera di autonomia finanziaria della Regione.

Né si potrebbe sostenere che la previsione di un tetto massimo agli aumenti retributivi, lasciando alla Regione la possibilità di differenziare e graduare tali aumenti purché inferiori alla soglia prevista dalla disposizione censurata, possa perciò qualificarsi come un principio di coordinamento della finanza pubblica. Infatti la norma statale impugnata impedisce comunque alla Regione, non solo di compiere una scelta tra i diversi possibili strumenti volti al perseguimento del contenimento della spesa per il personale, ma anche di selezionare le modalità attraverso le quali distribuire i possibili aumenti retributivi tra le diverse strutture organizzative e le diverse figure professionali, dovendo comunque per tutte allinearsi al di sotto del limite percentuale fissato dal legislatore statale.

La natura dettagliata ed autoapplicativa dell’art. 9, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010 sarebbe confermata dal fatto che esso prevede che il divieto di aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento si applichi anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data della sua entrata in vigore, producendo, dunque, un puntuale effetto abrogativo sulle clausole contrattuali che abbiano disposto aumenti superiori alla predetta percentuale.

1.2.2.– La ricorrente deduce altresì che la predetta norma statale, vietando aumenti superiori al 3,2 per cento in sede di rinnovi contrattuali del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, incide in maniera diretta e puntuale sullo «stato economico» di tale personale e, dunque, viola l’art. 2, lettera a), della legge cost. n. 4 del 1948 che attribuisce alla piena competenza legislativa regionale la materia dell’«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla regione e stato giuridico ed economico del personale».

1.2.3.– Inoltre, ad avviso della difesa regionale, l’art. 9, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010, qualora ritenuto applicabile a tutti gli enti del comparto unico valdostano, sarebbe lesivo anche della competenza legislativa primaria attribuita dall’art. 2, lettera b), dello statuto di autonomia speciale in materia di ordinamento degli enti locali; tale competenza implica infatti che spetta alla Regione dettare la disciplina riguardante l’organizzazione amministrativa di tali enti, non esclusi gli aspetti concernenti lo stato economico del personale dipendente.

1.2.4.– Sarebbe leso, poi, l’art. 3, lettera f), della legge cost. n. 4 del 1948, il quale, attribuendo alla Regione la potestà di introdurre norme legislative di integrazione ed attuazione, nell’ambito dei principi individuati con legge dello Stato, in materia di «finanze regionali e comunali», impedirebbe al legislatore statale di vincolare la spesa per il personale delle amministrazioni locali valdostane con una disciplina di dettaglio, come fa invece l’art. 9, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010.

1.2.5.– Tale norma, infine, è costituzionalmente illegittima, ad avviso della ricorrente, anche in riferimento al parametro costituito dall’art. 4 dello statuto speciale della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, che attribuisce alla Regione medesima le funzioni amministrative nelle materie nelle quali essa è titolare di potestà legislativa e tutela l’autonomia regionale in materia di attività (e relative determinazioni di spesa) che hanno ad oggetto il personale necessario a svolgere dette funzioni e ad assicurare il buon andamento ed il funzionamento degli uffici e degli enti regionali. Conseguentemente, il limite imposto dalla disposizione statale censurata agli aumenti retributivi disposti dai rinnovi contrattuali del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, qualora applicabile anche alla Regione Valle d’Aosta, comporterebbe un’illegittima menomazione anche delle competenze amministrative regionali, poiché la determinazione dello stato economico del personale delle Regioni e degli altri enti rientranti nel comparto unico valdostano incide su un aspetto determinante della contrattazione relativa alle risorse umane attraverso cui l’ente regionale esercita le proprie funzioni amministrative.

2.– Con ricorso notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010 e iscritto al n. 102 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Liguria ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2-bis, 4 e 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 3, 36, 39, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione e al principio di ragionevolezza.

2.1.– Ad avviso della ricorrente, i commi 2-bis e 4 del predetto art. 9, ponendo limiti rigidi ed autoapplicativi a voci specifiche e minute di spesa, lederebbero l’art. 117, terzo comma, Cost. e l’autonomia finanziaria delle Regioni.

