SENTENZA N. 235
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, commi 1, 2, 3 e 12, e 9, commi 3 e 4, della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009 n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 16-20 ottobre 2009, depositato in cancelleria il 26 ottobre 2009 ed iscritto al n. 98 del registro ricorsi 2009.
Visto l’atto di costituzione della Regione Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 25 maggio 2010 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi l’ avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Graziano Campus e Salvatore Alberto Romano per la Regione Sardegna.
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso depositato in cancelleria il 26 ottobre 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, con riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione, nonché agli artt. 3 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e al principio di leale collaborazione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1, 2, 3 e 12, e dell’art. 9, commi 3 e 4, della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale).
1.1. - Espone il ricorrente che l’art. 3 della predetta legge regionale, rubricato «Disposizioni per il superamento del precariato», al comma 1, impone alcuni limiti alla Regione Sardegna e agli enti pubblici regionali sardi circa il ricorso ad assunzioni con contratti a tempo determinato; stabilisce un limite quantitativo massimo al ricorso a tali forme di collaborazione (non più del 3% dell’organico complessivo); prevede la necessità di procedure pubbliche di selezione (privilegiando quelle per soli titoli); precisa che tali assunzioni non costituiscono in alcun modo presupposto per l’ingresso nei ruoli a tempo indeterminato, prevedendo, infine, quale sanzione in caso di inosservanza delle disposizioni predette, la nullità dei provvedimenti di assunzione e la responsabilità contabile di chi li ha posti in essere.
Il comma 2 del predetto art. 3, espone il ricorrente, autorizza l’amministrazione regionale a finanziare programmi pluriennali di stabilizzazione dei lavoratori precari delle amministrazioni locali.
A sua volta, il comma 3 stabilisce che i comuni e le province provvedano alla realizzazione dei programmi di stabilizzazione dei lavoratori precari, fatta eccezione per quelli assunti con funzioni dirigenziali e per quelli di nomina fiduciaria degli amministratori, attribuendo priorità ai lavoratori provenienti dai cantieri a finanziamento regionale e a quelli già assunti con contratti a termine, di natura flessibile, atipica e con collaborazioni coordinate e continuative in ambito di analoghe attività a finanziamento pubblico regionale.
Il comma 12, infine, autorizza la Regione e gli enti regionali ad inquadrare i dipendenti in servizio a una certa data a tempo determinato, alla sola condizione che il rapporto di lavoro sia stato instaurato a seguito di concorso pubblico e che lo stesso sia stato prorogato almeno una volta alla data di entrata in vigore della legge.
Le predette disposizioni, secondo il Presidente del Consiglio, inciderebbero illegittimamente sulle competenze statali e dovrebbero essere dichiarate incostituzionali.
Quanto al comma 1, il ricorrente rammenta che l’art. 3 dello statuto speciale per la Sardegna contempla, alla lettera a), quale ambito della potestà legislativa regionale, l’«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale». Trattasi, secondo il ricorrente, di disposizione riferita alla potestà organizzativa, dalla quale esulerebbe del tutto la regolamentazione delle modalità di assunzione del personale a tempo determinato, che atterrebbe invece, con tutta evidenza, all’ordinamento civile.
Il successivo art. 5, alla lettera b), conferisce alla Regione la facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione in materia di lavoro, ma, sostiene il ricorrente, la potestà deve essere esercitata nell’ambito ed in consonanza con la normativa statale.
Secondo la previsione dell’art. l0 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), in carenza di disposizioni di rango costituzionale specificamente riferite alla Regione Sardegna, dovrebbe farsi riferimento alle previsioni dell’art. 117 Cost. Ebbene, la materia regolata al primo comma dell’art. 3 esulerebbe dalla competenza regionale, rientrando appunto nelle attribuzioni statali esclusive di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (ordinamento civile). La materia, infatti, sarebbe disciplinata dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato), che testualmente dispone, all’art. 10, comma 7, che «la individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi». La norma regionale sopra richiamata, in contrasto con la norma statale, sarebbe dunque invasiva di una competenza esclusiva dello Stato quale quella prevista dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e dovrebbe essere dichiarata incostituzionale.
In carenza di una norma statutaria ad hoc, il comma 1 dell’art. 3 si porrebbe altresì in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, uguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui del tutto irragionevolmente, nell’ambito delle forme pubbliche di selezione, privilegia, ai fini dell’assunzione, la selezione per soli titoli.
