SENTENZA N.
181
ANNO 2014
Commenti
alla decisione di
I. Giovanna Perniciaro, La
Corte costituzionale pone un altro "tassello” in materia di prorogatio dei Consigli regionali,
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
II. Fabio Corvaja, Prescadenza e prorogatio del
Consiglio regionale, per g.c. del Forum di Quaderni
Costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
-
-
- Giuseppe
FRIGO ”
- Alessandro
CRISCUOLO ”
- Paolo
GROSSI ”
- Aldo
CAROSI ”
- Marta
CARTABIA ”
- Sergio
MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo
CORAGGIO ”
- Giuliano
AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di
legittimità costituzionale della legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 8 aprile 2013, n. 5 (Disposizioni
urgenti in materia di attività economiche, tutela ambientale, difesa del
territorio, gestione del territorio, infrastrutture, lavori pubblici, edilizia
e trasporti, attività culturali, ricreative e sportive, relazioni
internazionali e comunitarie, istruzione, corregionali all’estero, ricerca,
cooperazione e famiglia, lavoro e formazione professionale, sanità pubblica e
protezione sociale, funzione pubblica, autonomie locali, affari istituzionali,
economici e fiscali generali) e, in via subordinata,
degli artt. 3, comma 28, 7, commi 1, 2 e 3, 10, commi 1, 2 e 5, della stessa
legge, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 7-11 giugno 2013, depositato in cancelleria il 13 giugno 2013 ed
iscritto al n. 69 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di
costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza pubblica del 20 maggio
2014 il Giudice relatore
uditi l’avvocato dello Stato Massimo
Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato
Giandomenico Falcon per la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia.
Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, con ricorso notificato il 7-11 giugno 2013, depositato il 13 giugno 2013
e iscritto al registro ricorsi n. 69 del
1.1.– In
via subordinata, il Presidente del Consiglio dei ministri ha altresì impugnato
alcune specifiche disposizioni della predetta legge reg. Friuli-Venezia Giulia
n. 5 del 2013 e in particolare: l’art. 3, comma 28, per violazione degli artt. 4 e 5 della
legge costituzionale n. 1 del 1963 e dell’art. 117, comma 2,
lettera s), Cost., in relazione
all’art. 185, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale); l’art. 7, commi 1 e 2, per violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., in relazione all’art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008,
n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6
agosto 2008, n. 133; l’art. 7, comma 3, per violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., in relazione all’art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122; l’art. 10, commi 1 e 2, per violazione
dell’art. 4,
comma 1, della legge cost. n. 1 del 1963 e degli artt. 3, 51 e 97 Cost.; l’art. 10,
comma 5, per violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., in relazione all’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010.
2.– Il
Presidente del Consiglio dei ministri ha, innanzitutto, impugnato l’intera
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2013.
2.1.– In primo luogo, essa sarebbe stata approvata dal
consiglio regionale in regime di prorogatio e, quindi, in un periodo nel quale tale organo
avrebbe avuto poteri limitati all’ordinaria amministrazione, cioè all’adozione
di determinazioni del tutto urgenti o indispensabili, quali invece non si
rinverrebbero nelle disposizioni della legge censurata.
L’Avvocatura
generale dello Stato premette, richiamando la sentenza n. 68 del
2010 di questa Corte, che il generale istituto della prorogatio, in quanto principio
fondamentale ricavabile dalla Carta costituzionale, «è volto a contemperare la
esigenza di continuità funzionale dell’Ente (che non può rimanere del tutto inattivo
in prossimità delle nuove elezioni) con il principio di rappresentatività (per
cui l’organo in scadenza è ovviamente "depotenziato”)»; tale contemperamento si
realizzerebbe consentendo all’organo in regime di prorogatio di continuare ad esercitare i propri poteri limitatamente alle
«determinazioni del tutto urgenti o indispensabili», per evitare che,
altrimenti, «l’adozione di atti in prossimità della scadenza del mandato possa
rischiare di essere interpretata […] come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli
elettori». Ciò premesso, la difesa statale rileva che l’art. 2 della legge reg.
Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2007, che ai sensi dell’art. 12 dello statuto
speciale è approvata a maggioranza assoluta e disciplina la forma di governo
regionale, dispone espressamente che «i poteri del Consiglio regionale […] sono
prorogati, per l’ordinaria amministrazione, sino all’insediamento del nuovo
Consiglio». In mancanza di espressa indicazione, l’Avvocatura generale dello
Stato ritiene di poter individuare il momento a partire dal quale i poteri del
Consiglio regionale devono intendersi prorogati per la sola ordinaria
amministrazione, in via analogica, sulla base di altre disposizioni normative.
A tal fine rileverebbe, secondo la difesa statale, l’art. 14 dello Statuto
speciale per
Dall’insieme
delle citate previsioni normative, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene di
poter trarre un principio generale dell’ordinamento secondo cui il consiglio
regionale entra in regime di prorogatio «a
ridosso dello svolgimento delle elezioni, in un momento (dies a quo) che può essere individuato con la pubblicazione del decreto
di indizione dei comizi elettorali, ovvero con lo scoccare dei quarantacinque
giorni prima della scadenza del mandato ovvero delle elezioni».
Da ciò
deriverebbe, secondo la difesa statale, che la legge censurata, asseritamente approvata l’8 aprile 2013, cioè appena
tredici giorni prima dello svolgimento delle elezioni, indette per il 21 e 22
aprile, sarebbe stata adottata in regime di prorogatio, in assenza dei
requisiti di urgenza e indifferibilità che avrebbero potuto giustificarne
l’approvazione in prossimità dell’elezione del nuovo consiglio. Al contrario, ad
avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, sia la struttura della legge,
«consistente in una specie di previsione omnibus
volta a regolamentare aspetti del tutto eterogenei», sia il contenuto delle sue
disposizioni, che prevedono una «amplissima concessione di contributi» e «norme
di carattere "ordinamentale” che per definizione non possono non essere
eccedenti l’ordinaria amministrazione», legittimerebbero il dubbio che si
tratti di un intervento legislativo con finalità di captatio benevolentiae degli elettori e di
sottrazione di poteri al consiglio regionale entrante. Ciò in «palese contrasto
con il principio costituzionalmente tutelato della rappresentatività e con il
rispetto della volontà del corpo elettorale».