2.1.1.– Inoltre, il comma 4 dello stesso art. 9 contrasterebbe con l’art. 39 Cost., perché incide sull’entità dei trattamenti economici determinata dai contratti collettivi, violando la riserva di contrattazione collettiva in materia di retribuzioni. Tale violazione si tradurrebbe, ad avviso della Regione, in lesione dell’autonomia organizzativa e finanziaria regionale tutelata dagli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost., perché lo Stato, in questa maniera, altera unilateralmente le scelte fatte dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) per conto delle Regioni e pone limiti puntuali a specifiche voci di spesa regionale.

2.1.2.– Inoltre, la norma in questione violerebbe il principio di ragionevolezza e l’art. 36 Cost., perché riduce i trattamenti fissati nei contratti collettivi, che si presumono essere quelli proporzionati alla qualità e quantità del lavoro prestato, producendo un’ingiustificata ed irragionevole alterazione del sinallagma contrattuale, danneggiando i singoli lavoratori a fronte di una limitata incidenza sul totale della manovra. Tali violazioni, poi, si rifletterebbero in lesione dell’autonomia finanziaria ed organizzativa regionale, riguardando la gestione del personale regionale e del bilancio.

2.2.– La Regione Liguria censura anche l’art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale stabilisce che «per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposti negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».

Ad avviso della ricorrente, tale norma vìola l’art. 117, terzo comma, Cost., dettando un precetto di dettaglio che pone un limite rigido ad una voce minuta di spesa.

Essa, inoltre, contrasterebbe con gli artt. 3, 36 e 39 Cost., poiché, a fronte dello svolgimento di una funzione di livello più elevato, con contenuti professionali più complessi e con maggiori responsabilità, il dipendente promosso dopo il 1º gennaio 2011 si troverebbe a percepire una retribuzione diversa da quella prevista dal contratto collettivo e corrispondente ad un lavoro qualitativamente diverso (con discriminazione rispetto ai dipendenti promossi prima del 2011, i quali, a parità di lavoro, riceverebbero uno stipendio diverso). Ciò si tradurrebbe in lesione dell’autonomia organizzativa e finanziaria regionale, perché la gestione del personale regionale e del bilancio rientra nelle competenze regionali.

3.– Con ricorso notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010, e iscritto al n. 103 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Umbria ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1,       2-bis, 4 e 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 3, 36, 39, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione e al principio di ragionevolezza.

3.1.– Ad avviso della ricorrente, l’art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010, stabilendo che per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti delle amministrazioni pubbliche non può superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. e l’autonomia organizzativa e finanziaria delle Regioni e degli enti locali. Essa, infatti, costituisce una norma di dettaglio in materia di competenza concorrente, poiché riguarda una voce specifica di spesa, e fissa con precisione la misura del taglio.

3.2.– Circa l’art. 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, la difesa regionale ne afferma l’illegittimità per lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost. e dell’autonomia finanziaria della Regione e degli enti locali, poiché la disposizione introduce un limite rigido e autoapplicativo ad una voce minuta di spesa.

3.3.– La Regione Umbria impugna anche il comma 4 del medesimo art. 9, affermandone l’incostituzionalità per violazione del principio di ragionevolezza, degli artt. 36, 39 e 117, terzo comma, Cost. e dell’autonomia finanziaria delle Regioni, per gli stessi motivi indicati dalla Regione Liguria con riferimento alla medesima disposizione censurata ed ai medesimi parametri costituzionali (motivi riportati sub nn. 2.1., 2.1.1. e 2.1.2.).

3.4.– La ricorrente censura l’art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, giacché esso violerebbe gli artt. 3, 36, 39 e 117, terzo comma, Cost., svolgendo le stesse argomentazioni contenute nel ricorso della Regione Liguria (riportate sub n. 2.2.).