1.2. - Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, anche il comma 2 dell’art. 3 della legge censurata sarebbe illegittimo, per le stesse considerazioni svolte con riferimento al comma 1. La materia della stabilizzazione dei precari non sarebbe disciplinata dallo statuto della Regione Sardegna o norme successive e anch’essa inciderebbe sull’ordinamento civile, attribuito dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Carta fondamentale alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Peraltro, essa sarebbe in palese contrasto con l’art. 17, comma 15, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 3 agosto 2009, n. 102, che prevede, quale termine ultimo per procedere alle dette stabilizzazioni, la data del 31 dicembre 2010.
Anche l’art. 3, comma 3, della legge impugnata sarebbe illegittimo, dato che la materia della stabilizzazione dei precari non sarebbe in alcun modo disciplinata dallo statuto della Regione Sardegna o norme successive (in presenza del mero riferimento alla competenza attinente i profili organizzativi di cui all’art. 3, comma 1, lettera a), dello statuto citato ed alla materia del lavoro di cui all’art. 5) e atterrebbe, invece, all’ordinamento civile, per il quale l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione prevede la competenza legislativa esclusiva dello Stato. Peraltro, tale comma si porrebbe in palese contrasto con i diversi principi della normativa statale di cui all’art. 1, comma 519, della legge 7 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007), laddove si riferisce la procedura di stabilizzazione al «personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni», o che per un identico periodo sia stato in servizio negli ultimi cinque anni, e che sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge, contemplando per il personale precario diversamente assunto la necessità dell’espletamento di prove consimili. Il legislatore regionale, ampliando il novero dei soggetti destinatari della stabilizzazione e ricollegando il diritto alla stabilizzazione ad un periodo di servizio inferiore a quello individuato dalla normativa statale, avrebbe ecceduto dalla propria competenza.
Illegittimo, da ultimo, sarebbe il comma 12 dell’art. 3, con il quale si è previsto l’inquadramento di taluni dipendenti a tempo determinato. Anche qui difetterebbe la copertura dello statuto speciale o di norme sopravvenute di rango costituzionale direttamente riferite alla Regione Sardegna. Le uniche norme cui sarebbe in astratto ipotizzabile un rinvio, l’art. 3, lettera a) e l’art. 5, lettera b), dello statuto citato, conferiscono alla Regione, come visto, competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli uffici e stato giuridico ed economico del personale, ovvero competenza di mera integrazione ed attuazione nella materia del «rapporto di lavoro»: non pertanto, in tema di ordinamento civile, cui invece attiene la fattispecie in esame. Anche la norma in oggetto prevederebbe, per il personale regionale, un trattamento diverso rispetto al personale precario di altre amministrazioni pubbliche, in contrasto con la normativa statale di riferimento. Anche tale disposizione, inoltre, violerebbe i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost., eccedendo dalla competenza statutaria di cui all’art. 3, lettera a), e sarebbe destinata anch’essa ad essere dichiarata incostituzionale.
1.3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna poi l’art. 9 della stessa legge regionale della Sardegna n. 3 del 2009, che detta, come recita la rubrica, «Disposizioni a favore dell’istruzione, della cultura, dello spettacolo e dello sport».
Il comma 3 di tale norma dispone che «La Giunta regionale, al fine di favorire l’utilizzo del personale precario della scuola secondo l’ordine delle relative graduatorie, predispone, per l’anno 2009-2010, un programma di interventi volto a sostenere l’estensione del tempo scuola nelle scuole dell’infanzia fino a cinquanta ore settimanali e l’attivazione, nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, di moduli didattico-integrativi. Il programma è approvato in via preliminare dalla Giunta regionale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e inviato alla Commissione consiliare competente che esprime il proprio parere entro quindici giorni, decorsi i quali se ne prescinde. Entro ulteriori dieci giorni la Giunta regionale lo approva in via definitiva. Alla relativa spesa si fa fronte con le disponibilità sussistenti nelle UPB S02.01.001 e 502.01.006. La Giunta regionale provvede alle variazioni compensative nell’ambito delle medesime UPB à termini della legge regionale n. 11 del 2006».
Il successivo comma 4 dispone che «Nelle more di una riforma organica della normativa regionale in materia di istruzione, la Giunta regionale, nell’ambito delle dotazioni organiche complessive definite in base alle vigenti disposizioni e tenuto conto delle condizioni di disagio legate a specifiche situazioni locali, definisce le modalità e i criteri per la distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche. Nel rispetto dei criteri e delle modalità definiti dalla Giunta regionale, la direzione generale dell’Assessorato della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport, provvede alla distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche».
