Sentenza n. 300 del 2013

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SENTENZA N. 300

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Gaetano                      SILVESTRI                           Presidente

-      Luigi                           MAZZELLA                         Giudice

-      Giuseppe                    TESAURO                                    "

-      Paolo Maria                NAPOLITANO                                    "

-      Giuseppe                    FRIGO                                           "

-      Alessandro                  CRISCUOLO                                       "     

-      Paolo                          GROSSI                                        "

-      Giorgio                       LATTANZI                                   "

-      Aldo                           CAROSI                                        "

-      Marta                          CARTABIA                                  "

-      Sergio                         MATTARELLA                            "

-      Mario Rosario             MORELLI                                     "

-      Giancarlo                    CORAGGIO                                 "

-      Giuliano                      AMATO                                        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 112, 171, 175 e 199 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 dicembre 2012, n. 26 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2012) promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25-27 febbraio 2013, depositato in cancelleria il 4 marzo 2013 ed iscritto al n. 31 del registro ricorsi 2013.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2013 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l’avvocato dello Stato Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso spedito per la notifica il 25 febbraio 2013, ricevuto il 27 febbraio 2013 e depositato nella cancelleria della Corte il successivo 4 marzo (reg. ric. n. 31 del 2013), ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 112, 171, 175 e 199 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 dicembre 2012, n. 26 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2012) per violazione degli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione.

1.1.– L’art. 112 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 introduce il comma 2-bis all’art. 5 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 23 aprile 2007, n. 9 (Norme in materia di risorse forestali), prevedendo che: «Ai sensi dell’articolo 6, comma 9, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), sono escluse dalla verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 9-bis della legge regionale 7 settembre 1990, n. 43 (Ordinamento nella Regione Friuli-Venezia Giulia della valutazione di impatto ambientale), le sistemazioni idraulico-forestali, di cui all’articolo 54, che non comportino la realizzazione di opere idrauliche trasversali di altezza fuori terra in gaveta superiore a cinque metri e che abbiano come finalità prevalente il consolidamento dei versanti instabili attigui alle sezioni d’alveo interessate o il consolidamento del fondo e degli argini di tratte di corsi d’acqua con sezioni idrauliche non superiori a quattro metri o il ripristino della piena funzionalità idraulica di opere esistenti».

L’art. 171 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 inserisce al comma 3 dell’art. 3 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2009, n. 16 (Norme per la costruzione in zona sismica e per la tutela fisica del territorio), la lettera c-bis) in base alla quale sono definiti con regolamento regionale, previo parere della competente Commissione consiliare, «gli interventi che per la loro limitata importanza statica sono esentati dagli adempimenti di cui agli articoli 65 e 93 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001».

L’art. 175 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 inserisce all’art. 5-bis della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 7 settembre 1990, n. 43 (Ordinamento nella Regione Friuli-Venezia Giulia della valutazione di impatto ambientale), relativo al regime delle "esclusioni”, tre nuovi commi. In particolare il comma 1-quinquies prevede che: «Ai sensi dell’articolo 6, comma 9, del decreto legislativo 152/2006 sono esclusi dalla verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 9-bis gli impianti mobili per il recupero di rifiuti non pericolosi provenienti da operazioni di costruzione e di demolizione a condizione che la campagna abbia durata inferiore a novanta giorni, nonché gli impianti mobili di trattamento di rifiuti non pericolosi a condizione che la campagna abbia durata inferiore a trenta giorni. Le eventuali successive campagne sul medesimo sito sono, in ogni caso, sottoposte alla verifica di assoggettabilità ai sensi dell’articolo 9-bis».

L’art. 199 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 inserisce l’art. 18-ter nella legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 18 agosto 1986, n. 35 (Disciplina delle attività estrattive). L’art. 18-ter stabilisce che: «1. Nelle more dell’emanazione della disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure relative alle terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni, la cui produzione non superi i 6.000 metri cubi, in relazione a quanto disposto dall’articolo 266, comma 7, del decreto legislativo 152/2006, in deroga a quanto previsto dal decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161 recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo, i materiali da scavo prodotti nel corso di attività e interventi provenienti da cantieri di piccole dimensioni, la cui produzione non superi i 6.000 metri cubi, autorizzati in base alle norme vigenti, sono sottoposti al regime di cui all’articolo 184-bis del decreto legislativo 152/2006 se il produttore dimostra: a) che la destinazione all’utilizzo è certa, direttamente presso un determinato sito o un determinato ciclo produttivo; b) che per i materiali che derivano dallo scavo non sono superate le Concentrazioni Soglia di Contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V, parte IV, del decreto legislativo 152/2006, con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione; c) che l’utilizzo in un successivo ciclo di produzione non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo di altre di materie prime; d) che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre le terre e rocce da scavo ad alcun preventivo trattamento fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere di cui all’allegato 3 del D.M. n. 161/2012 del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare».

1.2.– La difesa dello Stato censura, in primo luogo, l’art. 112 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 per violazione degli artt. 4 e 5 dello statuto della Regione e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Ad avviso del ricorrente l’articolo impugnato si porrebbe in contrasto con l’art. 6, comma 9, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Tale norma stabilisce che: «Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono definire, per determinate tipologie progettuali o aree predeterminate, sulla base degli elementi indicati nell’allegato V, un incremento nella misura massima del trenta per cento o decremento delle soglie di cui all’allegato IV. Con riferimento ai progetti di cui all’allegato IV, qualora non ricadenti neppure parzialmente in aree naturali protette, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono determinare, per specifiche categorie progettuali o in particolari situazioni ambientali e territoriali, sulla base degli elementi di cui all’allegato V, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità».

