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SENTENZA N.
150
ANNO 2010
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-
Francesco
AMIRANTE
Presidente
-
Ugo
DE
SIERVO
Giudice
-
Paolo
MADDALENA
"
-
Alfio
FINOCCHIARO
"
-
Alfonso
QUARANTA
"
-
Franco
GALLO
"
-
Luigi
MAZZELLA
"
-
Gaetano
SILVESTRI
"
-
Sabino
CASSESE
"
- Maria
Rita
SAULLE
"
-
Giuseppe
TESAURO
"
- Paolo
Maria
NAPOLITANO
"
-
Giuseppe
FRIGO
"
-
Alessandro
CRISCUOLO
"
-
Paolo
GROSSI
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. l, comma 1,
3, 4, 13 e 18 della legge della Regione Puglia 23 dicembre 2008, n. 45 (Norme
in materia sanitaria), promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 27 febbraio 2009,
depositato in cancelleria il 9 marzo 2009 ed iscritto al n. 21 del registro
ricorsi 2009.
Visto l’atto di costituzione della Regione
Puglia;
udito nell’udienza pubblica del 9 marzo 2010
il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Luigi Volpe per la Regione Puglia.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 27
febbraio 2009 e depositato il successivo 9 marzo, il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, 51, 65, 97, 117, commi primo,
secondo, lettere m), p) e s), e terzo, della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale degli artt. l, comma 1, 3, 4, 13 e 18
della legge della Regione Puglia 23 dicembre 2008, n. 45 (Norme in materia
sanitaria).
1.1.– Il ricorrente, in primo luogo,
censura l’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 45 del 2008, che,
intervenendo sul comma 40 dell’art. 3 della legge regionale 31 dicembre 2007,
n. 40 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2008 e bilancio
pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia), così come modificato dall’art. 5
della legge regionale 19 febbraio 2008, n. 1, e dall’art. 11 della legge
regionale 2 luglio 2008, n. 19, dopo le parole «all’attività di ricerca», ha
introdotto un ulteriore periodo ai sensi del quale «il personale medico, in
servizio presso le unità operative di medicina e chirurgia d’accettazione e
d’urgenza delle aziende sanitarie, assunto a tempo determinato, in deroga a
quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997,
n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale
dirigenziale del servizio sanitario nazionale), accede al processo di
stabilizzazione qualora in possesso di uno dei requisiti sopra indicati».
Secondo il ricorrente, tale disposizione
si pone in contrasto con l’art. 3, comma 94, della legge 24 dicembre 2007, n.
244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – legge finanziaria 2008), che esclude l’applicabilità delle procedure di
stabilizzazione a favore del personale dirigente.
Il ricorrente assume che, costituendo la
citata disposizione statale norma di principio ai fini del coordinamento della
finanza pubblica, la previsione regionale violi l’art. 117, comma terzo, Cost.
La violazione di tale ultima norma
deriverebbe, inoltre, dalla circostanza che l’accesso alle procedure di
stabilizzazione viene disposto «in deroga a quanto previsto dal D.P.R. 483/97»
e quindi, per ciò che riguarda la dirigenza sanitaria, senza il necessario
filtro del concorso pubblico per titoli ed esami previsto dall’art. 15, comma
7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina
in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n.
421), il quale, a sua volta, costituisce, sempre secondo il ricorrente, per
espressa volontà del legislatore (manifestata dal disposto dell’art. 19 del
medesimo d.lgs. n. 502 del 1992) normativa di principio in materia di tutela
della salute ai fini dell’art. 117, comma terzo, Cost.
La norma censurata sembra all’Avvocatura
dello Stato essere anche in contrasto con i principi di ragionevolezza,
imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché con il
principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.. Al riguardo, vengono richiamati, in particolare, i
principi espressi da Corte costituzionale nella sentenza n. 81 del
2006.
1.2.– Il ricorrente censura, altresì,
l’art. 3 della medesima legge regionale n. 45 del 2008, nella parte in cui
esclude dal regime dell’autorizzazione, di cui
all’art. 5 della legge regionale 28 maggio 2004, n. 8 (Disciplina in
materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio,
all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture
sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), «lo
studio medico privato o studio odontoiatrico privato, organizzato in forma
singola o associata, in quanto studio professionale o gabinetto medico non
aperto al pubblico».
L’Avvocatura dello Stato
rileva che tale previsione eccede la
competenza regionale concorrente attribuita alla Regione in materia di tutela
della salute dall’art. 117, comma terzo, Cost., assumendo, in particolare, che
l’art. 3 della citata legge regionale contrasti con il principio fondamentale
espresso dagli articoli 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992,
secondo i quali tutti gli studi medici e odontoiatrici, per la peculiarità
dell’attività posta in essere e comunque ove debbano essere erogate
«prestazioni di chirurgia ambulatoriale o procedure diagnostiche di particolare
complessità che comportino un rischio per la sicurezza del paziente», devono
essere autorizzati previa verifica del possesso dei requisiti fissati con il d.P.R. 14 gennaio 1997 recante «Approvazione dell’atto di
indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di
Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi
minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture
pubbliche e private (previsioni rilevanti relative agli ambulatori)» – emanato
d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni,
e le Province autonome.
Secondo il ricorrente, il rispetto delle
prescrizioni richiamate dalla normativa nazionale è indispensabile per
assicurare livelli essenziali di sicurezza e di qualità delle prestazioni in
ambiti nei quali il possesso della dotazione strumentale e la sua corretta
gestione e manutenzione assume preminente interesse per assicurare l’idoneità e
la sicurezza delle cure.
Inoltre, ad avviso del ricorrente, la
norma censurata sarebbe in contrasto anche con gli artt. 3 e 41 Cost.