4.– Con ricorso notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010 e iscritto al n. 106 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Emilia-Romagna ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1, 2-bis, 4 e 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 3, 36, 39, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione e al principio di ragionevolezza. 

4.1.– La ricorrente formula le medesime censure contenute nel ricorso proposto dalla Regione Umbria e riportate sub nn. 3.1., 3.2., 3.3. e 3.4.

5.– Con ricorso notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 7 ottobre 2010 e iscritto al n. 107 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Puglia ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.

La ricorrente sostiene che la norma censurata prevede illegittimamente limiti puntuali a specifiche voci di spesa, richiamando argomenti analoghi a quelli già svolti dalle altre ricorrenti.

6.– In tutti i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

6.1.– Preliminarmente la difesa dello Stato eccepisce la tardività dei ricorsi proposti contro norme già contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010, non modificate in sede di conversione e, quindi, in ipotesi immediatamente lesive.

6.2.– Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che il predetto decreto-legge è stato adottato nel pieno di una grave crisi economica internazionale, al fine di assicurare la stabilità finanziaria del Paese nella sua interezza. Le disposizioni in esso contenute, pertanto, devono essere esaminate nel loro complesso, poiché ognuna sorregge le altre al fine di raggiungere le finalità di stabilizzazione e di rilancio economico. Si tratterebbe, in particolare, di interventi normativi tutti rientranti nella competenza statale del coordinamento della finanza pubblica e che trovano fondamento nei principi fondamentali della solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.), dell’uguaglianza economica e sociale (art. 3, secondo comma, Cost.), dell’unitarietà della Repubblica (art. 5 Cost.) e della responsabilità internazionale dello Stato (art. 10 Cost.), nonché in quelli correlati del concorso di tutti alle spese pubbliche (art. 53 Cost.), della pari dignità di Stato e Regione (art. 114 Cost.), del fondo perequativo (art. 119 Cost.), della tutela dell’unità giuridica ed economica (art. 120 Cost.) e degli altri doveri espressi dagli articoli da 41 a 47, nonché 52 e 54 della Costituzione.

6.2.1.– Nel giudizio promosso dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, l’Avvocatura generale dello Stato deduce che, poiché le norme impugnate sono dirette a consolidare il patto di stabilità esterno ed interno, esse si applicano anche agli enti ad autonomia speciale, poiché pure su di essi grava il dovere di conseguire gli obiettivi di finanza pubblica, condizionati anche dagli obblighi comunitari.

6.3.– Con specifico riferimento alle censure rivolte alle disposizioni contenute nell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che queste ultime concernono la spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni, vale a dire uno degli aggregati di spesa più consistenti e di rilevanza strategica ai fini dell’attuazione del piano di stabilità interno, con conseguente sottrazione di tali disposizioni da ogni censura di interesse regionale, anche perché si tratta di norme non permanenti, ma transitorie.

Inoltre, i limiti ai rinnovi contrattuali da finanziare (art. 9, comma 4) o il blocco economico alle progressioni in carriera (art. 9, comma 21) non contrasterebbero né con l’art. 36 Cost. (poiché, secondo la difesa dello Stato, «chi può dire cosa accadrà l’anno prossimo»), né con l’art. 39 Cost. (dovendo la contrattazione collettiva svolgersi nel quadro di compatibilità finanziaria posto dalla legge).

Inoltre, l’Avvocatura generale dello Stato ricorda che, con la sentenza n. 151 del 2010, questa Corte ha stabilito che la disciplina del rapporto di pubblico impiego è riconducibile alla materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva statale.

7.– Le parti hanno depositato memorie.

7.1.– La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha chiesto in via preliminare che la Corte dichiari l’inapplicabilità ad essa delle norme oggetto della sua impugnazione, in virtù del disposto dell’art. 1, comma 132, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), a norma del quale «Per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le Regioni a statuto speciale, escluse la Regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell’economia e delle finanze il livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, in considerazione del rispettivo concorso alla manovra, determinato ai sensi del comma 131». La Regione sostiene che, poiché in data 11 novembre 2010 essa ha già raggiunto l’accordo con il Ministero per la semplificazione normativa relativamente all’assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento dell’Unione europea e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale, previsto dall’art. 1, comma 160, della legge n. 220 del 2010, la disciplina contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2010 è ad essa inapplicabile.