Il contrasto con le disposizioni statali richiamate risiederebbe nel fatto che il legislatore regionale, innanzitutto, parrebbe escludere dalla verifica di assoggettabilità un’intera classe di progetti, senza indicare la specificità degli stessi o la particolarità delle situazioni ambientali e territoriali in cui gli stessi dovranno essere realizzati; in secondo luogo, poiché avrebbe omesso qualsiasi riferimento alle caratteristiche ed alla localizzazione dei progetti, nonché alle caratteristiche dell’impatto potenziale, criteri questi espressamente richiamati nell’allegato V alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006, al fine di determinare l’esclusione dalla verifica di assoggettabilità; in terzo luogo, il ricorrente rileva che l’art. 112 escluderebbe dalla verifica tutti i progetti ricadenti sull’intero territorio regionale, senza prevedere alcuna salvaguardia per le aree naturali protette, come prescritto invece dall’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006.

Infine si rileva che la norma censurata, nel determinare misure e dimensioni delle opere esenti, verrebbe a porre franchigie con riferimento ad una classe di interventi per la quale il legislatore statale non prevede alcuna soglia dimensionale ai fini della verifica di assoggettabilità, come stabilisce il punto 7, lettera o) dell’allegato IV alla Parte seconda del medesimo decreto legislativo, che prevede la seguente classe di interventi: «opere di regolazione del corso dei fiumi e dei torrenti, canalizzazione e interventi di bonifica ed altri simili destinati ad incidere sul regime delle acque, compresi quelli di estrazione di materiali litoidi dal demanio fluviale e lacuale». Sarebbe dunque evidente l’impossibilità di stabilire in alcun modo incrementi o decrementi di soglie e cioè, in altri termini, non risulterebbe applicabile a tale fattispecie l’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006.

1.3.– Il ricorrente impugna, in secondo luogo, l’art. 171 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012. Tale norma violerebbe l’art. 5 dello statuto della Regione e l’art. 117, terzo comma, Cost.

Secondo la difesa dello Stato la norma che si censura demanda al regolamento regionale l’individuazione di quegli interventi che, per la loro limitata importanza statica, sono esentati da qualsivoglia adempimento e che, quindi, non soggiacciono neanche all’obbligo di preavviso scritto. In tal modo si eluderebbe qualsiasi tipo di vigilanza per interventi che ricadono in zona sismica.

Il ricorrente rileva che l’obbligo di preavviso scritto costituisce la soglia minima per consentire la vigilanza sugli interventi edilizi in zona sismica e che la previsione della sua esenzione violerebbe un principio fondamentale dell’ordinamento in materia di protezione civile.

La difesa dello Stato continua ricordando che la categoria degli "interventi di limitata importanza statica” non è contemplata né dalla normativa statale di cui al d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), né dal decreto del Ministro delle infrastrutture 14 gennaio 2008 (Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni). Anche sotto tale profilo la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali e generali contenuti nella legislazione statale. Si sostiene in conclusione che la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sia titolare di potestà legislativa concorrente in materia di «protezione civile» e che di conseguenza non possa rimettere ad un regolamento l’individuazione di interventi da realizzare senza alcuna autorizzazione o comunicazione preventiva.

A tal proposito l’art. 65 del citato d.P.R. dispone, in sintesi, che le opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica, prima del loro inizio, devono essere denunciate dal costruttore allo sportello unico. A strutture ultimate, entro il termine di sessanta giorni, il direttore dei lavori deposita presso lo sportello unico una relazione sull’adempimento degli obblighi assunti e l’esito delle eventuali prove di carico nonché di quelle sui materiali. A sua volta l’art. 93 del medesimo testo normativo impone che nelle zone sismiche chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni, è tenuto a darne preavviso scritto allo sportello unico, allegando il progetto.

La legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2009 – sulla quale è intervenuto l’art. 171 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 – al comma 3 dell’art. 3 demanda ad un regolamento regionale la definizione degli edifici e delle opere di rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile; delle modalità di presentazione e di trasmissione dei progetti delle opere da realizzare, ai fini della prescritta autorizzazione; degli interventi che, assolvendo una funzione di limitata importanza statica, pur non essendo soggetti ad autorizzazione, sono comunque sottoposti all’obbligo del preavviso scritto e del deposito del progetto.

1.4.– Secondo la difesa dello Stato anche l’art. 175 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 violerebbe gli articoli 4 e 5 dello statuto regionale e l’art. 117, comma 2, lettera s), Cost.

La difesa dello Stato afferma che tale norma si porrebbe in contrasto con l’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006, nonché con l’allegato IV alla Parte seconda del medesimo decreto, come richiamati con riguardo alla prima censura. In particolare il legislatore nazionale avrebbe ritenuto che non possano essere esclusi dalla verifica di assoggettabilità classi di progetti, quali quelli disciplinati dalla Regione con la norma censurata, facendo semplicemente riferimento alla durata della campagna di smaltimento. L’elemento temporale infatti non costituirebbe in alcun caso una soglia dimensionale alla cui stregua valutare l’obbligatorietà o meno della verifica di assoggettabilità e la durata limitata di una campagna sarebbe del tutto irrilevante ai fini della valutazione degli effetti sull’ambiente e sull’ecosistema.

Il legislatore regionale avrebbe escluso dalla verifica di assoggettabilità classi di progetti, senza indicare la specificità degli stessi né la particolarità delle situazioni ambientali o territoriali in cui gli stessi potranno essere realizzati, omettendo qualsivoglia riferimento ai criteri previsti dall’allegato V, alla Parte seconda, del d.lgs. n. 152 del 2006, sulla cui base può essere determinata l’esclusione della verifica di assoggettabilità. Anche in questo caso, come rilevato per la prima questione, il legislatore regionale sembrerebbe aver escluso tutti i progetti ricadenti sull’intero territorio regionale, senza prevedere alcuna salvaguardia per le aree naturali protette, al contrario di quanto richiesto dall’art. 6, comma 9, già citato.

