SENTENZA N. 187
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli articoli 11, comma 1, lettera c), e comma 3, e 16, comma
1, lettere a) e c), della legge della Provincia autonoma di Trento 3 agosto
2012 n. 18, recante «Modificazioni della legge provinciale 10 settembre 1993,
n. 26 (legge provinciale sui lavori pubblici), della legge provinciale 15
dicembre 1980, n. 35 (Determinazione delle quote di aggiunta di famiglia e
disposizioni varie in materia di personale), della legge provinciale 3 aprile
1997, n. 7 (legge sul personale della Provincia), dell’articolo 14
(Costituzione della società "Patrimonio del Trentino s.p.a.”)
della legge provinciale 10 febbraio 2005, n. 1, della legge provinciale 16
maggio 2012, n. 9 (Interventi a sostegno del sistema economico e delle
famiglie), e della legge provinciale 31 maggio 2012, n. 10 (Interventi urgenti
per favorire la crescita e la competitività del Trentino)», promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 2-5 ottobre
2012, depositato in cancelleria il 9 ottobre 2012 ed iscritto al n. 137 del
registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di
Trento;
udito nell’udienza pubblica del 21 maggio 2013 il Giudice
relatore Sergio Mattarella;
uditi l’avvocato dello Stato Carla Colelli per il
Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento.
1.— Con ricorso spedito per la notifica
il 2 ottobre 2012, ricevuto dalla resistente il successivo 5 ottobre e
depositato nella cancelleria della Corte il 9 ottobre 2012 (r. ric. n. 137 del
2012), il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’articolo
117, secondo comma, lettere e) e l), della Costituzione, nonché agli articoli 4
e 8 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige), questioni di legittimità costituzionale
degli articoli 11, comma 1, lettera c), e comma 3, e 16, comma 1, lettere a) e
c), della legge della Provincia autonoma di Trento 3 agosto 2012, n. 18 recante
«Modificazioni della legge provinciale 10 settembre 1993, n. 26 (legge
provinciale sui lavori pubblici), della legge provinciale 15 dicembre 1980, n.
35 (Determinazione delle quote di aggiunta di famiglia e disposizioni varie in
materia di personale), della legge provinciale 3 aprile 1997, n. 7 (legge sul
personale della Provincia), dell’articolo 14 (Costituzione della società
"Patrimonio del Trentino s.p.a.”) della legge
provinciale 10 febbraio 2005, n. 1, della legge provinciale 16 maggio 2012, n.
9 (Interventi a sostegno del sistema economico e delle famiglie), e della legge
provinciale 31 maggio 2012, n. 10 (Interventi urgenti per favorire la crescita
e la competitività del Trentino)».
Le disposizioni impugnate hanno
introdotto modificazioni degli articoli 20 e 30 della legge della Provincia
autonoma di Trento 10 settembre 1993, n. 26 (Norme in materia di lavori
pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti). In
particolare, l’art. 11, comma 1, lettera c), dell’impugnata legge provinciale
n. 18 del 2012 ha sostituito l’art. 20, comma 8, della legge provinciale sui
lavori pubblici, così disponendo:
«Per affidare gli incarichi previsti da
questo articolo le amministrazioni aggiudicatrici utilizzano i parametri
stabiliti ai sensi della normativa statale per i servizi attinenti
all’architettura e all’ingegneria e, per quanto da questi non previsto,
l’elenco prezzi previsto dall’articolo 13, quale riferimento per determinare i
compensi per attività professionali, fatto salvo quanto previsto dal comma
1-ter».
L’art. 16, comma 1, lettera a),
dell’impugnata legge provinciale n. 18 del 2012, ha introdotto nell’articolo 30
della richiamata legge provinciale n. 26 del 1993 il comma 3-bis, che prevede:
«La Giunta provinciale, previo parere
del Consiglio delle autonomie locali, adotta schemi-tipo di bandi, di inviti a
presentare offerte e di altri atti necessari per svolgere le procedure di
scelta dei contraente».
Infine, l’art. 16, comma 1, lettera c),
della stessa legge provinciale n. 18 del 2012 ha modificato il testo del comma
5-bis dell’articolo 30 delle legge provinciale sui lavori pubblici, così
disponendo:
«Le amministrazioni aggiudicatrici
prevedono nel bando di gara l’obbligo, per i concorrenti, di produrre le
analisi dei prezzi mediante procedure telematiche. In tal caso, le
amministrazioni aggiudicatrici valutano la congruità delle offerte che, in base
ad elementi specifici, appaiano anormalmente basse, anche per lavori di importo
inferiore alla soglia comunitaria, in deroga a quanto previsto dall’articolo
40. Le amministrazioni mettono a disposizione dei concorrenti idonei mezzi
informatici predisposti dalla Provincia. Le analisi dei prezzi prodotte
dall’aggiudicatario sono parte integrante del contratto».
