SENTENZA N. 468
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Dott. Aldo CORASANITI Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice
Dott. Francesco GRECO “
Prof. Gabriele PESCATORE “
Avv. Ugo SPAGNOLI “
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA “
Prof. Antonio BALDASSARRE “
Prof. Vincenzo CAIANIELLO “
Avv. Mauro FERRI “
Prof. Luigi MENGONI “
Prof. Enzo CHELI “
Prof. Giuliano VASSALLI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Regione Marche notificato il 15 maggio 1991, depositato in Cancelleria il 21 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del telegramma del Commissario del Governo presso la Regione Marche in data 16 marzo 1991, in relazione alla decisione n. 262/204/GAB91 con la quale è stata rinnovata la richiesta di riesame della legge intitolata "Trattamento di fine servizio del personale degli Istituti autonomi per le case popolari (I.A.C.P.)", ed iscritto al n. 30 del registro conflitti 1991;
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 9 luglio 1991 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
Uditi l'Avvocato Valerio Onida per la Regione Marche e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri;
Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Marche ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alla deliberazione governativa, comunicata con telegramma del Commissario del Governo inviato in data 16 marzo 1991 (prot. n. 262/204/GAB. 91), con la quale è stato disposto il rinvio per un nuovo esame del Consiglio della Regione Marche della legge regionale, dal titolo "Trattamento di fine servizio del personale degli Istituti autonomi per le case popolari (I.A.C.P.)", riapprovata senza modificazioni dal Consiglio regionale il 26 febbraio 1991, con voto a maggioranza assoluta, ai sensi dell'art. 127 della Costituzione.
Premesso che la legge ora citata era stata approvata una prima volta il 21 marzo 1990 in un testo conforme a quello definitivamente riapprovato ed era già stata rinviata per violazione dei medesimi articoli (artt. 3 e 97 della Costituzione) fatti valere con il rinvio impugnato, la Regione Marche afferma di presupporre che, non essendo pensabile che il Governo sia incorso nella svista di reiterare illegittimamente il rinvio, quest'ultimo sia stato dettato dal motivo che fra la prima e la seconda approvazione è intervenuto il mutamento della composizione del Consiglio regionale a seguito delle elezioni svolte nel giugno del 1990. Se così fosse, continua la ricorrente, si dovrebbe dire che il Governo ha agito illegittimamente, poiché il rinnovo del Consiglio regionale non può essere considerato come una circostanza di per sé idonea a modificare i presupposti per l'applicazione dell'art. 127 della Costituzione. Di fronte a tale articolo, infatti, la Regione viene in considerazione come ente che si contrappone in un rapporto "esterno" con lo Stato e che, per ciò stesso, si configura come identico a se stesso indipendentemente dalla successione nel tempo dei titolari delle cariche regionali. Sicché è il Consiglio regionale nella sua continuità di esistenza, e come organo della Regione in quanto tale, che è chiamato a riesaminare la legge ed è abilitato ad approvarla. Né, sempre secondo la Regione ricorrente, si potrebbe addurre che così non è per il Parlamento nazionale, sia perché la concezione di quest'ultimo come organo "nuovo" ad ogni elezione è una ricostruzione ormai superata, sia perché la cosiddetta discontinuità delle Assemblee parlamentari potrebbe concernere, semmai, la capacità rappresentativa delle stesse Assemblee rispetto al corpo elettorale, e non già l'identità dell'organo nei rapporti con gli altri organi e poteri.
Infine, la ricorrente osserva che l'art. 127 della Costituzione dev'esser interpretato nel senso che il Governo, in sede di rinvio, possa bloccare la legge per una sola volta e che tale blocco possa esser superato con un voto del Consiglio regionale a maggioranza assoluta, indipendentemente dall'identità dei soggetti componenti quell'organo. E, se così non fosse, si finirebbe per attribuire al rinvio posto dal Governo nell'imminenza della scadenza del Consiglio l'effetto di bloccare definitivamente il procedimento di formazione delle leggi regionali, trasformando così una richiesta di riesame, cioè un "veto sospensivo", in un vero e proprio "veto assoluto".
2. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che il ricorso sia respinto.
Secondo l'Avvocatura dello Stato, la tesi su cui si basa il ricorso della Regione, per la quale il Consiglio regionale è caratterizzato da una continuità di azione e da una identità istituzionale pur di fronte al mutamento dei suoi componenti, contrasta con la previsione contenuta nell'art. 3 della legge 17 febbraio 1968, n. 108. Quest'ultima, infatti, nega la continuità di quell'organo nel momento in cui afferma che i Consigli regionali "esercitano le loro funzioni fino al quarantaseiesimo giorno antecedente alla data delle elezioni per la loro rinnovazione". Né, sempre secondo l'Avvocatura dello Stato, potrebbe invocarsi un'analogia con le Assemblee parlamentari e con l'istituto della "prorogatio" applicabile a queste ultime in caso di scadenza o di scioglimento anticipato, poiché dottrina e giurisprudenza negano che questi principi possano applicarsi anche ai Consigli regionali. Né, ancora, possono addursi gli inconvenienti lamentati dalla ricorrente, per il fatto che il punto in questione è di stabilire se sia ammissibile che l'operato del vecchio organo possa essere a tutti gli effetti imputato al nuovo.
Un secondo motivo di infondatezza del ricorso potrebbe essere desunto, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il rinvio è preordinato a sospendere la promulgazione innescando un momento di riflessione ulteriore da parte del Consiglio regionale. Su tale base non può non ritenersi che l'effetto ora ricordato possa essere conseguito solo presupponendo che il rinvio raggiunga il medesimo Consiglio che ha approvato la legge, giacché, ove tale identità venisse meno, si vanificherebbero anche lo scopo e la funzione del rinvio. Pertanto, considerato che non avrebbe senso attendersi da parte di un organo nuovo la rimeditazione delle censure che colpiscono l'attività di deliberazione svolta da una diversa Assemblea, i disegni di legge trasmessi al Governo dopo la fine della legislatura regionale dovrebbero essere qualificati come "nuovi" e sottoposti all'ordinario procedimento di controllo.
3. - In prossimità dell'udienza la Regione Marche ha depositato una memoria difensiva, con la quale, insistendo nella richiesta di accoglimento del ricorso, replica alle osservazioni della controparte. In particolare, la Regione osserva che l'interruzione della funzionalità dell'organo consiliare prevista dall'art. 3 della legge n. 108 del 1968 non incide affatto sul rapporto fra Stato e Regioni nel cui ambito (a differenza del rapporto rappresentativo tra elettori ed eletti) il Consiglio regionale esprime continuativamente l'unica volontà dell'ente regionale. Inoltre, sempre secondo la ricorrente, il concetto di rinvio non potrebbe presupporre che la riapprovazione debba avvenire nello stesso Consiglio che ha in precedenza approvato la stessa deliberazione legislativa, poiché il "nuovo" Consiglio potrà eventualmente influire sulla direzione della volontà già espressa dal precedente, nel senso che potrebbe non voler confermare tale volontà così come potrebbe confermarla a maggioranza assoluta (come è avvenuto nel caso in contestazione). Del resto, continua la Regione, se il potere di controllo disciplinato dall'art. 127 della Costituzione dev'esser configurato, come ha fatto questa Corte, quale potere sorretto dall'esigenza di tutelare il superiore interesse unitario alla legalità costituzionale, allora ciò comporta che il ruolo e il fine di tale controllo debbano esser considerati "esterni" rispetto alla volontà regionale, volontà che, pertanto, dovrebbe contare di per sé, quale espressione dell'autonomia della Regione, indifferente ai mutamenti avvenuti nella composizione dell'organo a seguito delle elezioni. fo on
Considerato in diritto
1. - La Regione Marche ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alla deliberazione governativa, comunicata con telegramma del Commissario del Governo del 16 marzo 1991, con la quale è stato disposto il rinvio al Consiglio regionale della legge intitolata "Trattamento di fine servizio del personale degli Istituti autonomi per le case popolari (I.A.C.P.)", che è stata riapprovata il 26 febbraio 1991, cioè nel corso della V° legislatura regionale, dopo che era stata approvata il 21 marzo 1990, vale a dire durante la precedente legislatura. Con il proprio ricorso la Regione chiede che sia dichiarata la non spettanza al Governo del potere di rinvio per il riesame nei confronti di una legge che, a seguito di un precedente rinvio, era stata riapprovata a maggioranza assoluta, come prescrive l'art. 127 della Costituzione. Secondo la ricorrente, infatti, a nulla dovrebbe rilevare il fatto che la legge sia stata approvata nel corso della legislatura precedente, non potendosi ammettere la decadenza per fine legislatura di un atto imputabile a un organo, quale il Consiglio regionale, che, nei confronti del potere governativo di controllo, si configura come organo di un ente (Regione) contrapposto allo Stato secondo un rapporto "esterno" e, come tale, identico a sé stesso e operante in modo continuativo pur nel variare dei suoi componenti.
