SENTENZA N. 3
ANNO 2013
Commento alla
decisione di
Quirino
Camerlengo
La
legge finanziaria friulana per il 2012 davanti alla Corte costituzionale
(per gentile
concessione del Forum di Quaderni
Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli articoli 11, commi 113, 118, 261, 264 e 282, 13, commi 30,
32 e 52, 15, commi 4 e 10, 16, comma 1, 18, commi 3, 7, 8, 11 e 24, della legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2011, n. 18 (Disposizioni
per la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della Regione. Legge
finanziaria 2012), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con
ricorso notificato il 5-8 marzo 2012, depositato in cancelleria il 12 marzo
2012, ed iscritto al n. 59 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di
costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza
pubblica del 23 ottobre 2012 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato
dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Ritenuto in fatto
1.— Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con
ricorso notificato il 5 marzo 2012 e depositato nella cancelleria di questa
Corte il 12 marzo 2012 (reg. ric. n. 59 del 2012), ha impugnato l’articolo 11,
commi 113, 118, 261, 264 e 282, l’articolo 13, commi 30, 32 e 52, l’articolo
15, commi 4 e 10, l’articolo 16, comma 1, l’articolo 18, commi 3, 7, 8, 11 e
24, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2011, n. 18
(Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della
Regione. Legge finanziaria 2012), in relazione agli articoli 4, 5 e 6 dello
statuto della Regione, adottato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1
(Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), e agli artt. 3, 81,
quarto comma, 97, 117, terzo comma, 119, secondo comma, della Costituzione.
2.— Le disposizioni impugnate dettano
misure in materia di bilancio e contabilità pubblica e di pubblico impiego.
2.1.— L’articolo 11 della legge Regione
Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011 contiene disposizioni relative a
interventi in materia di attività culturali e sportive. In particolare i commi
113, 118, 261, 264 e 282 prevedono la fruizione di contributi (per la
promozione del cinema di qualità, per la valorizzazione e conservazione del
patrimonio cinematografico di interesse regionale, per le attività culturali
dei Comuni di Coseano e di Sedegliano, nonché per il Teatro stabile di Udine)
anche per quanto concerne le spese sostenute dai beneficiari nell’anno 2011,
ovvero prima dell’entrata in vigore della legge censurata.
2.2.— L’art. 13, comma 30, della legge
regionale oggetto del presente giudizio autorizza l’assegnazione d’ufficio e in
via straordinaria, da parte dell’amministrazione regionale, entro il 30 giugno
2012, di un fondo di 250.000 euro per il sostegno delle attività svolte dal
consorzio per i Comuni aderenti alla Comunità collinare del Friuli. Tale
assegnazione è forfetaria e non soggetta a rendicontazione.
2.3.— L’art. 13, comma 32, della legge
censurata riconosce all’amministrazione regionale la possibilità di assegnare
per l’anno 2012, senza rendicontazione, salvo che la Giunta non preveda
diversamente con riferimento a singole fattispecie, un fondo di 500.000 euro a
favore dei Comuni per la compensazione di particolari situazioni.
2.4.— L’art. 13, comma 52, della
medesima legge regionale prevede che il personale non dirigenziale in servizio
presso le Province, alla data di entrata in vigore della legge, con un rapporto
di lavoro a tempo determinato, che abbia già maturato, alla medesima data,
almeno diciotto mesi di esperienza lavorativa nel settore delle politiche del
lavoro, purché assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale,
possa essere stabilizzato.
2.5.— L’art. 15, comma 4, della legge
regionale impugnata stabilisce che «Per le finalità di cui al comma 18
dell’articolo 13 della legge regionale 24/2009, la disciplina di cui
all’articolo 12, comma 19, della legge regionale 14 agosto 2008, n. 9
(Assestamento del bilancio 2008), trova applicazione anche con riferimento al
personale regionale in servizio con contratto di lavoro a tempo determinato
alla data del 31 dicembre 2006, […]».
2.6.— L’art. 15, comma 10, della legge
regionale sopra menzionata dispone che il beneficio economico per le
graduatorie già in essere alla data di entrata in vigore della presente norma,
fatto salvo il diritto all’immediata ricollocazione in graduatoria e al
riconoscimento ai fini giuridici dell’eventuale progressione acquisita, sia
riconosciuto, con diritto agli arretrati, previo reperimento delle risorse
previste dagli accordi integrativi. La corresponsione di tale beneficio
economico verrà riconosciuta prima della corresponsione al personale di
emolumenti relativi a procedure di progressione riferite alla decorrenza
successiva.
2.7.— L’art. 16, comma 1, della legge
censurata condiziona l’obbligo di contribuzione a titolo di solidarietà e
perequazione, posto a carico della Regione dall’art. 1, commi da 151 a 159,
della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità 2011), alla piena
ed effettiva attuazione dell’articolo 119 della Costituzione e alla verifica
che un omologo contributo venga richiesto a tutte le autonomie territoriali del
Paese.
2.8.— L’art. 18 della legge impugnata
regola l’esame del patto di stabilità interno per gli enti locali della
Regione. In particolare il comma 3, modificativo del comma 6 dell’art. 12 della
legge regionale 30 dicembre 2008, n. 17 (Disposizioni per la formazione del
bilancio pluriennale ed annuale della Regione. – Legge finanziaria 2009), stabilisce
l’ulteriore obiettivo, oltre al rispetto del conseguimento dell’equilibrio
economico, della progressiva riduzione del debito. Il comma 7, a sua volta
modificativo del comma 12 dell’art. 12 della legge reg. n. 17 del 2008,
definisce tale obiettivo, secondo le seguenti modalità: a) per le Province e i
Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, lo stock di debito deve
essere ridotto del 2 per cento nel 2012, dell’1 per cento a decorrere dal 2013
rispetto allo stock di debito al 31 dicembre dell’anno precedente; b) per i
Comuni con popolazione compresa tra 5001 e 10.000 abitanti, lo stock di debito
deve essere ridotto dell’1 per cento nel 2012, dello 0,5 per cento a decorrere
dal 2013 rispetto allo stock di debito al 31 dicembre dell’anno precedente; c)
per i Comuni con popolazione inferiore o uguale a 5.000 abitanti che hanno
deliberato di aderire ai vincoli previsti dal patto di stabilità l’obiettivo di
riduzione è solo consigliato. Il comma 8, posto a modifica del comma 13
dell’art. 12 della legge reg. n. 17 del 2008, prevede la tipologia di enti
esonerati. Il comma 11 stabilisce che, all’articolo 12 della legge reg. n. 17
del 2008, dopo il comma 21, sia inserito il comma 21-bis, in base al quale, a
fini conoscitivi e di trasmissione al Ministero dell’Economia e delle Finanze,
per le valutazioni sull’andamento dei saldi di finanza pubblica, sono richiesti
contestualmente all’invio delle informazioni di cui al comma 21, i dati
necessari per la costruzione del saldo di competenza mista.
2.9.— L’art. 18, comma 24, della
medesima legge impugnata dispone che a decorrere dal 2012 gli enti locali
regionali possano contrarre mutui fino al limite del 12 per cento delle entrate
relative ai primi tre titoli delle entrate del rendiconto del penultimo anno
precedente quello in cui viene prevista l’assunzione dei mutui.
3.— La difesa dello Stato censura, in
primo luogo, l’art. 11, commi 113, 118, 261, 264 e 282, della legge Regione
Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011, contenenti disposizioni relative a interventi
in materia di attività culturali e sportive, per violazione dell’art. 97, primo
comma, con riferimento al rispetto del principio generale del buon andamento
della pubblica amministrazione e dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia
di coordinamento della finanza pubblica, cui la Regione non può derogare. Ad
avviso del ricorrente le norme regionali violerebbero, appunto, tali principi
nella parte in cui consentono la fruizione di contributi per spese sostenute
prima dell’entrata in vigore della legge regionale, senza predeterminazione dei
criteri sottesi all’assegnazione dei contributi.
3.1.— Il ricorrente impugna, in secondo
luogo, l’art. 13, comma 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n.
18 del 2011, relativo alla fruizione di un fondo a sostegno del consorzio di
Comuni della Comunità collinare del Friuli. Tale norma sarebbe illegittima
nella parte in cui consente la fruizione di contributi in relazione a spese non
soggette, in via generale, ad obbligo di rendicontazione. La norma violerebbe
di conseguenza l’art. 97, primo comma, con riferimento al rispetto del
principio generale del buon andamento della pubblica amministrazione e l’art.