2.— Il Presidente del Consiglio dei
ministri censura tali disposizioni in riferimento all’art. 117, secondo comma,
lettere e) e l), Cost., nonché agli articoli 4 e 8
del richiamato d.P.R. n. 670 del 1972, recante il
testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale di
autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol.
2.1.— Osserva l’Avvocatura generale
dello Stato che la Provincia autonoma di Trento, pur avendo, ai sensi dell’art.
8, primo comma, n. 17), dello statuto di autonomia, potestà legislativa
esclusiva in materia di lavori pubblici di interesse provinciale, è comunque
tenuta ad osservare i limiti posti dall’art. 4 del medesimo statuto, relativi
alle leggi statali di riforma economico-sociale. Ne conseguirebbe che le
disposizioni impugnate, intervenendo nella materia dei contratti pubblici
disciplinata dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), più volte qualificata dalla giurisprudenza
della Corte costituzionale come riforma economico-sociale, si porrebbero in
contrasto con i richiamati artt. 4 e 8 dello statuto, violando le prerogative
del legislatore dotato di autonomia speciale ed i limiti ad esso opponibili.
Infatti, secondo la difesa dello Stato, nel caso in cui una materia di
competenza primaria della Regione o della Provincia ad autonomia speciale
interferisca in tutto o in parte in ambiti competenziali
riservati allo Stato, ben potrebbe il legislatore nazionale incidere sulla
materia di competenza regionale, al fine di garantire standard minimi ed
uniformi, come più volte riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale, tra
l’altro, nelle sentenze n. 45 del 2010,
n. 51 del 2006
e n. 447 del
2006.
2.2.— Con un secondo ordine di censure,
il Presidente del Consiglio dei ministri deduce la violazione dell’art. 117,
secondo comma, lettere e) e l), Cost., in quanto le
norme impugnate sarebbero lesive delle prerogative esclusive del legislatore
statale a dettare regole rispondenti ad esigenze unitarie, valevoli su tutto il
territorio nazionale, circa la disciplina dei lavori pubblici, afferendo
quest’ultima sia alla «tutela della concorrenza» sia all’«ordinamento civile»
(sul punto, è menzionata la sentenza della
Corte costituzionale n. 401 del 2007).
Il ricorrente richiama anzitutto la
giurisprudenza della Corte che consente al legislatore statale di introdurre
limiti unificanti, che rispondano ad esigenze riconducibili a suoi titoli di
competenza esclusivi, anche nelle materie riservate alla competenza primaria
delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome (vengono menzionate
le sentenze n.
536 del 2002 e n. 447 del 2006).
Osserva, infatti, l’Avvocatura dello Stato che, anche nella specifica materia
dei lavori pubblici, la Corte costituzionale avrebbe costantemente affermato
che tutti gli aspetti disciplinati dall’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 163 del
2006 (qualificazione e selezione dei concorrenti; procedure di affidamento;
criteri di aggiudicazione; subappalti; poteri di vigilanza sul mercato;
attività di progettazione e piani di sicurezza; stipulazione ed esecuzione dei
contratti; direzione dell’esecuzione e collaudo; contenzioso; contratti per la
tutela dei beni culturali inerenti al settore della difesa o che esigono
particolari misure di sicurezza relativi a lavori, servizi e forniture) possono
ritenersi vincolanti anche per le Regioni a statuto speciale e le Province
autonome (sono richiamate le sentenze n. 443 del 2007;
n. 326; n. 51 e n. 1 del 2008),
essendo comunque attratti a titoli competenziali esclusivi
dello Stato, in parte nella materia «tutela della concorrenza» e in parte nella
materia «ordinamento civile» (sentenza n. 401 del
2007).
2.3.— Tanto premesso circa il riparto di
competenze tra lo Stato e la Provincia autonoma di Trento nell’ambito materiale
dei lavori pubblici, il ricorrente deduce che le norme impugnate si porrebbero
in contrasto con la specifica disciplina statale dettata dal d.lgs. n. 163 del
2006 e dall’art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.
27.
In particolare, l’impugnato art. 11
della legge provinciale n. 18 del 2012 modificherebbe i criteri previsti ai
fini della determinazione dei compensi per attività professionale in caso di
affidamento degli incarichi di progettazione e di altre attività tecniche
disciplinati dall’art. 20 della richiamata legge provinciale sui lavori
pubblici, prevedendo, in via suppletiva, l’utilizzo dell’elenco prezzi –
previsto dall’art. 13 della legge provinciale – per determinare i suddetti
compensi e, in via transitoria, il ricorso da parte delle amministrazioni aggiudicatrici
alle tariffe professionali come riferimento per determinare i compensi stessi,
ponendosi in tal modo in contrasto con l’art. 9 del d.l.
n. 1 del 2012. Quest’ultimo ha infatti abrogato la disciplina relativa alle
tariffe professionali e affidato ad apposito decreto ministeriale la
determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di
affidamento dei contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura e
all’ingegneria.