1.3.– Quanto all’art. 4 della legge
regionale n. 45 del 2008, l’Avvocatura dello Stato ritiene che tale
disposizione – stabilendo che «i dirigenti medici in servizio a tempo
indeterminato presso gli uffici a staff della direzione generale funzionalmente
dipendenti dalle direzioni sanitarie delle aziende sanitarie locali (ASL),
delle aziende ospedaliero-universitarie e degli IRCCS
pubblici ovvero in servizio presso le direzioni sanitarie di presidio
ospedaliero da almeno tre anni, alla data di entrata in vigore della presente
legge sono inquadrati, a domanda, nelle direzioni sanitarie con la disciplina
"Direzione medica di presidio ospedaliero”» – esuli dalla competenza
regionale concorrente attribuita alla Regione in materia di tutela della salute
dall’art. 117, comma terzo, Cost.
La disposizione impugnata, infatti, nel
prevedere genericamente l’inquadramento nelle direzioni sanitarie di dirigenti
medici che svolgono attività di staff presso direzioni generali senza alcuna
specificazione circa la necessità che vi sia corrispondenza (ovvero
equipollenza o affinità) tra le specializzazioni acquisite dai medici e quelle
richieste per operare nelle direzioni sanitarie, viola il principio generale in
materia di tutela della salute di cui dall’art. 15, comma 7, del d.lgs. n. 502
del 1992 – come specificato dall’art. 24 del d.P.R.
10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il
personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale), e dall’art. 13 del
Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) quadriennio 1998-2001 dell’Area
relativa alla dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale
per la dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000 – in base al quale
l’inquadramento del dirigente medico nelle direzioni sanitarie ha come
presupposto imprescindibile, oltre alla laurea in medicina e chirurgia, la
specializzazione nella disciplina di riferimento.
Il ricorrente sottolinea ancora che
l’art. 4 della legge regionale n. 45 del 2008 contrasta con i principi di
eguaglianza e buona amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., nonché con
la garanzia dei livelli essenziali di assistenza previsti dall’art. 117, comma
secondo, lettera m), Cost., specificando che, in particolare, la
disposizione impugnata viola i principi di uguaglianza e di parità di
trattamento sia nei confronti degli operatori (differenziando i medici
destinatari della disposizione in esame rispetto agli altri medici della stessa
e delle altre Regioni), sia nei confronti dei cittadini pugliesi che,
diversamente dagli altri cittadini italiani, non hanno la sicurezza di poter
essere curati dai medici specializzati nella disciplina richiesta.
1.4.– Il Governo denuncia, anche,
l’incostituzionalità dell’art. 13 della legge regionale pugliese – ai sensi del
quale «i componenti, a qualsiasi titolo, ivi compresi i segretari, delle
commissioni per l’accertamento della invalidità civile, cecità civile,
sordomutismo e della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per
l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate),
sono incompatibili con tali funzioni qualora detengano cariche elettive
politiche o si candidino per conseguirle» – per violazione degli artt. 65 e
117, comma secondo, lettere m) e p), Cost.
L’Avvocatura dello Stato rileva
l’illegittimità della previsione nella parte in cui, con l’utilizzo dell’espressione
onnicomprensiva «cariche elettive politiche», include fra i propri destinatari
i parlamentari nazionali e si estende a tutte le cariche elettive degli enti
locali territoriali.
In primo luogo, il ricorrente osserva
che tale previsione viola la competenza esclusiva dello Stato in materia di
incompatibilità ed ineleggibilità dei parlamentari nazionali di cui all’art. 65
Cost. e, in secondo luogo, che il medesimo art. 13 della legge in esame invade
la competenza esclusiva dello Stato nella materia "organi di governo” di
Comuni, Province e Città metropolitane prevista dall’art. 117, comma secondo,
lettera p), Cost., nonché nella materia inerente la determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio ai sensi dell’art. 117, comma
secondo, lettera m), Cost.
A tale fine l’Avvocatura dello Stato
richiama i rilievi espressi dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 29 del 2006
e n. 456 del
2005.
1.5.– Viene, infine, denunciata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della citata legge regionale – ai
sensi del quale «il personale laureato non medico in servizio presso le ASL
della regione Puglia con la qualifica di educatore professionale a cui è stato
riconosciuto il possesso del titolo di laurea magistrale, che ha usufruito dei
benefici previsti dall’articolo 24 (Educatori professionali) della legge
regionale 12 gennaio 2005, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di
previsione 2005 e bilancio pluriennale 2005-2007 della Regione Puglia), così
come sostituito dall’articolo 23 della legge regionale n. 10 del 2007, e
dell’articolo 6, comma 6, della legge regionale n. 26 del 2006 e inquadrato
nella categoria DS del CCNL Comparto sanità, alla data di entrata in vigore
della presente legge, è equiparato alle figure similari laureate, secondo il
parere del Consiglio superiore della sanità - art. 4 ed è inquadrato nella
dirigenza sanitaria non medica, di cui all’allegato 2 del decreto del
Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del
personale delle unità sanitarie locali), in ossequio, altresì, alla sentenza
del Consiglio di Stato, sez. V, del 13 luglio 1994, n. 763» – per violazione
dell’art. 117, comma terzo, Cost., e dei principi di ragionevolezza,
imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché del
principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.
Si assume, infatti, che tale
disposizione si ponga in contrasto con il principio fondamentale in materia di
tutela della salute di cui all’art. 6 della legge 10 agosto 2000, n. 251
(Disciplina delle professioni sanitarie, infermieristiche, tecniche della
riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) –
specificato con d.P.R. del 10 dicembre 1997, n. 483
(Regolamento recante la disciplina concorsuale del personale non dirigenziale
del Servizio sanitario nazionale) – il quale, nello stabilire la procedura per
l’accesso alla dirigenza per i profili professionali del comparto, prevede la
procedura concorsuale «alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli
richiesti per l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario regionale».
In ragione del disposto di tale
previsione, l’Avvocatura dello Stato ritiene di muovere, in relazione all’art.
13 della citata legge regionale, gli stessi rilievi svolti con riferimento
all’art. 1 della medesima.
2.– Con memoria del 20 marzo 2009,
depositata il successivo 30 marzo, si è costituita la Regione Puglia chiedendo
a questa Corte di rigettare il ricorso in esame.