117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica,
cui la Regione, si sostiene, pur nel rispetto della sua autonomia, non può
derogare.
3.2.— Secondo la difesa dello Stato,
anche l’art. 13, comma 32, della legge impugnata, riguardante l’assegnazione di
un fondo di 500.000 euro a favore dei Comuni, allo scopo di compensare particolari
situazioni, non soggetto a rendicontazione, salvo diversa decisione da parte
della Giunta e con rifermento a singole fattispecie, comporterebbe la
violazione dell’articolo 97, primo comma, riguardo il rispetto del principio
generale del buon andamento della pubblica amministrazione e dell’articolo 117,
terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica.
3.3.— L’art. 13, comma 52, nel prevedere
la possibilità di stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio
con rapporto di lavoro a tempo determinato presso le Province e con almeno 18
mesi di esperienza lavorativa nel settore delle politiche del lavoro, si
porrebbe in contrasto con l’art. 17, comma 10, del decreto-legge 1° luglio
2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della
partecipazione italiana a missioni internazionali), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1 della legge 3 agosto 2009, n. 102. Secondo il
ricorrente, la normativa statale, nello stabilire che le amministrazioni pubbliche
possono bandire concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato con una
riserva di posti, non superiore al 40 per cento dei posti messi a concorso, per
il personale non dirigenziale, non consentirebbe una generica salvaguardia di
tutte le stabilizzazioni, anche se programmate ed autorizzate. Pertanto la
disposizione regionale impugnata, nella parte in cui prevede processi di
stabilizzazione non conformi alla normativa statale, lederebbe il principio di
eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nonché l’art. 97 in materia di accesso ai
pubblici uffici e l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento
della finanza pubblica.
3.4.— Il ricorrente, in quinto luogo,
censura l’art. 15, comma 4, della legge in esame, poiché, nello stabilire la
possibilità di stabilizzazione del personale in servizio con contratto di
lavoro a tempo determinato alla data del 31 dicembre 2006 mediante proroghe dei
relativi contratti, si pone in contrasto, anch’esso, con l’art. 17, comma 10,
del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dall’art. 1
della legge n. 102 del 2009, che non consentirebbe una generica salvaguardia di
tutte le stabilizzazioni, anche se programmate ed autorizzate. Dunque, anche
l’art. 15, comma 4, nella parte in cui prevede processi di stabilizzazione non
conformi alla normativa statale, violerebbe il principio di eguaglianza di cui
all’art. 3, l’art. 97 in materia di accesso ai pubblici uffici e l’art. 117,
terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica.
3.5.— L’art. 15, comma 10, della legge
regionale oggetto del presente giudizio, nel riconoscere un beneficio
economico, con diritto agli arretrati, previo reperimento delle risorse
previste dagli accordi integrativi per le graduatorie già in essere alla data di
entrata in vigore della presente norma, è censurato dalla difesa dello Stato,
perché contrasta con l’articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della
legge 30 luglio 2010, n. 122, in base al quale, per il personale
contrattualizzato, le progressioni in carriera comunque denominate ed i
passaggi tra le aree eventualmente disposte per gli anni 2011, 2012, e 2013
hanno effetto a fini esclusivamente giuridici. Di conseguenza la disposizione
regionale impugnata, nella parte in cui prevede il riconoscimento del beneficio
economico violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. che riserva allo Stato il
compito di fissare i principi di coordinamento della finanza pubblica.
3.6.— L’art. 16, comma 1, della legge n.
18 del 2011, nel condizionare l’obbligo di contribuzione a titolo di
solidarietà e perequazione, posto a carico della Regione dai commi da 151 a 159
dell’articolo 1 della legge n. 220 del 2010, alla piena ed effettiva attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione e alla verifica che un omologo contributo
venga richiesto a tutte le autonomie territoriali del Paese contrasta con le
disposizioni legislative contenute nei citati commi da 151 a 159 dell’articolo
1 della legge n. 220 del 2010 e viola gli artt. 81, quarto comma, e 119,
secondo comma, Cost.
La difesa dello Stato ricorda che tale
obbligo è stato concordato nel quadro dell’Accordo sottoscritto da Stato e Regione
a Roma in data 29 ottobre 2010, privo di qualsivoglia condizione alla
liquidazione delle somme e che gli effetti positivi sui saldi di finanza
pubblica sono stati già scontati nell’ambito di norme legislative inderogabili.
Pertanto, la prevista possibilità di condizionare l’erogazione delle somme
risultanti ad una sorta di controllo ex post riservato alla Regione sarebbe
lesiva del principio di leale collaborazione sulla base del quale l’Accordo è
stato stipulato.
3.7.— Secondo la difesa dello Stato,
l’art. 18, commi 3, 7, 8 e 11, della legge impugnata, concernente il patto di
stabilità interno per gli enti locali della Regione, violerebbe, in ottavo
luogo, l’articolo 8 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità
2012) e, conseguentemente, gli articoli 117, terzo comma e 119, secondo comma,
Cost. che riservano allo Stato i principi in materia di coordinamento della
finanza pubblica.
Per quanto riguarda i commi 3, 7 e 8 le
modalità individuate dalla Regione parrebbero utilizzare come parametro di
riferimento lo stock di debito, non parametrato alla popolazione. Cosicché
l’effetto di riduzione potrebbe essere verosimilmente inferiore rispetto a
quello auspicato dalla norma nazionale, chiedendo pertanto agli enti locali
della Regione Friuli-Venezia Giulia uno sforzo minore rispetto a quello
richiesto ad analoghi enti delle Regioni a statuto ordinario.
Per quanto concerne il dettato del comma
11, riguardante le modalità e le tempistica per la trasmissione al Ministero
dell’Economia e delle Finanze dei dati rilevanti per il patto di stabilità
interno, l’Avvocatura dello Stato osserva che le regole regionali applicate
agli enti della Regione non consentono di garantire il conseguimento della
correzione dell’indebitamento netto ascritto agli enti della Regione secondo le
tempistiche stabilite dal legislatore nazionale. La premessa per la
determinazione del quadro nazionale, sostiene la difesa dello Stato, è la
disponibilità preventiva di dati certi e completi. Non sarebbe pertanto
accettabile che i termini per la comunicazione dei dati che le singole Regioni
fissano al proprio interno, nei rapporti con gli enti locali, siano successivi
a quelli stabiliti su base nazionale. Al fine del coordinamento della finanza
pubblica, il monitoraggio di cui si lamenta l’assenza deve prevedere la stessa
tempistica adottata da tutti gli enti locali presenti sul territorio.
Il ricorrente ricorda inoltre che la
Regione, in virtù delle disposizioni recate dall’articolo 1, comma 155, della
legge 13 dicembre 2010, n. 220, può modificare le regole, purché resti fermo
l’obiettivo complessivo espresso in termini di competenza mista. Nella
disciplina regionale del patto mancherebbe invece una disposizione che consenta
di verificare che le regole regionali applicate agli enti della Regione siano
tali da garantire, comunque, il conseguimento della correzione
dell’indebitamento netto ascritto agli enti regionali.
3.8.— L’art. 18, comma 24, è censurato, infine,
per violazione degli artt. 117, terzo comma, nonché 119, secondo comma, Cost.
in materia di coordinamento della finanza pubblica. La norma impugnata si pone
in contrasto con l’articolo 204, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) che
consente all’ente locale di assumere nuovi mutui e accedere ad altre forme di
finanziamento reperibili sul mercato in misura non superiore al 12 per cento
per l’anno 2011, all’8 per cento per l’anno 2012, al 6 per cento per l’anno
2013 e al 4 per cento a decorrere dall’anno 2014.
4.— Con atto depositato nella
cancelleria di questa Corte il 16 aprile 2012, si è costituita in giudizio la
Regione Friuli-Venezia Giulia, sostenendo che le censure prospettate dal
Presidente del Consiglio dei ministri sono inammissibili e, comunque, non
fondate.
4.1.— Nella successiva memoria,
depositata nella cancelleria di questa Corte il 1° ottobre 2012, la difesa
regionale si sofferma sui singoli profili di inammissibilità o di infondatezza
delle censure proposte.
