Sentenza n. 150 del 2010

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SENTENZA N. 150

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco               AMIRANTE                 Presidente

- Ugo                        DE SIERVO                   Giudice

- Paolo                      MADDALENA                   "

- Alfio                      FINOCCHIARO                 "

- Alfonso                  QUARANTA                      "

- Franco                    GALLO                               "

- Luigi                      MAZZELLA                       "

- Gaetano                 SILVESTRI                         "

- Sabino                    CASSESE                            "

- Maria Rita              SAULLE                             "

- Giuseppe                TESAURO                          "

- Paolo Maria            NAPOLITANO                   "

- Giuseppe                FRIGO                                 "

- Alessandro             CRISCUOLO                      "

- Paolo                      GROSSI                              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. l, comma 1, 3, 4, 13 e 18 della legge della Regione Puglia 23 dicembre 2008, n. 45 (Norme in materia sanitaria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 27 febbraio 2009, depositato in cancelleria il 9 marzo 2009 ed iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

udito nell’udienza pubblica del 9 marzo 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Luigi Volpe per la Regione Puglia.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 27 febbraio 2009 e depositato il successivo 9 marzo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41, 51, 65, 97, 117, commi primo, secondo, lettere m), p) e s), e terzo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. l, comma 1, 3, 4, 13 e 18 della legge della Regione Puglia 23 dicembre 2008, n. 45 (Norme in materia sanitaria).

1.1.– Il ricorrente, in primo luogo, censura l’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 45 del 2008, che, intervenendo sul comma 40 dell’art. 3 della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008-2010 della Regione Puglia), così come modificato dall’art. 5 della legge regionale 19 febbraio 2008, n. 1, e dall’art. 11 della legge regionale 2 luglio 2008, n. 19, dopo le parole «all’attività di ricerca», ha introdotto un ulteriore periodo ai sensi del quale «il personale medico, in servizio presso le unità operative di medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza delle aziende sanitarie, assunto a tempo determinato, in deroga a quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del servizio sanitario nazionale), accede al processo di stabilizzazione qualora in possesso di uno dei requisiti sopra indicati».

Secondo il ricorrente, tale disposizione si pone in contrasto con l’art. 3, comma 94, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), che esclude l’applicabilità delle procedure di stabilizzazione a favore del personale dirigente.

Il ricorrente assume che, costituendo la citata disposizione statale norma di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica, la previsione regionale violi l’art. 117, comma terzo, Cost.

La violazione di tale ultima norma deriverebbe, inoltre, dalla circostanza che l’accesso alle procedure di stabilizzazione viene disposto «in deroga a quanto previsto dal D.P.R. 483/97» e quindi, per ciò che riguarda la dirigenza sanitaria, senza il necessario filtro del concorso pubblico per titoli ed esami previsto dall’art. 15, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), il quale, a sua volta, costituisce, sempre secondo il ricorrente, per espressa volontà del legislatore (manifestata dal disposto dell’art. 19 del medesimo d.lgs. n. 502 del 1992) normativa di principio in materia di tutela della salute ai fini dell’art. 117, comma terzo, Cost.

La norma censurata sembra all’Avvocatura dello Stato essere anche in contrasto con i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché con il principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.. Al riguardo, vengono richiamati, in particolare, i principi espressi da Corte costituzionale nella sentenza n. 81 del 2006.

1.2.– Il ricorrente censura, altresì, l’art. 3 della medesima legge regionale n. 45 del 2008, nella parte in cui esclude dal regime dell’autorizzazione, di cui all’art. 5 della legge regionale 28 maggio 2004, n. 8 (Disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), «lo studio medico privato o studio odontoiatrico privato, organizzato in forma singola o associata, in quanto studio professionale o gabinetto medico non aperto al pubblico».

L’Avvocatura dello Stato rileva che tale previsione eccede la competenza regionale concorrente attribuita alla Regione in materia di tutela della salute dall’art. 117, comma terzo, Cost., assumendo, in particolare, che l’art. 3 della citata legge regionale contrasti con il principio fondamentale espresso dagli articoli 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, secondo i quali tutti gli studi medici e odontoiatrici, per la peculiarità dell’attività posta in essere e comunque ove debbano essere erogate «prestazioni di chirurgia ambulatoriale o procedure diagnostiche di particolare complessità che comportino un rischio per la sicurezza del paziente», devono essere autorizzati previa verifica del possesso dei requisiti fissati con il d.P.R. 14 gennaio 1997 recante «Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private (previsioni rilevanti relative agli ambulatori)» – emanato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni, e le Province autonome.

Secondo il ricorrente, il rispetto delle prescrizioni richiamate dalla normativa nazionale è indispensabile per assicurare livelli essenziali di sicurezza e di qualità delle prestazioni in ambiti nei quali il possesso della dotazione strumentale e la sua corretta gestione e manutenzione assume preminente interesse per assicurare l’idoneità e la sicurezza delle cure.

Inoltre, ad avviso del ricorrente, la norma censurata sarebbe in contrasto anche con gli artt. 3 e 41 Cost.

1.3.– Quanto all’art. 4 della legge regionale n. 45 del 2008, l’Avvocatura dello Stato ritiene che tale disposizione – stabilendo che «i dirigenti medici in servizio a tempo indeterminato presso gli uffici a staff della direzione generale funzionalmente dipendenti dalle direzioni sanitarie delle aziende sanitarie locali (ASL), delle aziende ospedaliero-universitarie e degli IRCCS pubblici ovvero in servizio presso le direzioni sanitarie di presidio ospedaliero da almeno tre anni, alla data di entrata in vigore della presente legge sono inquadrati, a domanda, nelle direzioni sanitarie con la disciplina "Direzione medica di presidio ospedaliero”» – esuli dalla competenza regionale concorrente attribuita alla Regione in materia di tutela della salute dall’art. 117, comma terzo, Cost.