2.1.– Relativamente all’art. 1 della
legge regionale n. 45 del 2008, la Regione rileva, primariamente, che tale
disposizione non stabilisce la possibilità di stabilizzazione per il personale
dirigente medico incluso nell’ambito di applicazione del medesimo articolo –
giacché tale possibilità era stata invece testualmente prevista nella precedente
e non impugnata legge regionale (art. 3, comma 40, della legge regionale n. 40
del 2007) – risultando pertanto siffatto profilo estraneo all’oggetto
dell’attuale giudizio di legittimità costituzionale.
Secondo la Regione, pertanto, i profili
disciplinati dalla previsione impugnata rientrano nell’ambito della potestà
legislativa regionale residuale esclusiva, così che, anche ove la normativa
statale di cui alla legge n. 244 del 2007 avesse inteso suggerire alle Regioni
la stabilizzazione del solo personale precario non dirigente, non si sarebbe
potuto escludere che, nell’esercizio della propria potestà legislativa
esclusiva, le Regioni stesse, sui medesimi presupposti, potessero altresì
estendere la normativa di stabilizzazione al personale dirigente.
La Regione rileva, inoltre, che la
deroga al d.P.R. n. 483 del 1997, (prevista dall’art.
1 della legge regionale oggetto d’impugnazione) si riferisce esclusivamente al
possesso del requisito del titolo di specializzazione, previsto dall’anzidetto d.P.R., e non già alle prove selettive, cui restano
comunque sottoposti tutti i dirigenti medici in servizio a tempo determinato,
ed anche quelli in servizio presso le unita operative di medicina e chirurgia
di accettazione e urgenza, in ragione del disposto dell’art. 3 comma 40, della
precedente legge regionale n. 40 del 2007, ai sensi del quale «al processo di
stabilizzazione il personale, di cui al presente comma, accede, previo
superamento di apposita pubblica selezione di natura concorsuale, [...] con le
procedure e i criteri previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 10
dicembre 1997, n. 483, qualora in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti
[...]».
La difesa regionale afferma, altresì, che
la scuola attraverso la cui frequenza dovrebbe conseguirsi la specializzazione
di Medicina e Chirurgia di accettazione e urgenza non risulta ancora né
finanziata, né attivata dal Ministero per l’Università e per la Ricerca
scientifica, cui appartiene la competenza in materia.
Comunque, per la resistente, l’art. 1
risulta rispettoso del principio costituzionale del pubblico concorso,
condizionando l’accesso alla stabilizzazione, in conformità della normativa
statale di cui alla legge n. 244 del 2007, o all’aver partecipato ad una
procedura selettiva per l’accesso alla posizione a tempo determinato da
stabilizzare ovvero, nel caso in cui non vi sia tale presupposto, alla
sottoposizione, prima dell’accesso alla stabilizzazione, ad una procedura
siffatta, ritenendosi pertanto infondata la censura relativa alla violazione
dell’art. 97, nonché degli art. 3 e 51 Cost.
A supporto di tale conclusione, la
Regione offre un’articolata ricostruzione della giurisprudenza costituzionale
in materia di stabilizzazione del personale, nell’ambito della quale viene
messo in luce il rilievo che questa Corte ha attribuito, nel giudizio relativo
alle norme regionali disciplinanti tali procedure, al «possesso di una
precedente esperienza nell’ambito dell’Amministrazione, ove questo si configuri
ragionevolmente quale requisito professionale» (sentenza n. 1 del
1999), al «vasto ambito di discrezionalità che spetta al legislatore, sia
statale che regionale, nelle scelte relative alla creazione e alla
organizzazione dei pubblici uffici» (sentenza n. 141 del
1999) e alla necessità di «consolidare pregresse esperienze lavorative
maturate nell’ambito dell’Amministrazione» (sentenza n. 34 del
2004).
2.2.– Con riferimento ai profili di
censura relativi all’art. 3, la Regione rileva che la disposizione impugnata è
ispirata a finalità di semplificazione amministrativa, richiamando, sul punto,
il disposto della precedente legge della Regione Puglia 28 maggio 2004, n. 8,
che, all’art. 5, aveva già escluso dall’autorizzazione gli studi medici
esercenti attività professionale, ad eccezione dei soli studi esercenti
attività specialistica ambulatoriale chirurgica (per le prestazioni comprese
tra quelle individuate con apposito provvedimento di giunta regionale) e
specialistica ambulatoriale odontoiatrica (anche in tal caso per prestazioni
comprese tra quelle individuate con apposito provvedimento della giunta
regionale).
La difesa regionale rileva che la
disposizione impugnata risulta solo parzialmente innovativa rispetto al regime
previgente, giacché ha inteso semplificare l’avvio dell’esercizio dell’attività
professionale medica o odontoiatrica limitatamente alle forme organizzative più
semplici e sempre che le strutture non intendano domandare l’accreditamento
istituzionale con il servizio sanitario nazionale, né aspirare ad accordi
contrattuali con lo stesso per disimpegnare il pubblico servizio.
La Regione Puglia, inoltre, non
condivide il richiamo agli artt. 3 e 41 Cost. operato dalla difesa erariale,
sostenendo, con riferimento al primo parametro, che non sussiste violazione del
principio di eguaglianza; e, relativamente al secondo, che il disposto
dell’art. 41 non può essere sic et simpliciter
esteso all’attività professionale (salvo che, per l’appunto, non sia esercitata
in forma di impresa), giacchè per la stessa, a
prescindere dagli eventuali controlli e dalle eventuali limitazioni
amministrative, valgono le attribuzioni proprie degli ordini professionali ed i
codici deontologici delle professioni.
La resistente sottolinea, infine, l’inconferenza del richiamo all’art. 117, terzo comma, Cost.,
giacché la normativa statale richiamata dal ricorrente (e cioè l’art. 8, comma
4, e l’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992) fissa la «competenza delle
regioni in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie
private» (art. 8, comma 4) e limita la necessità di autorizzazione
all’esercizio di attività sanitarie (professionali) ai soli casi in cui presso
gli studi professionali siano erogate «prestazioni di chirurgia ambulatoriale,
ovvero procedure diagnostiche terapeutiche di particolare complessità o che
comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonché per le strutture
esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche».