2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha, inoltre,
impugnato l’intera legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2013 anche per
violazione del principio di leale collaborazione, in ragione della «tecnica
redazionale» con la quale la legge stessa è stata predisposta, in «palese contrasto
con il "manuale regionale di regole e suggerimenti per la redazione dei testi
normativi”, approvato dall’ufficio di presidenza dello stesso consiglio
regionale. Ciò avrebbe reso «estremamente difficoltoso anche comprendere
l’effettiva portata di molte fra le eterogenee disposizioni contenute nella
legge ai fini della impugnazione nei ristretti termini previsti».
3.– Il
Presidente del Consiglio dei ministri, in via subordinata, ha impugnato singole
disposizioni contenute nella legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2013.
3.1.– In primo luogo, è impugnato l’art. 3, comma 28, che ha
sostituito l’art. 37-bis, comma 1,
della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 3 luglio 2002, n. 16
(Disposizioni relative al riassetto organizzativo e funzionale in materia di
difesa del suolo e di demanio idrico) con il seguente «1. Gli interventi di cui
all’articolo 37, comma 1-bis, che
comportano l’estrazione e l’asporto di materiale litoide sono considerati
interventi di manutenzione ordinaria e non sono subordinati a vincoli da parte
degli strumenti urbanistici. Il materiale litoide conseguente a tali
interventi, sottoposto al pagamento di canone, costituisce materia prima e
pertanto non è assoggettato al regime dei sottoprodotti di cui all’articolo
184-bis del decreto legislativo
152/2006 e alle regole del decreto ministeriale 10 agosto 2012, n. 161
(Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da
scavo)».
Tale
disposizione, ad avviso del ricorrente, interverrebbe in una materia – la «tutela
dell’ambiente» – che non rientra nella competenza esclusiva o concorrente della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto
speciale, appartenendo, invece, alla competenza esclusiva dello Stato, in base
all’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost. Inoltre, la disposizione regionale censurata, nel qualificare il
«materiale litoide» come materia prima sottratta al regime di cui all’art. 184-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, si
porrebbe in contrasto con l’art. 185, comma 4, del medesimo decreto, a mente
del quale «Il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato
naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati,
devono essere valutati ai sensi, nell’ordine, degli articoli 183, comma 1,
lettera a), 184-bis e 184-ter».
3.2.– In secondo luogo, è censurato l’art. 7, commi 1 e 2,
della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2013, per violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del
2008.
Le
disposizioni regionali impugnate, nel modificare i commi 27 e 28-bis dell’art. 12 della legge della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 30 dicembre 2008, n. 17 (Disposizioni per
la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della Regione – Legge
finanziaria 2009), escludono le maggiori spese di personale connesse a nuove
assunzioni relative alla realizzazione di cantieri di lavoro di cui alla legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 31 dicembre 2012, n. 27
(Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale e annuale – Legge
finanziaria 2013) dal calcolo dei limiti di spesa per il personale previsti dal
predetto art. 12 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2008.
Secondo
l’Avvocatura generale dello Stato, ciò si porrebbe in contrasto con l’art. 76,
comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, che dispone quanto segue: «E’ fatto divieto
agli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore al
50 per cento delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a
qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti
possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite
del 40 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno
precedente. Ai soli fini del calcolo delle facoltà assunzionali,
l’onere per le assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle
funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore
sociale è calcolato nella misura ridotta del 50 per cento; le predette
assunzioni continuano a rilevare per intero ai fini del calcolo delle spese di
personale previsto dal primo periodo del presente comma». Tale disposizione, ad
avviso del ricorrente, porrebbe principi fondamentali in materia di finanza
pubblica, come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 217 del
2012, che vincolano anche le Regioni a statuto speciale e che sarebbero
stati violati dalle norme regionali impugnate.
3.3.– In terzo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri
ha impugnato anche il comma 3 dell’art. 7 della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 5 del 2013, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in
relazione all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010.
La
disposizione regionale censurata, nel modificare l’art. 13, comma 16, della
legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 30 dicembre 2009, n. 24 (Disposizioni
per la formazione del bilancio pluriennale e annuale della Regione – Legge
finanziaria 2010), ha introdotto una ulteriore ipotesi di deroga, relativa alla
realizzazione di cantieri di lavoro di cui all’art. 9, commi da
Ad avviso
del ricorrente, tale previsione normativa si porrebbe in contrasto con i
principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica posti dall’art.
9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010. Quest’ultima disposizione, infatti,
secondo l’Avvocatura generale dello Stato, stabilirebbe che le amministrazioni
regionali «possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni
ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite
del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009»,
ammettendo deroghe solo a partire dal 2013, per le assunzioni necessarie a garantire
determinate funzioni e nel limite della spesa complessiva sostenuta nel 2009.
La disposizione regionale censurata, ad avviso della difesa statale, violerebbe
tale disciplina di principio, «nella parte in cui estende le possibilità di
deroga a casi diversi da quelli consentiti dalla disposizione statale,
consentendo assunzioni senza il rispetto dei limiti della "stretta necessità”
di garantire le funzioni, senza limitare l’applicazione "a decorrere dal
3.4.– In quarto luogo, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha impugnato l’art. 10, commi 1 e 2, della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 5 del 2013, per violazione dell’art. 4, comma 1, della legge cost. n.
1 del 1963 e degli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione.
Tali
disposizioni regionali, ad avviso della difesa statale, consentirebbero alla
Regione di bandire concorsi pubblici con riserva al personale interno di una
quota di posti superiore al 50 per cento, così derogando in maniera
inammissibile al principio di accesso all’impiego pubblico mediante procedure
concorsuali aperte.
3.5.– Viene impugnato, infine, l’art. 10,
comma 5, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2013, per violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 9, comma 21, del d.l.
n. 78 del 2010.
Secondo la difesa statale, la disposizione regionale
censurata, nel richiamare le norme del contratto collettivo integrativo
relative alle progressioni orizzontali e al conferimento delle posizioni
economiche, violerebbe il principio fondamentale di coordinamento della finanza
pubblica posto dall’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in
cui essa «non precisa che il conferimento delle dette posizioni può avere
esclusivamente effetti giuridici», come disposto dalla predetta disciplina
statale interposta.
4.– Con
atto depositato in data 18 luglio 2013, si è costituita in giudizio la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, chiedendo il rigetto del ricorso. La Regione
ritiene inammissibili o infondate sia le censure rivolte all’intera legge
impugnata, sia quelle avanzate contro specifiche disposizioni della stessa.