La disposizione impugnata, infatti, nel prevedere genericamente l’inquadramento nelle direzioni sanitarie di dirigenti medici che svolgono attività di staff presso direzioni generali senza alcuna specificazione circa la necessità che vi sia corrispondenza (ovvero equipollenza o affinità) tra le specializzazioni acquisite dai medici e quelle richieste per operare nelle direzioni sanitarie, viola il principio generale in materia di tutela della salute di cui dall’art. 15, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992 – come specificato dall’art. 24 del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale), e dall’art. 13 del Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) quadriennio 1998-2001 dell’Area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale per la dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000 – in base al quale l’inquadramento del dirigente medico nelle direzioni sanitarie ha come presupposto imprescindibile, oltre alla laurea in medicina e chirurgia, la specializzazione nella disciplina di riferimento.

Il ricorrente sottolinea ancora che l’art. 4 della legge regionale n. 45 del 2008 contrasta con i principi di eguaglianza e buona amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 Cost., nonché con la garanzia dei livelli essenziali di assistenza previsti dall’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost., specificando che, in particolare, la disposizione impugnata viola i principi di uguaglianza e di parità di trattamento sia nei confronti degli operatori (differenziando i medici destinatari della disposizione in esame rispetto agli altri medici della stessa e delle altre Regioni), sia nei confronti dei cittadini pugliesi che, diversamente dagli altri cittadini italiani, non hanno la sicurezza di poter essere curati dai medici specializzati nella disciplina richiesta.

1.4.– Il Governo denuncia, anche, l’incostituzionalità dell’art. 13 della legge regionale pugliese – ai sensi del quale «i componenti, a qualsiasi titolo, ivi compresi i segretari, delle commissioni per l’accertamento della invalidità civile, cecità civile, sordomutismo e della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sono incompatibili con tali funzioni qualora detengano cariche elettive politiche o si candidino per conseguirle» – per violazione degli artt. 65 e 117, comma secondo, lettere m) e p), Cost.

L’Avvocatura dello Stato rileva l’illegittimità della previsione nella parte in cui, con l’utilizzo dell’espressione onnicomprensiva «cariche elettive politiche», include fra i propri destinatari i parlamentari nazionali e si estende a tutte le cariche elettive degli enti locali territoriali.

In primo luogo, il ricorrente osserva che tale previsione viola la competenza esclusiva dello Stato in materia di incompatibilità ed ineleggibilità dei parlamentari nazionali di cui all’art. 65 Cost. e, in secondo luogo, che il medesimo art. 13 della legge in esame invade la competenza esclusiva dello Stato nella materia "organi di governo” di Comuni, Province e Città metropolitane prevista dall’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost., nonché nella materia inerente la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost.

A tale fine l’Avvocatura dello Stato richiama i rilievi espressi dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 29 del 2006 e n. 456 del 2005.

1.5.– Viene, infine, denunciata l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della citata legge regionale – ai sensi del quale «il personale laureato non medico in servizio presso le ASL della regione Puglia con la qualifica di educatore professionale a cui è stato riconosciuto il possesso del titolo di laurea magistrale, che ha usufruito dei benefici previsti dall’articolo 24 (Educatori professionali) della legge regionale 12 gennaio 2005, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2005 e bilancio pluriennale 2005-2007 della Regione Puglia), così come sostituito dall’articolo 23 della legge regionale n. 10 del 2007, e dell’articolo 6, comma 6, della legge regionale n. 26 del 2006 e inquadrato nella categoria DS del CCNL Comparto sanità, alla data di entrata in vigore della presente legge, è equiparato alle figure similari laureate, secondo il parere del Consiglio superiore della sanità - art. 4 ed è inquadrato nella dirigenza sanitaria non medica, di cui all’allegato 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), in ossequio, altresì, alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 13 luglio 1994, n. 763» – per violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost., e dei principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, nonché del principio del pubblico concorso, di cui agli artt. 3, 51 e 97 Cost.

Si assume, infatti, che tale disposizione si ponga in contrasto con il principio fondamentale in materia di tutela della salute di cui all’art. 6 della legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie, infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) – specificato con d.P.R. del 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale) – il quale, nello stabilire la procedura per l’accesso alla dirigenza per i profili professionali del comparto, prevede la procedura concorsuale «alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli richiesti per l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario regionale».

In ragione del disposto di tale previsione, l’Avvocatura dello Stato ritiene di muovere, in relazione all’art. 13 della citata legge regionale, gli stessi rilievi svolti con riferimento all’art. 1 della medesima.

2.– Con memoria del 20 marzo 2009, depositata il successivo 30 marzo, si è costituita la Regione Puglia chiedendo a questa Corte di rigettare il ricorso in esame.

2.1.– Relativamente all’art. 1 della legge regionale n. 45 del 2008, la Regione rileva, primariamente, che tale disposizione non stabilisce la possibilità di stabilizzazione per il personale dirigente medico incluso nell’ambito di applicazione del medesimo articolo – giacché tale possibilità era stata invece testualmente prevista nella precedente e non impugnata legge regionale (art. 3, comma 40, della legge regionale n. 40 del 2007) – risultando pertanto siffatto profilo estraneo all’oggetto dell’attuale giudizio di legittimità costituzionale.