2.3.– Con riferimento, poi, alla
lamentata illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Puglia, la
Regione, richiamando la sentenza n. 45 del
2008 della Corte costituzionale, afferma che la regolamentazione oggetto di
tale previsione è riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa
delle Regioni e degli enti pubblici regionali e rientra, pertanto, nella
competenza residuale delle medesime Regioni, di cui all’art. 117, comma quarto,
Cost.
La stessa Regione sottolinea, inoltre,
che nei confronti del personale medico cui si applica l’art. 4 non è prevista
alcuna forma di stabilizzazione, atteso che i soggetti interessati sono già in
servizio a tempo indeterminato, e che la disciplina impugnata ha esclusivamente
la finalità di garantire la massima efficienza alle funzioni strategiche delle
ASL, senza che ciò comporti alcuna variazione numerica e di costo della
dotazione organica.
La difesa regionale, a tale fine, cita
l’art. 1 della legge 29 dicembre 2000, n. 401 (Norme sull’organizzazione e sul
personale del settore sanitario), che ha previsto, per i dirigenti medici,
l’inquadramento nella disciplina nella quale gli stessi esercitano le funzioni,
anche se diverse da quelle per le quali sono stati assunti.
Infine, la resistente Regione rileva l’inconferenza del richiamo al principio di eguaglianza
rispetto sia agli altri medici della stessa Puglia ai quali non si applica il
disposto della disposizione denunciata, sia a quelli delle altre Regioni
italiane, così come relativamente alla posizione dei cittadini pugliesi – i quali
secondo la difesa erariale non avrebbero la sicurezza di poter essere curati da
medici specializzati nella disciplina richiesta al pari degli altri cittadini
italiani – dal momento che i medici delle Direzioni sanitarie non prestano
assistenza diretta nei confronti dei cittadini, ma piuttosto esercitano la
funzione di management sanitario, e cioè di responsabilità
dell’organizzazione sanitaria nel suo complesso.
2.4.– Relativamente, poi, ai profili di
censura aventi ad oggetto l’art. 13 della citata legge, la Regione Puglia,
ritenendoli infondati, sostiene che la norma in questione non ha inteso
prevedere alcuna forma di ineleggibilità o incompatibilità rispetto alla
posizione di parlamentare nazionale o all’assunzione di cariche elettive presso
enti territoriali, affermando che la stessa si è limitata a stabilire un
requisito negativo di accesso a componente delle Commissioni per l’accertamento
dell’invalidità civile, cecità civile, sordomutismo e della legge 5 febbraio
1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate), ovvero per la nomina a segretario delle stesse.
Secondo la difesa regionale, tale
disposizione è espressione della propria potestà normativa esclusiva,
costituendone tipica manifestazione in quanto riguardante la disciplina della
composizione di strutture amministrative dipendenti dalla medesima Regione
Puglia. Quest’ultima ritiene, infine, inconferente il
riferimento all’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost., sostenendo
nel merito che la disposizione impugnata non incide in alcun modo sui livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i «diritti civili e sociali».
2.5.– Quanto alle censure relative
all’art. 18 della legge regionale n. 45 del 2008, la Regione contesta la
fondatezza dei profili di illegittimità rilevati dal ricorrente, sostenendo che
il personale interessato da tale previsione risulta comunque fornito del titolo
di laurea magistrale e che lo stesso, ai sensi dell’art. 24 della legge
regionale 12 gennaio 2005, n. 1 (come sostituito dall’art. 23 della legge
regionale n. 10 del 2007), è già stato equiparato alla figura professionale di
«collaboratore professionale esperto», non ricorrendo pertanto una deroga alla
regola del pubblico concorso.
Secondo la Regione resistente, infatti,
la disposizione impugnata determina una forma di riqualificazione normativa
dell’intera posizione di lavoro denominata «educatore professionale», che è
altresì confermata nella sua legittimità dalla circostanza che, con la stessa,
la Regione ha inteso conformarsi ad un parere del Consiglio Superiore della
Sanità ed alla decisione del Consiglio di Stato 13 luglio 1994, n. 763.
3.– Con successiva memoria, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha precisato i profili di illegittimità
oggetto del ricorso e ha preso posizione in relazione alle argomentazioni
sviluppate dalla Regione Puglia nel proprio atto di costituzione in giudizio.
3.1.– Con particolare riferimento alla
prima censura, la difesa erariale contesta la ricostruzione della Regione –
secondo cui l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Puglia n. 45 del 2008
non riguarderebbe l’accesso al processo di stabilizzazione del personale medico
dirigenziale, quanto, invece, l’assunzione a tempo indeterminato del personale
medico non dirigente – ritenendo invece che la normativa censurata abbia invero
ad oggetto proprio la posizione dei dirigenti. Tale ultimo assunto si fonda sia
sulla considerazione che la disposizione impugnata è stata collocata dal
legislatore regionale «alla fine del quarto periodo del comma 40 della legge
della Regione Puglia 31.12.2007, n. 40», relativo alla stabilizzazione
del personale del ruolo della dirigenza, sia sul richiamo espresso, previsto
dalla norma regionale impugnata, al d.P.R. 10
dicembre 1997, n. 483, recante la disciplina concorsuale per il personale
dirigenziale del servizio sanitario nazionale, anziché al d.P.R.
27 marzo 2001, n. 220 (Regolamento recante la disciplina concorsuale del
personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale).
Il ricorrente sostiene, altresì, che –
pur se si volesse accogliere la ricostruzione della Regione – l’art. 1 della
legge regionale n. 45 del 2008 risulterebbe parimenti illegittimo per contrasto
con l’art. 3, comma 94, della legge n. 244 del 2007 che ha, in ogni caso,
subordinato la stabilizzazione del personale non dirigenziale all’espletamento
di prove selettive, attraverso il riferimento agli artt. 519 e 558 della legge
27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)». Tali articoli
richiedono, infatti, per i titolari di contratti a tempo determinato, i1
possesso del requisito dell’assunzione mediante procedure selettive di natura
concorsuale, in quanto prevedono che «alle iniziative di stabilizzazione del
personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse (in assenza
del concorso) si provvede previo espletamento di prove selettive». Parimenti
gli artt. 529 e 560 della medesima legge prevedono, per l’assunzione a
tempo indeterminato del personale utilizzato con contratto di collaborazione
coordinata e continuativa, lo svolgimento, in ogni caso, di prove di natura
concorsuale con riserva del 60 per cento del totale dei posti programmati.