4.2.— Con riguardo all’impugnazione
dell’art. 11, commi 113, 118, 261, 264 e 282, della legge n. 18 del 2011 la
difesa regionale evidenzia che il ricorso non contesta la ragionevolezza della
legge nella parte in cui individua i destinatari dei contributi, ma concentra
le censure in relazione alla fruibilità dei contributi anche in riferimento a
spese sostenute in periodi anteriori all’entrata in vigore della stessa. La
censura relativa alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. sarebbe
inammissibile per genericità, mancando del tutto sia l’indicazione del
principio fondamentale che si ritiene violato, sia l’argomentazione sulle
ragioni del contrasto. La questione risulterebbe anche infondata, non essendo
rinvenibile nell’ordinamento statale, a parere della resistente, alcun
principio di coordinamento della finanza che vieti il riconoscimento successivo
del sostegno pubblico di attività già svolte. Al pari risulterebbe infondato
anche il profilo relativo all’art. 97 Cost. Le norme censurate, si sostiene,
individuano chiaramente la logica e lo scopo delle erogazioni, che ben possono
essere soddisfatte, secondo la resistente, dal legislatore regionale con leggi
che rientrano nel tipo delle leggi-provvedimento. Né l’art. 97 vieterebbe di
offrire un contributo finanziario in relazione ad attività già compiute. Del
resto nel ricorso non si afferma che nel processo decisionale vi siano state
omissioni o discriminazioni o alcuna violazione del principio di eguaglianza.
Nel merito la Regione dimostra,
utilizzando il riferimento ai commi non impugnati dell’art. 11, che la censura
relativa alla mancata predeterminazione dei criteri non è pertinente,
trattandosi in questi casi di una legge-provvedimento, da contestare semmai in
base agli standard di tale tipo di leggi. Considerando che i destinatari dei
contributi sono soggetti di natura pubblica, o comunque privi di qualunque fine
lucrativo risulterebbero evidenti, secondo la resistente, le ragioni di
interesse pubblico che giustificano l’erogazione.
4.3.— Quanto alla censura riguardante
l’assenza dell’obbligo di rendicontazione, in violazione dell’art. 97 e
dell’art. 117, terzo comma, Cost., la difesa regionale fa presente che,
successivamente al ricorso, l’art. 13, commi 30 e 32, è stato oggetto di
modifica da parte della Regione Friuli-Venezia Giulia, con conseguente
cessazione della materia del contendere.
I commi 30 e 32 dell’art. 13 della legge
impugnata sono stati modificati dall’art. 10, commi 70 e 71, della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia 25 luglio 2012, n. 14 (Assestamento del bilancio
2012 e del bilancio pluriennale per gli anni 2012-2014 ai sensi dell’articolo
34 della legge regionale 21/2007) che ha introdotto l’obbligo di
rendicontazione. In particolare il nuovo testo del comma 30 prevede che
«L’Amministrazione regionale è autorizzata ad assegnare d’ufficio entro il 30
giugno 2012 alla Comunità collinare del Friuli, in via straordinaria, un fondo
di 250.000 euro per il sostegno delle attività svolte dal consorzio per i
comuni aderenti. L’Ente beneficiario rendiconta l’assegnazione ricevuta entro
il 30 giugno 2013. A tal fine si applicano le disposizioni di cui all’articolo
42 della legge regionale 7/2000». Mentre il comma 32 stabilisce che «L’Amministrazione
regionale è autorizzata ad assegnare per l’anno 2012 un fondo di 500.000 euro,
a favore dei Comuni per la compensazione di particolari situazioni. La Giunta
regionale individua con deliberazione, entro e non oltre il 30 settembre 2012,
eventualmente sulla base delle segnalazioni formulate dai Comuni, le situazioni
da finanziare, le risorse da assegnare e le modalità di erogazione; per le
fattispecie di situazioni particolari individuate in modo generale, la Giunta
definisce anche i criteri di riparto; l’assegnazione è soggetta a
rendicontazione. A tal fine si applicano le disposizioni di cui all’articolo 42
della legge regionale 7/2000».
4.4.— Per quanto concerne la censura
relativa all’art. 13, comma 52, e ai processi di stabilizzazione del personale
non dirigenziale in servizio presso le Province, la difesa regionale delinea il
contesto normativo regionale dal quale emergerebbe che la norma impugnata
prevede una deroga, di portata circoscritta, ai principi generali del pubblico
impiego, nel contesto di una disciplina già limitativa delle assunzioni,
appositamente dettata dalla Regione al fine di contenere i costi del personale.
La memoria conclude affermando che la questione è inammissibile per genericità,
considerato che il ricorso si limita ad enunciare i parametri invocati, senza
svolgere alcun motivo. Secondo la Regione non è chiaro in quale punto la norma
impugnata non sia conforme alla disciplina statale di modo che la genericità
della censura risulta evidente in relazione ai singoli parametri evocati.
Anche nel merito, ad avviso della
Regione, le questioni sono infondate.
Innanzitutto la norma impugnata non
violerebbe l’art. 3 Cost. perché, chiarito che il ricorso non individua neppure
il tertium comparationis e rimanendo oscuro se esso debba essere identificato
con la normativa che riguarda la generalità dei dipendenti pubblici, o con
quella che regola il personale che opera nella Regione o, ancora, con quale
sottogruppo di esso, è del tutto ragionevole e pienamente giustificabile che
nel settore delle politiche del lavoro si operi una limitata deroga ai vincoli
relativi alle assunzioni. Non varrebbe neppure avanzare l’ipotesi di una
presunta discriminazione che riguardi le altre Regioni poiché, se la norma
rispetta i limiti della potestà legislativa regionale, l’eventuale diversità di
regime rispetto ai dipendenti delle Province di altre Regioni sarebbe naturale
conseguenza della struttura regionale dell’ordinamento italiano.
Quanto alla censura relativa all’art. 97
Cost., la difesa regionale suppone che essa si riferisca ad una asserita
violazione del principio del concorso pubblico (in realtà neppure nominato nel
ricorso). Secondo la difesa regionale la norma impugnata, nel prevedere una
limitata stabilizzazione di personale non dirigenziale, assunto mediante
procedure selettive di natura concorsuale e con almeno 18 mesi di esperienza
nel settore delle politiche del lavoro, al fine di perseguire un esplicito
scopo di interesse pubblico, risulta conforme all’art. 97 Cost, alla luce dei
criteri individuati dalla giurisprudenza costituzionale per l’applicazione del
principio del concorso pubblico.
Per quanto concerne il contrasto con
l’art. 17, comma 10, del d.l. n. 78 del 2009 la memoria regionale osserva che
le assunzioni presso la pubblica amministrazione rientrano pacificamente nella
materia dell’organizzazione amministrativa, competenza primaria della Regione
ai sensi dell’art. 4, numero 1), dello statuto della Regione Friuli-Venezia
Giulia e, se ritenuto più favorevole, dell’art. 117, quarto comma, Cost.
Riguardo alla presunta violazione del’art. 117, terzo comma, Cost., la
questione sarebbe infondata.
Sotto un primo profilo si rammenta che,
considerando la speciale autonomia della Regione resistente, lo Stato ha
definito i modi con cui la Regione Friuli-Venezia Giulia concorre al
risanamento della finanza pubblica, con norme che hanno recepito l’Accordo di
Roma del 29 ottobre 2010. Invero i commi 154 e 155 dell’art. 1 della legge n.
220 del 2010, che recepisce tale Accordo, attribuiscono alla Regione poteri di
coordinamento finanziario con riferimento agli enti locali, nel quadro della
generale competenza legislativa regionale in materia di finanza locale prevista
dallo statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia e, in sede di attuazione
statutaria, dall’art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in
materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni). Lo
Stato non potrebbe dunque richiedere che la Regione venga vincolata da
prescrizioni dettagliate, che non hanno lo scopo di limitare la spesa, quali
quelle previste dall’art. 17, comma 10, del d.l. n. 78 del 2009, che regolano
la procedura di stabilizzazione. Del resto la Corte, ricorda la difesa della
Regione, ha stabilito, valorizzando l’art. 1, commi 132 e 136, della legge n.
220 del 2010, che i vincoli finanziari posti dal d.l. n. 78 del 2010 non si
applicano alla Regione Valle d’Aosta, sulla base di argomenti che ben si
adattano anche alla situazione della Regione Friuli-Venezia Giulia. La difesa
ricorda, inoltre, che è l’art. 12 della legge regionale 30 dicembre 2008, n. 17
(Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della
Regione), a definire in via esclusiva le regole per il concorso del sistema
delle autonomie locali della Regione al raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica.