Secondo la Regione, pertanto, i profili disciplinati dalla previsione impugnata rientrano nell’ambito della potestà legislativa regionale residuale esclusiva, così che, anche ove la normativa statale di cui alla legge n. 244 del 2007 avesse inteso suggerire alle Regioni la stabilizzazione del solo personale precario non dirigente, non si sarebbe potuto escludere che, nell’esercizio della propria potestà legislativa esclusiva, le Regioni stesse, sui medesimi presupposti, potessero altresì estendere la normativa di stabilizzazione al personale dirigente.

La Regione rileva, inoltre, che la deroga al d.P.R. n. 483 del 1997, (prevista dall’art. 1 della legge regionale oggetto d’impugnazione) si riferisce esclusivamente al possesso del requisito del titolo di specializzazione, previsto dall’anzidetto d.P.R., e non già alle prove selettive, cui restano comunque sottoposti tutti i dirigenti medici in servizio a tempo determinato, ed anche quelli in servizio presso le unita operative di medicina e chirurgia di accettazione e urgenza, in ragione del disposto dell’art. 3 comma 40, della precedente legge regionale n. 40 del 2007, ai sensi del quale «al processo di stabilizzazione il personale, di cui al presente comma, accede, previo superamento di apposita pubblica selezione di natura concorsuale, [...] con le procedure e i criteri previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483, qualora in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti [...]».

La difesa regionale afferma, altresì, che la scuola attraverso la cui frequenza dovrebbe conseguirsi la specializzazione di Medicina e Chirurgia di accettazione e urgenza non risulta ancora né finanziata, né attivata dal Ministero per l’Università e per la Ricerca scientifica, cui appartiene la competenza in materia.

Comunque, per la resistente, l’art. 1 risulta rispettoso del principio costituzionale del pubblico concorso, condizionando l’accesso alla stabilizzazione, in conformità della normativa statale di cui alla legge n. 244 del 2007, o all’aver partecipato ad una procedura selettiva per l’accesso alla posizione a tempo determinato da stabilizzare ovvero, nel caso in cui non vi sia tale presupposto, alla sottoposizione, prima dell’accesso alla stabilizzazione, ad una procedura siffatta, ritenendosi pertanto infondata la censura relativa alla violazione dell’art. 97, nonché degli art. 3 e 51 Cost.

A supporto di tale conclusione, la Regione offre un’articolata ricostruzione della giurisprudenza costituzionale in materia di stabilizzazione del personale, nell’ambito della quale viene messo in luce il rilievo che questa Corte ha attribuito, nel giudizio relativo alle norme regionali disciplinanti tali procedure, al «possesso di una precedente esperienza nell’ambito dell’Amministrazione, ove questo si configuri ragionevolmente quale requisito professionale» (sentenza n. 1 del 1999), al «vasto ambito di discrezionalità che spetta al legislatore, sia statale che regionale, nelle scelte relative alla creazione e alla organizzazione dei pubblici uffici» (sentenza n. 141 del 1999) e alla necessità di «consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nell’ambito dell’Amministrazione» (sentenza n. 34 del 2004).

2.2.– Con riferimento ai profili di censura relativi all’art. 3, la Regione rileva che la disposizione impugnata è ispirata a finalità di semplificazione amministrativa, richiamando, sul punto, il disposto della precedente legge della Regione Puglia 28 maggio 2004, n. 8, che, all’art. 5, aveva già escluso dall’autorizzazione gli studi medici esercenti attività professionale, ad eccezione dei soli studi esercenti attività specialistica ambulatoriale chirurgica (per le prestazioni comprese tra quelle individuate con apposito provvedimento di giunta regionale) e specialistica ambulatoriale odontoiatrica (anche in tal caso per prestazioni comprese tra quelle individuate con apposito provvedimento della giunta regionale).

La difesa regionale rileva che la disposizione impugnata risulta solo parzialmente innovativa rispetto al regime previgente, giacché ha inteso semplificare l’avvio dell’esercizio dell’attività professionale medica o odontoiatrica limitatamente alle forme organizzative più semplici e sempre che le strutture non intendano domandare l’accreditamento istituzionale con il servizio sanitario nazionale, né aspirare ad accordi contrattuali con lo stesso per disimpegnare il pubblico servizio.

La Regione Puglia, inoltre, non condivide il richiamo agli artt. 3 e 41 Cost. operato dalla difesa erariale, sostenendo, con riferimento al primo parametro, che non sussiste violazione del principio di eguaglianza; e, relativamente al secondo, che il disposto dell’art. 41 non può essere sic et simpliciter esteso all’attività professionale (salvo che, per l’appunto, non sia esercitata in forma di impresa), giacchè per la stessa, a prescindere dagli eventuali controlli e dalle eventuali limitazioni amministrative, valgono le attribuzioni proprie degli ordini professionali ed i codici deontologici delle professioni.

La resistente sottolinea, infine, l’inconferenza del richiamo all’art. 117, terzo comma, Cost., giacché la normativa statale richiamata dal ricorrente (e cioè l’art. 8, comma 4, e l’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992) fissa la «competenza delle regioni in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie private» (art. 8, comma 4) e limita la necessità di autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie (professionali) ai soli casi in cui presso gli studi professionali siano erogate «prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente, nonché per le strutture esclusivamente dedicate ad attività diagnostiche».

2.3.– Con riferimento, poi, alla lamentata illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Puglia, la Regione, richiamando la sentenza n. 45 del 2008 della Corte costituzionale, afferma che la regolamentazione oggetto di tale previsione è riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali e rientra, pertanto, nella competenza residuale delle medesime Regioni, di cui all’art. 117, comma quarto, Cost.