1.5.– Infine è censurato l’art. 199 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 per violazione degli articoli 4 e 5 dello statuto regionale e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Con la norma censurata il ricorrente ritiene che il legislatore regionale abbia inteso disciplinare il regime dei materiali da scavo provenienti da piccoli cantieri, nelle more dell’adozione della disciplina nazionale. In tal modo avrebbe legiferato in una materia, la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, riservata in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

In particolare l’art. 184-bis, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 nel precisare le condizioni generali alla cui stregua una sostanza o un oggetto possa essere qualificato come sottoprodotto e non rifiuto prevede la possibilità di adottare misure atte a stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria. Inoltre l’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 dispone che venga adottata, con un successivo decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, delle attività produttive e della salute, la disciplina per la semplificazione amministrativa della procedura relativa ai materiali, incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni.

La disposizione censurata introduce una soglia dimensionale che non soddisferebbe neppure i criteri dettati dal decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161 (Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo), in attuazione dell’art. 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27. Il decreto ministeriale stabilisce le condizioni da rispettare affinché il materiale da scavo sia considerato sottoprodotto e non rifiuto, non prevedendo alcuna dimensione quantitativa degli scavi né alcuna soglia con riferimento al volume della produzione dei materiali.

Il ricorrente denuncia che la norma impugnata verrebbe a porsi quale deroga alla legislazione nazionale in una materia in cui essa non può intervenire neppure in via sussidiaria e cedevole, essendo la stessa riservata alla competenza esclusiva statale, anche alla luce della sentenza n. 249 del 2009 della Corte costituzionale.

2.– Con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 3 aprile 2013, si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, sostenendo che le censure prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri sono inammissibili e, comunque, non fondate.

2.1.– Con memoria depositata nella cancelleria di questa Corte il 28 ottobre 2013 la difesa della Regione argomenta come segue.

In via preliminare, ad avviso della resistente, risulta inammissibile il richiamo operato dall’Avvocatura generale dello Stato contemporaneamente allo statuto speciale e all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. In particolare tale ultima disposizione risulterebbe inapplicabile a priori alle Regioni speciali, dato che non può mai essere considerata "più favorevole” del riparto statutario. Ne conseguirebbe che l’art. 117, secondo comma, Cost. si applicherebbe ad una Regione speciale solo se collegato con i commi terzo e quarto: cioè qualora il Titolo V della Costituzione attribuisca alle Regioni una competenza che, anche con i limiti derivanti dall’art. 117, secondo comma, è comunque più ampia rispetto allo statuto. La Regione ritiene però che non sia questo il caso in questione.

2.2.– Riguardo alla prima censura, relativa all’art. 112 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, la resistente fa osservare che la norma impugnata sarebbe da ricondurre entro la competenza indicata dall’art. 4, numero 2), dello statuto che attribuisce alla Regione competenza primaria in tema di «agricoltura e foreste, bonifiche, ordinamento delle minime unità culturali e ricomposizione fondiaria, irrigazione, opere di miglioramento agrario e fondiario, zootecnia, ittica, economia montana, corpo forestale». Del resto il decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento di beni del demanio idrico e marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo) ha previsto, agli artt. 1 e 2, il trasferimento alla Regione di «tutti i beni dello Stato appartenenti al demanio idrico», nonché di «tutte le funzioni amministrative relative ai beni di cui all’articolo 1, ivi comprese quelle relative alle derivazioni ed opere idrauliche». In ogni caso la Regione sostiene che, alla luce dell’art. 54 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2007 cui la norma impugnata fa esplicito riferimento, l’art. 112 corrisponderebbe pienamente alle condizioni previste dall’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006. L’art. 54 prevede infatti che «Riconosciuta la funzione protettiva dell’ecosistema forestale e l’importanza della corretta gestione selvicolturale dei boschi quale efficace strumento di prevenzione e contrasto del dissesto idrogeologico, si definiscono sistemazioni idraulico-forestali gli interventi e le opere che si attuano nel territorio montano finalizzati alla conservazione e alla difesa dei terreni soggetti a processi erosivi, mediante il consolidamento dei versanti instabili, l’esecuzione di opere paravalanghe, il ripristino e la regolazione delle normali sezioni di deflusso, nonché la riqualificazione ambientale, mediante opere e manufatti, anche idraulici, compresa la viabilità di servizio, con il più ampio ricorso alle tecniche costruttive dell’ingegneria naturalistica». L’art. 112, così contestualizzato, andrebbe interpretato, secondo la Regione, come riferentesi ad una particolare situazione ambientale, e cioè il territorio montano, e ad una tipologia di opere molto specifica. La norma impugnata presenterebbe, nella ricostruzione regionale, una specificità addirittura maggiore di quella richiesta dall’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006. Inoltre il rinvio all’art. 54 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2007 consentirebbe di superare anche la censura relativa al mancato rispetto dei criteri indicati nell’allegato V al d.lgs. n. 152 del 2006. In sintesi l’art. 112 menzionerebbe le caratteristiche delle opere, garantirebbe il loro impatto limitato, ponendo limiti dimensionali e facendo riferimento anche alla loro localizzazione, tramite il rinvio all’art. 54. L’art. 112 sfuggirebbe anche alla censura che si appunta sulla mancata salvaguardia delle aree naturali protette poiché richiama esplicitamente l’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006 che impone tale salvaguardia, senza necessità di una sua ripetizione nella disposizione regionale.