Le disposizioni ora riportate inciderebbero illegittimamente nell’ambito della competenza statale
L’art. 9 detta disposizioni in materia di utilizzo del personale precario della scuola e distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche. L’art. 5 dello statuto speciale conferisce alla Regione, alla lettera a), la facoltà di adottare norme di (mera) integrazione ed attuazione in materia di istruzione, in (ovvia e necessaria) conformità con le disposizioni contenute nella legislazione statale, in ottica di adattamento della stessa alle necessità scaturenti dalle peculiari caratteristiche della Regione stessa.
Il ricorrente evidenzia che la materia è stata oggetto di un accordo sottoscritto in data 31 luglio 2009 dal Ministro dell’istruzione e l’Assessore della pubblica istruzione della Regione Sardegna. Il comma 3, nel quale peraltro non è fatto alcun riferimento all’accordo, attribuisce alla Regione ogni potere decisionale in merito alla programmazione ed attuazione degli interventi, e ciò in contrasto con quanto previsto all’ultimo periodo del punto I dell’accordo (che recita: «con successivo accordo tra l’ufficio scolastico regionale e la Regione Sardegna saranno concordate le modalità di attuazione del piano»).
Da ciò discenderebbe, con piena evidenza, non solo una violazione delle competenze statutarie di cui all’art. 5, lettera a), ma anche una patente violazione del principio di leale collaborazione, pure costituzionalmente tutelato.
Anche la previsione del comma 4, prevedendo la distribuzione del personale alle istituzioni scolastiche da parte dell’Assessorato alla pubblica istruzione, potrebbe essere ricondotta in astratto nella materia di cui agli artt. 3 e 5 dello statuto della Regione Sardegna: non rientra, tuttavia, a ben vedere, nell’ordinamento degli uffici, né nello status dei dipendenti regionali.
Quanto alla materia dell’istruzione, si tratterebbe, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, di competenza che non può essere esercitata in contrasto con la normativa statale.
Orbene, le norme impugnate inciderebbero sull’ordinamento e l’organizzazione del sistema nonché sul rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni, rientranti nella competenza esclusiva dello Stato, atteso che le dotazioni organiche delle scuole sono determinate sulla base degli ordinamenti degli studi definiti a livello nazionale e che l’utilizzo del personale (di competenza statale), è regolato dai contratti nazionali di comparto.
Nella determinazione dei criteri e delle modalità di assegnazione non sarebbe d’altro canto fatto alcun riferimento al rispetto della normativa statale in materia, nella misura in cui gli stessi costituiscono principi generali, né sarebbe previsto alcun coinvolgimento dell’Ufficio scolastico regionale, circostanza anche questa in contrasto con il principio di leale collaborazione costituzionalmente tutelato.
Pertanto, il legislatore regionale eccederebbe dalla competenza statutaria di cui agli artt. 3 e 5 dello statuto speciale e violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni delle quali è garantita l’uniformità su tutto il territorio nazionale), nonché il principio di leale collaborazione che deve informare tutti i livelli di governo.
2. - Con atto del 24 novembre 2009 si è costituita nel giudizio di costituzionalità la Regione autonoma della Sardegna, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e infondato.
2.1. - Quanto alla prima censura, riguardante la disposizione di cui all’art. 3, comma 1, la Regione deduce che lo statuto speciale della Sardegna attribuisce alla Regione competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale» (art. 3, lettera a), dello statuto della Regione Sardegna). Detta previsione, lungi dal poter essere liquidata, come nel ricorso, con la rapida affermazione che essa sarebbe «riferita alla potestà organizzativa, dalla quale esula del tutto la regolamentazione delle modalità di assunzione del personale a tempo determinato, che atterrebbe, invece, alla materia dell’ordinamento civile», sarebbe proprio quella nella quale dovrebbe essere inquadrata la norma censurata, dato che i limiti ed i presupposti di utilizzazione di contratti a tempo determinato costituirebbero certamente aspetti organizzativi rilevanti per il funzionamento degli uffici regionali.
Priva di pregio sarebbe anche l’ulteriore censura relativa alla pretesa violazione degli artt. 3 e 97 Cost. per aver previsto che le assunzioni si svolgano attraverso forme pubbliche di selezione «privilegiando quelle per soli titoli». Secondo la Regione, la previsione di selezioni pubbliche per titoli – che sarebbero comunque forme concorsuali pleno jure – non può essere considerata irragionevole o contraria ai principi di buon andamento e imparzialità. In ogni caso, il ricorso non motiverebbe in alcun modo sulla pretesa irragionevolezza della scelta, che si palesa, al contrario, del tutto coerente con l’obiettivo di realizzare procedure concorsuali più brevi e snelle di quelle per esami, in relazione al tipo di contratto − a tempo determinato − cui si accede, ma ugualmente atte a garantire la selezione dei candidati più capaci, a tutela dell’efficienza dell’amministrazione.