Pur essendo richiamato nell’epigrafe,
nelle conclusioni e nel petitum soltanto l’art. 11,
comma 1, lettera c), della legge provinciale n. 18 del 2012, nelle motivazioni
è impugnato anche l’art. 11, comma 3 della stessa legge, il quale detta la
seguente norma transitoria:
«Il comma 8 dell’articolo 20 della legge
provinciale sui lavori pubblici, come sostituito dal comma 1 del presente
articolo, si applica dalla data di approvazione dell’elenco prezzi previsto
dall’articolo 13 della legge provinciale sui lavori pubblici, come modificato
dall’articolo 8 della presente legge, contenente le voci relative agli
incarichi previsti dall’articolo 20 della legge provinciale sui lavori pubblici
o dei parametri stabiliti ai sensi della normativa statale per i servizi
attinenti all’architettura e all’ingegneria. Fino a tale data le
amministrazioni aggiudicatrici possono utilizzare le tariffe professionali come
riferimento per determinare i compensi, se le ritengono motivatamente adeguate,
anche se abrogate dall’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1
(Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.
27».
2.4.— Osserva inoltre l’Avvocatura dello
Stato che l’impugnato art. 16, comma 1, lettera a), della legge provinciale n.
18 del 2012, in materia di predisposizione di schemi-tipo di bandi, ha
introdotto il comma 3-bis nell’art. 30 della richiamata legge provinciale n. 26
del 1993 sui lavori pubblici, attribuendo la competenza alla Giunta
provinciale, ponendosi in tal modo in contrasto con l’art. 64, comma 4-bis, del
d.lgs n. 163 del 2006, che riserva all’Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture
l’approvazione dei modelli (bandi-tipo), previo parere del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti e sentite le categorie professionali
interessate. Ne conseguirebbe la violazione delle norme interposte volte ad
assicurare – secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale – «l’attuazione
di principi uniformi su tutto il territorio nazionale» ai fini della tutela
della concorrenza e, conseguentemente, dell’art. 117, secondo comma, lettera
e), Cost. (sentenza n. 45 del
2010).
2.5. —Il ricorrente deduce infine
l’illegittimità dell’impugnato art. 16, comma 1, lettera c), della legge
provinciale n. 18 del 2012, che, nel sostituire il comma 5-bis dell’art. 30
della legge provinciale sui lavori pubblici n. 26 del 1993, avrebbe introdotto
modalità di valutazione maggiormente discrezionali – rispetto alla disciplina
statale – delle offerte anomale, anche per gli appalti cosiddetti sotto soglia
comunitaria. In tal modo, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto
con l’art. 86 del d.lgs n. 163 del 2006, attribuendo
quest’ultimo alle amministrazioni la possibilità di prevedere, a determinate
condizioni, l’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse.
3.— Con atto depositato nella
cancelleria il 12 novembre 2012, si è costituita in giudizio la Provincia
autonoma di Trento, chiedendo che le questioni prospettate siano dichiarate
inammissibili o infondate, con riserva di argomentare i motivi della sua
opposizione.
4.— Successivamente alla presentazione
del ricorso, l’art. 68, comma 1, lettera b), della legge della Provincia
autonoma di Trento 27 dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Provincia autonoma di
Trento – legge finanziaria provinciale 2013) ha modificato l’art. 30, comma
5-bis, della legge provinciale sui lavori pubblici, come sostituito
dall’impugnato art. 16, comma 1, lettera c), della legge provinciale n. 18 del
2012, disciplinando le modalità di verifica della congruità delle offerte, anche
per i lavori di importo inferiore alla soglia comunitaria, mediante rinvio
all’art. 58.29 della legge provinciale n. 26 del 1993 (come sostituito
dall’art. 50, comma 1, della legge provinciale 7 aprile 2011, n. 7), il quale
prevede i medesimi criteri di individuazione delle offerte anomale adottati
dall’art. 86 del d.lgs. n. 163 del 2006.
5.— A seguito delle modifiche
sopravvenute delle norme impugnate, il Presidente del Consiglio dei ministri,
sulla base della delibera del Consiglio dei ministri del 6 aprile 2013, ha
depositato, in data 18 aprile 2013, atto di rinuncia parziale al ricorso in
relazione alla sola questione relativa all’art. 16, comma 1, lettera c), della
legge provinciale n. 18 del 2012.
6.— In data 30 aprile 2013, la Provincia
autonoma di Trento ha depositato una memoria con la quale eccepisce anzitutto
l’inammissibilità del ricorso per contraddittorietà delle censure, essendo
contemporaneamente (e non in via subordinata) invocati a parametro tanto l’art.