Sul punto, l’Avvocatura dello Stato,
ribadisce che la disposizione regionale impugnata costituisce una deroga tout
court alla procedura concorsuale.
Il ricorrente chiarisce, infatti, che
mentre il previgente art. 1, comma 40, della legge della Regione Puglia n. 40
del 2007, subordinava, in generale, la stabilizzazione del personale
dirigenziale al superamento di «apposita pubblica selezione di natura
concorsuale […] con le procedure ed i criteri previsti dal D.P.R. 10.12.1997 n.
483» ed al possesso di almeno uno dei prescritti requisiti, la
novella inserita dall’art. 1 della legge regionale n. 45 del 2008 – oggetto
dell’attuale giudizio di legittimità costituzionale – dispone invece
testualmente che «il personale medico, in servizio presso le unità operative di
medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza delle aziende sanitarie,
assunto a tempo determinato, in deroga a quanto previsto dal D.P.R. 483/1997,
accede al processo di stabilizzazione qualora in possesso di uno dei requisiti
sopra indicati».
Il Governo ritiene privo di riscontro
normativo e contrario al dato testuale l’argomento della Regione Puglia secondo
cui la disposizione impugnata, anziché derogare alla procedura concorsuale,
derogherebbe esclusivamente al possesso del requisito della specializzazione in
medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza, atteso che, se l’intenzione
del legislatore regionale fosse stata quella prospettata dalla Regione Puglia,
lo stesso, nella formulazione della norma oggetto del presente giudizio,
avrebbe dovuto operare un riferimento esplicito alla procedura selettiva,
presente, invece, solo nella ricordata precedente parte del comma 40 dell’art.
3 della legge della Regione Puglia n. 40 del 2007.
Quindi, il ricorrente ritiene errata la
ricostruzione operata dalla Regione relativamente alla giurisprudenza
costituzionale in materia di lesione del principio del concorso per
l’accesso ai pubblici uffici, rilevando come, invece, la deroga alla procedura
concorsuale possa essere giustificata esclusivamente da straordinarie ragioni
di interesse pubblico, ivi compresa la necessità, per l’amministrazione, di
avvalersi di esperienze professionali caratterizzate da specificità assoluta,
acquisite dal personale destinatario della stabilizzazione e, come tali, non
reperibili attraverso procedure concorsuali aperte a soggetti esterni (sentenze
n. 81 del 2006
e n. 159 del
2005, ordinanza
n. 517 del 2002), con presupposti cioè che, secondo l’Avvocatura dello
Stato, non sono presenti nel caso di specie, palesandosi quindi ulteriormente
l’illegittimità costituzionale della normativa sottoposta al vaglio della
Corte.
Con riferimento alle altre norme
impugnate, la difesa erariale si limita a ribadire i rilievi di illegittimità
costituzionale contenuti nel ricorso, contestando, a tale fine, le
considerazioni difensive espresse dalla Regione Puglia nel proprio atto di
costituzione.
4.– In prossimità
dell’udienza la Regione Puglia ha depositato, fuori termine, una memoria.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha proposto questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli
artt. 3, 41, 51, 65, 97, 117, commi primo, secondo, lettere m), p)
e s), e terzo, della Costituzione – degli artt. l, comma 1, 3, 4, 13 e
18 della legge della Regione Puglia 23 dicembre del 2008, n. 45 (Norme in
materia sanitaria), in quanto tali norme eccederebbero le competenze regionali
sotto vari profili.
1.1.– In particolare, con riferimento all’art. 1, comma 1, della legge regionale Puglia n. 45 del 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che la disciplina censurata, disponendo la stabilizzazione di personale dirigenziale medico, assunto a tempo determinato, qualora in possesso di determinati requisiti, lederebbe l’art. 117, comma terzo, della Costituzione sotto un duplice profilo: sia, cioè, per contrasto con i principi di coordinamento della finanza pubblica, dettati dall’art. 3, comma 94, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)», che vieta l’applicabilità delle procedure di stabilizzazione al personale dirigenziale; sia per contrasto con il principio fondamentale in materia di tutela della salute, dettato dall’art. 15, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che impone l’accesso alla dirigenza sanitaria mediante concorso pubblico per titoli ed esami.
Inoltre, la norma impugnata lederebbe
gli artt. 3, 51 e 97 Cost., cioè i principi di ragionevolezza, imparzialità e
buon andamento della pubblica amministrazione, introducendo una deroga
ingiustificata alla regola del concorso pubblico.
1.2.– Anche l’art. 4 della citata legge
regionale – prevedendo l’inquadramento a domanda nelle direzioni sanitarie di
dirigenti medici che svolgono attività di staff presso direzioni generali,
senza l’espletamento di un pubblico concorso e senza, quindi, alcuna
possibilità di oggettiva verifica circa la necessità che vi sia corrispondenza
(ovvero equipollenza o affinità) tra le specializzazioni acquisite dai medici e
quelle richieste per operare nelle direzioni sanitarie – violerebbe, sempre
secondo il ricorrente, l’art. 117, comma terzo, Cost., in quanto in contrasto
anch’esso con l’art. 15, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, come specificato
dall’articolo 24 del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483
(Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale
del Servizio sanitario nazionale), e dall’art. 13 del Contratto collettivo nazionale
di lavoro (CCNL), quadriennio 1998-2001, per la dirigenza medica e veterinaria
8 giugno 2000, secondo i quali l’inquadramento del dirigente medico nelle
direzioni sanitarie ha come presupposto imprescindibile, oltre alla laurea in
medicina e chirurgia, la specializzazione nella disciplina di riferimento.
La norma regionale impugnata sarebbe,
altresì, lesiva degli artt. 3 e 97 Cost. per violazione, rispettivamente, dei
principi di eguaglianza e di buona amministrazione; nonché dell’art. 117, comma
secondo, lettera m), Cost., in relazione alla competenza esclusiva dello
Stato nella materia della determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale.