La stessa Regione sottolinea, inoltre, che nei confronti del personale medico cui si applica l’art. 4 non è prevista alcuna forma di stabilizzazione, atteso che i soggetti interessati sono già in servizio a tempo indeterminato, e che la disciplina impugnata ha esclusivamente la finalità di garantire la massima efficienza alle funzioni strategiche delle ASL, senza che ciò comporti alcuna variazione numerica e di costo della dotazione organica.

La difesa regionale, a tale fine, cita l’art. 1 della legge 29 dicembre 2000, n. 401 (Norme sull’organizzazione e sul personale del settore sanitario), che ha previsto, per i dirigenti medici, l’inquadramento nella disciplina nella quale gli stessi esercitano le funzioni, anche se diverse da quelle per le quali sono stati assunti.

Infine, la resistente Regione rileva l’inconferenza del richiamo al principio di eguaglianza rispetto sia agli altri medici della stessa Puglia ai quali non si applica il disposto della disposizione denunciata, sia a quelli delle altre Regioni italiane, così come relativamente alla posizione dei cittadini pugliesi – i quali secondo la difesa erariale non avrebbero la sicurezza di poter essere curati da medici specializzati nella disciplina richiesta al pari degli altri cittadini italiani – dal momento che i medici delle Direzioni sanitarie non prestano assistenza diretta nei confronti dei cittadini, ma piuttosto esercitano la funzione di management sanitario, e cioè di responsabilità dell’organizzazione sanitaria nel suo complesso.

2.4.– Relativamente, poi, ai profili di censura aventi ad oggetto l’art. 13 della citata legge, la Regione Puglia, ritenendoli infondati, sostiene che la norma in questione non ha inteso prevedere alcuna forma di ineleggibilità o incompatibilità rispetto alla posizione di parlamentare nazionale o all’assunzione di cariche elettive presso enti territoriali, affermando che la stessa si è limitata a stabilire un requisito negativo di accesso a componente delle Commissioni per l’accertamento dell’invalidità civile, cecità civile, sordomutismo e della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), ovvero per la nomina a segretario delle stesse.

Secondo la difesa regionale, tale disposizione è espressione della propria potestà normativa esclusiva, costituendone tipica manifestazione in quanto riguardante la disciplina della composizione di strutture amministrative dipendenti dalla medesima Regione Puglia. Quest’ultima ritiene, infine, inconferente il riferimento all’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost., sostenendo nel merito che la disposizione impugnata non incide in alcun modo sui livelli essenziali delle prestazioni concernenti i «diritti civili e sociali».

2.5.– Quanto alle censure relative all’art. 18 della legge regionale n. 45 del 2008, la Regione contesta la fondatezza dei profili di illegittimità rilevati dal ricorrente, sostenendo che il personale interessato da tale previsione risulta comunque fornito del titolo di laurea magistrale e che lo stesso, ai sensi dell’art. 24 della legge regionale 12 gennaio 2005, n. 1 (come sostituito dall’art. 23 della legge regionale n. 10 del 2007), è già stato equiparato alla figura professionale di «collaboratore professionale esperto», non ricorrendo pertanto una deroga alla regola del pubblico concorso.

Secondo la Regione resistente, infatti, la disposizione impugnata determina una forma di riqualificazione normativa dell’intera posizione di lavoro denominata «educatore professionale», che è altresì confermata nella sua legittimità dalla circostanza che, con la stessa, la Regione ha inteso conformarsi ad un parere del Consiglio Superiore della Sanità ed alla decisione del Consiglio di Stato 13 luglio 1994, n. 763.

3.– Con successiva memoria, il Presidente del Consiglio dei ministri ha precisato i profili di illegittimità oggetto del ricorso e ha preso posizione in relazione alle argomentazioni sviluppate dalla Regione Puglia nel proprio atto di costituzione in giudizio.

3.1.– Con particolare riferimento alla prima censura, la difesa erariale contesta la ricostruzione della Regione – secondo cui l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Puglia n. 45 del 2008 non riguarderebbe l’accesso al processo di stabilizzazione del personale medico dirigenziale, quanto, invece, l’assunzione a tempo indeterminato del personale medico non dirigente – ritenendo invece che la normativa censurata abbia invero ad oggetto proprio la posizione dei dirigenti. Tale ultimo assunto si fonda sia sulla considerazione che la disposizione impugnata è stata collocata dal legislatore regionale «alla fine del quarto periodo del comma 40 della legge della Regione Puglia 31.12.2007, n. 40», relativo alla stabilizzazione del personale del ruolo della dirigenza, sia sul richiamo espresso, previsto dalla norma regionale impugnata, al d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483, recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del servizio sanitario nazionale, anziché al d.P.R. 27 marzo 2001, n. 220 (Regolamento recante la disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale).

Il ricorrente sostiene, altresì, che – pur se si volesse accogliere la ricostruzione della Regione – l’art. 1 della legge regionale n. 45 del 2008 risulterebbe parimenti illegittimo per contrasto con l’art. 3, comma 94, della legge n. 244 del 2007 che ha, in ogni caso, subordinato la stabilizzazione del personale non dirigenziale all’espletamento di prove selettive, attraverso il riferimento agli artt. 519 e 558 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)». Tali articoli richiedono, infatti, per i titolari di contratti a tempo determinato, i1 possesso del requisito dell’assunzione mediante procedure selettive di natura concorsuale, in quanto prevedono che «alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse (in assenza del concorso) si provvede previo espletamento di prove selettive». Parimenti gli artt. 529 e 560 della medesima legge prevedono, per l’assunzione a tempo indeterminato del personale utilizzato con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, lo svolgimento, in ogni caso, di prove di natura concorsuale con riserva del 60 per cento del totale dei posti programmati.