4.1.– Quanto alle prime, la Regione resistente esclude che
legge censurata sia nel suo complesso illegittima per essere stata approvata
dal Consiglio regionale in regime di prorogatio, o comunque in condizione di attenuazione dei
propri poteri, o per essere stata adottata con tecnica redazionale suscettibile
di violare il principio di leale collaborazione.
4.1.1.– La difesa regionale rileva, innanzitutto, che, ai sensi
dell’art. 14 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia, il «Consiglio regionale è
eletto per cinque anni», decorrenti dalla data delle elezioni e che, pertanto,
il consiglio regionale eletto il 13 e 14 aprile 2008 è scaduto il 14 aprile
2013, data oltre la quale potrebbe parlarsi di regime di prorogatio. Ma la legge censurata
– osserva ancora la difesa regionale – è stata approvata il 21 marzo 2013, cioè
«ben prima della scadenza dei cinque anni» e quindi «dal Consiglio regionale
ancora nel quadro della propria durata ordinaria». A sostegno della propria
tesi, la Regione autonoma richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo
cui l’istituto della prorogatio
«riguarda solo l’esercizio dei poteri nell’intervallo fra la scadenza, naturale
o anticipata, di tale mandato, e l’entrata in carica del nuovo organo eletto» (sentenza n. 196 del
2003). Tale pronuncia confermerebbe che non può parlarsi di prorogatio con
riferimento al periodo antecedente alla scadenza del mandato. Nello stesso
senso deporrebbero anche l’art. 61, secondo comma, Cost.,
nonché gli artt. 2 e 3 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 293 (Disciplina
della proroga degli organi amministrativi), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1. Comma 1, della legge 15 luglio 1994, n. 444.
4.1.2.– La
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia contesta anche, più in generale, che la
legge regionale censurata sia stata approvata da un Consiglio regionale con
poteri "attenuati”, in considerazione dell’imminente svolgimento delle elezioni
per il rinnovo del Consiglio stesso. Ad avviso della difesa regionale, infatti,
il principio posto dall’art. 3, comma 2, della legge 17 febbraio 1968, n. 108
(Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale),
secondo cui i Consigli regionali «esercitano le loro funzioni fino al 46°
giorno antecedente alla data delle elezioni per la loro rinnovazione», si
applicherebbe soltanto alle Regioni a statuto ordinario e, peraltro, solo in
mancanza di disciplina statutaria. Al contrario, per le Regioni a statuto
speciale, troverebbe applicazione l’art. 4 della legge costituzionale 23
febbraio 1972, n. 1 (Modifica del termine stabilito per la durata in carica
dell’Assemblea regionale siciliana e dei Consigli regionali della Sardegna,
della Valle d’Aosta, del Trentino-Alto Adige, del Friuli-Venezia Giulia), che
non solo non attenuava i poteri del consiglio prima della scadenza, ma al
contrario li prorogava anche oltre
4.1.3.–
Quanto all’asserita violazione del principio di leale collaborazione, in
ragione della tecnica redazionale impiegata per l’elaborazione della legge
impugnata, la difesa regionale eccepisce l’inammissibilità, e comunque
l’infondatezza, della censura, osservando: che il "manuale regionale di regole
e suggerimenti per la redazione dei testi normativi” non può essere assunto a
parametro di legittimità costituzionale; che comunque il ricorso non illustra
perché e in quali parti la legge regionale contrasterebbe con tale manuale; che
il principio di leale collaborazione non si applica ai procedimenti legislativi
e non riguarda le regole di drafting; che, in ogni caso, il rilievo è generico.
4.2.– Relativamente alle censure riferite a specifiche
disposizioni della legge impugnata, la Regione resistente eccepisce,
innanzitutto, l’infondatezza di quelle riferite all’art. 7, commi 1, 2 e 3, della
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2013.
4.2.1.– Ad avviso della difesa regionale, i primi due commi
dell’art. 7 della legge impugnata non violerebbero l’art. 76, comma 7, del d.l.
n. 112 del 2008, che rappresenterebbe un parametro interposto inconferente.
Tale disposizione statale riguarderebbe, infatti, le assunzioni di personale a
tempo indeterminato, mentre le fattispecie cui si riferiscono le disposizioni
regionali, relative all’utilizzo di disoccupati nei cantieri di lavoro, non
concernerebbero assunzioni in senso proprio e, comunque, non costituirebbero
assunzioni a tempo indeterminato. Inoltre, le norme regionali impugnate
riguarderebbero la limitazione della spesa per il personale, mentre la
disposizione statale evocata quale parametro interposto si riferirebbe alle
assunzioni: le prime, pertanto, non pregiudicherebbero in alcun modo
l’applicazione della seconda. Infine, l’art. 7, comma 2, inciderebbe sui limiti
alla spesa di personale degli enti non sottoposti alle regola del patto di stabilità
interno, mentre la norma statale, evocata come parametro interposto,
presupporrebbe l’assoggettamento degli enti locali al patto di stabilità.
4.2.2.– È infondata, secondo la Regione autonoma, anche la
censura riferita all’art. 7, comma 3, della legge impugnata, in relazione
all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010. La difesa regionale rileva,
innanzitutto, che la stessa norma statale precisa che le disposizioni in essa
dettate «costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza
pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali
e gli enti del Servizio sanitario nazionale», con la conseguenza che il limite
alle assunzioni indicato dalla disposizione statale non sarebbe «direttamente
operativo per le Regioni speciali». Inoltre, la Regione resistente eccepisce
che il limite cui deroga la disposizione censurata è diverso da quello posto
dalla norma statale evocata quale parametro interposto: la disciplina regionale
limiterebbe tutte le assunzioni, ponendo un limite del 20 per cento riferito
alle sole cessazioni di personale a tempo indeterminato, mentre la norma
statale limiterebbe le sole assunzioni a tempo determinato o con contratto di
collaborazione coordinata e continuativa ponendo un limite del 50 per cento
della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009; non avrebbe
pertanto senso lamentare le difformità della norma regionale rispetto a quella
statale, dal momento che la prima si muoverebbe in un contesto diverso di
limitazioni alle assunzioni, senza pregiudicare l’applicazione della seconda.