Quanto, poi, all’art. 18 della legge in
esame – che stabilisce l’inquadramento nella dirigenza sanitaria non medica (di
cui all’allegato 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre
1979, n. 761, recante norme sullo «Stato giuridico del personale delle unità
sanitarie locali», e alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 13
luglio 1994, n. 763) del personale laureato non medico, in servizio presso le
aziende sanitarie locali (ASL) della Regione Puglia con la qualifica di
educatore professionale, al quale è stato riconosciuto il possesso del titolo
di laurea magistrale – lo stesso, secondo il ricorrente, violerebbe l’art. 117,
comma terzo, Cost.. Sarebbe, infatti, in contrasto
con il principio fondamentale desumibile dall’art. 6 della legge 10 agosto
2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche
della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica),
che – nello stabilire la procedura per l’accesso alla dirigenza per i citati
profili professionali – prevede la procedura concorsuale alla quale si accede
con requisiti analoghi a quelli richiesti «per l’accesso alla dirigenza del
Servizio sanitario regionale». Vi sarebbe, altresì, lesione degli artt. 3, 51 e
97 Cost., per violazione dei principi di ragionevolezza, imparzialità e buon
andamento della pubblica amministrazione e del principio del pubblico concorso.
Il ricorrente censura anche l’art. 3
della citata legge regionale, poiché violerebbe l’art. 117, comma terzo, Cost.,
in quanto in contrasto con i principi fondamentali desumibili dagli artt. 8,
comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 , secondo i quali «gli studi
medici e odontoiatrici ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia
ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare
complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente» devono
essere autorizzati previa verifica del possesso dei requisiti fissati con il d.P.R. 14 gennaio 1997 (Approvazione dell’atto di indirizzo
e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, in
materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per
l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e
private), adottato ai sensi del citato art. 8, comma 4.
La disposizione regionale censurata
contrasterebbe, inoltre, con gli artt. 3 e 41 Cost.
Infine, con riferimento all’art. 13
della legge regionale n. 45 del 2008, il ricorrente lamenta che lo stesso –
nella parte in cui stabilisce l’incompatibilità a far parte «a qualsiasi
titolo, ivi compresi i segretari, delle commissioni per l’accertamento della
invalidità civile, cecità civile, sordomutismo e della legge 5 febbraio 1992,
n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappate)», di coloro che «detengano cariche elettive
politiche o si candidino per conseguirle» – violerebbe l’art.
65 Cost., in relazione alla competenza esclusiva dello Stato in materia di
incompatibilità ed ineleggibilità dei parlamentari nazionali; l’art. 117, comma
secondo, lettera p), Cost., relativamente alla competenza esclusiva
dello Stato nella materia di «organi di governo» di Comuni, Province e Città
metropolitane; ed, infine, anche l’art. 117, comma secondo, lettera m),
Cost., in riferimento alla competenza esclusiva dello Stato nella materia della
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Il ricorrente sottolinea, in
particolare, l’illegittimità della previsione nella parte in cui, con
l’utilizzo dell’espressione onnicomprensiva «cariche elettive politiche»,
include fra i propri destinatari i parlamentari nazionali ed estende il divieto
a tutte le cariche elettive degli enti locali territoriali.
2.– Prima di affrontare il merito delle
questioni, occorre esaminare un profilo preliminare, riferibile all’intero
ricorso: le censure riguardanti la violazione dei commi primo e secondo,
lettera s), dell’art. 117 Cost. sono presenti solo nel dispositivo del
ricorso, mentre è omesso qualsiasi accenno alle stesse sia nella parte motiva
del medesimo ricorso, sia nell’allegata Relazione del Ministro per i rapporti
con le Regioni. Pertanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, tali
censure sono inammissibili.
3.– In ragione della omogeneità e della
reciproca connessione, sembra opportuno, primariamente, trattare le questioni
relative agli artt. 1, comma 1, e 18 della legge della Regione Puglia n. 45 del
2008, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonché quella relativa
all’art. 4 della medesima legge in riferimento ai soli artt. 3 e 97 Cost.
3.1.– Le questioni,con riferimento alla
violazione degli artt. 97 e 117 Cost., sono fondate. Restano assorbiti gli
ulteriori profili di censura.
Tutte e tre le disposizioni legislative
censurate prevedono ipotesi di accesso alla dirigenza sanitaria medica (art. 1,
comma 1, e art. 4) e non medica (art. 18) che, in assenza di peculiari e
straordinarie ragioni di interesse pubblico, derogano significativamente al
criterio del concorso pubblico, richiesto sia, in via generale, dall’art. 97
Cost., sia da specifiche disposizioni legislative statali che, ai sensi
dell’art. 117, terzo comma, costituiscono principi fondamentali in materia di
tutela della salute.
Al riguardo, è opportuno sottolineare che questa Corte, ancora di recente (sentenza. n. 293 del 2009), ha escluso la legittimità di arbitrarie restrizioni alla partecipazione alle procedure selettive, chiarendo che «al concorso pubblico deve riconoscersi un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni. Il concorso è necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio (ciò che comunque costituisce una «forma di reclutamento» – sentenza n. 1 del 1999), e in quelli, che più direttamente interessano le fattispecie in esame, di trasformazione di rapporti non di ruolo, e non instaurati ab origine mediante concorso, in rapporti di ruolo (sentenza n. 205 del 2004). Sotto quest’ultimo profilo, infine, questa Corte ha precisato i limiti entro i quali può consentirsi al legislatore di disporre procedure di stabilizzazione di personale precario che derogano al principio del concorso. Secondo l’orientamento progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza costituzionale, infatti, «l’area delle eccezioni» al concorso deve essere «delimitata in modo rigoroso» (sentenza n. 363 del 2006). Le deroghe sono pertanto legittime solo in presenza di «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» idonee a giustificarle (sentenza n. 81 del 2006). Non è in particolare sufficiente, a tal fine, la semplice circostanza che determinate categorie di dipendenti abbiano prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione (sentenza n. 205 del 2006), né basta la «personale aspettativa degli aspiranti» ad una misura di stabilizzazione (sentenza n. 81 del 2006). Occorrono invece particolari ragioni giustificatrici, ricollegabili alla peculiarità delle funzioni che il personale da reclutare è chiamato a svolgere, in particolare relativamente all’esigenza di consolidare specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione e non acquisibili all’esterno, le quali facciano ritenere che la deroga al principio del concorso pubblico sia essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione».