2. - Il ricorso va respinto.
Il testo dell'articolo unico contenuto nell'atto legislativo impugnato è stato approvato, una prima volta, il 6 febbraio 1990, come art. 2 di una legge regionale, formata da due articoli, relativa alla modificazione del trattamento previdenziale e di quiescenza del personale della regione e degli enti pubblici economici da essa dipendenti. Tale legge è stata rinviata al Consiglio regionale per un riesame, in data 10 marzo 1990, perché ritenuta dal Governo contrastante con i principi stabiliti negli artt. 3 e 97 della Costituzione (eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e buon andamento della pubblica amministrazione). A seguito di tale rinvio, il Consiglio regionale ha stralciato il predetto art. 2 dal testo della legge rinviata e lo ha approvato il 21 marzo 1990 in un testo identico al precedente, salvo lo spostamento dal 31 dicembre 1987 allo stesso giorno dell'anno successivo della data in cui dovevano essere in servizio i dipendenti beneficiari dell'opzione ivi prevista. Anche tale legge veniva rinviata per il riesame del Consiglio regionale con un telegramma del 9 aprile 1990, dal contenuto pressoché identico a quello relativo al precedente rinvio.
Successivamente, dopo che la IV° legislatura era finita ed era stato rinnovato nel giugno del 1990 il Consiglio regionale, quest'ultimo ha proceduto, in data 26 febbraio 1991, a "riapprovare senza modificazioni ( ..) con la maggioranza assoluta ai sensi dell'art. 127 della Costituzione" la legge nell'identico contenuto già votato il 21 marzo 1990, sull'evidente presupposto che si trattasse di una legge "non nuova" e che, quindi, la precedente deliberazione legislativa non dovesse esser considerata decaduta a causa della fine della legislatura. Il Governo, tuttavia, con il telegramma oggetto della presente impugnazione, ha rinviato al Consiglio regionale tale legge, ancora per la pretesa violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, sull'altrettanto evidente premessa che la legge deliberata dovesse esser considerata come "nuova", essendo decaduta la precedente a causa della fine della IV° legislatura.
Dalla descrizione della vicenda che ha dato luogo all'attuale conflitto di attribuzione deriva, dunque, che il punto di diritto da cui dipende la definizione del giudizio è dato dalla questione se una legge approvata una prima volta dal Consiglio regionale e rinviata a quest'ultimo per il riesame in prossimità della fine della legislatura debba considerarsi decaduta con lo spirare del termine della legislatura stessa.
3. - Pur se non esiste alcuna disposizione costituzionale che, in relazione alle leggi delle regioni a statuto ordinario (oltreché a quelle del Parlamento), preveda espressamente quale debba essere la sorte delle deliberazioni legislative rinviate per il riesame dopo che l'Assemblea che le ha votate sia cessata dalle proprie funzioni, sussiste, tuttavia, in Costituzione un principio fondamentale, il principio di rappresentatività, il quale ha un'importanza dirimente ai fini della risoluzione del conflitto in questione.