La difesa regionale aggiunge che la norma statale indicata come parametro
interposto pone limiti alla instaurazione di rapporti di lavoro, mentre la
norma regionale si riferisce ad una fattispecie – l’utilizzo di soggetti
disoccupati nei cantieri di lavoro – che non dà luogo ad un rapporto di lavoro,
ed eccepisce, altresì, la specifica infondatezza della censura relativa alla
mancata limitazione temporale della deroga «a decorrere dal 2013», osservando
che la legge impugnata è stata pubblicata il 10 aprile 2013.
4.2.3.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia eccepisce poi
che le censure relative all’art. 7, commi 1, 2 e 3, sono infondate anche sulla
base di un diverso ordine di argomentazioni.
Innanzitutto,
gli artt. 76, comma 7, del d.l. n. 122 del 2008, e 9, comma 28, del d.l. n. 78
del 2010, indicati come parametri interposti, porrebbero divieti puntuali e non
temporanei e, dunque, alla luce della giurisprudenza costituzionale, sarebbero
«inidonei ad assurgere a principi fondamentali di coordinamento finanziario».
Inoltre, la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, così come questa Corte avrebbe
riconosciuto in recenti pronunce, riferite ad altre Regioni a statuto speciale
(sentenze n. 151,
n. 173 e n. 215 del 2012),
non sarebbe soggetta ai vincoli finanziari posti dallo Stato, in quanto essa
concorrerebbe al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nei modi
previsti dalla legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato–legge
di stabilità 2011), che hanno recepito l’Accordo di Roma del 29 ottobre 2010 e,
segnatamente, secondo quanto disposto dall’art. 1, comma 132, della predetta
legge, secondo cui «Per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le regioni a statuto
speciale, escluse
4.3.– Secondo la Regione resistente Friuli-Venezia Giulia, le
censure relative all’art. 10, commi 1 e 2, della legge impugnata sono
infondate, in quanto si basano su un equivoco. La disciplina regionale
censurata deve, infatti, interpretarsi, secondo la difesa regionale, nel senso
che le riserve di posti nei concorsi pubblici, da essa previste sia per le
progressioni di personale in servizio, sia per la stabilizzazione di personale
a tempo determinato, possono interessare un numero complessivo di posti
comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso.
4.4.– Infine, ad avviso della Regione autonoma, sono infondate
anche le censure riferite all’art. 10, comma 5, della legge impugnata, in
relazione all’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010. Innanzitutto, tale
norma statale, secondo la difesa regionale, limitando una specifica voce di
spesa, non esprimerebbe un vero principio di coordinamento della finanza
pubblica e, ove pure lo esprimesse, esso non vincolerebbe comunque la Regione,
la quale concorre al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nei
modi previsti dalla legge n. 220 del 2010 e nel rispetto del principio
dell’accordo. In secondo luogo, la norma regionale censurata riguarderebbe
graduatorie di progressioni orizzontali riferite agli anni 2008 e 2010, mentre
la norma interposta statale si riferisce alle progressioni di carriera «disposte
negli anni 2011, 2012 e 2013»: il diverso ambito temporale delle due
disposizioni escluderebbe dunque il contrasto fra le stesse. Né, secondo la
difesa regionale, la disposizione censurata potrebbe dichiararsi illegittima in
ragione della circostanza che l’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 è
stato ricondotto da questa Corte alla competenza esclusiva dello Stato in
materia di «ordinamento civile» (sentenze n. 3 del
2013 e n.
215 del 2012), atteso che la censura prospettata nel ricorso invoca solo
l’art. 117, terzo comma, Cost. e, in base al principio della corrispondenza fra
il chiesto e il pronunciato, la norma impugnata non può essere annullata in
base ad altro parametro non invocato.
5.– In
prossimità dell’udienza, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha
depositato una memoria, insistendo per il rigetto del ricorso e precisando, in
particolare, con riferimento alla questione relativa all’art. 10, commi 1 e 2,
della legge regionale censurata, che l’art. 12, comma 29, lettera b) della legge della Regione
Friuli-Venezia Giulia 26 luglio 2013, n. 6 (Assestamento del bilancio 2013 e del bilancio pluriennale per gli anni
2013-2015 ai sensi dell’articolo 34
della legge regionale n. 21/2007), ha
aggiunto a tale disposizione un comma 2-bis,
che chiarisce che «Il numero di posti complessivamente riservati nei concorsi pubblici
ai sensi del comma 1 e della lettera a) del comma 2, non può, comunque, essere
superiore al 50 per cento di quello dei posti messi a concorso».
6.– Nello
stesso giorno in cui si è svolta l’udienza pubblica, la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia ha depositato una dichiarazione, firmata dal direttore
del servizio organizzazione, formazione, valutazione e relazioni sindacali
della medesima Regione, con la quale si «attesta che la norma contenuta
nell’art. 10, commi 1 e 2 della legge regionale n. 5 del 2013 non ha avuto
applicazione se non dopo l’entrata in vigore delle modifiche apportate alla
medesima norma con l’art. 12, comma 29, lett. b) della legge regionale n. 6 del
2013».
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, con ricorso notificato il 7-11 giugno 2013, depositato il 13 giugno 2013
e iscritto al registro ricorsi n. 69 del
1.1.– In via subordinata, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha altresì impugnato alcune specifiche disposizioni della predetta
legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2013, che riguardano materie e oggetti
diversificati. Sono oggetto di censura, in particolare: l’art. 3, comma 28, per
violazione degli artt. 4 e 5 della legge cost. n. 1 del 1963 e dell’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., in
relazione all’art. 185, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152
(Norme in materia ambientale); l’art. 7, commi 1 e 2, per violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 76, comma 7, del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 6 agosto 2008, n. 133; l’art. 7, comma 3, per violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 9, comma 28, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122; l’art.
10, commi 1 e 2, per violazione dell’art. 4, comma 1, della legge cost. n. 1
del 1963 e degli artt. 3, 51 e 97 Cost.; l’art. 10, comma 5, per violazione
dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 9, comma
21, del d.l. n. 78 del 2010.
2.– Le
censure riferite all’intero testo della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5
del 2013 sono inammissibili, per le ragioni e nei termini di séguito precisati.
2.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con un’unica e
articolata censura, lamenta, in sostanza, che la legge impugnata sarebbe stata
approvata dal Consiglio regionale successivamente al decreto di indizione delle
elezioni e a ridosso della data di svolgimento delle stesse, in assenza dei
presupposti di urgenza e indifferibilità che giustificherebbero un simile
intervento legislativo nel periodo in questione. Ciò si porrebbe in contrasto,
ad avviso del ricorrente, con diversi parametri costituzionali.