Anche relativamente alle ipotesi che
determinano in pratica un automatico e generalizzato slittamento di soggetti
specificamente individuati verso la qualifica superiore, questa Corte ha più
volte stabilito che esse si pongono in evidente contrasto «con il principio
costituzionale del pubblico concorso e con la consolidata giurisprudenza di
questa Corte in materia (sentenze n. 465 e n. 159 del 2005)».
La natura comparativa e aperta della
procedura è, pertanto, elemento essenziale del concorso pubblico. Procedure
selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità
di accesso dall’esterno, violano il «carattere pubblico» del concorso (sentenza n. 34 del
2004) e, conseguentemente, i principi di imparzialità e buon andamento, che
esso assicura. Un’eventuale deroga a tale principio è ammessa, secondo la
giurisprudenza costituzionale, solo ove essa stessa sia strettamente funzionale
alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione (sentenze n. 9 del 2010
e n.
293 del 2009).
3.2.– Gli artt. 1, comma 1, 4 e 18 della legge regionale in esame, non rispettando precisi principi fondamentali, violano anche l’art. 117, comma terzo, Cost., che fissa i limiti della competenza legislativa regionale in materia di tutela della salute.
Per quanto riguarda l’art. 1, comma 1,
innanzitutto, è erroneo il rilievo difensivo della parte resistente volto a
ricondurre la disciplina in oggetto alla materia residuale di cui al quarto
comma dell’art. 117 Cost., ed in particolare alla «organizzazione
amministrativa regionale». L’impugnata disposizione, difatti, «afferendo alla
delimitazione temporale dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni sanitarie, strumentale alla prestazione del servizio, è,
invece, espressione della potestà legislativa regionale nella materia
concorrente della "tutela della salute” di cui all’art. 117, terzo
comma, della Costituzione, come già riconosciuto da questa Corte (così,
infatti, sentenza
n. 422 del 2006)». In questo ambito, secondo un consolidato orientamento
della giurisprudenza costituzionale, «il legislatore regionale è tenuto a
rispettare i principi fondamentali sanciti a livello statale» (sentenze n. 295 del 2009
e n. 105 del
2007).
Il legislatore regionale pugliese, nel
caso di specie, ha disatteso – stante il disposto della norma censurata –
quanto previsto dal comma 7 dell’art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, che,
al primo periodo, impone, in base a quanto prescrive il decreto del Presidente
della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483, che l’accesso alla dirigenza
sanitaria avvenga mediante concorso pubblico per titoli ed esami.
Appare evidente il contrasto tra quanto
stabilito dall’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 45 del 2008, che
prevede, per la sola Regione Puglia, un’eccezione alla regola generale, e il
suddetto principio fondamentale sancito dal legislatore statale. Contrasto reso
evidente dalla considerazione – come sottolineato anche dal ricorrente – che la
disposizione legislativa oggetto di censura elude il necessario filtro del
concorso pubblico (senza che tale eccezione venga ad essere giustificata da
interessi pubblici ulteriori, né da particolari situazioni di emergenza),
prevedendo espressamente che la stabilizzazione di personale «assunto a tempo
determinato» avvenga «in deroga a quanto previsto dal d.P.R.
483/97».
Né ha pregio l’argomentazione difensiva
della Regione che afferma che la deroga al contenuto del d.P.R.
n. 483 del 1997 si riferirebbe esclusivamente al requisito del titolo di
specializzazione e non alle procedure concorsuali e che il «processo di
stabilizzazione» non riguarderebbe la dirigenza sanitaria. Contraddice la prima
argomentazione la collocazione della disposizione legislativa regionale, dato
che essa è espressamente inserita dopo il quarto periodo del comma 40 dell’art.
3 della precedente legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40, vale a dire dopo la
disposizione (contenuta nel terzo periodo) in cui si prevede il «previo
superamento di apposita pubblica selezione di natura concorsuale». Ne deriva
che la «deroga a quanto previsto dal d.P.R. 10
dicembre 1997, n. 483» che tale modifica normativa prevede, deve intendersi
proprio riferita alle procedure concorsuali le quali costituiscono, oltretutto,
lo specifico oggetto di tale decreto presidenziale (che appunto reca «la
disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del servizio sanitario
nazionale»). Ma il riferimento a tale ben determinata normativa vale a
dimostrare l’erroneità anche della seconda argomentazione difensiva, posto che,
se la stabilizzazione avesse riguardato l’accesso ad un’area non dirigenziale,
il riferimento non avrebbe riguardato il d.P.R. n.
483 del 1997, ma il d.P.R. 27 marzo 2001, n. 220,
quello cioè che contiene il «Regolamento recante la disciplina concorsuale del
personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale». Vi è poi da
tenere presente che tutta la restante parte del citato comma 40 dell’art. 3
della legge regionale n. 40 del 2007, al cui interno è stata inserita la
disposizione censurata, disciplina la «stabilizzazione del personale del ruolo
della dirigenza».
3.3.– Quanto appena detto relativamente
alla fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1,
comma 1, della medesima legge della Regione Puglia vale anche per la questione
di legittimità dell’art. 4 della legge regionale n. 45 del 2008.
Infatti, anche tale disposizione
regionale – prevedendo l’inquadramento, a domanda, dei dirigenti medici in
servizio a tempo indeterminato nelle direzioni sanitarie – contravviene alla
regola generale desumibile dall’art. 15, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992,
come integrato dall’art. 24 del d.P.R. 10 dicembre
1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale
dirigenziale del Servizio sanitario nazionale). La suddetta normativa, cui fa
riferimento anche l’art. 13 del Contratto collettivo nazionale di lavoro,
relativo al quadriennio 1998-2001, per la dirigenza medica e veterinaria 8
giugno 2000, stabilisce che l’inquadramento del dirigente medico nelle direzioni
sanitarie ha come presupposto imprescindibile l’espletamento di procedure
concorsuali e selettive, alle quali si può accedere solo se in possesso, oltre
che del titolo di laurea in medicina e chirurgia, anche di specializzazione
nella disciplina oggetto del concorso.