2.3.– In merito alla seconda censura della difesa statale, riguardante l’art. 171 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, la resistente sostiene che il ricorso sia infondato poiché la norma impugnata non esonererebbe da alcuna autorizzazione prima richiesta, limitandosi ad eliminare adempimenti minori. La norma impugnata non interverrebbe sulle regole sostanziali, né sul regime dei permessi necessari alla realizzazione di qualunque opera, consentendo solo la sottrazione di taluni interventi minori a oneri amministrativi di mera comunicazione che risulterebbero per tali interventi sproporzionati e privi di utilità. Si precisa altresì che la censura di violazione dei principi fondamentali in materia di «protezione civile» sarebbe infondata e non pertinente, dovendosi semmai porre in questione i limiti della potestà legislativa primaria in materia di «urbanistica», come previsto anche dall’art. 4, numero 12), dello statuto regionale. Il ricorrente inoltre non avrebbe speso alcuna motivazione in merito al superamento dei limiti affermati dall’art. 2, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 in base al quale: «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione».

2.4.– Riguardo alla terza censura, inerente all’art. 175 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, la Regione sostiene che la norma impugnata corrisponda pienamente alle condizioni di cui all’art. 6, comma 9, del d.lgs. 152 del 2006. Infatti, sia gli impianti mobili per il recupero di rifiuti non pericolosi provenienti da operazioni di costruzione e di demolizione, che gli impianti mobili di trattamento di rifiuti non pericolosi esclusi dalla verifica di assoggettabilità, rappresenterebbero una subcategoria di impianti all’interno della categoria progettuale prevista dall’allegato IV, per cui la norma impugnata si connoterebbe per una specificità maggiore di quella richiesta dall’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006. Del resto, la difesa regionale sostiene che la durata e la frequenza dell’impatto potenziale rientrano fra gli elementi che il legislatore statale ha espressamente indicato come rilevanti ai fini della verifica di assoggettabilità di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 152 del 2006 e ai fini della deroga disposta dalle Regioni ai sensi dell’art. 6, comma 9 del medesimo decreto. Di conseguenza la legge impugnata, ponendo la «condizione che la campagna abbia durata inferiore a novanta giorni» o «a trenta», avrebbe dato applicazione al criterio statale.

Anche gli elementi di cui all’allegato V sarebbero considerati dalla norma impugnata. Infatti il legislatore regionale avrebbe considerato tanto il criterio delle dimensioni del progetto quanto quello dell’inquinamento e dei disturbi ambientali, entrambi contenuti appunto nel suddetto allegato V.

L’art. 175 sfuggirebbe anche alla censura che si appunta sulla mancata salvaguardia delle aree naturali protette poiché richiama esplicitamente l’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006 che impone tale salvaguardia, senza necessità di una sua ripetizione nella disposizione regionale.

2.5.– Infine per quanto concerne la censura sull’art. 199 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, la Regione ribadisce innanzitutto che l’invocazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. è per definizione inammissibile e che lo sarebbe per genericità anche quella fondata sull’art. 184-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 poiché il ricorso non spiegherebbe le ragioni per cui la norma regionale contrasterebbe con esso.

Nel merito di questa ultima censura la resistente ritiene opportuno ricostruire l’evoluzione della normativa in materia di terre e rocce da scavo al fine di dimostrare che la Regione, nell’adottare la norma impugnata, si sarebbe adeguata, nel contenuto, alla disciplina statale in corso di adozione. Si precisa che dopo la proposizione del ricorso in oggetto la norma statale è stata approvata: si tratta dell’art. 41-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), inserito dalla legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98. A parere della Regione la norma impugnata, espressamente adottata in attesa della disciplina statale, risulterebbe conforme all’art. 41-bis appena citato che, in base al criterio cronologico, disciplina ora direttamente la materia. La Regione, inoltre, precisa che già prima dell’entrata in vigore e della conversione del d.l. n. 69 del 2013, l’art. 8-bis del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 giugno 2013, n. 71, e ora abrogato dall’art. 41-bis del d.l. n. 69 del 2013, aveva previsto che le disposizioni di cui al d.m. n. 161 del 2012, al fine di rendere più celere la realizzazione di interventi urgenti, si applicavano solo alle terre e rocce da scavo prodotte nell’esecuzione di opere soggette ad autorizzazione integrata ambientale o a valutazione di impatto ambientale. L’art. 8-bis del d.l. n. 43 del 2013 stabiliva, altresì, che, in attesa di una specifica disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure, alla gestione dei materiali da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale, continuavano ad applicarsi su tutto il territorio nazionale le disposizioni stabilite dall’art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006, in deroga a quanto stabilito dall’art. 49 del d.l. n. 1 del 2012. Va precisato che in base a quest’ultima norma è stato emanato il d.m. n. 161 del 2012 alla cui entrata in vigore si è collegata l’abrogazione dell’art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006. Conclude la Regione deducendo che, di conseguenza, il d.m. n. 161 del 2012, invocato nel ricorso, poteva fungere da parametro di riferimento solo fino al giugno 2013, dalla cui data tornerebbe ad essere prevista l’applicazione dell’art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento al quale però il ricorso non contiene alcuna motivazione.

Passando ad esaminare le due questioni sollevate dal ricorso in riferimento a questo articolo la difesa regionale ritiene la prima inammissibile e infondata poiché, in particolare, dagli artt. 2, comma 2, 3-bis, comma 3, e dall’art. 3-quinquies del d.lgs. n. 152 del 2006 si dedurrebbe l’esistenza di competenze regionali in materia ambientale, nel rispetto degli standard previsti dal legislatore statale. In particolare in materia di rifiuti la Corte costituzionale avrebbe ripetutamente riconosciuto possibile un intervento regionale, compiuto nell’esercizio delle proprie competenze e nel rispetto del livello di tutela ambientale fissato nella legislazione statale (sentenze n. 171 del 2012, n. 314 del 2009 e n. 62 del 2008). La difesa regionale afferma, anche in base agli artt. 177, commi 5 e 7, e 196, comma 1, lettere a) e b), del d.lgs. n. 152 del 2006, che le Regioni possono intervenire nella materia dei rifiuti, ritenendo che la difesa erariale si limiti ad affermare apoditticamente un eccesso dalle competenze statutarie, senza soffermarsi sulle numerose competenze regionali interferenti con la materia in esame.