Innanzitutto,
e principalmente, sarebbero violati i principi generali dell’ordinamento in
tema di prorogatio
e, in particolare, l’art. 2 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2007, adottata
ai sensi dell’art. 12 della legge cost. n. 1
del 1963, che limita espressamente i poteri del Consiglio regionale, in regime
di prorogatio,
alla sola ordinaria amministrazione: «I poteri del Consiglio regionale […] sono
prorogati, per l’ordinaria amministrazione, sino all’insediamento dei relativi
nuovi organi».
Deve in proposito
osservarsi che l’istituto della prorogatio, come ha chiarito questa Corte, riguarda, in
termini generali, fattispecie in cui «coloro che sono nominati a tempo a
coprire uffici rimangono in carica, ancorché scaduti, fino all’insediamento dei
successori» (sentenza
n. 208 del 1992). Con specifico riferimento agli organi elettivi, e
segnatamente ai consigli regionali, questa Corte ha poi chiarito che «L’istituto della prorogatio […] non
incide […] sulla durata del mandato elettivo, ma riguarda solo l’esercizio dei
poteri nell’intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di tale mandato,
e l’entrata in carica del nuovo organo eletto» (sentenza n. 196 del
2003). È pacifico, pertanto, che l’istituto in esame presuppone la
scadenza, naturale o anticipata, del mandato del titolare dell’organo. Prima di
tale scadenza, non vi può essere prorogatio.
Tuttavia, il Presidente del Consiglio dei ministri non lamenta affatto che
la legge censurata sia stata approvata dal Consiglio regionale dopo la scadenza
del proprio mandato. Al contrario, lo stesso Presidente del Consiglio dei
ministri afferma esplicitamente, in particolare al punto 1.5. del ricorso, che «il Consiglio regionale della
Regione-Friuli Venezia Giulia è […] cessato con il decorso del quinquennio, al
13 aprile 2013», ovvero dopo l’approvazione delle legge impugnata (avvenuta,
peraltro, in data 21 marzo 2013 e non già in data 8 aprile 2013, come
erroneamente riportato nell’atto introduttivo del presente giudizio). Pertanto,
la censura è inammissibile, nella misura in cui invoca, quali parametri di
legittimità costituzionale, norme e principi che riguardano la prorogatio: tali
parametri non sono pertinenti, perché attengono a fattispecie strutturalmente
diverse da quella cui, nella stessa prospettazione del ricorrente, la censura
si riferisce.
Neppure è pertinente il richiamo al diverso principio della cosiddetta «prescadenza» dell’organo elettivo, quale previsto, in particolare,
dall’art. 3, comma 2, della legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme
per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale). Tale
disposizione– che era applicabile alle
sole Regioni a statuto ordinario prima dell’entrata in vigore della legge cost.
n. 1 del 1999 e ha successivamente conservato efficacia fino a quando
sostituita dagli statuti regionali, divenuti competenti– stabilisce che i
Consigli regionali «esercitano le loro funzioni fino al 46° giorno antecedente
alla data delle elezioni per la loro rinnovazione» ed è stata interpretata da
questa Corte nel senso che i consigli regionali, a partire da tale data e «fino
alla loro cessazione […] dispongono di poteri attenuati confacenti alla loro situazione di organi in scadenza,
analoga, quanto a intensità di poteri, a quella degli organi legislativi in prorogatio» (sentenza n. 468 del
1991; successivamente, sentenza n. 515 del
1995).
Tuttavia,
contrariamente a quanto affermato dal Presidente del Consiglio dei ministri,
l’art. 14 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, invocato sotto tale
profilo dal ricorrente come parametro, non pone un simile principio. Tale
disposizione statutaria fissa, infatti, la durata in carica del Consiglio
regionale e stabilisce come e quando le
elezioni debbano svolgersi e debbano essere indette, prevedendo, in particolare,
che il «decreto di indizione delle elezioni deve essere pubblicato non oltre il
quarantacinquesimo giorno antecedente la data stabilita per la votazione». Ma
la norma non concerne eventuali limiti ai poteri del Consiglio
regionale nella fase successiva al decreto di indizione delle elezioni, per cui
anch’essa costituisce un parametro costituzionale non pertinente rispetto alla
censura prospettata dal ricorrente, la quale si rivela, anche per questo
profilo, inammissibile. Né, del resto, siffatti limiti ai poteri del Consiglio
regionale possono essere ricavati in via interpretativa da questa Corte, non
essendo rinvenibile, nell’ordinamento della Regione Friuli-Venezia Giulia e,
segnatamente, nella legge regionale che determina la forma di governo della
Regione ai sensi dell’art. 12 dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia, una
regolamentazione dei poteri del Consiglio regionale nell’ipotesi in cui, nella
fase pre-elettorale, esso si trovi ancora nel corso del proprio mandato. Al
proposito, non può tuttavia non rilevarsi come una simile lacuna sia
disarmonica rispetto all’esigenza di assicurare che il consiglio regionale,
«nell’immediata vicinanza al momento elettorale», debba «limitarsi ad assumere
determinazioni del tutto urgenti o indispensabili» e «astenersi, al fine di
assicurare una competizione libera e trasparente, da ogni intervento
legislativo che possa essere interpretato come una forma di captatio benevolentiae nei confronti degli
elettori» (sentenza
n. 68 del 2010). Tale esigenza, se contribuisce a spiegare la necessaria
attenuazione dei poteri del Consiglio regionale dopo lo scioglimento, e dunque
in regime di prorogatio,
si pone, tuttavia, anche nella diversa ipotesi, oggetto del presente giudizio,
in cui, pur dopo l’indizione delle elezioni, il mandato del Consiglio regionale
non sia ancora scaduto. Spetta alla legge regionale, che determina la forma di
governo della Regione in virtù della riserva di cui all’art. 12 dello Statuto
del Friuli-Venezia Giulia, individuare la soluzione normativa più idonea a
salvaguardare la predetta esigenza, in ipotesi introducendo una norma analoga a
quella dell’art. 3, comma 2, della legge n. 108 del 1968, oppure prevedendo che
il decreto di indizione delle elezioni disponga, contestualmente, anche lo
scioglimento del Consiglio regionale in carica (con conseguente applicazione
del regime di prorogatio),
ovvero definendo altra regolamentazione adeguata allo scopo. In ogni caso,
l’assenza di qualsiasi disciplina sul punto, e la conseguente scelta di non
limitare in alcuna forma, in prossimità dell’appuntamento elettorale, i poteri
del Consiglio regionale non ancora scaduto, appare suscettibile di porsi in
contrasto con l’art. 12 dello statuto di autonomia, secondo cui la legge
regionale che determina la forma di governo della Regione deve porsi «in
armonia con
la Costituzione e i princìpi dell’ordinamento giuridico della Repubblica».