Sul punto, l’Avvocatura dello Stato, ribadisce che la disposizione regionale impugnata costituisce una deroga tout court alla procedura concorsuale.

Il ricorrente chiarisce, infatti, che mentre il previgente art. 1, comma 40, della legge della Regione Puglia n. 40 del 2007, subordinava, in generale, la stabilizzazione del personale dirigenziale al superamento di «apposita pubblica selezione di natura concorsuale […] con le procedure ed i criteri previsti dal D.P.R. 10.12.1997 n. 483» ed al possesso di almeno uno dei prescritti requisiti, la novella inserita dall’art. 1 della legge regionale n. 45 del 2008 – oggetto dell’attuale giudizio di legittimità costituzionale – dispone invece testualmente che «il personale medico, in servizio presso le unità operative di medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza delle aziende sanitarie, assunto a tempo determinato, in deroga a quanto previsto dal D.P.R. 483/1997, accede al processo di stabilizzazione qualora in possesso di uno dei requisiti sopra indicati».

Il Governo ritiene privo di riscontro normativo e contrario al dato testuale l’argomento della Regione Puglia secondo cui la disposizione impugnata, anziché derogare alla procedura concorsuale, derogherebbe esclusivamente al possesso del requisito della specializzazione in medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza, atteso che, se l’intenzione del legislatore regionale fosse stata quella prospettata dalla Regione Puglia, lo stesso, nella formulazione della norma oggetto del presente giudizio, avrebbe dovuto operare un riferimento esplicito alla procedura selettiva, presente, invece, solo nella ricordata precedente parte del comma 40 dell’art. 3 della legge della Regione Puglia n. 40 del 2007.

Quindi, il ricorrente ritiene errata la ricostruzione operata dalla Regione relativamente alla giurisprudenza costituzionale  in materia di lesione del principio del concorso per l’accesso ai pubblici uffici, rilevando come, invece, la deroga alla procedura concorsuale possa essere giustificata esclusivamente da straordinarie ragioni di interesse pubblico, ivi compresa la necessità, per l’amministrazione, di avvalersi di esperienze professionali caratterizzate da specificità assoluta, acquisite dal personale destinatario della stabilizzazione e, come tali, non reperibili attraverso procedure concorsuali aperte a soggetti esterni (sentenze n. 81 del 2006 e n. 159 del 2005, ordinanza n. 517 del 2002), con presupposti cioè che, secondo l’Avvocatura dello Stato, non sono presenti nel caso di specie, palesandosi quindi ulteriormente l’illegittimità costituzionale della normativa sottoposta al vaglio della Corte.

Con riferimento alle altre norme impugnate, la difesa erariale si limita a ribadire i rilievi di illegittimità costituzionale contenuti nel ricorso, contestando, a tale fine, le considerazioni difensive espresse dalla Regione Puglia nel proprio atto di costituzione.

4.– In prossimità dell’udienza la Regione Puglia ha depositato, fuori termine, una memoria.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, 41, 51, 65, 97, 117, commi primo, secondo, lettere m), p) e s), e terzo, della Costituzione – degli artt. l, comma 1, 3, 4, 13 e 18 della legge della Regione Puglia 23 dicembre del 2008, n. 45 (Norme in materia sanitaria), in quanto tali norme eccederebbero le competenze regionali sotto vari profili.

1.1.– In particolare, con riferimento all’art. 1, comma 1, della legge regionale Puglia n. 45 del 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che la disciplina censurata, disponendo la stabilizzazione di personale dirigenziale medico, assunto a tempo determinato, qualora in possesso di determinati requisiti, lederebbe l’art. 117, comma terzo, della Costituzione sotto un duplice profilo: sia, cioè, per contrasto con i principi di coordinamento della finanza pubblica, dettati dall’art. 3, comma 94, della legge  24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)», che vieta l’applicabilità delle procedure di stabilizzazione al personale dirigenziale; sia per contrasto con il principio fondamentale in materia di tutela della salute, dettato dall’art. 15, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che impone l’accesso alla dirigenza sanitaria mediante concorso pubblico per titoli ed esami.

Inoltre, la norma impugnata lederebbe gli artt. 3, 51 e 97 Cost., cioè i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, introducendo una deroga ingiustificata alla regola del concorso pubblico.

1.2.– Anche l’art. 4 della citata legge regionale – prevedendo l’inquadramento a domanda nelle direzioni sanitarie di dirigenti medici che svolgono attività di staff presso direzioni generali, senza l’espletamento di un pubblico concorso e senza, quindi, alcuna possibilità di oggettiva verifica circa la necessità che vi sia corrispondenza (ovvero equipollenza o affinità) tra le specializzazioni acquisite dai medici e quelle richieste per operare nelle direzioni sanitarie – violerebbe, sempre secondo il ricorrente, l’art. 117, comma terzo, Cost., in quanto in contrasto anch’esso con l’art. 15, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, come specificato dall’articolo 24 del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale), e dall’art. 13 del Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL), quadriennio 1998-2001, per la dirigenza medica e veterinaria 8 giugno 2000, secondo i quali l’inquadramento del dirigente medico nelle direzioni sanitarie ha come presupposto imprescindibile, oltre alla laurea in medicina e chirurgia, la specializzazione nella disciplina di riferimento.