Per quel che riguarda la seconda questione, cioè il contrasto con il d.m. n. 161 del 2012, a parere della Regione la norma impugnata avrebbe introdotto solo una semplificazione procedurale, in conformità a quanto previsto dall’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 e dalla disciplina statale, all’epoca dell’adozione della legge regionale, ancora in corso di approvazione e attualmente vigente, mantenendo ferme numerose cautele. La norma impugnata – volta a colmare una lacuna normativa e a dare attuazione ad un orientamento già presente a livello statale – in ogni caso sarebbe venuta meno con l’entrata in vigore dell’art. 41-bis del d.l. n. 69 del 2013.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 112, 171, 175 e 199 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 dicembre 2012, n. 26 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2012) per violazione degli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia) e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione.

2.– Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa regionale in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Ritiene la resistente che tale parametro di giudizio non possa essere invocato in relazione alle Regioni a statuto speciale, in quanto, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), le disposizioni di cui all’art. 117 Cost. sarebbero applicabili alle autonomie speciali solo nella misura in cui determinano un riparto di competenze ad esse più favorevole rispetto a quanto stabilito nei rispettivi statuti.

L’eccezione non è fondata.

La giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la «tutela dell’ambiente» rientra nelle competenze legislative esclusive dello Stato e che, pertanto, le disposizioni legislative statali adottate in tale ambito fungono da limite alla disciplina che le Regioni, anche a statuto speciale, dettano nei settori di loro competenza, essendo ad esse consentito soltanto eventualmente di incrementare i livelli della tutela ambientale, senza però compromettere il punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato (sentenze n. 145 e n. 58 del 2013, n. 66 del 2012, n. 225 del 2009). In particolare, con riferimento al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) d’ora in avanti «Codice dell’ambiente», più volte richiamato come parametro interposto nel presente giudizio, questa Corte ha affermato che le Regioni devono mantenere la propria legislazione negli ambiti di competenza fissati dal legislatore statale (sentenze n. 93 del 2013, n. 227 del 2011, n. 186 del 2010).

3.– Le censure relative agli artt. 112 e 175 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 possono essere esaminate congiuntamente, in quanto entrambe riguardano il regime delle esenzioni dalla verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, ai sensi dell’articolo 6, comma 9, del Codice dell’ambiente, invocato dal ricorrente quale parametro interposto.

3.1.– L’art. 112 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 introduce il comma 2-bis all’art. 5 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 23 aprile 2007, n. 9 (Norme in materia di risorse forestali), prevedendo che: «Ai sensi dell’articolo 6, comma 9, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), sono escluse dalla verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 9-bis della legge regionale 7 settembre 1990, n. 43 (Ordinamento nella Regione Friuli-Venezia Giulia della valutazione di impatto ambientale), le sistemazioni idraulico-forestali, di cui all’articolo 54, che non comportino la realizzazione di opere idrauliche trasversali di altezza fuori terra in gaveta superiore a cinque metri e che abbiano come finalità prevalente il consolidamento dei versanti instabili attigui alle sezioni d’alveo interessate o il consolidamento del fondo e degli argini di tratte di corsi d’acqua con sezioni idrauliche non superiori a quattro metri o il ripristino della piena funzionalità idraulica di opere esistenti».

L’art. 175 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia inserisce all’art. 5-bis della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 7 settembre 1990, n. 43 (Ordinamento nella Regione Friuli-Venezia Giulia della valutazione di impatto ambientale), relativo al regime delle "esclusioni”, tre nuovi commi. In particolare il comma 1-quinquies prevede che: «Ai sensi dell’articolo 6, comma 9, del decreto legislativo 152/2006 sono esclusi dalla verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 9-bis gli impianti mobili per il recupero di rifiuti non pericolosi provenienti da operazioni di costruzione e di demolizione a condizione che la campagna abbia durata inferiore a novanta giorni, nonché gli impianti mobili di trattamento di rifiuti non pericolosi a condizione che la campagna abbia durata inferiore a trenta giorni. Le eventuali successive campagne sul medesimo sito sono, in ogni caso, sottoposte alla verifica di assoggettabilità ai sensi dell’articolo 9-bis».

Ad avviso del ricorrente, entrambe le disposizioni regionali contrasterebbero con l’art. 6, comma 9, del Codice dell’ambiente, eccedendo, così, dalle competenze legislative della Regione, come previste dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e violando altresì l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. che affida alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente.

3.2.– In relazione alla disciplina delle esenzioni dalla verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, l’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte rilevante ai fini del presente giudizio, prevede che: «Con riferimento ai progetti di cui all’allegato IV, qualora non ricadenti neppure parzialmente in aree naturali protette, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono determinare, per specifiche categorie progettuali o in particolari situazioni ambientali e territoriali, sulla base degli elementi di cui all’allegato V, criteri o condizioni di esclusione dalla verifica di assoggettabilità».

3.2.1.– In merito a tale disposizione, occorre anzitutto chiarire che non è necessario che la legge regionale ripeta il divieto di esentare dalla verifica di assoggettabilità i progetti che ricadono anche solo parzialmente nelle aree naturali protette. Considerata la puntualità della normativa statale e considerato che le disposizioni regionali impugnate richiamano testualmente la previsione del Codice dell’ambiente di cui costituiscono attuazione, il vincolo relativo alle aree naturali protette è da ritenersi sempre e comunque immediatamente applicabile, anche se non riprodotto nella legge regionale.