Neppure sono pertinenti, infine, gli altri parametri di legittimità
costituzionale invocati dal ricorrente e, precisamente, gli artt. 121 e 122
Cost. e la legge cost. n. 1 del 1999, che ha
modificato tali articoli della Costituzione. Le predette disposizioni
costituzionali si riferiscono, infatti, sotto il profilo soggettivo, alle
Regioni a statuto ordinario e, comunque, anche sotto il profilo oggettivo, non
dettano una disciplina applicabile alla fattispecie oggetto del presente
giudizio; né, d’altra parte, il ricorrente fornisce alcuna motivazione specificamente
riferita all’asserita violazione dei predetti parametri costituzionali. Ne
consegue che la censura è inammissibile anche sotto tali, ulteriori, profili.
2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha censurato l’intero testo della
legge impugnata anche per violazione del principio di leale collaborazione: ad
avviso del ricorrente, in particolare, la «tecnica redazionale» impiegata
sarebbe in «palese contrasto» con il «manuale regionale di regole e
suggerimenti per la redazione dei testi normativi», approvato dall’ufficio di
presidenza dello stesso Consiglio regionale, e avrebbe reso «estremamente
difficoltoso anche comprendere l’effettiva portata di molte fra le eterogenee
disposizioni contenute nella legge ai fini della impugnazione nei ristretti termini
previsti».
La
censura è manifestamente inammissibile. Il ricorrente, come ha giustamente
eccepito la difesa regionale, si riferisce in modo generico all’intera legge
regionale, senza indicare con precisione, né tantomeno motivare, le asserite
violazioni di una fonte che, peraltro, non è evidentemente idonea a fungere da
parametro di legittimità costituzionale.
3.–
L’inammissibilità delle censure proposte in via principale dal Presidente del
Consiglio dei ministri, riferite all’intero testo della legge regionale
impugnata, impone di esaminare le censure proposte in via subordinata dal
medesimo ricorrente, relative a specifiche disposizioni della stessa legge.
4.– Preliminarmente, deve osservarsi che, successivamente
alla proposizione del ricorso, alcune delle disposizioni censurate sono state
modificate, per cui occorre accertare se tale jus superveniens abbia determinato la
cessazione della materia del contendere per le questioni proposte in
riferimento a tali disposizioni.
4.1.– Deve essere dichiarata la cessazione della materia del
contendere per la questione riguardante l’art. 10, commi 1 e 2, della legge
regionale impugnata n. 5 del 2013, relativamente alle riserve di posti a
personale interno nei concorsi pubblici banditi dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia. Successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 12, comma 29,
lettera b), della legge della Regione
Friuli Venezia Giulia 26 luglio 2013, n. 6 (Assestamento del bilancio 2013 e del bilancio pluriennale per gli anni
2013-2015 ai sensi dell’articolo 34
della legge regionale n. 21/2007), pubblicata nel Bollettino Ufficiale
della RegioneFriuli-Venezia Giulia
del 31 luglio 2013, n. 31, ed entrata in vigore il giorno successivo, ha aggiunto il comma 2-bis all’art 10 della legge impugnata. Tale disposizione chiarisce
che «Il numero di posti complessivamente riservati nei concorsi pubblici ai
sensi del comma 1 e della lettera a) del comma 2, non può, comunque, essere
superiore al 50 per cento di quello dei posti messi a concorso». In sede di
discussione in udienza pubblica, l’Avvocatura generale dello Stato ha preso
atto che le norme regionali censurate sono state modificate in conformità ai
rilievi sollevati nel ricorso. La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha
depositato, nello stesso giorno in cui si è svolta l’udienza pubblica, una
dichiarazione ufficiale dei competenti uffici regionali, i quali attestano che
le norme censurate non hanno avuto alcuna applicazione nel loro testo
originario, cioè nella versione anteriore alle modifiche ritenute satisfattive
dalla difesa statale. In tali condizioni, sussistono i presupposti per
dichiarare la cessazione della materia del contendere per la questione relativa
all’art. 10, commi 1 e 2, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2013.
4.2.– Non può invece giungersi alla stessa conclusione per la
questione relativa all’art. 3, comma 28, della legge impugnata, in materia di
rifiuti. Tale
disposizione, dopo la presentazione del ricorso, è stata abrogata dall’art. 14, comma 1, lettera a), della
già citata legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 6 del 2013, pubblicata il 31
luglio 2013 ed entrata in vigore il giorno successivo. Essa è tuttavia rimasta
in vigore per circa tre mesi e mezzo, nel corso dei quali la Regione non ha
escluso che la norma stessa abbia avuto applicazione: ciò impedisce di
dichiarare cessata la materia del contendere.
5.– Nel merito, la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 28, della legge
censurata è fondata.
5.1.– Tale disposizione
ha sostituito il comma 1 dell’art. 37-bis
della legge della Regione Friuli-Venezia
Giulia 3 luglio 2002, n. 16 (Disposizioni relative al riassetto
organizzativo e funzionale in materia di difesa del suolo e di demanio idrico), disponendo, in particolare, che il
materiale litoide estratto nell’ambito di interventi eseguiti nei corsi
d’acqua «costituisce materia
prima e pertanto non è assoggettato al regime dei sottoprodotti di cui all'articolo 184-bis del decreto
legislativo 152/2006 e alle regole del decreto ministeriale 10 agosto 2012, n. 161 (Regolamento recante
la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo)». Secondo il
ricorrente, il legislatore regionale avrebbe, in tal modo, invaso la competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente»,
dettando una disciplina suscettibile di porsi in contrasto, in particolare, con
l’art. 185, comma 4, del d.lgs. n. 152 del
5.2.– In effetti, la
disposizione regionale censurata, nel sottrarre una specifica materia
all’ambito di applicazione dell’art. 184-bis
del cosiddetto codice dell’ambiente, incide sulla disciplina dei rifiuti.