In via subordinata, la Regione eccepisce che le norme da essa impugnate sarebbero incostituzionali anche per violazione del principio di leale collaborazione.

7.2.– Le Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna deducono l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la possibilità di impugnare disposizioni contenute in un decreto-legge anche dopo la sua conversione in legge.

Le ricorrenti contestano che si possano ritenere legittime le disposizioni impugnate invocando la situazione di emergenza economica, la quale non consentirebbe comunque l’emanazione di norme che nel contenuto si discostino dalle regole costituzionali.

Con riferimento specifico alle disposizioni dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 oggetto di impugnazione, le predette Regioni affermano che esse non attengono alla spesa complessiva per il personale pubblico, ma a singole voci componenti di quella spesa. Inoltre si tratta di norme autoapplicative che non lasciano alcun margine di scelta alle Regioni. Alcune di esse, poi, non hanno neppure natura transitoria.

7.2.1.– In memorie successivamente depositate, le Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna menzionano le sentenze di questa Corte n. 182 e n. 232 del 2011, sottolineando che la prima ha ribadito i limiti del potere statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, mentre la seconda ha escluso che una disposizione contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2010 (e, precisamente, l’art. 43) potesse qualificarsi come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.

Le ricorrenti aggiungono che le misure dettate dall’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 non possono essere considerate come mirate alla salvezza dello Stato, considerata la loro limitata incidenza sul totale della manovra.

Infine, le tre Regioni deducono che le tesi della difesa dello Stato sono state già respinte dalla sentenza n. 148 del 2012 di questa Corte.

7.3.– La Regione Puglia deduce preliminarmente l’infondatezza dell’eccezione di tardività sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato.

Nega, poi, che situazioni di emergenza economica abilitino lo Stato a legiferare eccedendo dai limiti previsti dalla Costituzione alla sua competenza legislativa.

La difesa regionale richiama la giurisprudenza costituzionale in tema di coordinamento della finanza pubblica e, con specifico riferimento alle disposizioni dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 oggetto di impugnativa, contesta che esse possano essere qualificate come principi fondamentali in quella materia, anche per il loro carattere autoapplicativo.

La difesa regionale contesta, infine, che le disposizioni dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 oggetto di impugnazione possano essere ricondotte alla materia dell’ordinamento civile, poiché esse non attengono alla disciplina degli istituti contrattuali del rapporto di impiego pubblico. 

7.4.– Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memorie nelle quali ha ribadito argomentazioni già svolte in sede di costituzione in giudizio.

In particolare, l’Avvocatura generale dello Stato ha riaffermato che le previsioni contenute nell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 soddisfano i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte affinché le norme statali che impongono limiti alla spesa di Regioni ed enti locali possano qualificarsi come principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica. Infatti, esse pongono solamente obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica (intesi anche nel senso di un transitorio contenimento complessivo, sebbene non generale, della spesa corrente), senza prevedere strumenti o modalità per il loro perseguimento.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento all’art. 9, commi 1 e     2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 sostiene che si tratta di disposizioni di principio e, pertanto, legittimamente emanate dallo Stato nell’esercizio della propria competenza legislativa in materia di coordinamento della finanza pubblica. Il comma 1, inoltre, è riconducibile anche alla materia dell’ordinamento civile, al pari dei commi 4 e 21.

Considerato in diritto

1.– La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e le Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia hanno promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 2-bis, 4 e 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli articoli 3, 36, 39, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e agli articoli 2, lettere a) e b), 3, lettere f) e l), e 4, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), e al principio di ragionevolezza.