Le disposizioni regionali impugnate devono, dunque, essere interpretate nel senso che le esenzioni da esse stabilite in nessun caso possono riguardare progetti che ricadono in tutto o in parte in aree naturali protette.

Deve, pertanto, respingersi la censura mossa dal Presidente del Consiglio dei ministri in relazione agli artt. 112 e 175 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, relativa al fatto che tali disposizioni non prevedono alcuna salvaguardia per le aree naturali protette.

3.2.2.– In riferimento alle altre condizioni stabilite dall’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006, questa Corte, con sentenza n. 93 del 2013, ha già avuto modo di pronunciarsi chiarendo che le Regioni, al fine di individuare i progetti esenti da verifica di assoggettabilità, debbono ritagliare, all’interno di una delle categorie di opere elencate nell’allegato IV del d.lgs. n. 152 del 2006, una sottoclasse di progetti, specificandone le caratteristiche sotto una molteplicità di aspetti – quali, ad esempio, la localizzazione, le dimensioni, la tipologia, la durata, e così via – in relazione ai criteri indicati nell’allegato V, allo scopo di assicurare che l’opera esentata da verifica esibisca un ridotto impatto ambientale. Pertanto, in applicazione di tali criteri, la Corte – in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza 23 novembre 2006, causa C-486/04, Commissione contro Italia) – ha ritenuto insufficiente e inadeguata un’individuazione dei progetti da esentare basata soltanto sulla dimensione quantitativa degli stessi (sentenze n. 93 del 2013 e n. 127 del 2010).

3.2.3.– Alla luce dei principi ora richiamati, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 112 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 non è fondata.

La disposizione portata all’esame della Corte riguarda alcuni tipi di sistemazioni idraulico-forestali, specificamente descritte dal legislatore e ulteriormente identificate tramite un rinvio all’art. 54 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 9 del 2007. Più specificamente, il legislatore regionale ha ritenuto di esentare dalla verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale «le sistemazioni idraulico-forestali, di cui all’articolo 54, che non comportino la realizzazione di opere idrauliche trasversali di altezza fuori terra in gaveta superiore a cinque metri e che abbiano come finalità prevalente il consolidamento dei versanti instabili attigui alle sezioni d’alveo interessate o il consolidamento del fondo e degli argini di tratte di corsi d’acqua con sezioni idrauliche non superiori a quattro metri o il ripristino della piena funzionalità idraulica di opere esistenti».

Si tratta, dunque, di progetti ricompresi nell’allegato IV, al punto 7, lettera o), «opere di regolazione del corso dei fiumi e dei torrenti, canalizzazione e interventi di bonifica ed altri simili destinati ad incidere sul regime delle acque», per i quali l’esenzione è permessa. Vi è da aggiungere altresì che i progetti esentati da verifica di assoggettabilità, oltre ad essere descritti con precisione nelle loro caratteristiche essenziali da parte del legislatore regionale, si qualificano per il fatto di avere come finalità «il consolidamento dei versanti instabili attigui alle sezioni d’alveo interessate o il consolidamento del fondo e degli argini di tratte di corsi d’acqua», in vista della conservazione e della difesa del suolo, a beneficio della tutela ambientale.

La disposizione impugnata, dunque, soddisfa tutte le condizioni stabilite dall’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006.

3.2.4.– Alla luce dei medesimi criteri, sopra richiamati, la questione avente ad oggetto l’art. 175 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 è fondata.

La citata disposizione regionale, nella parte impugnata, è assai generica, consentendo che siano esenti da verifica di assoggettabilità «gli impianti mobili per il recupero di rifiuti non pericolosi provenienti da operazioni di costruzione e di demolizione a condizione che la campagna abbia durata inferiore a novanta giorni, nonché gli impianti mobili di trattamento di rifiuti non pericolosi a condizione che la campagna abbia durata inferiore a trenta giorni. Le eventuali successive campagne sul medesimo sito sono, in ogni caso, sottoposte alla verifica di assoggettabilità».

Così configurata, la disposizione regionale non soddisfa le condizioni stabilite dall’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006. Anzitutto, il legislatore ha omesso ogni riferimento alle categorie indicate nell’allegato IV del suddetto decreto, all’interno delle quali soltanto è consentito ritagliare ipotesi esenti da verifica di assoggettabilità. Tale riferimento sarebbe stato tanto più necessario, dato che nell’allegato IV in relazione ai rifiuti si elencano numerose tipologie di impianti, suddivisi in varie classi tenendo conto, ad esempio, del tipo di rifiuti, della portata dell’impianto, delle modalità di trattamento e di smaltimento, della localizzazione, e così via (allegato IV, punto 7, lettere r), s), t), u), v) za), zb). Nessuna di queste specificazioni emerge, invece, dalla disposizione regionale impugnata, la quale si limita a prevedere che gli impianti esenti siano mobili e abbiano una durata predeterminata nel tempo. In tal modo, risulta persino difficile individuare a quale classe di impianti elencati nell’allegato IV si riferisca l’esenzione, la quale, per la sua genericità e indeterminatezza, si pone in contrasto con le previsioni del parametro interposto di riferimento. Per queste sue caratteristiche, la disposizione impugnata non è paragonabile alla fattispecie, che pure riguardava impianti di recupero e smaltimento di rifiuti, scrutinata con la sentenza n. 93 del 2013 (punto 3.9.1 del Considerato in diritto) e che questa Corte ha ritenuto rispettosa del dettato di cui all’art. 6, comma 9, del Codice dell’ambiente.