La difesa continua sostenendo che, ferma
la specifica posizione della Regione resistente, tali censure risulterebbero
infondate anche se esaminate con i criteri che valgono per le Regioni a statuto
ordinario. Nell’affermare ciò la difesa regionale sembra dubitare del fatto che
l’art. 17, comma 10, del d.l. n. 78 del 2009 rappresenti un principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, poiché non stabilisce né
un vincolo di spesa, né innova il quadro dei vincoli esistenti. Tale norma, di
conseguenza, regolando un concorso riservato a fini di stabilizzazione,
sembrerebbe da ascriversi alla materia organizzazione amministrativa e non al
coordinamento della finanza pubblica. In ogni modo, la difesa afferma che non
sembra possibile considerare come principi fondamentali gli specifici limiti
che l’art. 17, comma 10, pone alla stabilizzazione, trattandosi di norme che
non hanno lo scopo di contenere la spesa, ma solo quello di regolare
puntualmente la procedura in questione, con prescrizioni autoapplicative e non
suscettibili di svolgimento alcuno da parte regionale.
4.5.— Per quanto riguarda la censura
relativa all’art. 15, comma 4, della legge regionale impugnata, essa è
formulata, secondo la difesa regionale, in termini identici rispetto a quella
relativa all’art. 13, comma 52, per cui anche per essa varrebbero le eccezioni
di inammissibilità già svolte e alle quali la resistente rinvia. Mancherebbero
in particolare l’illustrazione dei termini del contrasto tra norma regionale e
norma statale, l’individuazione del tertium comparationis per la questione
basata sull’art. 3 Cost., l’individuazione dei profili di contrasto tra norma
regionale e la giurisprudenza costituzionale relativa all’art. 97 Cost., e,
infine, l’individuazione dei principi fondamentali nell’ambito dell’art. 17,
comma 10, del d.l. n. 78 del 2009. La Regione lamenta che, anche in relazione a
questa censura, la difesa statale afferma il contrasto con i parametri evocati,
senza illustrare le ragioni di tale contrasto.
Anche per quanto concerne il merito
valgono considerazioni analoghe a quelle formulate al punto precedente: la norma
impugnata prevede la stabilizzazione di persone che hanno maturato una lunga
esperienza nell’amministrazione regionale, alla quale hanno avuto accesso sulla
base di un concorso pubblico. Perciò, tenuto conto della giurisprudenza
costituzionale, la norma non violerebbe né l’art. 3 né l’art. 97 della
Costituzione in quanto tutela l’interesse pubblico a consolidare rilevanti
esperienze, senza concedere un irragionevole privilegio ad alcuni dipendenti.
Quanto all’art. 117 Cost., la difesa rinvia integralmente alle considerazioni
già svolte al punto precedente riguardo all’infondatezza della questione, con
la precisazione che la Regione non ha autonomia solo sugli obblighi finanziari
degli enti locali ma anche sui propri. In termini generali i rapporti finanziari
Stato-Regione sono ispirati al principio della determinazione consensuale. Tale
principio, ricorda la difesa, ha trovato concretizzazione anche nell’articolo
27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di
federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione). È
dunque in sede di determinazione concordata del patto di stabilità che, ricorda
la convenuta, vanno definiti i limiti alle spese regionali.
4.6.— Quanto alla censura riguardante
l’art. 15, comma 10, essa sembra fondata su un equivoco, osserva la difesa
regionale, in quanto la norma regionale riguarda le procedure di progressione
orizzontale per l’anno 2010, il che escluderebbe in radice ogni contrasto con
l’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010. Tale norma, inoltre, non potrebbe
essere considerata un valido parametro di valutazione della disciplina
regionale perché, nella prospettazione regionale, non esprime un vero principio
di coordinamento della finanza pubblica, trattandosi di una norma che limita
una voce specifica di spesa con norma autoapplicativa, non suscettibile di
svolgimento da parte della Regione. La norma regionale non potrebbe essere
comunque annullata per violazione della competenza statale in materia di
ordinamento civile, alla quale la giurisprudenza costituzionale l’ha
ricondotta, poiché il ricorso ha invocato solo l’art. 117, terzo comma, Cost.
4.7.— Per quanto riguarda l’art. 16,
comma 1, si sostiene, in primo luogo, che il ricorso ricostruisca in modo
inesatto la disposizione regionale. A differenza di quanto argomenta
l’Avvocatura dello Stato la norma non riserva alla Regione alcuna verifica, ma
si limita a ricordare un impegno dello Stato, al quale chiede un’assicurazione.
La disposizione, perciò, non violerebbe gli accordi sottoscritti, ma anzi
sarebbe pienamente conforme ad essi. Quanto alla presunta violazione dell’art.
1, commi da 151 a 159, della legge n. 220 del 2010, la Regione afferma che tale
norma interposta contiene una pluralità di disposizioni non riconducibili ad unità,
e pertanto la censura appare indeterminata e generica. Considerando che il
ricorso ricostruisce in maniera inesatta il contenuto dell’art. 16, comma 1, e
che invoca parametri in parte non pertinenti, la Regione conclude che la
questione risulta oscura e, dunque, inammissibile.
Nel merito la censura sarebbe infondata
perché, alla luce dei diversi obiettivi perseguiti dal protocollo d’intesa, la
verifica, peraltro rimessa allo Stato, che le risorse siano destinate alla
soddisfazione dell’interesse pubblico cui erano preordinate secondo l’art. 1,
comma 152, della legge n. 220 del 2010 non costituirebbe una condizione posta
dalla Regione, come ritenuto dalla difesa dello Stato, ma un semplice rinnovo
da parte statale dell’impegno assunto nell’Accordo. Il principio di leale
collaborazione invocato dalla difesa statale sarebbe piuttosto violato dalla
pretesa statale di poter usare liberamente le risorse regionali, senza dover
garantire il rispetto della destinazione fissata consensualmente: una mutazione
unilaterale della destinazione delle risorse in questione sarebbe in chiara
violazione dell’Accordo d’intesa. Così precisato l’oggetto della disposizione
impugnata, anche il profilo relativo all’art. 81, quarto comma, Cost. sarebbe
infondato. Poiché il contributo in questione dovrebbe dare copertura
finanziaria a provvedimenti normativi destinati all’attuazione del federalismo
fiscale, la difesa regionale sostiene che, finché la riforma non sarà attuata,
non si produrrebbe alcuno squilibrio nella finanza statale. Non sarebbe del
resto possibile affermare che il contributo in questione abbia già prodotto
effetti positivi sui saldi di finanza pubblica, poiché l’art. 1, comma 152,
della legge n. 220 del 2010 destinava tale contributo ad uno scopo preciso, ma
non ancora realizzato.
4.8.— Per quanto riguarda l’art. 18,
commi 3, 7, 8 e 11, della legge n. 18 del 2011, la difesa regionale sostiene
che la norma interposta violata andrebbe circoscritta all’art. 8, comma 3,
lettera a), della legge n. 183 del 2011 e che, di conseguenza, la censura
andrebbe riferita al solo art. 12, comma 12, della legge n. 17 del 2008, come
introdotto dal comma 7 dell’art. 18 della legge regionale n. 18 del 2011 e non
anche alle altre disposizioni indicate nel ricorso. La censura così identificata
sarebbe comunque inammissibile, poiché la violazione del presunto principio del
coordinamento della finanza pubblica, sostiene la Regione, deve essere
effettiva e certa, mentre lo stesso ricorso sembrerebbe considerarla come una
mera eventualità.