Pertanto, essa «invade la materia riservata all’esclusiva competenza statale
della tutela dell’ambiente senza che il suo contenuto sia rivolto nell’unica
direzione consentita dall’ordinamento al legislatore regionale, ovvero quella
di innalzare, eventualmente, il livello di tutela dell’ambiente» (sentenza n. 86 del
2014). Con specifico riferimento
all’art. 184-bis del d.lgs. n. 152
del 2006, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una
disposizione legislativa della Regione Friuli-Venezia Giulia, affermando che la
disciplina del trattamento dei sottoprodotti costituisce un ambito nel quale «è precluso al legislatore regionale qualsiasi intervento normativo» (sentenze n. 70 del
2014 e n.
300 del 2013). La disposizione censurata nel presente giudizio interviene
nel medesimo ambito e, pertanto, per le stesse ragioni deve esserne dichiarata
l’illegittimità costituzionale.
6.– Le questioni di legittimità
costituzionale relative all’art. 7, commi 1, 2 e 3, della legge impugnata, sono
anch’esse fondate.
6.1.– Le norme
regionali censurate sottraggono alla disciplina di contenimento della spesa per
il personale degli enti locali, dettata dal legislatore regionale ai fini del
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, una particolare categoria
di spese, cioè quelle previste dall’art. 9, commi da
Ad avviso del
ricorrente, le disposizioni censurate, in tal modo, si porrebbero in contrasto
con altrettanti principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica,
dettati dal legislatore statale al medesimo scopo di contenere le spese di
personale, con conseguente violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Per un verso, i primi
due commi dell’art. 7 della legge censurata, nel prevedere che le spese per
l’utilizzo di soggetti disoccupati nei «cantieri di lavoro» non rilevano ai
fini dell’applicazione dei commi 25 e 28.1 dell’art. 12 della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia 30 dicembre 2008, n. 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della
Regione – Legge finanziaria
2009), i quali impongono agli enti locali obblighi di contenimento delle spese
di personale, si porrebbero in contrasto con il principio di coordinamento della finanza pubblica posto dall’art.
76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, che in particolare sanziona con il
divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, e con
qualsivoglia tipologia contrattuale, gli enti locali le cui spese di personale superino la soglia del 50 per cento delle
spese correnti.
Per altro verso, il terzo comma
dell’art. 7 della legge impugnata, nel disporre che per l’utilizzo di soggetti
disoccupati nei «cantieri di lavoro» possa derogarsi al limite posto dell’art. 13, comma 16,
della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 30 dicembre 2009, n. 24 (Disposizioni per la formazione del bilancio
pluriennale e annuale della Regione – Legge finanziaria 2010), il quale fissa, in particolare, un limite
massimo alla spesa annua per assunzioni di personale, anche a tempo
determinato, contrasterebbe con il principio di coordinamento della
finanza pubblica posto dall’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, il quale
pone, fra l’altro, un analogo limite alla spesa per assunzioni di personale a
tempo determinato.
6.2.– Va innanzitutto precisato che le disposizioni statali,
invocate dal ricorrente quali parametri interposti, hanno subìto numerose
modificazioni, anche successivamente alla presentazione del ricorso, che
tuttavia non ne hanno alterato la sostanza normativa.
6.3.– Deve essere poi ribadito che entrambe le
predette disposizioni, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa
regionale, costituiscono pacificamente principi
di coordinamento della finanza pubblica (da ultimo, sentenza n. 289 del
2013), di cui questa Corte ha altresì affermato l’applicabilità diretta alle
Regioni a statuto speciale e, segnatamente, alla Regione autonoma Friuli
Venezia Giulia (da ultimo, sentenza n. 54 del
2014).
6.4.–
Deve ancora osservarsi che le spese collegate all’utilizzo di soggetti
disoccupati nei cantieri comunali, sottratte dalle disposizioni censurate
all’applicazione dei limiti alle spese di personale previsti dal legislatore
regionale, rientrano a pieno titolo nell’ambito di applicazione di entrambe le
norme statali indicate dal ricorrente come parametri interposti. Infatti, con
riferimento a figure del tutto analoghe, previste dalla legislazione della
Regione autonoma Sardegna, questa Corte ha di recente affermato che «l’utilizzo
di prestazioni lavorative per il tramite dei cantieri di lavoro ricade de plano nell’ambito della disciplina di
cui all’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, poiché rappresenta,
comunque, una forma di lavoro temporaneo del quale l’amministrazione si avvale,
anche indirettamente, per la realizzazione di opere o attività di interesse
pubblico locale» (sentenza
n. 87 del 2014). La formulazione dell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del
2008 è perfino più ampia e onnicomprensiva di quella dell’art. 9, comma 28, del
d.l. n. 78 del 2010. Non può esservi dubbio, pertanto, che le spese di
personale cui si riferiscono le disposizioni regionali censurate rientrano
nell’ambito di applicazione di entrambi i principi di coordinamento della
finanza pubblica invocati dal ricorrente, che sono diretti a contenere anche
tali categorie di spese.
6.5.– Una volta
stabilito, per un verso, che le due disposizioni statali volte a limitare la
spesa di personale costituiscono principi di coordinamento di finanza pubblica
applicabili alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e, per altro verso, che
le spese collegate alle peculiari figure di personale cui si riferiscono le
norme regionali censurate rientrano nell’ambito di applicazione di tali
principi, resta da verificare la sussistenza dell’asserito contrasto fra le
norme regionali e i principi statali.
Al riguardo, a
prescindere dal fatto, evidenziato dalla difesa, che i limiti regionali alle spese
di personale, cui le disposizioni censurate derogano, sono congegnati in modo
diverso rispetto ai corrispondenti limiti posti dalle norme statali interposte,
va ritenuto che l’asserito contrasto effettivamente sussista.
La deroga ai limiti
posti dalla disciplina regionale alle spese di personale, infatti, si risolve
comunque, almeno indirettamente, in un contrasto con i corrispondenti limiti
posti dal legislatore statale che, pur se diversamente congegnati, hanno la
stessa finalità.
In particolare, i primi
due commi dell’art. 7, come già detto, sottraggono
le assunzioni nei cantieri di lavoro all’applicazione di norme regionali (art.