1.1.– Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna impugnano l’art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010 e sostengono che tale norma, stabilendo che per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti delle pubbliche amministrazioni non può superare il trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010, vìoli gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., poiché, ponendo limiti rigidi a una specifica voce di spesa, eccede dalla competenza statale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e lede l’autonomia organizzativa e finanziaria delle Regioni e degli enti locali.

1.2.– Tutte le ricorrenti censurano l’art. 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale stabilisce che dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale di ciascuna delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), non può superare il corrispondente importo dell’anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.

Ad avviso delle Regioni, tale disposizione contrasta con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., poiché, concernendo una specifica voce di spesa e fissando con precisione la misura del taglio, eccede dalla competenza statale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e lede l’autonomia organizzativa e finanziaria delle Regioni e degli enti locali.

La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste aggiunge che la norma statale impugnata vìola, inoltre, gli artt. 2, lettera a), e 4, primo comma, della legge cost. n. 4 del 1948, e l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, che attribuiscono ad essa, rispettivamente, la competenza primaria in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale» (con la conseguenza che, nella relativa disciplina, la Regione valdostana non può essere limitata dall’intervento del legislatore statale, essendo venuto meno anche il limite del rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, dell’interesse nazionale e delle norme fondamentali di riforma economico-sociale) e le relative funzioni amministrative, mentre, per effetto della norma impugnata, la Regione e gli enti pubblici regionali non potranno autonomamente determinarsi circa il trattamento accessorio da destinare al personale.

La difesa regionale sostiene che è leso anche l’art. 3, lettera f), dello statuto di autonomia speciale, poiché l’art. 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, lungi dall’introdurre principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, si risolve nell’imposizione di misure analitiche e di dettaglio che non lasciano alcun margine di intervento al legislatore regionale in ordine alla scelta degli strumenti idonei a perseguire l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica.

1.3.– Le ricorrenti (ad eccezione della Regione Puglia) impugnano l’art. 9, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale stabilisce – con disposizione espressamente applicabile ai contratti ed agli accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge – che i rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008-2009 ed i miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico per il medesimo biennio non possono determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento.

Le Regioni affermano che tale disposizione vìola gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., perché impone limiti rigidi a una specifica voce di spesa e dunque eccede dalla competenza statale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica e lede l’autonomia organizzativa e finanziaria delle Regioni e degli enti locali.

Le Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna aggiungono che la norma statale contrasta anche con il principio di ragionevolezza e l’art. 36 Cost., perché, riducendo i trattamenti fissati nei contratti collettivi, che si presumono essere quelli proporzionati alla qualità e quantità del lavoro prestato, produce un’ingiustificata ed irragionevole alterazione del sinallagma contrattuale, danneggiando i singoli lavoratori a fronte di una limitata incidenza sul totale della manovra, violazione che si riflette in lesione dell’autonomia finanziaria ed organizzativa regionale, riguardando la gestione del personale regionale e del bilancio.

Tali ricorrenti affermano che è leso anche l’art. 39 Cost., perché l’art. 9, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010, incidendo sull’entità dei trattamenti economici determinata dai contratti collettivi, vìola la riserva di contrattazione collettiva in materia di retribuzioni e tale violazione si traduce in lesione dell’autonomia organizzativa e finanziaria regionale tutelata dagli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost., perché lo Stato, in questa maniera, altera unilateralmente le scelte fatte dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni per conto delle Regioni e pone limiti puntuali a specifiche voci di spesa regionale.