117, secondo comma, lettere e) e l), Cost., al fine
di dedurre l’assenza di titoli competenziali della
Provincia autonoma di Trento a legiferare nella materia che viene in rilievo
nel presente giudizio, quanto gli artt. 4 e 8 dello statuto di autonomia, al
fine di dedurre la violazione di limiti alla potestà legislativa provinciale
primaria (vengono, al riguardo, richiamate le sentenze della Corte
costituzionale n.
10 del 2008 e n.
391 del 2006).
Afferma la Provincia autonoma di Trento
che la potestà legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse
provinciale sarebbe stata costantemente riconosciuta dalla giurisprudenza della
Corte costituzionale – è richiamata la sentenza n. 45 del
2010 – e concretamente esercitata come «competenza rivolta a disciplinare
l’intero ciclo della realizzazione dell’opera pubblica». Ne consegue che le
norme volte a tutelare la concorrenza potrebbero assurgere al rango di
parametro nel giudizio di costituzionalità «soltanto in quanto concretino un
limite statutario». Il ricorrente, invece, si limiterebbe a dedurre a priori la
prevalenza della competenza statale in materia di tutela della concorrenza,
prescindendo dall’esame concreto circa la riconducibilità delle norme invocate
a parametro a principi di riforma economico-sociale, assimilando, in tal modo,
la Provincia dotata di autonomia speciale alle Regioni ordinarie e
disattendendo conseguentemente il disposto dell’art. 8, primo comma, n. 17),
dello statuto di autonomia e dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), in
base al quale le norme del Titolo V della Costituzione possono essere applicate
alle Regioni e alle Province ad autonomia speciale soltanto ove siano in esse
previste maggiori forme di autonomia.
6.1.— Tanto premesso, la Provincia
autonoma di Trento deduce l’inammissibilità della questione relativa all’art.
11 della legge provinciale n. 18 del 2012, per duplice contraddittorietà delle
prospettazioni dedotte: anzitutto sarebbero invocati contemporaneamente (e non
in via gradata) titoli diversi di competenza statale («tutela della
concorrenza» e «ordinamento civile»); in secondo luogo, pur essendo invocati
titoli competenziali esclusivi dello Stato,
l’incostituzionalità della norma impugnata sarebbe argomentata non già sulla
base di un presunto difetto di potere della Provincia, ma in ragione del
contrasto tra l’art. 11 della legge provinciale n. 18 del 2012 e l’art. 9 del
decreto-legge n. 1 del 2012 (sono richiamate le sentenze della Corte
costituzionale n.
35 del 2011; n.
297 del 2009, punto 3; n. 10 del 2008;
n. 391 del 2006).
Nel merito, la stessa questione sarebbe
infondata, atteso che non sussisterebbe il richiamato contrasto: tanto
l’impugnato art. 11 della legge provinciale n. 18 del 2012 quanto l’invocata
norma interposta statale (art. 9 del d.l. n. 1 del
2012) avrebbero comunque previsto la possibilità di applicare le tariffe
professionali previgenti all’abrogazione sino all’entrata in vigore dei decreti
ministeriali per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara.
Ne consegue che la normativa provinciale differirebbe da quella statale
soltanto in ragione del rinvio disposto dall’impugnato art. 11, comma 1,
lettera c), della legge provinciale n. 18 del 2012 all’elenco prezzi previsto
dall’art. 13 della stessa legge provinciale sui lavori pubblici, che
consentirebbe di ricorrere a criteri costantemente aggiornati piuttosto che
alle tariffe abrogate, limitando comunque la discrezionalità delle
amministrazioni aggiudicatrici nello stabilire i compensi e assicurando criteri
omogenei tra le diverse amministrazioni, in linea con quanto previsto dalla
delibera 3 maggio 2012, n. 49, dell’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici.
Quanto alla dedotta lesione delle norme
a tutela della concorrenza, la questione sarebbe comunque infondata in quanto
tali norme potrebbero fungere da parametro soltanto se concretassero un limite
statutario, mentre il ricorrente si limiterebbe a lamentare la lesione
dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,
senza dimostrare come l’art. 9 del d.l. n. 1 del 2012
potrebbe rappresentare un limite alla potestà legislativa esclusiva della
Provincia autonoma ai sensi dell’art. 8 dello statuto di autonomia. Né la norma
impugnata – secondo la resistente – potrebbe dirsi invasiva della materia
«ordinamento civile», atteso che essa non regolerebbe le tariffe professionali,
ma soltanto il modo in cui le amministrazioni aggiudicatrici individuano il
compenso che rappresenta la base per lo svolgimento della gara, potendo essere
così ricondotta alla sfera dell’organizzazione amministrativa.
6.2.— Quanto alla questione relativa
all’art. 16, comma 1, lettera a), della legge provinciale n. 18 del 2012, la
Provincia autonoma di Trento richiede che venga dichiarata la cessazione della
materia del contendere, atteso che le modificazioni della norma impugnata
apportate dall’art. 68, comma 1, lettera a), della legge provinciale n. 25 del
2012 avrebbero eliminato ogni elemento di difformità tra la legislazione
provinciale e la legislazione statale e che la normativa impugnata non avrebbe
trovato applicazione medio tempore.