12, commi 25 e 28.1, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2008) che
prevedono, per gli enti le cui spese di personale abbiano superato un certo tetto (30 per
cento delle spese correnti), un obbligo di ridurre tali spese rispetto
all’esercizio finanziario precedente o, per gli enti non soggetti al patto di
stabilità, di contenere le spese di personale entro il limite del
corrispondente ammontare del penultimo anno precedente. La mancata soggezione a
tale vincolo regionale di alcune spese per il personale si risolve,
indirettamente, in un contrasto con l’art. 76,
comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, che pone un divieto generale di assunzioni di
qualsivoglia genere, a carico degli
enti le cui spese di personale superino un analogo tetto (50 per cento delle
spese correnti), sempre allo
scopo di contenere l’ammontare complessivo della spesa di personale.
L’art. 7, comma 3, della legge impugnata sottrae le assunzioni nei cantieri
di lavoro a norme regionali (art. 13, comma 16, della legge reg. Friuli-Venezia
Giulia n. 24 del 2009) che limitano (anche) le assunzioni a tempo determinato
al 20 per cento del turn over (di quelle
a tempo indeterminato). Anche in questo caso, la mancata applicazione di tale
vincolo regionale si risolve, indirettamente, in un contrasto con l’art. 9,
comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, che pone un analogo limite alla spesa per personale
precario, la quale non può superare il 50 per cento di quella sostenuta per le
corrispondenti finalità nell’anno 2009, salvo specifiche eccezioni, in cui non
rientrano le fattispecie cui si riferisce la disciplina censurata e che,
comunque, non abiliterebbero a superare l’ammontare complessivo della spesa
sostenuta per le corrispondenti finalità nell’anno 2009.
Né può convincere,
infine, l’interpretazione proposta dalla difesa regionale, secondo cui le norme
censurate avrebbero inteso sottrarre le assunzioni connesse ai «cantieri di
lavoro» ai soli vincoli regionali, ferma però restando la diretta applicazione
della diversamente congegnata disciplina statale: una simile interpretazione
appare in contrasto con l’evidente finalità perseguita dalle norme regionali
censurate, chiaramente rivolte a sottrarre le assunzioni presso i cantieri di
lavoro ai limiti complessivi di spesa per il personale posti a carico degli
enti locali dalla disciplina di finanza pubblica, sia regionale, sia statale.
In conclusione, le
questioni di legittimità costituzionale sollevate dal ricorrente con
riferimento all’art. 7, commi 1, 2 e 3, sono fondate.
7.– È fondata, infine,
anche la questione di legittimità costituzionale riguardante l’art. 10, comma
5, della legge impugnata, in materia di progressioni professionali del
personale regionale.
7.1.– Tale disposizione
prevede, «In relazione alla necessità di valutare, ai fini dell'anzianità di
servizio, anche i periodi prestati con rapporto di lavoro a tempo determinato»,
che «la revisione delle graduatorie delle procedure attuative del disposto di
cui all'articolo 16 del contratto collettivo integrativo 1998-2001, area non
dirigenziale del personale regionale, sottoscritto in data 11 ottobre 2007, e
il conseguente conferimento delle relative posizioni avviene salvaguardando, in
ogni caso, quelle già conferite e comunque nell’ambito delle risorse
disponibili nel Fondo per la contrattazione collettiva integrativa».
Secondo il ricorrente,
tale previsione normativa, nella parte in cui «non precisa che il conferimento
delle dette posizioni può avere esclusivamente effetti giuridici», violerebbe
il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica posto
dall’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, ai sensi del quale «Per il
personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed
i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013
hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».
7.2.– Innanzitutto, va precisato che, contrariamente a quanto
asserito dalla difesa regionale, lo stesso art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del
2010, ha natura di principio di
coordinamento della finanza pubblica vincolante anche per le Regioni a statuto
speciale. Questa Corte ha infatti recentemente affermato, proprio in
riferimento ad una disposizione legislativa della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, impugnata per contrasto con l’art. 117, terzo comma,
Cost., in relazione all’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, che
quest’ultima disposizione «vincola le Regioni, anche a
statuto speciale, nei suoi aspetti di dettaglio, senza alcuna possibilità di
deroga» (sentenza
n. 3 del 2013 ).
Ciò posto, è altresì evidente che la norma regionale censurata vìola tale
parametro interposto e rientra nell’ambito di applicazione temporale dello
stesso. L’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 si riferisce alle
progressioni di carriera «disposte» nel triennio 2011-2013. Le posizioni economiche
cui si riferisce la norma regionale, pur se attraverso una revisione delle
graduatorie relative ad anni precedenti, sono tuttavia disposte in tale
periodo. D’altronde, sotto il profilo sostanziale, la norma statale intende
annullare l’effetto di incremento della spesa connesso a decisioni assunte nel
periodo di riferimento: se fosse consentito al legislatore regionale disporre
nuove progressioni agendo su graduatorie pregresse, sarebbe facile l’elusione
del principio di contenimento della spesa posto dal legislatore statale.
Deve essere pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.
10, comma 5, della legge impugnata.
per questi motivi
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 28, della legge della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia 8 aprile 2013, n. 5 (Disposizioni
urgenti in materia di attività economiche, tutela ambientale, difesa del
territorio, gestione del territorio, infrastrutture, lavori pubblici, edilizia
e trasporti, attività culturali, ricreative e sportive, relazioni
internazionali e comunitarie, istruzione, corregionali all’estero, ricerca,
cooperazione e famiglia, lavoro e formazione professionale, sanità pubblica e
protezione sociale, funzione pubblica, autonomie locali, affari istituzionali,
economici e fiscali generali);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7,
commi 1, 2 e 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.
5 del 2013;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 10, comma 5, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2013;
4) dichiara cessata la materia del
contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 10,
commi 1 e 2, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2013,
promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 4,
primo comma, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e agli
artt. 3, 51 e 97 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.
5 del 2013, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in
riferimento agli artt. 12 e 14 della legge costituzionale n. 1 del 1963, alla
legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti
l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia
statutaria delle regioni), agli artt. 121 e 122 della Costituzione, nonché ai principi
fondamentali dell’ordinamento in tema di prorogatio, anche in relazione
agli artt. 1 e 2 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 18
giugno 2007, n. 17 (Determinazione della forma di governo della Regione
Friuli-Venezia Giulia e del sistema elettorale regionale, ai sensi
dell’articolo 12 dello Statuto di autonomia), con il
ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara manifestamente inammissibile la
questione di legittimità costituzionale della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 5 del 2013, promossa dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in riferimento al principio di leale collaborazione, con il ricorso
indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 giugno 2014.
F.to:
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