4.– È impugnato altresì l’art. 171 della medesima legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, che introduce una nuova lettera c-bis) all’art. 3, comma 3, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2009, n. 16 (Norme per la costruzione in zona sismica e per la tutela fisica del territorio), in base alla quale, in riferimento agli interventi edilizi in zona sismica, spetta ad un regolamento regionale individuare «gli interventi che per la loro limitata importanza statica sono esentati dagli adempimenti di cui agli articoli 65 e 93 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001».

Tale disposizione violerebbe l’art. 5 dello statuto della Regione e l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto l’esenzione da ogni adempimento degli interventi edilizi «di limitata portata statica» determinerebbe la violazione del principio fondamentale dell’ordinamento in materia di «protezione civile», relativo alla vigilanza sugli interventi edilizi in zona sismica.

4.1.– La questione è fondata.

Occorre anzitutto premettere che questa Corte ha già chiarito, anche di recente (sentenze n. 101 del 2013 e n. 201 del 2012), che la disciplina degli interventi edilizi in zona sismica attiene alla materia della «protezione civile», di competenza concorrente, e non, come afferma la difesa regionale, a quella dell’«urbanistica» (di potestà primaria secondo lo statuto regionale), per la sua attinenza anche a profili di incolumità pubblica. Tale inquadramento – ha aggiunto la Corte nella citata pronunzia n. 101 del 2013 – «recentemente ribadito nella sentenza n. 64 del 2013, era peraltro già stato affermato nelle sentenze n. 254 del 2010 e n. 248 del 2009, in riferimento alla illegittimità di deroghe regionali alla normativa statale per l’edilizia in zone sismiche, ed in relazione al titolo competenziale di tale normativa: la Corte ha ritenuto che essa rientri nell’ambito del governo del territorio, nonché nella materia della protezione civile, per i profili concernenti "la tutela dell’incolumità pubblica” (sentenza n. 254 del 2010)».

Così chiarito l’ambito competenziale entro il quale deve essere esaminata la questione sottoposta all’esame della Corte, occorre ancora rilevare che la categoria degli "interventi di limitata importanza statica”, a cui fa riferimento la disposizione regionale impugnata, non è conosciuta dalla normativa statale: non se ne fa menzione nel citato d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), che pure, all’art. 3, è attento a classificare i diversi interventi edilizi all’interno di una specifica tassonomia; né la categoria utilizzata dal legislatore regionale è reperibile nella normativa tecnica, contenuta nel decreto del Ministro delle infrastrutture 14 gennaio 2008 (Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni). Dunque, già sotto questo profilo la legislazione regionale si discosta illegittimamente dalla normativa statale rilevante, perché introduce una categoria di interventi edilizi ignota alla legislazione statale.

In ogni caso, il vizio di illegittimità costituzionale si palesa alla luce della risolutiva considerazione che la disposizione impugnata si pone in contrasto con il principio fondamentale che orienta tutta la legislazione statale, che esige una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico. Infatti, con specifico riferimento al d.P.R. n. 380 del 2001, invocato quale parametro interposto nel presente giudizio, la Corte, nella sentenza n. 182 del 2006, ha affermato che l’«intento unificatore della legislazione statale è palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali». Analogo principio è ribadito nella recente sentenza n. 101 del 2013.

Pertanto, benché apparentemente l’impugnato art. 171 introduca una deroga soltanto in relazione a due specifiche previsioni della normativa statale [gli artt. 65 (R) e 93 (R) del d.P.R. n. 380 del 2001], in realtà la sua portata è più radicale e finisce per incidere, compromettendolo, sul principio fondamentale della necessaria vigilanza sugli interventi edilizi in zone sismiche. In ragione di ciò è irrilevante che l’impugnato art. 171 disponga che gli interventi edilizi «di limitata importanza statica» siano esenti soltanto dagli adempimenti di cui agli artt. 65 e 93 del d.P.R. n. 380 del 2001. Il suo effetto sostanziale, infatti, va oltre la deroga ai suddetti artt. 65 e 93 e consiste, piuttosto, nel sottrarre tali interventi edilizi «di limitata importanza statica» ad ogni forma di vigilanza pubblica. Infatti, i citati artt. 65 e 93 prescrivono gli obblighi minimi di segnalazione allo sportello unico, cosicché il legislatore regionale, esentando alcuni tipi di interventi edilizi dall’assolvimento di tali obblighi minimi, in realtà li esenta da qualsivoglia obbligo. La disposizione regionale impugnata consente, dunque, che determinati interventi edilizi in zona sismica siano effettuati senza che la pubblica autorità ne sia portata a conoscenza, precludendo a quest’ultima, a fortiori, qualunque forma di vigilanza su di essi.

Vale la pena ricordare che recentemente l’art. 3, comma 6, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2012, n. 122, ha consentito – in relazione alle ricostruzioni e riparazioni delle abitazioni private – una deroga esplicita ad una serie di disposizioni, fra le quali gli artt. 93 e 94 del d.P.R. n. 380 del 2001. Tale deroga però, come ha rimarcato questa Corte nella sentenza n. 64 del 2013, è attuata, «non senza significato, proprio con disposizione statale, a conferma della necessità di quell’intervento unificatore più volte richiamato dalla giurisprudenza di questa Corte».