Nel merito la censura appare infondata,
poiché la disciplina regionale si rivela più rigorosa di quella statale, dato
che prevede in ogni caso il dovere di riduzione del debito facendolo scattare
dal 2012, mentre l’art. 8, comma 3, della legge n. 183 del 2011 prevede tale
riduzione solo a partire dal 2013 e solo se essa supera, oltre una certa
percentuale, il debito medio pro-capite. Di conseguenza, la Regione avrebbe non
solo rispettato il principio statale, ma lo avrebbe tradotto in una normativa
più efficace di quella statale, anche se ispirata a criteri applicativi
parzialmente diversi. Né vi sarebbe base alcuna per ipotizzare che il risultato
sia una riduzione del debito minore rispetto alle altre Regioni, essendo invece
possibile che, a seconda delle circostanze, possa essere anche di molto
maggiore: infatti, l’impegno a ridurre lo stock di debito risulta indipendente
dal calcolo pro-capite. Ancora una volta, la difesa richiama l’ampia potestà
regionale in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale già
illustrata riguardo la censura dell’art. 13, comma 52. In sostanza lo Stato si
limiterebbe a concordare con la Regione i vincoli finanziari, lasciandole il
compito di regolare gli obblighi finanziari propri e degli enti locali. Poiché,
sostiene la difesa regionale, la riduzione del debito rientra negli obblighi
finanziari degli enti locali definiti dalla Regione al fine del raggiungimento
degli obiettivi concordati con lo Stato, la specifica modalità di riduzione del
debito prevista dall’art. 8, comma 3, della legge n. 183 del 2011 non potrebbe
considerarsi vincolante per la Regione. L’autonomia regionale nella disciplina
della riduzione del debito rientrerebbe, invece, tra le ipotesi dell’art. 1,
commi 154 e 155, della legge n. 220 del 2010 e dunque tra le responsabilità
gravanti sulla Regione con riferimento al "sistema regionale integrato” che le
impongono di garantire la tenuta finanziaria del sistema delle autonomie locali
friulane. Questo consentirebbe alla Regione di definire vincoli adeguati alla
peculiare situazione degli enti locali, in relazione ai limiti e all’ammontare
del loro indebitamento.
In ogni caso, anche a prescindere dallo
speciale regime di cui alla legge n. 220 del 2010, secondo la resistente,
mentre la riduzione del debito è principio di coordinamento di cui all’art. 8
della legge n. 183 del 2011, il criterio del superamento della differenza
rispetto al debito medio pro-capite è senz’altro da considerarsi una norma di
dettaglio, non vincolante per le Regioni e ancor meno per la Regione
Friuli-Venezia Giulia, dotata di ampia potestà in materia di finanza locale e
che finanzia gli enti locali con oneri a carico del proprio bilancio. Il
carattere dettagliato della norma sarebbe poi acclarato, secondo la memoria
della resistente, dall’elemento che la concretizzazione del criterio è affidata
ad un decreto ministeriale che non potrebbe legittimamente applicarsi alle
Regioni.
4.9.— Per quanto riguarda l’art. 18,
comma 11, la questione sarebbe inammissibile per genericità. Non solo, sostiene
la difesa regionale, il ricorso non indica quale norma dell’art. 8 della legge
n. 183 del 2011 sarebbe violata, ma, poiché tale norma interposta non si occupa
del monitoraggio né dei suoi termini, il parametro invocato risulterebbe
inconferente. Il ricorso, inoltre, sosterrebbe irragionevolmente che la norma
censurata, volta a rafforzare le verifiche della riduzione dell’indebitamento
utilizzando i dati relativi al saldo di competenza mista, non consente il
monitoraggio, il quale, invece, avviene proprio attraverso l’analisi di tale
tipo di dati.
Nel merito, la censura risulterebbe
infondata, derivando da un equivoco. La normativa impugnata, infatti,
aggiungerebbe soltanto un ulteriore strumento di monitoraggio a quelli
esistenti, introducendo obblighi informativi ulteriori rispetto a quelli
esistenti. In sintesi il monitoraggio previsto dalla legge regionale
rispetterebbe ampiamente e perfettamente i termini statali.
4.10.— Quanto all’art. 18, comma 24, la
Regione ritiene che la differenza tra la normativa regionale e quella statale
non vada valutata in termini di contrasto, ma di adattamento alla specifica
situazione regionale, che non richiede una drastica riduzione della capacità di
contrarre mutui. Non va dimenticato, sostiene la Regione, che essa ha potestà
primaria in materia di finanza locale, ex art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997 e
che, pertanto, le spetta individuare gli obiettivi per ciascun ente locale
facente parte del sistema regionale integrato, nonché le modalità necessarie al
raggiungimento degli obiettivi complessivi di volta in volta concordati con lo
Stato per il periodo di riferimento. Del resto le disposizioni statali relative
al patto di stabilità interno non troverebbero applicazione con riferimento
agli enti locali costituenti il sistema regionale integrato, ex art. 1, comma
155, della legge n. 220 del 2010. Di conseguenza, la decisione di fissare il
limite del 12 per cento delle entrate per l’assunzione di mutui, comunque
inferiore a quello previgente, rientrerebbe nella sfera di autonomia regionale
in materia di finanza locale.
Considerato in diritto
1.— Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con
ricorso notificato il 5 marzo 2012 e depositato nella cancelleria di questa
Corte il 12 marzo 2012 (reg. ric. n. 59 del 2012), ha impugnato l’articolo 11,
commi 113, 118, 261, 264 e 282, l’articolo 13, commi 30, 32 e 52, l’articolo
15, commi 4 e 10, l’articolo 16, comma 1, l’articolo 18, commi 3, 7, 8, 11 e
24, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2011, n. 18
(Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della
Regione. Legge finanziaria 2012), in relazione agli articoli 4, 5 e 6 dello
statuto della Regione, adottato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1
(Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), e agli artt. 3, 81,
quarto comma, 97, 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.
2.— Deve anzitutto essere dichiarata la
cessazione della materia del contendere con riferimento alle questioni
riguardanti l’art. 13, commi 30 e 32, della legge della Regione Friuli-Venezia
Giulia n. 18 del 2011, relativi ad assegnazioni forfettarie di contributi, non
soggette a rendicontazione.
Successivamente alla proposizione del
ricorso qui in esame, è entrata in vigore la legge della Regione Friuli-Venezia
Giulia 25 luglio 2012, n. 14 (Assestamento del bilancio 2012 e del bilancio
pluriennale per gli anni 2012-2014 ai sensi dell’articolo 34 della legge
regionale 21/2007), che ha modificato entrambe le norme impugnate in modo da
riparare i vizi contestati dal Governo.
In particolare, il censurato art. 13,
comma 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011, nella
nuova formulazione di cui all’art. 10, comma 70, della legge della Regione
Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012, prevede ora espressamente che l’ente
«beneficiario rendiconta l’assegnazione ricevuta entro il 30 giugno 2013. A tal
fine si applicano le disposizioni di cui all’articolo 42 della legge regionale
7/2000». A sua volta il censurato art. 13, comma 32, della legge della Regione
Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011, nella nuova formulazione di cui all’art.
10, comma 71, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2012,
afferma ora esplicitamente che «l’assegnazione è soggetta a rendicontazione. A
tal fine si applicano le disposizioni di cui all’articolo 42 della legge
regionale 7/2000».
In sede di discussione in udienza
pubblica, l’Avvocatura generale dello Stato ha preso atto, in accordo con
quanto sostenuto dalla controparte, che le norme regionali censurate sono state
modificate in conformità ai rilievi sollevati nel ricorso, senza che tali norme
possano aver ricevuto applicazione medio tempore, ed ha espressamente aderito
alla richiesta di parte regionale che sia dichiarata la cessazione della
materia del contendere.
In definitiva, conformemente alla
giurisprudenza di questa Corte (ex
plurimis sentenza
n. 192 del 2011 e ordinanze n. 238 del 2011
e n. 136 del
2010), essendo venute meno le ragioni della controversia per concorde
riconoscimento delle parti, deve essere dichiarata la cessazione della materia
del contendere, in relazione alle censure aventi ad oggetto l’art. 13, commi 30
e 32, della legge Regione Friuli-Venezia Giulia, n. 18 del 2011.
3.— Occorre ancora, preliminarmente,
esaminare i profili di ammissibilità eccepiti dalla Regione resistente.
La questione relativa all’art. 11, commi
113, 118, 261, 264 e 282 – che prevedono la fruizione di contributi regionali
anche per coprire spese già sostenute dai beneficiari nell’anno 2011, ovvero
prima dell’entrata in vigore della legge censurata – sarebbe del tutto generica
e carente di adeguate motivazioni, secondo quanto affermato dalla difesa
regionale.
3.1.— L’eccezione è fondata.
In effetti, il ricorso si limita ad
affermare la lesività delle disposizioni in esame rispetto agli artt. 97, primo
comma, e 117, terzo comma Cost., senza tuttavia fornire una adeguata
motivazione in ordine alle specifiche ragioni che determinerebbero le dedotte
lesioni dei principi generali di buon andamento della pubblica amministrazione
e di coordinamento della finanza pubblica, tralasciando persino di menzionare
le norme interposte che si assumono violate.
Le doglianze vengono basate
esclusivamente sull’assunto (non altrimenti dimostrato) della non conformità
delle previsioni oggetto di impugnazione ai parametri costituzionali evocati:
esse, dunque, non rispondono ai requisiti di chiarezza e completezza richiesti
per la valida proposizione di una questione di legittimità costituzionale.