Prevedendo il testo vigente che «la
Giunta provinciale, previo parere del Consiglio delle autonomie locali, adotta
schemi-tipo di bandi, di inviti a presentare offerte e di altri atti necessari
per svolgere le procedure di scelta del contraente sulla base di bandi-tipo
approvati dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture», la norma sfuggirebbe alle censure del ricorrente.
Verrebbe infatti meno il contrasto tra la versione originaria della norma
impugnata – che non prevedeva il riferimento all’Autorità – e l’art. 64, comma
4-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006, essendo stata ricondotta la disciplina
provinciale ai "bandi tipo” approvati dall’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici.
In via subordinata, la Provincia
autonoma resistente eccepisce l’inammissibilità della questione, in quanto
l’Avvocatura dello Stato non illustrerebbe in che modo la norma statale
invocata a parametro interposto concreterebbe uno dei limiti statutari alla
potestà legislativa primaria provinciale, limitandosi a dedurre la violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.; nel
merito, la stessa sarebbe comunque infondata, in quanto il suddetto ius superveniens introdurrebbe
una regola di uniformità «nella base» tra normativa statale e normativa
provinciale, che non può tradursi in regola di identità, date le legittime
specificità della normativa provinciale.
6.3.— Quanto, infine, alla questione
relativa all’art. 16, comma 1, lettera c), della legge provinciale n. 18 del
2012, che ha sostituito l’art. 30, comma 5-bis, della legge provinciale n. 26
del 1993, la Provincia autonoma di Trento ha rassegnato le proprie conclusioni
chiedendo l’estinzione del giudizio, essendo stata adottata la delibera della
Giunta provinciale di accettazione dell’atto di rinuncia presentato dal
ricorrente a seguito delle modificazioni della norma impugnata apportate
dall’art. 68, comma 1, lettera b), della legge provinciale n. 25 del 2012.
1.— Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha promosso, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettere
e) e l), della Costituzione, nonché agli articoli 4 e 8 del decreto del
Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo
unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige), questioni di legittimità costituzionale degli articoli
11, comma 1, lettera c), e comma 3, e 16, comma 1, lettere a) e c), della legge
della Provincia autonoma di Trento 3 agosto 2012, n. 18, recante «Modificazioni
della legge provinciale 10 settembre 1993, n. 26 (legge provinciale sui lavori
pubblici), della legge provinciale 15 dicembre 1980, n. 35 (Determinazione
delle quote di aggiunta di famiglia e disposizioni varie in materia di
personale), della legge provinciale 3 aprile 1997, n. 7 (legge sul personale
della Provincia), dell’articolo 14 (Costituzione della società "Patrimonio del
Trentino s.p.a.”) della legge provinciale 10 febbraio
2005, n. 1, della legge provinciale 16 maggio 2012, n. 9 (Interventi a sostegno
del sistema economico e delle famiglie), e della legge provinciale 31 maggio
2012, n. 10 (Interventi urgenti per favorire la crescita e la competitività del
Trentino)».
Le disposizioni impugnate, secondo il
ricorrente, esorbiterebbero dalla competenza legislativa primaria in materia di
«lavori pubblici di interesse provinciale», che l’art. 8, primo comma, n. 17,
dello statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol attribuisce alla
Provincia autonoma di Trento, nel rispetto dei limiti stabiliti dal precedente
art. 4. Più specificamente, le disposizioni censurate, introducendo
modificazioni degli articoli 20 e 30 della legge della Provincia autonoma di
Trento 10 settembre 1993, n. 26 (Norme in materia di lavori pubblici di
interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti) – in tema di
parametri utilizzati ai fini della determinazione dei compensi per attività
professionali per i servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, di
determinazione di schemi-tipo di bandi e di modalità di valutazione della
congruità delle offerte – inciderebbero sulla disciplina dell’«ordinamento
civile» e della «tutela della concorrenza», così violando i limiti posti dallo
statuto e dagli invocati parametri costituzionali alla competenza legislativa
provinciale.
2.— Successivamente alla presentazione
del ricorso, l’art. 68, comma 1, lettera b), della legge della Provincia
autonoma di Trento 27 dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Provincia autonoma di
Trento – legge finanziaria provinciale 2013) ha modificato l’art. 30, comma
5-bis, della legge provinciale sui lavori pubblici, come sostituito
dall’impugnato art. 16, comma 1, lettera c), della legge provinciale n. 18 del
2012, disciplinando le modalità di verifica della congruità delle offerte,
anche per i lavori di importo inferiore alla soglia comunitaria, mediante
rinvio all’art. 58.29 della legge provinciale n. 26 del 1993 (come sostituito
dall’art. 50, comma 1, della legge provinciale 7 aprile 2011, n. 7),
riallineando, in tal modo, i criteri di individuazione delle offerte anomale
previsti dalla normativa provinciale a quelli individuati dall’art. 86 del
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE
e 2004/18/CE), invocato dal ricorrente quale norma interposta nel presente
giudizio.