2.2 - Infondate sarebbero anche le analoghe censure rivolte nei confronti del comma 2 dell’art. 3 della legge regionale n. 3 del 2009, contestato nella parte in cui prevede il finanziamento di programmi pluriennali di stabilizzazione, mentre la legislazione statale di cui all’art. 17, comma 15, della legge n. 102 del 2009 prevede quale termine ultimo per procedere alle stabilizzazioni il 31 dicembre 2010.
Anche per quanto attiene al comma 12 del medesimo art. 3, la materia rientrerebbe appieno nella competenza legislativa esclusiva della Regione Sardegna ex art. 3, lettera a), dello statuto speciale, e le ulteriori censure accennate nel ricorso con riferimento a detto comma 12 circa l’asserita violazione dei principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della p.a. nonché del principio del pubblico concorso dovrebbero essere considerate inammissibili in quanto prive di ogni illustrazione o argomentazione.
In ogni caso, esse sarebbero del tutto infondate, in quanto il comma in esame espressamente prevede che si possa procedere all’inquadramento del personale a tempo determinato soltanto «a condizione che il rapporto di lavoro sia stato instaurato a seguito di concorso pubblico conforme alle disposizioni della legge regionale n. 31 del 1998».
2.3. - Quanto al secondo gruppo di censure contenute nel ricorso, riguardanti l’art. 9, commi 3 e 4, della legge della Regione Sardegna, in particolare con riguardo al comma 3, la competenza attuativa integrativa che l’art. 5 dello statuto speciale attribuisce alla Regione Sardegna in materia di «istruzione di ogni ordine e grado» non sarebbe la sola a venire in rilievo nel caso in esame, dato che la Regione Sardegna godrebbe anche, ex art. 10 legge cost. n. 3 del 2001, delle competenze oggi spettanti ex art. 117 Cost. alle Regioni ad autonomia ordinaria, in quanto più ampie di quelle statutarie. Essa avrebbe le caratteristiche di una competenza concorrente, corrispondente in ampiezza almeno a quella di cui sono titolari le Regioni ordinarie.
Né potrebbe vedersi una violazione del principio di leale collaborazione nel fatto della non perfetta coincidenza tra l’accordo citato nel ricorso e la disposizione di legge in questione. Infatti è inconfutabile che detto accordo è stato raggiunto quando la legge regionale era già nella fase di approvazione finale.
La Regione comunque riferisce che, al momento in cui scrive, sono in corso contatti e lavori tra la Giunta regionale e il Ministero stesso per giungere ad una sua modifica a seguito delle più recenti evoluzioni legislative (con o.d.g. del 22 settembre 2009 il Consiglio regionale della Sardegna ha impegnato la Giunta in tal senso, avendo lo stesso MIUR manifestato la sua disponibilità).
Quanto alle censure attinenti il comma 4 dello stesso art. 9, secondo la Regione, sarebbero anch’esse del tutto infondate. Ai sensi dell’art. 10 legge cost. n. 3 del 2001, le competenze oggi spettanti ex art. 117 Cost. alle Regioni ad autonomia ordinaria sarebbero più ampie di quelle statutarie. Tra le prime andrebbe annoverata la competenza legislativa concorrente in materia di “istruzione” («salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale»), che, secondo la Regione, incontra solo il limite dei principi generali stabiliti con legge dello Stato, e delle “norme generali sull’istruzione” attribuite alla competenza esclusiva statale (art. 117, comma 2, lettera n), Cost.).
La disciplina della distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche sarebbe certamente aspetto di estremo dettaglio, per cui non rientrerebbe in alcuna delle competenze statali in materia.
3. - Con memoria depositata il 4 maggio 2010 la Regione ha illustrato ulteriormente le proprie precedenti deduzioni.
Considerato in diritto
1. − Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, con riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione, nonché agli artt. 3 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e al principio di leale collaborazione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1, 2, 3 e 12, e dell’art. 9, commi 3 e 4, della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale).
1.1. − Il comma 1 dell’art. 3 della legge regionale impugnata detta norme per il contenimento del ricorso ai contratti di lavoro a tempo determinato, sottoponendo ad alcuni limiti la possibilità della Regione Sardegna e degli enti pubblici regionali sardi di ricorrere, per far fronte alle proprie esigenze, a contratti a tempo determinato.
In particolare, essa stabilisce che a tali forme di collaborazione si può ricorrere solamente per far fronte a motivate esigenze straordinarie; impone alle stesse un limite quantitativo massimo (non più del 3% dell’organico complessivo); prevede la necessità di procedure pubbliche di selezione (privilegiando quelle per soli titoli); precisa che tali assunzioni non costituiscono in alcun modo presupposto per l’ingresso nei ruoli a tempo indeterminato e prevede le sanzioni in caso di inosservanza delle predette disposizioni (nullità dei provvedimenti di assunzione e responsabilità contabile di chi li ha posti in essere).
Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna la norma sotto un duplice profilo.
In primo luogo, deduce che essa invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, senza che sia possibile ricondurla nell’art. 3, lettera a), dello statuto della Regione Sardegna («Ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della regione e stato giuridico ed economico del personale») o nel successivo art. 5, lettera b) (che conferisce alla Regione la facoltà di adattare alle sue particolari esigenze le disposizioni delle leggi della Repubblica, emanando norme di integrazione ed attuazione in materia di lavoro).
In secondo luogo, il ricorrente censura – per violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza, uguaglianza, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost. – l’art. 3, comma 1, nella parte in cui privilegia, ai fini dell’assunzione, la selezione per soli titoli.
1.2. − Il comma 2 dell’art. 3 autorizza l’Amministrazione regionale a finanziare programmi pluriennali di stabilizzazione dei lavoratori precari delle amministrazioni locali.
Il comma 3, a sua volta, detta disposizioni sulla realizzazione dei programmi di stabilizzazione dei lavoratori precari di cui al precedente comma 2. In particolare, esso stabilisce che: «I comuni e le province provvedono alla realizzazione dei programmi di stabilizzazione dei lavoratori precari, fatta eccezione per quelli assunti con funzioni dirigenziali e per quelli di nomina fiduciaria degli amministratori, attribuendo priorità ai lavoratori provenienti dai cantieri a finanziamento regionale e a quelli già assunti con contratti a termine, di natura flessibile, atipica e con collaborazioni coordinate e continuative in ambito di analoghe attività a finanziamento pubblico regionale. Tali programmi di stabilizzazione sono attuati dagli enti locali interessati «avuto riguardo al personale precario che, entro la data di entrata in vigore della presente legge, abbia maturato almeno trenta mesi di servizio nelle pubbliche amministrazioni locali, anche non continuativi, a far data dal 1° gennaio 2002….».
Per tali commi, tra loro strettamente connessi, il ricorrente richiama le considerazioni svolte con riferimento al comma 1 e aggiunge che la materia della stabilizzazione dei precari non sarebbe disciplinata dallo statuto o da pertinenti norme successive e che anch’essa incide sull’ordinamento civile, materia attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Carta fondamentale alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
1.3. − Il comma 12, infine, autorizza la Regione e gli enti regionali ad inquadrare i dipendenti in servizio a una certa data a tempo determinato, alla sola condizione che il rapporto di lavoro sia stato instaurato a seguito di concorso pubblico e che lo stesso sia stato prorogato almeno una volta alla data di entrata in vigore della legge. Tale disposizione, secondo il ricorrente, difetterebbe di copertura da parte dello statuto speciale o di norme sopravvenute di rango costituzionale direttamente riferite alla Regione Sardegna e, incidendo nella materia, di competenza esclusiva statale, dell’ordinamento civile, prevederebbe un trattamento diverso rispetto al personale precario di altre amministrazioni pubbliche, in contrasto con la normativa statale di riferimento
Il ricorrente censura detta norma in quanto contrasterebbe con i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché con quello del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione; e soggiunge che la norma rientrerebbe nella materia dell’ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., eccedendo dalla competenza statutaria di cui all’art. 3, lettera a), dello statuto per la Regione Sardegna.
2. − Le censure relative al comma 1 non sono fondate.
Deve premettersi che la norma censurata intende porre dei limiti alla possibilità della Regione di ricorrere, per far fronte a esigenze lavorative, a contratti a tempo determinato. Di fatto, però, essa autorizza la Regione medesima a stipulare proprio contratti di lavoro precario. L’intento, dichiarato nell’incipit, è in tal modo chiaramente contraddetto. Ciò nondimeno, la norma non eccede dalla competenza legislativa regionale.
La denunciata lesione di una competenza legislativa statale (per violazione della Costituzione in materia di ordinamento civile, o del principio di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione, di accesso ai pubblici uffici mediante pubblico concorso) non sussiste.
2.1 − E infatti, quanto alla dedotta violazione della competenza legislativa statale esclusiva in materia di ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., deve osservarsi che questa Corte ha più volte affermato che, per la identificazione della materia in cui si colloca la disposizione impugnata, questa va individuata avendo riguardo all’oggetto o alla disciplina da essa stabilita, sulla base della sua ratio, senza tenere conto degli aspetti marginali e riflessi (in tal senso, sentenze n. 165 del 2007 e n. 368 del 2008).