Invero questa Corte (ex multis ordinanza n. 123
del 2012 e sentenza
n. 312 del 2010) ha avuto modo, anche recentemente, di ricordare che è
principio consolidato nella giurisprudenza costituzionale che il ricorso in via
principale non solo «deve identificare esattamente la questione nei suoi
termini normativi», indicando «le norme costituzionali e ordinarie, la
definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce
l’oggetto della questione di costituzionalità» (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2007,
n. 139 del 2006,
n. 450 e n. 360 del 2005,
n. 213 del 2003,
n. 384 del 1999),
ma deve, altresì, «contenere una seppur sintetica argomentazione di merito a
sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità della legge» (si
vedano, oltre alle pronunce già citate, anche le sentenze n. 261 del 1995
e n. 85 del 1990),
ponendosi l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa
«in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che in quelli
incidentali» (sentenze n. 139 del 2006
e n. 450 del
2005).
Va quindi dichiarata l’inammissibilità
della questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 113, 118,
261, 264 e 282, promossa in riferimento agli artt. 97 e 117, terzo comma, della
Costituzione.
4.— Nel merito, la questione relativa
all’art. 13, comma 52, della legge regionale n. 18 del 2011, è fondata.
L’impugnato art. 13, comma 52, prevede
che il personale non dirigenziale in servizio presso le Province, alla data di
entrata in vigore della legge, con un rapporto di lavoro a tempo determinato,
che abbia già maturato, alla medesima data, almeno diciotto mesi di esperienza
lavorativa nel settore delle politiche del lavoro, purché assunto mediante
procedure selettive di natura concorsuale, possa essere stabilizzato. Ad avviso
del ricorrente, tale stabilizzazione si porrebbe in contrasto con l’art. 17,
comma 10, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi,
nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni
internazionali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 3
agosto 2009, n. 102, in considerazione del fatto che la disposizione regionale
non rispetterebbe il limite quantitativo indicato dalla legislazione statale,
che consente una riserva di posti entro una soglia massima del 40 per cento,
rispetto a quelli messi a concorso. Pertanto la disposizione regionale
impugnata, nella parte in cui prevede processi di stabilizzazione non conformi
alla normativa statale di riferimento, dal punto di vista del rispetto dei
limiti quantitativi, lederebbe gli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost., in
materia di coordinamento della finanza pubblica.
4.1.— In effetti, la norma interposta invocata
dal ricorrente, art. 17, comma 10, del decreto-legge n. 78 del 2009, prevede
che, nel triennio 2010-2012, le amministrazioni pubbliche locali «possono
bandire concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato con una riserva di
posti, non superiore al 40 per cento dei posti messi a concorso, per il
personale non dirigenziale in possesso dei requisiti di cui all’articolo 1,
commi 519 e 558, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e all’articolo 3, comma
90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244». La norma regionale censurata,
invece, consente alle Province di procedere alla stabilizzazione del personale
non dirigenziale in servizio, secondo una modalità che, pur ispirandosi al
procedimento delineato dalla norma interposta, nulla dice in merito alla quantificazione
della riserva di posti disponibili. L’omessa indicazione di una soglia massima
di posti riservati determina un contrasto con la legislazione statale e, di
riflesso, con l’art. 117, terzo comma, Cost.
Occorre, infatti, ricordare che
l’invocato art. 17, comma 10, del d.l. n. 78 del 2009, è stato più volte
qualificato da questa Corte come principio fondamentale di coordinamento della
finanza pubblica, perché si ispira alla finalità del contenimento della spesa
nello specifico settore del personale (sentenze n. 212 del 2012,
nn. 310, 108, 69 e 68 del 2011),
al cui rispetto sono tenute anche le Regioni a statuto speciale (sentenze n. 229 del 2011
e n. 169 del
2007). In proposito questa Corte ha ritenuto che le previsioni della
disposizione sopra citata hanno introdotto nuove modalità di valorizzazione
dell’esperienza professionale acquisita dal personale precario, prevedendo
l’espletamento di concorsi pubblici con parziale riserva dei posti in favore di
tale personale, precludendo a tutte le pubbliche amministrazioni, a partire dal
gennaio 2010, ogni diversa procedura di stabilizzazione del personale non di
ruolo.
A prescindere, dunque, da ogni ulteriore
valutazione della disposizione censurata in relazione agli invocati artt. 3 e
97 Cost. che, a garanzia dell’uguaglianza dei cittadini e dell’imparzialità e
buon andamento della pubblica amministrazione, esigono il pieno rispetto del
principio del pubblico concorso, specie per la definizione di posizioni a tempo
indeterminato (ex plurimis, sentenze n. 235 del 2010,
nn. 252 e 293 del 2009) –
principio che risulterebbe menomato da procedure selettive riservate, che
escludano o riducano irragionevolmente le possibilità di accesso dall’esterno –
la norma censurata risulta costituzionalmente illegittima per violazione
dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
5.— Anche la questione relativa all’art.
15, comma 4, della legge Regione Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011, è
fondata.
5.1.— Il Presidente del Consiglio dei
ministri ritiene che la disposizione qui in discussione, nel prevedere la
stabilizzazione del personale in servizio con contratto di lavoro a tempo
determinato alla data del 31 dicembre 2006, mediante proroghe dei relativi
contratti, si ponga in contrasto, anch’esso, con l’art. 17, comma 10, del
decreto-legge n. 78 del 2009, sopra citato, che invece non consentirebbe una generica
salvaguardia di tutte le stabilizzazioni, anche se programmate ed autorizzate.
Dunque, anche l’art. 15, comma 4, nella parte in cui prevede processi di
stabilizzazione non conformi alla normativa statale, violerebbe gli artt. 3, 97
e 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica.
5.2.— La disposizione impugnata prevede,
testualmente, che «Per le finalità di cui al comma 18 dell’articolo 13 della
legge regionale 24/2009, la disciplina di cui all’articolo 12, comma 19, della
legge regionale 14 agosto 2008, n. 9 (Assestamento del bilancio 2008), trova
applicazione anche con riferimento al personale regionale in servizio con
contratto il lavoro a tempo determinato alla data del 31 dicembre 2006, […]».
In altri termini, la norma censurata
estende, dal punto di vista temporale, la disciplina prevista dall’art. 12,
comma 19, della legge regionale n. 9 del 2008, esplicitamente richiamato nel
testo della disposizione in esame, in base alla quale «la Regione può
continuare ad avvalersi del personale, in servizio al 31 dicembre 2007, nonché
alla data di entrata in vigore della presente legge, con contratto di lavoro a
tempo determinato, assunto mediante utilizzo di graduatorie di concorsi
pubblici per l’accesso all’impiego regionale, anche in deroga alla scadenza
delle graduatorie stesse, mediante proroghe dei rispettivi contratti, al fine
di definire un piano di assunzioni a tempo indeterminato […]».
La norma impugnata delinea, dunque, un
processo di stabilizzazione di personale già in servizio con contratto di
lavoro a tempo determinato, prorogando indefinitamente contratti a termine già
scaduti e più volte rinnovati ai sensi della normativa regionale previgente,
con chiara elusione del principio del pubblico concorso – previsto dall’art. 97
Cost. a garanzia dell’eguaglianza, dell’imparzialità e del buon andamento della
pubblica amministrazione – e dell’art. 117, terzo comma, Cost. in riferimento
all’art. 17, comma 10, del d.l. n. 78 del 2009, che, come è stato poco sopra
ricordato, la Corte ha qualificato principio fondamentale in materia di
coordinamento della finanza pubblica.
5.3.— Occorre notare che la Corte ha già
avuto modo di decidere in tempi recenti, con sentenza n. 217 del
2012, una questione di legittimità costituzionale prospettata in relazione
ad altra disposizione della Regione Friuli-Venezia Giulia (art. 12, comma 28,
della legge Regione Friuli-Venezia Giulia, 11 agosto 2011, n. 11, recante
«Assestamento del bilancio 2011 e bilancio pluriennale per gli anni 2011-2013
ai sensi dell’art. 34 della legge regionale n. 21 del 2007») del tutto simile
nei contenuti a quella oggetto della presente censura, pronunciandosi per
l’illegittimità costituzionale.