3.— A seguito di tale modifica
normativa, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato atto di
rinuncia parziale al ricorso, limitatamente alla questione relativa all’art.
16, comma 1, lettera c), della legge provinciale n. 18 del 2012, rinuncia
accettata dalla Provincia autonoma di Trento.
Ne consegue che, limitatamente alla
disposizione da ultimo menzionata, ai sensi dell’art. 23 delle norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, il processo deve
essere dichiarato estinto.
4.— Vanno ora esaminate le questioni di
legittimità costituzionale promosse in relazione agli articoli 11, comma 1,
lettera c), e comma 3, e 16, comma 1, lettera a), della legge provinciale n. 18
del 2012, i quali disciplinano rispettivamente i parametri utilizzati ai fini
della determinazione dei compensi per attività professionali per i servizi
attinenti all’architettura e all’ingegneria e le modalità di determinazione
degli schemi-tipo di bandi delle gare d’appalto.
4.1.— Al riguardo, la resistente ha
eccepito il carattere contraddittorio e perplesso delle censure mosse dal
ricorrente.
L’eccezione non può essere accolta.
Non può infatti ritenersi che il ricorso
sia inammissibile per avere lo Stato richiamato «contemporaneamente» (e non in
via gradata) le norme dello statuto speciale di autonomia e l’art. 117 Cost. A fondamento della impugnazione, per quanto in
maniera generica e sommaria, il ricorrente ha infatti dedotto due motivi di
illegittimità costituzionale: da un lato, la violazione delle norme statutarie,
nella parte in cui attribuiscono alla Regione la competenza in materia di
lavori pubblici (art. 8, primo comma, n. 17) con la contestuale previsione dei
limiti alla sua esplicazione (art. 4); dall’altro, la lesione dell’art. 117,
secondo comma, lettere e) e l), Cost.
Ne consegue che, sia pure in modo
impreciso, il ricorrente ha inteso sollevare due questioni di costituzionalità,
dotate ciascuna di propria autonomia e, in quanto tali, l’una assorbente
rispetto all’altra (sentenza n. 447 del
2006).
Dalla premessa del ricorso, che
introduce l’analisi delle singole censure, risulta infatti che il ricorrente ha
richiamato norme interposte tratte dal d.lgs. n. 163 del 2006 che concretano limiti
statutari della competenza legislativa provinciale di rango primario in materia
di lavori pubblici. In questa prospettiva, il richiamo anche alle disposizioni
contenute nell’art. 117, secondo comma, lettere e) e l), Cost.
trova giustificazione nella considerazione secondo cui i limiti statutari alla
potestà legislativa regionale derivano dalla legislazione statale, costituente
espressione di principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica,
emanata, nella specie, in attuazione delle suindicate prescrizioni
costituzionali (sentenza
n. 114 del 2011).
In altri termini, come già affermato da
questa Corte, «i limiti derivanti dalla necessità di rispettare gli obblighi
internazionali, le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e i
principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica sono rinvenibili
in quelle disposizioni contenute nel Codice degli appalti pubblici con le quali
lo Stato ha esercitato la competenza legislativa ad esso attribuita dal [...]
titolo V, con particolare riferimento alla materia della tutela della
concorrenza e dell’ordinamento civile» (sentenza n. 114 del
2011).
Analogamente, l’art. 9 del decreto-legge
24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo
delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla
legge 24 marzo 2012, n. 27, invocato quale norma interposta nel presente
giudizio, costituisce espressione di quei principi fondamentali posti a tutela
della concorrenza "per” il mercato, nel suo pregnante significato di
derivazione comunitaria, costantemente riconosciuti da questa Corte quali
opponibili anche al legislatore dotato di autonomia speciale (tra le tante,
sentenze n. 221
e n. 186 del
2010; n. 326
del 2008; n.
443 del 2007; nonché, con riguardo specifico all’ambito materiale dei
lavori pubblici riservato alla competenza primaria della Provincia autonoma di
Trento, n. 45
del 2010).
Tali argomentazioni sono estensibili
anche al ricorso introduttivo del presente giudizio, nella parte in cui esso
invoca, ancorché genericamente, il d.lgs. n. 163 del 2006 «sia in quanto può
essere considerato espressione di riforma economico-sociale, sia in quanto
disciplinante profili che rientrano nella nozione di "tutela della concorrenza”
e di "ordinamento civile”, di competenza legislativa statale». Il richiamo ai
limiti statutari della competenza primaria della Provincia autonoma, operato
nelle premesse del ricorso, consente infatti l’integrazione del parametro –
come già affermato da questa Corte – mediante le norme interposte invocate
nelle singole censure quali norme che concretano i suddetti limiti statutari in
quanto riforme economico-sociali o principi generali dell’ordinamento della
Repubblica (ex plurimis,
sentenze n. 328
e n. 114 del
2011; n. 221
del 2010; n.