La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste sostiene che sono lese anche alcune disposizioni dello statuto di autonomia speciale e, precisamente: l’art. 2, lettera a), il quale attribuisce alla piena competenza legislativa regionale la materia dell’«ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale», mentre la norma impugnata incide in maniera diretta e puntuale sullo stato economico del personale regionale; l’art. 2, lettera b), che attribuisce alla Regione la competenza legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali, la quale implica che spetta alla Regione dettare la disciplina riguardante l’organizzazione amministrativa di tali enti, inclusi gli aspetti concernenti lo stato economico del personale dipendente; l’art. 3, lettera f), il quale, attribuendo alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste la potestà di introdurre norme legislative di integrazione ed attuazione, nell’ambito dei principi individuati con legge dello Stato, in materia di «finanze regionali e comunali», impedisce al legislatore statale di vincolare la spesa per il personale delle amministrazioni locali valdostane con una disciplina di dettaglio; l’art. 4, che attribuisce alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste le funzioni amministrative nelle materie nelle quali essa è titolare di potestà legislativa e tutela l’autonomia regionale in materia di attività (e relative determinazioni di spesa) che hanno ad oggetto il personale necessario a svolgere dette funzioni e la determinazione dello stato economico del personale delle Regioni e degli altri enti rientranti nel comparto unico valdostano, incidendo su un aspetto determinante della contrattazione relativa alle risorse umane attraverso cui l’ente regionale esercita le proprie funzioni amministrative.

1.4.– Le Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna impugnano anche l’art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui esso stabilisce che «per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposti negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».

Ad avviso delle ricorrenti, tale disposizione vìola sia l’art. 117, terzo comma, Cost., perché detta un precetto di dettaglio che pone un limite rigido ad una voce minuta di spesa, sia gli artt. 3, 36 e 39 Cost., poiché, a fronte dello svolgimento di una funzione di livello più elevato, il dipendente promosso dopo il 1º gennaio 2011 si troverebbe a percepire una retribuzione diversa da quella prevista dal contratto collettivo e corrispondente ad un lavoro qualitativamente diverso (con discriminazione rispetto ai dipendenti promossi prima del 2011, i quali, a parità di lavoro, riceverebbero uno stipendio diverso), con conseguente lesione dell’autonomia organizzativa e finanziaria regionale, perché la gestione del personale regionale e del bilancio rientra nelle competenze regionali.

2.– Riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni promosse dalle ricorrenti, i ricorsi debbono essere riuniti per essere decisi con la stessa sentenza.

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri preliminarmente eccepisce la tardività dei ricorsi, perché proposti contro norme già contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010, non modificate in sede di conversione e, quindi, in ipotesi immediatamente lesive, onde esse avrebbero dovuto essere impugnate con ricorsi proposti entro 60 giorni dall’emanazione del decreto-legge e non, come avvenuto nella fattispecie, dopo la conversione in legge.

L’eccezione non è fondata.

Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato l’ammissibilità di questioni concernenti disposizioni contenute in un decreto-legge proposte solamente successivamente alla conversione in legge (tra le tante, sentenza n. 383 del 2005).

4.– In ordine alle questioni promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste contro l’art. 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

La ricorrente, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica dell’8 maggio 2011, ha affermato che, a sèguito della sopravvenuta entrata in vigore della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), il suo concorso agli obiettivi di finanza pubblica ha luogo, ormai, con misure da definire mediante accordi con lo Stato. Si tratta, precisamente, dell’accordo con il Ministro dell’economia e delle finanze previsto dall’art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010 e di quello con il Ministro per la semplificazione normativa, ai sensi dell’art. 1, commi 160 e seguenti, della stessa legge n. 220 del 2010. Alla luce di tale normativa, la Regione ricorrente sostiene che le disposizioni impugnate non sono ad essa applicabili, perché introducono misure volte ad assicurare il proprio concorso agli obiettivi di finanza pubblica senza che esse siano state pattuite mediante i menzionati accordi.