Anche nel caso che viene ora all’esame
della Corte, come in quello deciso con sentenza n. 217 del
2012, le proroghe dei contratti a termine previste dalla disposizione
impugnata sono chiaramente finalizzate a far rientrare i lavoratori titolari di
tali contratti in un piano di assunzioni a tempo indeterminato. Non essendo
previsto un termine finale per la proroga e neppure per la definizione del
piano di assunzioni, la norma impugnata perpetua una modalità di assunzione del
personale, per porre rimedio alle carenze di organico, che fa del contratto a
termine un modulo ordinario di assunzione del personale della pubblica
amministrazione e non già forma contrattuale riservata, come dovrebbe essere,
ad esigenze eccezionali e straordinarie, in violazione, appunto dell’art. 97
Cost. (sentenza
n. 217 del 2012).
5.4.— Né la circostanza che il personale
titolare dei contratti a tempo determinato di cui si tratta sia stato
selezionato attraverso l’«utilizzo di graduatorie di concorsi pubblici per
l’accesso all’impiego regionale» vale a superare il conflitto con il principio
del pubblico concorso.
Anzitutto, perché la disposizione
contiene un riferimento generico e indeterminato alle graduatorie per l’accesso
all’impiego regionale, senza specificare né delimitare l’ambito delle
graduatorie all’interno delle quali si può attingere per la stabilizzazione del
rapporto di lavoro, cosicché la disposizione non offre sufficienti garanzie per
assicurare che il rapporto di lavoro configurato nel contratto a termine
stabilizzato riguardi funzioni corrispondenti o paragonabili a quelle per le
quali era stata originariamente effettuata la selezione concorsuale.
In secondo luogo, la disposizione
autorizza esplicitamente l’amministrazione regionale ad attingere alle predette
graduatorie anche in deroga alla scadenza delle stesse, cosicché il
collegamento con l’originario concorso pubblico che ha dato luogo alla
graduatoria può risultare assai remoto nel tempo.
Infine, non si può ignorare che, secondo
la giurisprudenza di questa Corte, il concorso è necessario anche nei casi di
trasformazione di rapporti non di ruolo in rapporti di ruolo (sentenze n. 150 del 2010,
n. 293 del 2009
e n. 205 del
2004). Tale principio può subire limitate deroghe, giustificate
dall’esigenza di garantire alla pubblica amministrazione specifiche competenze
consolidatesi all’interno dell’amministrazione stessa e non acquisibili
dall’esterno. Evenienza, quest’ultima, che non ricorre in ordine alla
disposizione impugnata, la quale delinea una generica procedura di
stabilizzazione del personale precario, del tutto priva di riferimenti alla
specificità di particolari competenze e funzioni di cui l’amministrazione
abbisogna.
5.5.— La norma si pone, dunque, in
aperto contrasto, tanto con l’art. 97 Cost., quanto con l’art. 117, terzo
comma, Cost. in riferimento all’art. 17, comma 10, del decreto-legge n. 78 del
2009, le cui previsioni, come è stato poco sopra ricordato, costituiscono
principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica e
precludono a tutte le pubbliche amministrazioni, a partire dal gennaio 2010,
ogni diversa procedura di stabilizzazione del personale non di ruolo.
Pertanto, l’art. 15, comma 4, della
legge Regione Friuli-Venezia Giulia, n. 18 del 2011 deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo.
6.— La questione relativa all’art. 15,
comma 10, della legge impugnata è fondata con riferimento all’art. 117, terzo
comma, Cost. e all’art. 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010.
La norma impugnata rientra in una
disposizione, l’articolo15 della legge n. 18 del 2011, che riunisce un insieme
eterogeneo di interventi in materia di funzione pubblica.
Il comma censurato, nel riconoscere un
beneficio economico, con diritto agli arretrati, condizionato al previo
reperimento delle risorse previste dagli accordi integrativi, si pone in netto
contrasto con la norma statale interposta che prevede esplicitamente che «per
il personale contrattualizzato le progressioni in carriera comunque denominate,
ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013
hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».
Peraltro è opportuno ribadire che questa
Corte ha già affermato, con la recente sentenza n. 215 del
2012, che la norma interposta, art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010,
vincola le Regioni, anche a statuto speciale, nei suoi aspetti di dettaglio,
senza alcuna possibilità di deroga. Di conseguenza, il contrasto tra la
disposizione della legge regionale Friuli-Venezia Giulia e la legge statale
determina l’illegittimità costituzionale della prima.
7.— La censura relativa all’art. 16,
comma 1, della legge impugnata è ugualmente fondata.
7.1.— La disposizione impugnata, ad
avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, subordina l’obbligo di
contribuzione a titolo di solidarietà e perequazione, posto a carico della
Regione Friuli-Venezia Giulia dai commi da 151 a 159 dell’articolo 1 della
legge n. 220 del 2010, alla piena ed effettiva attuazione dell’articolo 119
della Costituzione e alla verifica che un omologo contributo venga richiesto a
tutte le autonomie territoriali del Paese, in violazione degli artt. 81, quarto
comma, e 119, secondo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione.
7.2.— Il comma oggetto del ricorso
subordina a una condizione aggiuntiva e peculiare l’effettiva ottemperanza
della Regione Friuli-Venezia Giulia agli obblighi di solidarietà, contratti in
base al Protocollo d’Intesa firmato a Roma il 29 ottobre 2010 e recepito
dall’articolo 1, comma 152, della legge n. 220 del 2010. Con la disposizione
impugnata, infatti, la Regione esige un’assicurazione «da parte dello Stato
della piena ed effettiva attuazione dell’articolo 119 della Costituzione
secondo i principi enunciati nella legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al
governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119
della Costituzione) e del coinvolgimento nel medesimo impegno di tutte le
Regioni e Province autonome, Comuni e Province». Di conseguenza,
l’amministrazione regionale risulta autorizzata ad effettuare la contribuzione
prevista dall’art. 1, commi 152 e 153, della legge n. 220 del 2010, solo a
condizione che lo Stato abbia effettuato tale «assicurazione».
7.3.— Detta condizione, posta
unilateralmente dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, costituisce una violazione
del principio di leale collaborazione e dell’art. 119 Cost.
Infatti, la contribuzione della Regione
resistente è stata introdotta dalla legislazione statale nel quadro
dell’attuazione della legge n. 42 del 2009, a sua volta applicativa dell’art.
119 Cost., e a fronte di una procedura concertata, ispirata alla leale
collaborazione e confluita nel Protocollo di Roma sopracitato. Di conseguenza,
la previsione unilaterale di una condizione ulteriore – la predetta
«assicurazione» da parte statale – costituisce violazione del principio di
leale collaborazione e determina l’illegittimità costituzionale della
disposizione che l’introduce.
Restano assorbiti gli altri motivi di
doglianza.
8.— La censura relativa all’art. 18,
commi 3, 7 e 8, della legge impugnata non è fondata.
8.1.— Il comma 3, modificativo del comma
6 dell’art. 12 della legge regionale 30 dicembre 2008, n. 17 (Disposizioni per
la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della Regione. – Legge
finanziaria 2009), stabilisce l’obiettivo della progressiva riduzione del
debito. Il comma 7, a sua volta modificativo del comma 12, dell’art. 12 della
legge reg. n. 17 del 2008, definisce tale obiettivo, secondo le seguenti
modalità: a) per le Province e i Comuni con popolazione superiore a 10.000
abitanti, lo stock di debito deve essere ridotto del 2 per cento nel 2012 e
dell’1 per cento a decorrere dal 2013 rispetto allo stock di debito al 31
dicembre dell’anno precedente; b) per i Comuni con popolazione compresa tra
5001 e 10.000 abitanti, lo stock di debito deve essere ridotto dell’1 per cento
nel 2012 e dello 0,5 per cento a decorrere dal 2013 rispetto allo stock di
debito al 31 dicembre dell’anno precedente; c) per i Comuni con popolazione
inferiore o uguale a 5.000 abitanti che hanno deliberato di aderire ai vincoli
previsti dal patto di stabilità l’obiettivo di riduzione è solo consigliato. Il
comma 8, posto a modifica del comma 13 dell’art. 12 della legge reg. n. 17 del
2008, prevede la tipologia di enti esonerati.
In altri termini, i tre commi censurati,
introdotti in sostituzione rispettivamente dei commi 6, 12 e 13 della legge
regionale n. 17 del 2008, impongono agli enti locali della Regione di ridurre,
a partire dal 2012, lo stock di debito, mentre per i Comuni minori la riduzione
è solo consigliata. Gli obiettivi di riduzione vengono individuati in una
percentuale più elevata nel 2012, che poi si stabilizza a partire dal 2013.