45 del 2010).
4.2.— Sempre in via preliminare, occorre
altresì esaminare le ulteriori eccezioni di inammissibilità prospettate dalla
Provincia autonoma resistente, che lamenta anche il carattere generico e
lacunoso delle singole censure successivamente dedotte nel ricorso. Al
riguardo, va osservato che il ricorso raggiunge quella soglia minima di
chiarezza e completezza cui è subordinata l’ammissibilità delle impugnative in
via principale (ordinanza
n. 123 del 2012; nonché, ex plurimis, sentenze n. 184 del 2012;
n. 119 del 2010;
n. 248 del 2006),
avendo l’Avvocatura generale dello Stato indicato le doglianze rivolte a
ciascuna disposizione censurata, nonché i parametri costituzionali, le norme
interposte asseritamente violate e argomenti, pur
succinti, a sostegno delle ragioni del ricorso.
4.3.— Quanto, infine, alla questione
sollevata in relazione all’art. 11 della legge provinciale n. 18 del 2012, va
preliminarmente osservato che, come dedotto dalla difesa della Provincia
autonoma, pur essendo richiamato nell’epigrafe, nelle conclusioni e nel petitum del ricorso soltanto l’art. 11, comma 1, lettera
c), della legge provinciale n. 18 del 2012, che dispone la disciplina "a
regime” ai fini della determinazione dei compensi per attività professionali
per i servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria, il ricorrente
censura anche l’art. 11, comma 3, il quale detta la disciplina transitoria
circa il ricorso alle tariffe professionali quale parametro ai fini della
determinazione dei medesimi compensi.
Si tratta di un palese errore materiale
contenuto sia nell’epigrafe del ricorso sia nel petitum
dello stesso che non consente, come già affermato da questa Corte (sentenza n. 447 del
2006), di accogliere il rilievo della difesa della Provincia autonoma, né
di circoscrivere l’oggetto del presente giudizio all’art. 11, comma 1, lettera
c), stante le censure rivolte anche al comma 3 del medesimo articolo e il nesso
intercorrente tra disciplina "a regime” e disciplina transitoria. D’altra
parte, la stessa difesa provinciale svolge la memoria anche in relazione al
contenuto del menzionato comma 3, presupponendo che esso sia oggetto di
censura.
5.— Nel merito, prima di esaminare le
singole censure proposte, è opportuno ribadire le linee fondamentali del
riparto delle competenze legislative nel settore dei lavori pubblici tra Stato
ed enti territoriali ad autonomia differenziata.
Al riguardo, questa Corte ha già avuto
modo di affermare che, in presenza di specifica attribuzione statutaria in tale
ambito materiale, non contemplando il titolo V della parte seconda della
Costituzione la materia «lavori pubblici», trova applicazione – secondo quanto
previsto dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – la specifica
previsione statutaria, in quanto norma di maggior favore per l’ente dotato di
autonomia speciale (ex plurimis, sentenze n. 114 del 2011;
n. 221 del 2010);
e ciò anche con espresso riferimento alla Provincia autonoma di Trento
resistente nel presente giudizio (sentenze n. 74 del
2012; n. 45
del 2010).
Ciò implica, tuttavia, che il parametro
di maggior favore – quello statutario – venga applicato nella sua interezza,
con il corollario, cioè, dei limiti previsti dallo stesso statuto di autonomia.
Ne consegue che la legislazione regionale o provinciale degli enti dotati di
autonomia particolare non è libera di esplicarsi senza vincoli, atteso che gli
stessi statuti speciali prevedono limiti che si applicano anche alle competenze
legislative primarie (tra le tante, sentenze n. 74 del 2012;
n. 114 del 2011;
n. 221 e n. 45 del 2010;
n. 411 del 2008).
Nel caso in esame, la competenza della
Provincia autonoma di Trento nell’ambito dei lavori pubblici di interesse
regionale è delimitata anzitutto dall’art. 4 dello statuto di autonomia del Trentino-Alto
Adige/Südtirol, che annovera, tra gli altri, il limite del rispetto dei
«principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica», degli «obblighi
internazionali», nonché delle «norme fondamentali delle riforme
economico-sociali della Repubblica».
In questa prospettiva, vengono in
rilievo, anzitutto, i limiti derivanti dal rispetto dei principi della tutela
della concorrenza e dunque le disposizioni contenute nel Codice degli appalti
pubblici, che costituiscono diretta attuazione delle prescrizioni poste dal
diritto dell’Unione europea. Pertanto, «in tale ambito, la disciplina regionale
non può avere un contenuto difforme da quella prevista, in attuazione delle
norme comunitarie, dal legislatore nazionale e, quindi, non può alterare
negativamente il livello di tutela assicurato dalla normativa statale» (sentenza n. 221 del
2010).