La norma regionale impugnata sarebbe, altresì, lesiva degli artt. 3 e 97 Cost. per violazione, rispettivamente, dei principi di eguaglianza e di buona amministrazione; nonché dell’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost., in relazione alla competenza esclusiva dello Stato nella materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Quanto, poi, all’art. 18 della legge in esame – che stabilisce l’inquadramento nella dirigenza sanitaria non medica (di cui all’allegato 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, recante norme sullo «Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali», e alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, del 13 luglio 1994, n. 763) del personale laureato non medico, in servizio presso le aziende sanitarie locali (ASL) della Regione Puglia con la qualifica di educatore professionale, al quale è stato riconosciuto il possesso del titolo di laurea magistrale – lo stesso, secondo il ricorrente, violerebbe l’art. 117, comma terzo, Cost.. Sarebbe, infatti, in contrasto con il principio fondamentale desumibile dall’art. 6 della legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica), che – nello stabilire la procedura per l’accesso alla dirigenza per i citati profili professionali – prevede la procedura concorsuale alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli richiesti «per l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario regionale». Vi sarebbe, altresì, lesione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., per violazione dei principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione e del principio del pubblico concorso.

Il ricorrente censura anche l’art. 3 della citata legge regionale, poiché violerebbe l’art. 117, comma terzo, Cost., in quanto in contrasto con i principi fondamentali desumibili dagli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 , secondo i quali «gli studi medici e odontoiatrici ove attrezzati per erogare prestazioni di chirurgia ambulatoriale, ovvero procedure diagnostiche e terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente» devono essere autorizzati previa verifica del possesso dei requisiti fissati con il d.P.R. 14 gennaio 1997 (Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private), adottato ai sensi del citato art. 8, comma 4.

La disposizione regionale censurata contrasterebbe, inoltre, con gli artt. 3 e 41 Cost.

Infine, con riferimento all’art. 13 della legge regionale n. 45 del 2008, il ricorrente lamenta che lo stesso – nella parte in cui stabilisce l’incompatibilità a far parte «a qualsiasi titolo, ivi compresi i segretari, delle commissioni per l’accertamento della invalidità civile, cecità civile, sordomutismo e della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate)», di coloro che «detengano cariche elettive politiche o si candidino per conseguirle» – violerebbe l’art. 65 Cost., in relazione alla competenza esclusiva dello Stato in materia di incompatibilità ed ineleggibilità dei parlamentari nazionali; l’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost., relativamente alla competenza esclusiva dello Stato nella materia di «organi di governo» di Comuni, Province e Città metropolitane; ed, infine, anche l’art. 117, comma secondo, lettera m), Cost., in riferimento alla competenza esclusiva dello Stato nella materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.

Il ricorrente sottolinea, in particolare, l’illegittimità della previsione nella parte in cui, con l’utilizzo dell’espressione onnicomprensiva «cariche elettive politiche», include fra i propri destinatari i parlamentari nazionali ed estende il divieto a tutte le cariche elettive degli enti locali territoriali.

2.– Prima di affrontare il merito delle questioni, occorre esaminare un profilo preliminare, riferibile all’intero ricorso: le censure riguardanti la violazione dei commi primo e secondo, lettera s), dell’art. 117 Cost. sono presenti solo nel dispositivo del ricorso, mentre è omesso qualsiasi accenno alle stesse sia nella parte motiva del medesimo ricorso, sia nell’allegata Relazione del Ministro per i rapporti con le Regioni. Pertanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, tali censure sono inammissibili.

3.– In ragione della omogeneità e della reciproca connessione, sembra opportuno, primariamente, trattare le questioni relative agli artt. 1, comma 1, e 18 della legge della Regione Puglia n. 45 del 2008, in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 Cost., nonché quella relativa all’art. 4 della medesima legge in riferimento ai soli artt. 3 e 97 Cost.

3.1.– Le questioni,con riferimento alla violazione degli artt. 97 e 117 Cost., sono fondate. Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.

Tutte e tre le disposizioni legislative censurate prevedono ipotesi di accesso alla dirigenza sanitaria medica (art. 1, comma 1, e art. 4) e non medica (art. 18) che, in assenza di peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico, derogano significativamente al criterio del concorso pubblico, richiesto sia, in via generale, dall’art. 97 Cost., sia da specifiche disposizioni legislative statali che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, costituiscono principi fondamentali in materia di tutela della salute.

Al riguardo, è opportuno sottolineare che questa Corte, ancora di recente (sentenza. n. 293 del 2009), ha escluso la legittimità di arbitrarie restrizioni alla partecipazione alle procedure selettive, chiarendo che «al concorso pubblico deve riconoscersi un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni. Il concorso è necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio (ciò che comunque costituisce una «forma di reclutamento» – sentenza n. 1 del 1999), e in quelli, che più direttamente interessano le fattispecie in esame, di trasformazione di rapporti non di ruolo, e non instaurati ab origine mediante concorso, in rapporti di ruolo (sentenza n. 205 del 2004). Sotto quest’ultimo profilo, infine, questa Corte ha precisato i limiti entro i quali può consentirsi al legislatore di disporre procedure di stabilizzazione di personale precario che derogano al principio del concorso. Secondo l’orientamento progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza costituzionale, infatti, «l’area delle eccezioni» al concorso deve essere «delimitata in modo rigoroso» (sentenza n. 363 del 2006). Le deroghe sono pertanto legittime solo in presenza di «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» idonee a giustificarle (sentenza n. 81 del 2006). Non è in particolare sufficiente, a tal fine, la semplice circostanza che determinate categorie di dipendenti abbiano prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione (sentenza n. 205 del 2006), né basta la «personale aspettativa degli aspiranti» ad una misura di stabilizzazione (sentenza n. 81 del 2006). Occorrono invece particolari ragioni giustificatrici, ricollegabili alla peculiarità delle funzioni che il personale da reclutare è chiamato a svolgere, in particolare relativamente all’esigenza di consolidare specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione e non acquisibili all’esterno, le quali facciano ritenere che la deroga al principio del concorso pubblico sia essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione».