La ricorrente ha prodotto in giudizio una copia dell’accordo concluso in data 11 novembre 2010 con il Ministro per la semplificazione, con la denominazione «Accordo tra lo Stato e la Regione autonoma Valle d’Aosta per il coordinamento della finanza pubblica nell’ambito del processo di attuazione del federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione». Tale accordo non è stato concluso nel rispetto di quanto previsto dai commi 160 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010 (entrata in vigore il 1° gennaio 2011), ma in dichiarata applicazione della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), al fine di «modificare l’ordinamento finanziario della Regione e di definire specifiche norme di coordinamento finanziario». In attuazione di tale accordo – il quale prevede che gli obiettivi finanziari in esso pattuiti «sono approvati con legge ordinaria dello Stato […]» – è poi effettivamente intervenuta la citata legge n. 220 del 2010, la quale, al comma 160 del suo art. 1, stabilisce che: «Ai sensi del combinato disposto dell’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e dell’articolo 50 dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta, di cui alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, e successive modificazioni, la regione Valle d’Aosta concorre […] all’assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento dell’Unione europea e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale, attraverso le misure previste nell’accordo sottoscritto tra il Ministro per la semplificazione normativa e il presidente della Regione Valle d’Aosta: a) con la progressiva riduzione della somma sostitutiva dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione a decorrere dall’anno 2011 fino alla soppressione della medesima dall’anno 2017; b) con il concorso finanziario ulteriore al riequilibrio della finanza pubblica, mediante l’assunzione di oneri relativi all’esercizio di funzioni statali, relative ai servizi ferroviari di interesse locale; c) con la rimodulazione delle entrate spettanti alla regione Valle d’Aosta».

Dalla conclusione dell’accordo e dalla successiva approvazione dei suoi obiettivi finanziari ad opera della citata legge n. 220 del 2010 – atti entrambi sopravvenuti al decreto-legge n. 78 del 2010 recante la disposizione impugnata – consegue che il concorso della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste all’assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento dell’Unione europea e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica fissate dalla normativa statale è rimesso, per le annualità successive al 2010, alle misure previste nell’accordo stesso e nella legge che lo recepisce. Pertanto, il comma 2-bis dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 (che prevede una misura applicabile solamente a partire dall’anno 2011) è applicabile alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste solo, eventualmente, attraverso le misure fissate nell’accordo e approvate con legge ordinaria dello Stato. Esso, dunque, non trovando diretta applicazione nei confronti di tale Regione autonoma, non può violarne l’autonomia legislativa e finanziaria, con conseguente cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni promosse dalla ricorrente.

5.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119, Cost., non sono fondate.

La norma impugnata stabilisce che, negli anni 2010-2012, il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti delle pubbliche amministrazioni non può superare quello ordinariamente spettante per l’anno 2010. Essa si applica anche alle Regioni, alle Province autonome ed ai loro enti, poiché si riferisce espressamente ai dipendenti «delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196» e tra queste rientrano appunto anche Regioni e Province senza esclusione alcuna.

L’art. 9, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010 stabilisce un limite massimo al trattamento economico di tutti i dipendenti delle Regioni e degli enti regionali. Il suo effetto finale, quindi, è quello di fissare, per gli anni del triennio 2011-2013, l’ammontare complessivo degli esborsi a carico delle Regioni a titolo di trattamento economico del personale, già in servizio alla data di entrata in vigore della norma, in misura non superiore a quello dell’anno 2010. Si tratta, pertanto, di una norma, che impone un limite generale ad una rilevante voce del bilancio regionale, legittimamente emanata dallo Stato nell’esercizio della sua potestà legislativa concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica.

6.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 promosse dalle Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119, Cost., non sono fondate.

La norma impugnata dispone che, dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2013, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale di ciascuna delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), tra le quali sono comprese anche tutte le Regioni e le Province, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.

Anche l’art. 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 ha natura di principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica e, pertanto, è stato legittimamente emanato dallo Stato nell’esercizio della sua competenza legislativa concorrente in tale materia. Infatti la norma impugnata introduce un limite per un settore rilevante della spesa per il personale e, cioè, quello concernente una delle due grandi parti in cui si suddivide il trattamento economico del personale pubblico e, precisamente, quella relativa alle voci del trattamento accessorio.

7.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010 promosse dalle Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna in riferimento al principio di ragionevolezza e all’art. 36 Cost. sono inammissibili.

La norma impugnata – con disposizione espressamente applicabile anche ai contratti ed accordi stipulati prima della data della sua entrata in vigore – stabilisce che i rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008-2009 ed i miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico per il medesimo biennio non possono determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento.