3.4.– Sulla base delle precedenti
considerazioni, è da accogliere anche l’analoga censura mossa dal ricorrente
all’art. 18 della medesima legge regionale della Puglia, sempre per violazione
del principio fondamentale dell’accesso alla dirigenza sanitaria – in questo
caso non medica – senza la previsione di pubblico concorso.
L’art. 18 della legge regionale in
esame, difatti, – stabilendo «l’inquadramento nella dirigenza sanitaria non
medica (di cui all’allegato 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20
dicembre 1979, n. 761, recante norme sullo "Stato giuridico del personale delle
unità sanitarie locali”, e alla sentenza del Consiglio di Stato sez. V del 13
luglio 1994, n. 763) del personale laureato non medico, in servizio presso le
aziende sanitarie locali (ASL) della regione Puglia con la qualifica di
educatore professionale e al quale è stato riconosciuto il possesso del titolo
di laurea magistrale» – si pone in contrasto con il principio fondamentale
contenuto nel primo periodo dell’art. 6 della legge 10 agosto 2000, n. 251,
che, nello stabilire la procedura per l’accesso alla dirigenza per i citati
profili professionali, prevede la procedura concorsuale «alla quale si accede
con requisiti analoghi a quelli richiesti per l’accesso alla dirigenza del
Servizio sanitario regionale», cioè «[…] mediante concorso pubblico per titoli
ed esami, disciplinato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10
dicembre 1997, n. 483 ivi compresa la possibilità di accesso con una
specializzazione in disciplina affine».
Pertanto, anche la norma regionale in
esame, per considerazioni identiche alle precedenti sopra esposte – relative
agli artt. 1, comma 1, e 4 della stessa legge regionale – va dichiarata
costituzionalmente illegittima per la violazione degli artt. 97 e 117, comma
terzo, Cost.
4.– Il ricorrente deduce, altresì, in
riferimento all’art. 117, comma terzo, e agli artt. 3 e 41 Cost.,
l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della citata legge, a norma del
quale è escluso il regime dell’autorizzazione per gli studi medici privati o
studi odontoiatrici privati, organizzati in forma singola e associata, non
aperti al pubblico, in difformità al principio fondamentale in materia della
salute previsto dagli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del
1992, che tale autorizzazione prevedono al fine di verificare, preventivamente,
il possesso dei requisiti fissati con il d.P.R. 14
gennaio 1997.
Il primo motivo di censura è fondato.
Innanzitutto, è da disattendere il
rilievo difensivo della parte resistente volto a giustificare tale deroga sulla
base della considerazione che la disposizione censurata sarebbe ispirata a
finalità di semplificazione amministrativa, tese a rimuovere «non sempre
necessarie autorizzazioni allo svolgimento di attività (in specie
professionali) private», e che la stessa sia da considerarsi solo parzialmente
innovativa rispetto al previgente sistema legislativo regionale in tema, poiché
avrebbe esteso ad alcuni altri casi di attività professionale medica quanto già
previsto dall’art. 5 della legge regionale della Puglia 28 maggio 2004, n. 8
(Disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio,
all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture
sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), adottato ai sensi del citato
art. 8, comma 4.
Infatti, se è condivisibile che la
competenza regionale in tema di autorizzazione e vigilanza delle istituzioni
sanitarie private vada inquadrata nella potestà legislativa concorrente in
materia di tutela della salute (ex art. 117, comma terzo, Cost.), resta,
comunque, – come già sottolineato – precluso alle Regioni di derogare a norme
statali che fissano principi fondamentali.
Nel caso di specie, il denunciato art.
3, non prevedendo l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie
per gli studi medici e odontoiatrici, finisce con il disattendere il principio
fondamentale dettato dagli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502
del 1992 (norme di principio) che stabilisce la necessità di tale
autorizzazione «per assicurare livelli essenziali di sicurezza e di qualità
delle prestazioni, in ambiti nei quali il possesso della dotazione strumentale
e la sua corretta gestione e manutenzione assume preminente interesse per
assicurare l’idoneità e la sicurezza delle cure». La circostanza che queste
strutture non abbiano l’accreditamento presso il servizio sanitario nazionale
non incide sul tipo di prestazioni che esse vengono ad erogare.
La questione di legittimità
costituzionale relativa all’art. 3 della legge regionale Puglia n. 45 del 2008,
per le motivazioni sopra esposte, è, dunque, fondata, restando assorbite le
censure relative alla violazione degli artt. 3 e 41 Cost.
5.– In relazione, infine, all’art. 13
della legge regionale n. 45 del 2008, va rilevato che, successivamente alla
proposizione del ricorso, è entrato in vigore l’art. 39 della legge della
Regione Puglia 30 aprile 2009, n. 10 (Disposizioni
per la formazione del bilancio di previsione 2009 e bilancio pluriennale
2009-2011 della Regione Puglia), che ha integralmente modificato il testo della
norma impugnata. Per effetto di tale modifica, si sono
determinate la completa eliminazione della disposizione impugnata e la
preclusione di qualunque sua futura applicazione.
Avendo la disposizione modificativa contenuto completamente innovativo rispetto alla previgente disciplina, non è possibile trasferire sulla nuova disposizione l’originaria questione di legittimità costituzionale. Considerato, inoltre, che la difesa della Regione Puglia, in sede di discussione, ha richiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere e che la norma impugnata non risulta aver avuto applicazione, medio tempore, (sentenza n. 289 del 2007), può, pertanto, ritenersi venuta meno ogni ragione della controversia e deve essere dichiarata al riguardo la cessazione della materia del contendere.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità
costituzionale degli artt. 1, comma 1, 3, 4 e 18 della legge della Regione
Puglia 23 dicembre del 2008, n. 45 (Norme in materia sanitaria);
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della stessa legge regionale n. 45 del 2008, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 65 e 117, comma secondo, lettere m) e p), della Costituzione, con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26
aprile 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 29 aprile
2010.