Anche relativamente alle ipotesi che determinano in pratica un automatico e generalizzato slittamento di soggetti specificamente individuati verso la qualifica superiore, questa Corte ha più volte stabilito che esse si pongono in evidente contrasto «con il principio costituzionale del pubblico concorso e con la consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia (sentenze n. 465 e n. 159 del 2005)».

La natura comparativa e aperta della procedura è, pertanto, elemento essenziale del concorso pubblico. Procedure selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno, violano il «carattere pubblico» del concorso (sentenza n. 34 del 2004) e, conseguentemente, i principi di imparzialità e buon andamento, che esso assicura. Un’eventuale deroga a tale principio è ammessa, secondo la giurisprudenza costituzionale, solo ove essa stessa sia strettamente funzionale alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione (sentenze n. 9 del 2010 e n. 293 del 2009).

3.2.– Gli artt. 1, comma 1, 4 e 18 della legge regionale in esame, non rispettando precisi principi fondamentali, violano anche l’art. 117, comma terzo, Cost., che fissa i limiti della competenza legislativa regionale  in materia di tutela della salute.

Per quanto riguarda l’art. 1, comma 1, innanzitutto, è erroneo il rilievo difensivo della parte resistente volto a ricondurre la disciplina in oggetto alla materia residuale di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost., ed in particolare alla «organizzazione amministrativa regionale». L’impugnata disposizione, difatti, «afferendo alla delimitazione temporale dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni sanitarie, strumentale alla prestazione del servizio, è, invece, espressione della potestà legislativa regionale nella materia concorrente della "tutela della salute” di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, come già riconosciuto da questa Corte (così, infatti, sentenza n. 422 del 2006)». In questo ambito, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, «il legislatore regionale è tenuto a rispettare i principi fondamentali sanciti a livello statale» (sentenze n. 295 del 2009 e n. 105 del 2007).

Il legislatore regionale pugliese, nel caso di specie, ha disatteso – stante il disposto della norma censurata – quanto previsto dal comma 7 dell’art. 15 del d.lgs. n. 502  del 1992, che, al primo periodo, impone, in base a quanto prescrive il decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483, che l’accesso alla dirigenza sanitaria avvenga mediante concorso pubblico per titoli ed esami.

Appare evidente il contrasto tra quanto stabilito dall’art. 1, comma 1, della legge regionale n. 45 del 2008, che prevede, per la sola Regione Puglia, un’eccezione alla regola generale, e il suddetto principio fondamentale sancito dal legislatore statale. Contrasto reso evidente dalla considerazione – come sottolineato anche dal ricorrente – che la disposizione legislativa oggetto di censura elude il necessario filtro del concorso pubblico (senza che tale eccezione venga ad essere giustificata da interessi pubblici ulteriori, né da particolari situazioni di emergenza), prevedendo espressamente che la stabilizzazione di personale «assunto a tempo determinato» avvenga «in deroga a quanto previsto dal d.P.R. 483/97».

Né ha pregio l’argomentazione difensiva della Regione che afferma che la deroga al contenuto del d.P.R. n. 483 del 1997 si riferirebbe esclusivamente al requisito del titolo di specializzazione e non alle procedure concorsuali e che il «processo di stabilizzazione» non riguarderebbe la dirigenza sanitaria. Contraddice la prima argomentazione la collocazione della disposizione legislativa regionale, dato che essa è espressamente inserita dopo il quarto periodo del comma 40 dell’art. 3 della precedente legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40, vale a dire dopo la disposizione (contenuta nel terzo periodo) in cui si prevede il «previo superamento di apposita pubblica selezione di natura concorsuale». Ne deriva che la «deroga a quanto previsto dal d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483» che tale modifica normativa prevede, deve intendersi proprio riferita alle procedure concorsuali le quali costituiscono, oltretutto, lo specifico oggetto di tale decreto presidenziale (che appunto reca «la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del servizio sanitario nazionale»). Ma il riferimento a tale ben determinata normativa vale a dimostrare l’erroneità anche della seconda argomentazione difensiva, posto che, se la stabilizzazione avesse riguardato l’accesso ad un’area non dirigenziale, il riferimento non avrebbe riguardato il d.P.R. n. 483 del 1997, ma il d.P.R. 27 marzo 2001, n. 220, quello cioè che contiene il «Regolamento recante la disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del Servizio sanitario nazionale». Vi è poi da tenere presente che tutta la restante parte del citato comma 40 dell’art. 3 della legge regionale n. 40 del 2007, al cui interno è stata inserita la disposizione censurata, disciplina la «stabilizzazione del personale del ruolo della dirigenza».

3.3.– Quanto appena detto relativamente alla fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della medesima legge della Regione Puglia vale anche per la questione di legittimità dell’art. 4 della legge regionale n. 45 del 2008.

Infatti, anche tale disposizione regionale – prevedendo l’inquadramento, a domanda, dei dirigenti medici in servizio a tempo indeterminato nelle direzioni sanitarie – contravviene alla regola generale desumibile dall’art. 15, comma 7, del d.lgs. n. 502 del 1992, come integrato dall’art. 24 del d.P.R. 10 dicembre 1997, n. 483 (Regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale). La suddetta normativa, cui fa riferimento anche l’art. 13 del Contratto collettivo nazionale di lavoro, relativo al quadriennio 1998-2001, per la dirigenza medica e veterinaria 8 giugno 2000, stabilisce che l’inquadramento del dirigente medico nelle direzioni sanitarie ha come presupposto imprescindibile l’espletamento di procedure concorsuali e selettive, alle quali si può accedere solo se in possesso, oltre che del titolo di laurea in medicina e chirurgia, anche di specializzazione nella disciplina oggetto del concorso.