Le censure formulate in riferimento al principio di ragionevolezza e all’art. 36 Cost., sono inammissibili, poiché si risolvono nella evocazione di parametri non attinenti al riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni. Né sussiste un collegamento con l’autonomia finanziaria ed organizzativa delle Regioni, non potendosi affermare che qualsiasi norma statale che abbia incidenza sulla disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici costituisca una lesione delle prerogative regionali.

7.1.– Vanno invece esaminate nel merito le altre questioni di legittimità costituzionale della medesima norma statale promosse dalle ricorrenti, incluse quelle sollevate dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. A proposito di queste ultime, infatti, si deve considerare che l’art. 9, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010 detta una disposizione che, riferendosi ai rinnovi contrattuali del personale pubblico relativi al biennio 2008-2009, si applica ad un periodo precedente al 1° gennaio 2011, onde non può essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

7.2.– Le questioni promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalle Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119, Cost., e dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in riferimento agli artt. 2, lettere a) e b), 3, lettera f), e 4, della legge cost. n. 4 del 1948,  non sono fondate.

Esse, infatti, si basano sulla riconduzione della norma impugnata alla materia del coordinamento della finanza pubblica e sulla sua qualificazione come disposizione di dettaglio. Al contrario, l’art. 9, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010 è il frutto dell’esercizio della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile. Infatti il legislatore, nell’imporre un limite massimo agli aumenti retributivi che possono essere disposti dalla contrattazione collettiva in sede di rinnovi relativi al biennio 2008-2009, è intervenuto a definire la disciplina di un istituto del contratto di lavoro subordinato pubblico e, cioè, quello attinente alla retribuzione.

7.3.– Neppure la questione promossa in riferimento all’art. 39 Cost. è fondata.

Il fatto che il trattamento economico sia materia di contrattazione collettiva non esclude che quest’ultima si debba svolgere entro limiti generali di compatibilità con le finanze pubbliche legittimamente fissati dal legislatore; come, di fatto, avviene sempre, poiché è la legge che ogni volta individua le risorse destinate a finanziare i rinnovi contrattuali nell’impiego pubblico. L’art. 9, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010, fissando esclusivamente un limite agli aumenti che possono essere disposti dai contratti collettivi relativi ad un determinato biennio, non fa altro che definire, appunto, il confine entro il quale può liberamente svolgersi l’attività negoziale delle parti.

8.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, sollevate dalle Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna in riferimento agli artt. 3, 36 e 39 Cost., sono inammissibili, consistendo nella denuncia di lesione di parametri costituzionali estranei al riparto di competenze tra Stato e Regioni. Né si può sostenere, per mancanza di nesso logico, che il fatto che determinati lavoratori percepiscano uno stipendio diverso da quello previsto dal contratto collettivo per la qualifica rivestita ed inferiore rispetto a colleghi che svolgano identiche mansioni determinerebbe la lesione di prerogative regionali e, in particolare, di quelle attinenti all’autonomia finanziaria e alla gestione del personale e del bilancio.

8.1.– La questione di legittimità costituzionale della stessa norma statale promossa in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., non è fondata.

L’art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010 è impugnato nella parte in cui stabilisce che «per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposti negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».

La disposizione integra la disciplina di un istituto contrattuale (il trattamento economico dei dipendenti pubblici), con conseguente sua riconducibilità alla materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato, nell’àmbito della quale quest’ultimo, pertanto, può emanare anche norme di dettaglio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalle Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i ricorsi,

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 4, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosse, in riferimento all’articolo 36 della Costituzione e al principio di ragionevolezza dalle Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 3, 36 e 39 della Costituzione dalle Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe;

3) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e agli articoli 2, lettera a), 3, lettera f), e 4, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 39, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione e agli articoli 2, lettere a) e b), 3, lettera f), e 4, della legge costituzionale n. 4 del 1948, dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalle Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dalle Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2012.