5.– Oggetto di impugnativa da parte del Presidente del Consiglio dei ministri è anche l’art. 199 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, che inserisce l’art. 18-ter nella legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 18 agosto 1986, n. 35 (Disciplina delle attività estrattive), disponendo che: «1. Nelle more dell’emanazione della disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure relative alle terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni, la cui produzione non superi i 6.000 metri cubi, in relazione a quanto disposto dall’articolo 266, comma 7, del decreto legislativo 152/2006, in deroga a quanto previsto dal decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161 recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo, i materiali da scavo prodotti nel corso di attività e interventi provenienti da cantieri di piccole dimensioni, la cui produzione non superi i 6.000 metri cubi, autorizzati in base alle norme vigenti, sono sottoposti al regime di cui all’articolo 184-bis del decreto legislativo 152/2006 se il produttore dimostra: a) che la destinazione all’utilizzo è certa, direttamente presso un determinato sito o un determinato ciclo produttivo; b) che per i materiali che derivano dallo scavo non sono superate le Concentrazioni Soglia di Contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V, parte IV, del decreto legislativo 152/2006, con riferimento alla specifica destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione; c) che l’utilizzo in un successivo ciclo di produzione non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo di altre di materie prime; d) che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre le terre e rocce da scavo ad alcun preventivo trattamento fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere di cui all’allegato 3 del D.M. n. 161 del 2012 del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare».

In tal modo il legislatore regionale ha stabilito una disciplina semplificata per la gestione dei materiali da scavo provenienti da piccoli cantieri, in deroga alla normativa nazionale vigente e nelle more dell’adozione di una nuova regolamentazione da parte del legislatore statale.

Il ricorrente ritiene che la norma regionale impugnata sia viziata da illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal momento che essa dispone una deroga alla legislazione nazionale in materia di ambiente, riservata alla competenza esclusiva statale, in cui la Regione non può intervenire neppure in via sussidiaria e cedevole.

5.1.– La questione è fondata.

Occorre anzitutto chiarire gli effetti della disposizione impugnata dal punto di vista temporale, dato che nelle more del giudizio il legislatore statale ha approvato l’attesa disciplina che semplifica il regime delle terre e rocce da scavo provenienti da piccoli cantieri.

La disciplina semplificata è stata infatti adottata dal legislatore statale con l’art. 41-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), inserito dalla legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98. In particolare la novella legislativa prevede che i materiali da scavo, anziché essere gestiti come rifiuti, siano soggetti al regime dei sottoprodotti di cui all’art. 184-bis del Codice dell’ambiente, purché siano rispettate determinate condizioni e, in particolare, ove il produttore dimostri: «a) che è certa la destinazione all’utilizzo direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi determinati; b) che, in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi sul suolo, non sono superati i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione e i materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di fondo naturale; c) che, in caso di destinazione ad un successivo ciclo di produzione, l’utilizzo non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime; d) che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre i materiali da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere».

L’esigenza di semplificazione del regime dei materiali da scavo di piccoli cantieri, di cui il legislatore regionale ha ritenuto di farsi carico con la disposizione impugnata, è stata dunque soddisfatta dagli interventi legislativi statali sopra ricordati. Poiché la norma regionale impugnata dispone una regolazione della materia da applicarsi «nelle more dell’emanazione della disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure relative alle terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni», essa è da considerarsi "cedevole” rispetto alla futura disciplina statale. Essendo ora sopravvenuta la legislazione statale, si deve dunque ritenere che l’art. 199 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012 abbia esaurito i suoi effetti.

Ciò nondimeno, la questione deve essere esaminata nel merito, sia perché la norma sottoposta all’esame della Corte è rimasta in vigore per alcuni mesi e si deve presumere che durante quel periodo abbia avuto applicazione, sia perché la questione prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri censura la Regione proprio per aver legiferato con una normativa "ponte”, destinata a cedere il passo alla normativa statale, in una materia di competenza esclusiva dello Stato. Il dubbio di legittimità costituzionale investe, dunque, la norma regionale proprio in quanto, in via sussidiaria e cedevole, ha disposto una deroga alla legislazione vigente in materia di disciplina dei materiali da scavo di piccoli cantieri.

La disposizione oggetto del presente giudizio attiene al trattamento dei residui di produzione e, dunque, secondo la giurisprudenza di questa Corte è riconducibile alla «tutela dell’ambiente» di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali (ex multis, sentenze n. 249 del 2009, n. 62 del 2008). La disciplina ambientale, che scaturisce dall’esercizio di tale competenza esclusiva dello Stato, viene a funzionare come un limite alla normativa che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato (sentenza n. 378 del 2007).

D’altra parte, questa Corte ha ripetutamente affermato che, in materia di ambiente, le Regioni devono mantenere la propria legislazione negli ambiti di competenza fissati dal Codice dell’ambiente (le già citate sentenze n. 93 del 2013, n. 227 del 2011, n. 186 del 2010). A questo proposito occorre ricordare che l’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 riserva chiaramente allo Stato, e per esso ad un apposito decreto ministeriale, la competenza a dettare «la disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni», senza contemplare, in tale ambito, alcun ruolo residuo – neppure a carattere cedevole – in capo alle Regioni e Province autonome.

A sua volta l’art. 184-bis del Codice dell’ambiente, relativo al trattamento dei sottoprodotti – a cui la novella legislativa del 2013 riconduce il regime delle terre e delle rocce da scavo, con l’eccezione di quelle che provengono da attività o opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale che rimangono disciplinate dal d.m. n. 161 del 2012 – prevede che ben possano essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. Ma anche all’adozione di tali criteri può provvedere, in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria, solo un decreto ministeriale, senza che residui alcuno spazio per la fonte regionale.

Deve, dunque, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 199 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, essendo in tale ambito precluso al legislatore regionale qualsiasi intervento normativo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 171 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 21 dicembre 2012, n. 26 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2012);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 175 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, nella parte in cui introduce il comma 1-quinquies nell’art. 5-bis della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 7 settembre 1990, n. 43 (Ordinamento nella Regione Friuli-Venezia Giulia della valutazione di impatto ambientale);

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 199 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 112 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 2012, promossa, in riferimento agli articoli 4 e 5 dello statuto della Regione e all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2013.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 dicembre 2013.