In base ai suddetti criteri, la norma censurata deve ritenersi inquadrabile nella materia dell’organizzazione degli uffici regionali, attribuita dallo statuto sardo alla competenza legislativa esclusiva della Regione. L’art. 3, comma 1, invero, limitando la facoltà della Giunta regionale di ricorrere, per far fronte alle proprie esigenze operative, all’assunzione di lavoratori con contratto a tempo determinato, mira appunto a regolamentare le modalità di instaurazione di contratti di lavoro con la Regione. Essa, dunque, spiega la sua efficacia nella fase anteriore all’instaurazione del contratto di lavoro ed incide in modo diretto sul comportamento delle amministrazioni nell’organizzazione delle proprie risorse umane e solo in via riflessa ed eventualmente sulle posizioni soggettive discendenti da tale tipologia flessibile di contratto di lavoro.
D’altra parte, questa Corte ha più volte affermato il principio in base al quale «la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale è riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e rientra nella competenza residuale delle Regioni di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione» (sentenze n. 380 del 2004, n. 95 del 2008 e n. 100 del 2010).
Quanto alla dedotta irragionevolezza della preferenza accordata alla selezione concorsuale per soli titoli e alla conseguente denunciata violazione del principio del concorso pubblico, con conseguente lesione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., questa Corte ha più volte sottolineato il carattere non assoluto del principio enunciato nell’art. 97 Cost., ed ha affermato la legittimità di forme di selezione più agili, purché rispettose dell’esigenza di garantire parità nell’accesso e un adeguato livello di competenza. Per le assunzioni a tempo determinato, essa ha sempre sottolineato la diversità di situazione tra queste forme contrattuali, in cui la temporaneità dell’incarico può giustificare deroghe al principio del pubblico concorso, rispetto a quelle a tempo indeterminato (v. sentenze n. 252 e n. 293 del 2009). Deve, pertanto, ritenersi che la previsione di un metodo selettivo concorsuale più snello, in luogo di quello, maggiormente garantito, per titoli ed esami, è giustificata dal carattere temporaneo delle necessità organizzative da soddisfare e dalla conseguente esigenza di maggiore rapidità nello svolgimento delle selezioni. La norma, dunque, anche sotto tale aspetto, è ragionevole e rispettosa dei principi affermati da questa Corte.
3. − Sono fondate le questioni di costituzionalità relative ai commi 2, 3 e 12 dell’art. 3.
3.1 − Il comma 2 autorizza la Regione a finanziare programmi di stabilizzazione, prescindendo dall’espletamento di concorsi. Il comma 3 stabilisce che comuni e province provvedano alla realizzazione dei programmi di stabilizzazione dei lavoratori precari e ne demanda l’attuazione agli enti locali, dettando criteri per la selezione del personale.
In buona sostanza, le due norme citate consentono che avvenga in modo indiscriminato lo stabile inserimento di lavoratori nei ruoli delle pubbliche amministrazioni sarde, senza condizionare tali assunzioni al previo superamento di alcun tipo di prova selettiva pubblica da parte degli interessati. Pertanto, esse si pongono in aperto contrasto con l’art. 97 Cost., che impone il concorso quale modalità di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni e consente deroghe a tale principio solo qualora ricorrano esigenze particolari e sia adeguatamente garantita la professionalità dei prescelti.
3.2 −Ad analoghe conclusioni deve giungersi per quanto attiene alla questione riguardante il comma 12, che autorizza la Regione e gli enti regionali ad inquadrare i dipendenti in servizio a una certa data con contratto a tempo determinato, alla sola condizione che il rapporto di lavoro sia stato instaurato a seguito di concorso pubblico e che lo stesso sia stato prorogato almeno una volta alla data di entrata in vigore della legge.
Anche tale norma, invero, viola il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 51 e 97 Cost. La circostanza che il personale suscettibile di essere stabilizzato senza alcuna prova selettiva sia stato a suo tempo assunto con contratto a tempo determinato, sulla base di un pubblico concorso, per effetto della diversità di qualificazione richiesta delle assunzioni a termine rispetto a quelle a tempo indeterminato, non offre adeguata garanzia né della sussistenza della professionalità necessaria per il suo stabile inquadramento nei ruoli degli enti pubblici regionali, né del carattere necessariamente aperto delle procedure selettive.
Questa Corte, d’altronde, ha già avuto modo di affermare che «l’aver prestato attività a tempo determinato alle dipendenze dell’amministrazione regionale non può essere considerato ex se, ed in mancanza di altre particolari e straordinarie ragioni, un valido presupposto per una riserva di posti» (sentenza n. 205 del 2006); e che «il previo superamento di una qualsiasi “selezione pubblica”, presso qualsiasi “ente pubblico”, è requisito troppo generico per autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso, perché la norma non garantisce che la previa selezione avesse natura concorsuale e fosse riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere» (sentenza n. 293 del 2009).
4. – Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, altresì, l’art. 9, commi 3 e 4, della legge della Regione Sardegna n. 3 del 2009.
L’art. 9, comma 3, disciplina un programma di interventi per ampliare il tempo scuola nelle scuole dell’infanzia ed attivare moduli didattico-integrativi.
Il successivo comma 4 affida alla Giunta regionale la definizione di modalità e criteri per la distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche
Entrambe le norme incidono illegittimamente, secondo l’Avvocatura dello Stato, in ambiti riservati alla competenza statale, esorbitanti le competenze previste dallo statuto speciale, e violano il principio di leale collaborazione.
5. – Sotto il primo profilo, il Presidente del Consiglio rileva che l’art. 9, comma 3, della legge della Regione Sardegna citata, nel prevedere che la Giunta regionale, al fine di utilizzare il personale precario della scuola secondo l’ordine delle relative graduatorie, predisponga, per l’anno 2009-2010, un programma di interventi inteso a favorire l’estensione del tempo scuola nelle scuole dell’infanzia fino a cinquanta ore settimanali e l’attivazione, nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, di moduli didattico-integrativi, si porrebbe in contrasto con l’art. 5 dello statuto regionale, il quale, alla lettera a), conferisce alla Regione Sardegna la facoltà di adottare norme di mera integrazione ed attuazione in materia di istruzione, in conformità con le disposizioni contenute nella legislazione statale, in una ristretta prospettiva di adattamento della stessa alle necessità scaturenti dalle peculiari caratteristiche della Regione stessa
La norma impugnata violerebbe, inoltre, il principio di leale collaborazione, pure costituzionalmente tutelato, trascurando che la materia è stata già oggetto di un accordo sottoscritto in data 31 luglio 2009 dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dall’Assessore della pubblica istruzione della Regione Sardegna. In particolare, il ricorrente censura la norma regionale per non aver fatto alcun riferimento alla suddetta intesa, attribuendo alla Regione ogni potere decisionale in merito alla programmazione ed attuazione degli interventi, in spregio alla previsione di cui all’ultimo periodo del punto I dell’accordo, il quale recita: «con successivo accordo tra l’ufficio scolastico regionale e la Regione Sardegna saranno concordate le modalità di attuazione del piano».
5.1. − La questione promossa, in riferimento all’art. 5, lettera a), dello statuto della Regione Sardegna, non è fondata.
Il parametro costituzionale invocato è erroneo. A seguito della riforma del titolo V della parte II della Costituzione, le Regioni a statuto ordinario vantano, nella materia dell’istruzione, una competenza legislativa concorrente, e non meramente integrativa-attuativa. Per effetto del principio esposto nella citata legge n. 3 del 2001 di riforma costituzionale, le disposizioni dettate dall’art. 117 Cost., delineando spazi di autonomia regionale più ampi, prevalgono infatti sulle norme statutarie. L’individuazione del parametro operata dal Presidente del Consiglio non è, dunque, pertinente, perché la norma che rileva ai fini della competenza della Regione in materia di istruzione è ormai l’art. 117, terzo comma, Cost., e non più l’art. 5, lettera a), dello statuto speciale.
5.2. – La questione non è fondata neppure in riferimento al principio di leale collaborazione.
La norma denunciata investe, in effetti, competenze e organismi statali, ossia il personale precario della scuola, attinto dalle relative graduatorie e destinatario di assunzioni a termine per l’estensione del tempo scuola, nonché l’attivazione di moduli didattico-integrativi (questi ultimi all’interno delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado). In tale contesto l’accordo sottoscritto in data 31 luglio 2009 dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e dall’Assessore della pubblica istruzione della Regione Sardegna rinvia ad una successiva intesa della Regione con l’ufficio scolastico regionale la fissazione delle modalità di attuazione del piano.
La norma impugnata è rispettosa del principio di leale collaborazione perché, conformemente a quanto stabilito con l’accordo sottoscritto con il Ministro competente in data 31 luglio 2009, demanda, sia pure in modo implicito, la fase di confronto con l’autorità statale periferica al momento della concreta attuazione delle misure programmate. L’utilizzo, infatti, di risorse ed apparati centrali, nonché il coinvolgimento di risorse ed istituzioni nazionali, non può materialmente avvenire senza l’intesa con l’ufficio scolastico regionale.