Il principio di rappresentatività, connaturato alle Assemblee consiliari regionali in virtù della loro diretta investitura popolare e della loro responsabilità verso la comunità politica che ne ha eletto i componenti, comporta la piena garanzia della autonomia costituzionale riconosciuta alle anzidette Assemblee e, conseguentemente, la totale disponibilità da parte delle stesse, considerate nella particolare composizione propria di ciascuna legislatura, delle attribuzioni costituzionalmente spettanti alle Assemblee medesime e ai loro membri. Ciò significa che nessuna Assemblea rappresentativa ha il potere di vincolare quelle successive alle decisioni da essa prese nell'ambito di procedimenti legislativi che non si siano perfezionati con la definitiva approvazione consiliare della legge medesima. Infatti, solo quando si ha un atto, in relazione al quale non sussista più, in base al procedimento previsto in Costituzione, la possibilità che l'Assemblea legislativa sia chiamata a un'ulteriore deliberazione, può parlarsi di un atto ormai distaccatosi dal legislatore e, come tale, non più condizionato, quanto alla sua esistenza giuridica, dalla permanenza in vita del collegio che l'ha adottato.
Va precisato che il principio della rappresentatività non preclude la possibilità di disposizioni che permettano l'utilizzabilità da parte delle Assemblee elettive successive di procedimenti incardinati nella Assemblea precedente e non definitivamente conclusi allora, ma esige, ove si prescelga tale via, che sia comunque salvaguardata la piena autonomia dell'Assemblea successiva attraverso la previsione di atti di riassunzione, di discussione e di votazione delle proposte di legge non definitivamente approvate nella precedente legislatura, i quali devono essere strutturati in modo tale da conservare i caratteri essenziali propri dei procedimenti legislativi. In ogni caso, quando manchino nel diritto positivo procedure del genere, come nell'ipotesi dedotta in giudizio, il principio costituzionale di rappresentatività comporta che, nei confronti dei procedimenti legislativi in itinere e, quindi, dipendenti, quanto al perfezionamento della loro fase deliberativa, da ulteriori decisioni dell'Assemblea legislativa, lo spirare del termine della legislatura produce senz'altro l'effetto della decadenza.
4. - L'art. 97, primo comma, del Regolamento interno del Consiglio della Regione Marche contiene una disposizione dichiarativa dei predetti principi costituzionali, laddove stabilisce che le proposte di legge, sempreché non siano di iniziativa popolare, "decadono alla scadenza della legislatura". Sicché la pretesa della Regione ricorrente di far valere un'incondizionata e totale sopravvivenza nella nuova legislatura dei procedimenti pendenti nella precedente e di riprendere lo svolgimento di questi ultimi al punto in cui si erano interrotti per il termine della legislatura si scontra, prima che con la disposizione regolamentare appena citata, con il principio costituzionale di rappresentatività delle Assemblee legislative.
Né è conferente, ai fini della dimostrazione della fondatezza della richiesta della ricorrente, il rilievo che in regolamenti interni di altri Consigli regionali e, limitatamente alle proposte di legge d'iniziativa popolare, nello stesso regolamento del Consiglio della Regione Marche (art. 97, secondo comma) sia espressamente previsto che le proposte di legge presentate in una determinata legislatura non debbono considerarsi decadute al termine della stessa. Tali disposizioni, infatti, lungi dallo stabilire l'incondizionata e completa salvezza del lavoro legislativo svolto dai Consigli regionali precedenti, comportano, più semplicemente, che le proposte di legge non approvate nelle vecchie Assemblee non abbisognano di una nuova iniziativa per essere discusse e votate nell'Assemblea successiva, ma sono automaticamente assegnate alle commissioni consiliari competenti all'inizio della nuova legislatura.