Secondo la parte ricorrente, tali
disposizioni contrasterebbero con l’art. 8 della legge 12 novembre 2011, n. 183
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.
Legge di stabilità 2012), il quale, al comma 3, prevede che un decreto di
natura non regolamentare del Ministero dell’Economia e delle Finanze
stabilisca, tra l’altro, «distintamente per regioni, province e comuni, la
differenza percentuale, rispetto al debito medio pro capite, oltre la quale i
singoli enti territoriali hanno l’obbligo di procedere alla riduzione del
debito». Secondo la Presidenza del Consiglio, il legislatore regionale avrebbe
introdotto criteri di riduzione del debito difformi da quelli previsti dallo
Stato nell’esercizio della sua competenza in materia di coordinamento della
finanza pubblica ex art. 117, terzo comma, Cost.; tale diversità nei criteri di
riduzione potrebbe frustrare i tentativi di risanamento finanziario sul piano
nazionale, cosicché le disposizioni impugnate sarebbero costituzionalmente
illegittime per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.
8.2.— La disposizione statale
sopracitata deve senz’altro essere qualificata principio di coordinamento della
finanza pubblica, vincolante, secondo la giurisprudenza costituzionale (ex multis, sentenze n. 229 del 2011,
n. 120 del 2008,
n. 169 del 2007)
anche per le Regioni ad autonomia speciale e pertanto per la Regione
Friuli-Venezia Giulia.
Lo scopo di riduzione del debito
complessivo non può che essere perseguito dal legislatore nazionale attraverso
norme capaci d’imporsi all’intero sistema delle autonomie, senza eccezioni, e
in base a parametri comuni, ugualmente non soggetti a deroghe, allo scopo di
garantire la confrontabilità dei risultati in termini di risanamento della
finanza pubblica.
8.3.— Tuttavia, la riduzione del debito
prevista dal legislatore statale – i cui criteri sono, peraltro, ancora da
precisarsi, attraverso l’emanazione del relativo decreto non regolamentare –
non si applica che a partire dal 2013, laddove il legislatore regionale ha già
introdotto norme di contenimento e riduzione del debito a partire dal 2012,
anche a fronte della responsabilità che la Regione ha assunto nei confronti
dello Stato quanto alla tenuta finanziaria di tutti gli enti locali rientranti
nella propria sfera territoriale, con la creazione di un sistema regionale
integrato, ex art. 1, comma 155, della legge n. 220 del 2010.
Non sussistendo un diverso obbligo
imposto dal legislatore statale nei confronti dell’intero sistema delle
autonomie in riferimento all’anno 2012 e in attesa del previsto decreto
ministeriale, risulterebbe ingiustificato e irragionevole impedire alla Regione
Friuli-Venezia Giulia di introdurre misure per la riduzione del debito delle autonomie
locali insistenti sul suo territorio: misure che anzi anticipano gli effetti
della legislazione statale nel perseguire il medesimo obiettivo.
Resta inteso che, una volta che il
criterio statale diventi operativo, il legislatore regionale dovrà adeguarvisi,
al fine di garantire la riduzione del debito in base al debito medio
pro-capite, come indicato dall’art. 8 della legge n. 183 del 2011, consentendo
in tal modo il monitoraggio e la confrontabilità dei dati.
9.— La questione di legittimità
costituzionale avente ad oggetto l’art. 18, comma 11, della legge impugnata,
per violazione degli artt. 117, terzo comma e 119, secondo comma, della
Costituzione, è fondata.
9.1.— La disposizione impugnata
introduce un nuovo comma (21-bis), dopo il comma 21, all’art. 12 della legge
regionale n. 17 del 2008. Il comma 21 già prevedeva diverse scadenze, entro le
quali gli enti locali regionali erano tenuti a presentare diversi dati di
bilancio all’amministrazione regionale. Il comma 21-bis specifica che «A fini
conoscitivi e di trasmissione al Ministero dell’Economia e delle Finanze, per
le valutazioni sull’andamento dei saldi di finanza pubblica, sono richiesti
contestualmente all’invio delle informazioni di cui al comma 21, i dati
necessari per la costruzione del saldo di competenza mista».
L’Avvocatura dello Stato osserva che le
regole regionali applicate dalla Regione agli enti locali non consentono di
rispettare le tempistiche stabilite dal legislatore nazionale, pregiudicando in
tal modo allo Stato di ottenere i dati necessari per effettuare un completo
monitoraggio del patto di stabilità interno, a fini di coordinamento della
finanza pubblica a livello nazionale.
9.2.— La normativa regionale censurata
sembrerebbe essere stata adottata in ottemperanza a quanto previsto dall’art.
31, comma 20, della legge statale n. 183 del 2011, che ha fissato nel 31 marzo
di ogni anno la scadenza per la presentazione, da parte degli enti locali, del
saldo di competenza mista, ai fini del monitoraggio del patto di stabilità
interno.
Tuttavia, è proprio alla luce
dell’impegno assunto dalla Regione nei confronti dello Stato di monitorare
l’andamento della finanza pubblica del sistema di autonomie inscritte nel
territorio regionale e di garantirne la tenuta, che dev’essere dichiarata l’illegittimità
della norma impugnata, nella parte in cui prevede che i dati necessari per la
costruzione del saldo di competenza mista siano richiesti contestualmente
all’invio delle informazioni di cui al comma 21 citato.
Tale ultimo comma, infatti, include una
pluralità di scadenze, tra le quali risulta difficile persino individuare
quella che è fatta oggetto di specifico rinvio da parte della disposizione
impugnata. In ogni caso, quella che sembrerebbe plausibilmente rilevare –
perché relativa a dati a consuntivo – fa riferimento al 31 luglio. Poiché la
Regione Friuli-Venezia Giulia ha l’obbligo di trasferire al Ministero
dell’Economia e delle Finanze i dati relativi al saldo di competenza mista
entro il 31 marzo di ogni anno, non si vede come essa possa entrare in possesso
dei dati di ciascun ente locale in tempo utile, dal momento che sembra imporre
a questi il termine del 31 luglio per la trasmissione.
10.— È, infine, promossa questione di
legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 24, della legge censurata, per
violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della
Costituzione.
10.1.— La questione è fondata.
L’Avvocatura dello Stato ravvisa un
conflitto tra la normativa regionale e la legislazione statale, alla luce del
fatto che la disposizione impugnata prevede che gli enti locali insistenti
nella Regione possano assumere nuovi mutui a partire dal 2012 nel limite
massimo del 12 per cento, laddove il legislatore statale ha previsto
percentuali inferiori e progressivamente riducentisi, in base all’art. 204,
comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle
leggi sull’ordinamento degli enti locali). In particolare, la succitata
disposizione statale stabilisce il limite del 12 per cento per l’anno 2011,
mentre per l’anno 2012 il limite si abbassa all’8 per cento, riducendosi
ulteriormente al 6 per cento per l’anno 2013, fino a stabilizzarsi nella misura
del 4 per cento a partire dall’anno 2014. La normativa regionale è dunque
palesemente configgente con quella statale.
10.2.— Tale contrasto determina
l’illegittimità costituzionale della norma regionale, considerato che la norma
stabilita dal legislatore statale mira a contenere l’esposizione finanziaria
degli enti locali, a tutela dell’intero sistema di finanza pubblica e pertanto
si configura quale principio di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi
dell’art. 117, terzo comma, Cost., che le Regioni, anche a statuto speciale,
sono tenute a rispettare.
La disposizione regionale censurata,
consentendo l’assunzione di mutui entro limiti meno stringenti rispetto a
quelli previsti dalla legge dello Stato è, pertanto, costituzionalmente
illegittima.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 52, della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2011, n. 18 (Disposizioni per la
formazione del bilancio pluriennale ed annuale della Regione. Legge finanziaria
2012);
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 4, della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011;
3) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 10, della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011;
4) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 16, comma 1, della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011;
5) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 11, della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011;
6) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18, comma 24, della legge della
Regione Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011;
7) dichiara
cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 13, commi 30 e 32, della legge della Regione
Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011, promossa dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in riferimento agli articoli 97, primo comma, e 117, terzo comma,
della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
8) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 11,
commi 113, 118, 261, 264 e 282, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia
n. 18 del 2011, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in
riferimento agli articoli 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, con il
ricorso indicato in epigrafe;
9) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art 18, commi 3, 7
e 8, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 18 del 2011, promossa
dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’articolo 117,
terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2013.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 gennaio
2013.