3.4.– Sulla base delle precedenti considerazioni, è da accogliere anche l’analoga censura mossa dal ricorrente all’art. 18 della medesima legge regionale della Puglia, sempre per violazione del principio fondamentale dell’accesso alla dirigenza sanitaria – in questo caso non medica – senza la previsione di pubblico concorso.

L’art. 18 della legge regionale in esame, difatti, – stabilendo «l’inquadramento nella dirigenza sanitaria non medica (di cui all’allegato 2 del decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979, n. 761, recante norme sullo "Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali”, e alla sentenza del Consiglio di Stato sez. V del 13 luglio 1994, n. 763) del personale laureato non medico, in servizio presso le aziende sanitarie locali (ASL) della regione Puglia con la qualifica di educatore professionale e al quale è stato riconosciuto il possesso del titolo di laurea magistrale» – si pone in contrasto con il principio fondamentale contenuto nel primo periodo dell’art. 6 della legge 10 agosto 2000, n. 251, che, nello stabilire la procedura per l’accesso alla dirigenza per i citati profili professionali, prevede la procedura concorsuale «alla quale si accede con requisiti analoghi a quelli richiesti per l’accesso alla dirigenza del Servizio sanitario regionale», cioè «[…] mediante concorso pubblico per titoli ed esami, disciplinato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 483 ivi compresa la possibilità di accesso con una specializzazione in disciplina affine».

Pertanto, anche la norma regionale in esame, per considerazioni identiche alle precedenti sopra esposte – relative agli artt. 1, comma 1, e 4 della stessa legge regionale – va dichiarata costituzionalmente illegittima per la violazione degli artt. 97 e 117, comma terzo, Cost.

4.– Il ricorrente deduce, altresì, in riferimento all’art. 117, comma terzo, e agli artt. 3 e 41 Cost., l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della citata legge, a norma del quale è escluso il regime dell’autorizzazione per gli studi medici privati o studi odontoiatrici privati, organizzati in forma singola e associata, non aperti al pubblico, in difformità al principio fondamentale in materia della salute previsto dagli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, che tale autorizzazione prevedono al fine di verificare, preventivamente, il possesso dei requisiti fissati con il d.P.R. 14 gennaio 1997.

Il primo motivo di censura è fondato.

Innanzitutto, è da disattendere il rilievo difensivo della parte resistente volto a giustificare tale deroga sulla base della considerazione che la disposizione censurata sarebbe ispirata a finalità di semplificazione amministrativa, tese a rimuovere «non sempre necessarie autorizzazioni allo svolgimento di attività (in specie professionali) private», e che la stessa sia da considerarsi solo parzialmente innovativa rispetto al previgente sistema legislativo regionale in tema, poiché avrebbe esteso ad alcuni altri casi di attività professionale medica quanto già previsto dall’art. 5 della legge regionale della Puglia 28 maggio 2004, n. 8 (Disciplina in materia di autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio, all’accreditamento istituzionale e accordi contrattuali delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private), adottato ai sensi del citato art. 8, comma 4.

Infatti, se è condivisibile che la competenza regionale in tema di autorizzazione e vigilanza delle istituzioni sanitarie private vada inquadrata nella potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute (ex art. 117, comma terzo, Cost.), resta, comunque, – come già sottolineato – precluso alle Regioni di derogare a norme statali che fissano principi fondamentali.

Nel caso di specie, il denunciato art. 3, non prevedendo l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitarie per gli studi medici e odontoiatrici, finisce con il disattendere il principio fondamentale dettato dagli artt. 8, comma 4, e 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 (norme di principio) che stabilisce la necessità di tale autorizzazione «per assicurare livelli essenziali di sicurezza e di qualità delle prestazioni, in ambiti nei quali il possesso della dotazione strumentale e la sua corretta gestione e manutenzione assume preminente interesse per assicurare l’idoneità e la sicurezza delle cure». La circostanza che queste strutture non abbiano l’accreditamento presso il servizio sanitario nazionale non incide sul tipo di prestazioni che esse vengono ad erogare.

La questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 3 della legge regionale Puglia n. 45 del 2008, per le motivazioni sopra esposte, è, dunque, fondata, restando assorbite le censure relative alla violazione degli artt. 3 e 41 Cost.

5.– In relazione, infine, all’art. 13 della legge regionale n. 45 del 2008, va rilevato che, successivamente alla proposizione del ricorso, è entrato in vigore l’art. 39 della legge della Regione Puglia 30 aprile 2009, n. 10 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2009 e bilancio pluriennale 2009-2011 della Regione Puglia), che ha integralmente modificato il testo della norma impugnata. Per effetto di tale modifica, si sono determinate la completa eliminazione della disposizione impugnata e la preclusione di qualunque sua futura applicazione.

Avendo la disposizione modificativa contenuto completamente innovativo rispetto alla previgente disciplina, non è possibile trasferire sulla nuova disposizione l’originaria questione di legittimità costituzionale. Considerato, inoltre, che la difesa della Regione Puglia, in sede di discussione, ha richiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere e che la norma impugnata non risulta aver avuto applicazione, medio tempore, (sentenza n. 289 del 2007), può, pertanto, ritenersi venuta meno ogni ragione della controversia e deve essere dichiarata al riguardo la cessazione della materia del contendere.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, 3, 4 e 18 della legge della Regione Puglia 23 dicembre del 2008, n. 45 (Norme in materia sanitaria);

dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della stessa legge regionale n. 45 del 2008, sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 65 e 117, comma secondo, lettere m) e p), della Costituzione, con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2010.