Né, ancora, può riconoscersi fondamento all'osservazione formulata dalla ricorrente, secondo la quale, ove il Governo esercitasse il suo potere di rinvio in prossimità o successivamente alla cessazione dalle funzioni dei Consigli regionali, questi ultimi si troverebbero nella situazione di non poter riapprovare la legge ai sensi dell'art. 127 della Costituzione e di dover in effetti considerare come un "veto assoluto" ciò che è, e deve essere, una semplice richiesta di riesame. In realtà, così non è, poiché la norma contenuta nell'art. 3, secondo comma, della legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale), per la quale i Consigli regionali "esercitano le loro funzioni fino al 46° giorno antecedente alla data delle elezioni per la loro rinnovazione", dev'essere interpretata in armonia con la norma contenuta nel comma precedente, per la quale gli stessi Consigli regionali durano in carica cinque anni. Ciò significa che, se i Consigli sono abilitati a svolgere tutte le funzioni loro spettanti fino al 46° giorno antecedente al giorno fissato per le elezioni ai fini del loro rinnovo, dopo tale data e fino alla loro cessazione essi dispongono di poteri attenuati confacenti alla loro situazione di organi in scadenza, analoga, quanto a intensità di poteri, a quella degli organi legislativi in prorogatio. Sicché, ove l'atto legislativo rinviato dal Governo fosse ragionevolmente ritenuto dal legislatore regionale come ricomprensibile fra gli atti indifferibili e necessari permessi in regime di scadenza della legislatura, potrebbe essere riapprovato dal Consiglio regionale, ai sensi e ai fini dell'art. 127 della Costituzione, nel corso degli ultimi quarantacinque giorni di permanenza in carica del Consiglio stesso.
Né, infine, può aver pregio l'ulteriore rilievo prospettato dalla ricorrente, secondo il quale, nell'ambito della fase di controllo concretantesi nel rinvio per il riesame da parte del Governo, il Consiglio regionale viene in questione come organo deliberativo di un ente (la Regione) che si contrappone a un altro ente (lo Stato) e, come tale, caratterizzato da una identità e una continuità indifferenti al mutamento della composizione del proprio collegio dovuto al rinnovo di quest'ultimo attraverso le elezioni. Questo assunto non può estendersi a organi, come i Consigli regionali, la cui struttura giuridica è essenzialmente contrassegnata dal loro carattere politico-rappresentativo e la cui funzione, quali organi di legislazione, è data da un'attività intrinsecamente libera sotto il profilo decisionale. L'un carattere, infatti, comporta che le deliberazioni del Consiglio regionale siano in definitiva imputate a tale organo in quanto riflette nella propria composizione la particolare conformazione politica della comunità che lo ha eletto; mentre l'altro carattere, in combinazione con il primo, impedisce che le decisioni di un'Assemblea elettiva, che non si siano perfezionate durante una determinata legislatura, possano vincolare la libertà decisionale della medesima Assemblea in una legislatura successiva.
5. - Dalle considerazioni svolte si deve concludere che non è fondata la pretesa della Regione Marche di ritenere "non nuova" una legge regionale approvata nel corso della IV° legislatura e assoggettata, a seguito di un rinvio governativo operato in prossimità del termine della stessa legislatura, a un'ulteriore deliberazione del Consiglio regionale durante la legislatura successiva. Siffatta legge deve considerarsi come una legge "nuova", essendo la precedente decaduta per fine legislatura, di modo che la sua approvazione nel corso della V° legislatura non può esser qualificata come "riapprovazione", ai sensi e ai fini dell'art. 127 della Costituzione. Pertanto, ha legittimamente usato un suo potere costituzionale il Governo allorché l'ha sottoposta a rinvio perché fosse riesaminata dal Consiglio regionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara che spetta allo Stato rinviare al Consiglio regionale, ai sensi dell'art. 127, primo comma, della Costituzione, la legge della Regione Marche (Trattamento di fine servizio del personale degli Istituti Autonomi per le Case Popolari - I.A.C.P.), approvata dallo stesso Consiglio in data 26 febbraio 1991.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1991.
Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Giuliano VASSALLI.
Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1991.