6. – Il ricorrente censura anche l’art. 9, comma 4, della legge della Regione Sardegna n. 3 del 2009, che attribuisce alla Giunta il compito di definire, tenuto conto delle condizioni di disagio legate a specifiche situazioni locali, le modalità e i criteri per la distribuzione delle risorse di personale tra le istituzioni scolastiche e delega l’assessorato regionale alla pubblica istruzione ad attuare tali criteri mediante una più razionale distribuzione delle risorse umane tra le scuole.
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri la norma violerebbe la competenza in materia di istruzione ai sensi degli artt. 3 e 5 dello statuto della Sardegna; sarebbero lesi, inoltre, l’ordinamento e l’organizzazione del sistema, di competenza statale esclusiva, e l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., ossia la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire con uniformità su tutto il territorio nazionale, posto che le dotazioni organiche delle scuole sono determinate sulla base degli ordinamenti degli studi definiti a livello nazionale e che l’utilizzo del personale (di competenza statale) è regolato dai contratti nazionali di comparto; infine, sarebbero stati ignorati i principi generali della normativa statale in materia di istruzione, essendo stato omesso ogni riferimento al riguardo nella determinazione dei criteri e delle modalità di assegnazione del personale, nonché il principio di leale collaborazione tra tutti i livelli di governo, non essendo stato previsto alcun coinvolgimento dell’ufficio scolastico regionale.
6.1. – La questione promossa, in riferimento agli artt. 3 e 5 dello statuto della Regione Sardegna, non è fondata.
Il parametro costituzionale invocato è incongruo, atteso che l’art. 117 Cost., per effetto dell’art. 3 della citata legge costituzionale n. 3 del 2001, ha inserito l’istruzione tra le materie di legislazione concorrente ed ha così assegnato alla Regione uno spazio di autonomia più ampio rispetto alle norme statutarie. L’individuazione del parametro operata dal Presidente del Consiglio dei ministri non è, dunque, pertinente, dovendosi ora avere riguardo, ai fini della competenza della Regione in materia di istruzione, all’art. 117, terzo comma, Cost., piuttosto che agli artt. 3 e 5 dello statuto della Regione Sardegna.
6.2. – Anche in riferimento alla competenza statale esclusiva in tema di ordinamento ed organizzazione del sistema scolastico ed all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., sui livelli essenziali delle prestazioni, la questione sollevata non è fondata.
Questa Corte ha già chiarito che il compito della distribuzione del personale docente tra le istituzioni scolastiche autonome spetta alle Regioni (sentenza n. 13 del 2004). Essa ha più volte ribadito la necessità dell’intervento del legislatore regionale per la disciplina di «situazioni legate a valutazioni coinvolgenti specifiche realtà territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico». Ha così riconosciuto all’ambito di pertinenza regionale sia il settore della programmazione scolastica regionale, sia quello relativo al dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche, al quale è intimamente collegata la ripartizione delle correlative risorse di personale (sentenza n. 200 del 2009). D’altro canto, è la stessa norma regionale a circoscrivere espressamente il proprio intervento «nell’ambito delle dotazioni organiche complessive definite in base alle vigenti disposizioni». La volontà della Regione di conformarsi all’ordinamento statale, per quanto riguarda le dotazioni organiche determinate a livello nazionale, risulta quindi evidente dallo stesso tenore della norma.
Né rileva nella specie il richiamo alla fissazione dei livelli essenziali di prestazione, perché «la definizione dell’assetto organizzativo e gestorio del servizio» (sentenza n. 200 del 2009, che richiama altresì la sentenza n. 120 del 2005) rimane del tutto estranea al predetto parametro.
6.3. – La questione non è fondata, infine, nemmeno con riguardo al rispetto della normativa statale in materia di istruzione e del principio di leale collaborazione.
In primo luogo, perché non sono stati neppure indicati i principi generali, derivanti dalla normativa statale, che sarebbero stati violati.
In secondo luogo, perché, avendo la Regione disciplinato con legge la materia, non v’è da salvaguardare alcuna «esigenza di continuità di funzionamento del servizio di istruzione» che giustifichi tuttora l’intervento dell’ufficio scolastico regionale.
Da ultimo, la distribuzione del personale all’interno delle istituzioni scolastiche sulla base di scelte programmatiche e gestionali che rilevano solamente all’interno della Regione è da ritenere appartenente alla competenza legislativa dell’ente territoriale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 2, 3 e 12, della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Sardegna n. 3 del 2009 promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione e agli artt. 3, lettera a), e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 3 del 2009, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 5, lettera a), dello statuto della Regione Sardegna e al principio di leale collaborazione, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 4, della legge della Regione Sardegna n. 3 del 2009, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3 e 5 dello statuto della Regione Sardegna, all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2010.