In secondo luogo, come già osservato da
questa Corte, il legislatore provinciale «deve osservare i principi
dell’ordinamento giuridico della Repubblica, tra i quali sono ricompresi anche
quelli afferenti la disciplina di istituti e rapporti privatistici relativi,
soprattutto, alla fase di conclusione ed esecuzione del contratto di appalto,
che deve essere uniforme sull’intero territorio nazionale, in ragione della
esigenza di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza» (sentenza n. 221 del
2010).
D’altra parte, questa Corte ha espressamente
negato che si sia formato un giudicato costituzionale comportante la
preclusione per lo Stato ad impugnare leggi provinciali relative ad ambiti
materiali in ordine ai quali si controverte nel presente giudizio, a seguito
della sentenza
n. 401 del 2007 (punto 6.1. del Considerato in diritto), là dove si è
dichiarato il difetto di interesse della Provincia autonoma ad impugnare il
cosiddetto Codice degli appalti. Per giungere a tale conclusione, questa Corte
si è infatti limitata a richiamare l’apposita clausola di salvaguardia
contenuta nell’art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 163 del 2006, secondo cui «le
Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano
la propria legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle
relative norme di attuazione», confermando invece i sopra menzionati limiti
opponibili al legislatore provinciale dotato di autonomia speciale (sentenza n. 45 del
2010).
5.1.— Tanto premesso, devono ora essere
prese in esame le singole censure proposte dal ricorrente, distinguendo
preliminarmente la disciplina dettata dal comma 1, lettera c), dell’art. 11, il
quale rinvia all’«elenco prezzi» dell’art. 13 della legge provinciale sui
lavori pubblici, per quanto non previsto dalla normativa statale, ai fini della
determinazione dei compensi per attività professionali, per i servizi attinenti
all’architettura e all’ingegneria, dal successivo comma 3 dello stesso
articolo, che consente alle amministrazioni aggiudicatrici di utilizzare, in
via transitoria, sino alla data di approvazione dell’elenco prezzi, le tariffe
professionali – come riferimento ai fini della determinazione dei suddetti
compensi – pur se abrogate dall’art. 9, comma 5, del d.l.
n. 1 del 2012.
5.1.1.— La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 11, comma 3, della legge provinciale n. 18 del 2012 è
fondata nei termini di seguito precisati.
Nella memoria depositata in data 30
aprile 2013, la Provincia autonoma resistente osserva che anche la disciplina
statale invocata a parametro interposto (art. 9 del d.l.
n. 1 del 2012), come modificata dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure
urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge
7 agosto 2012, n. 134, prevede – alla stessa stregua dell’impugnata
disposizione provinciale – una fase transitoria che consente, sino
all’emanazione dell’apposito decreto ministeriale, di applicare le tariffe
professionali previgenti (art. 5, comma 2, del d.l.
n. 83 del 2012).
Invero, la richiamata disciplina
transitoria statale esaurisce i suoi effetti dall’emanazione del decreto
ministeriale previsto dall’art. 9, comma 2, del d.l.
n. 1 del 2012, nel caso di liquidazione dei compensi da parte di un organo
giurisdizionale. Il suddetto decreto ministeriale è stato emanato il 20 luglio
2012 (e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 22 agosto 2012, n. 195), a far
data, quindi, antecedentemente all’approvazione (3 agosto 2012), pubblicazione
(7 agosto 2012) ed entrata in vigore (8 agosto 2012) dell’impugnata legge
provinciale n. 18 del 2012.
Ne consegue che, dal punto di vista del
diritto intertemporale, non sussiste l’asserita corrispondenza – secondo quanto
invece affermato dalla difesa della resistente – tra la disciplina transitoria
statale e quella provinciale, essendo l’efficacia della prima già cessata a
decorrere dal 20 luglio 2012, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 2, del
richiamato d.l. n. 83 del 2012.
In secondo luogo, sussiste il dedotto
contrasto tra la disciplina provinciale censurata e quella statale, in quanto,
contrariamente alla normativa statale, la legge provinciale rinvia alla
disciplina delle tariffe, qualora manchino sia il decreto ministeriale sia
l’elenco prezzi previsto dall’art. 13 della legge provinciale sui lavori
pubblici.
L’impugnato art. 11, comma 3, della
legge provinciale n. 18 del 2012, rinviando alla disciplina sulle tariffe
professionali abrogata dalla norma invocata a parametro interposto, ha
l’effetto di determinare la perdurante applicazione di disposizioni lesive dei
principi di tutela della concorrenza di derivazione comunitaria, violando, in
tal modo, l’art. 4 dello statuto di autonomia. Infatti, la norma interposta
viene a concretare limiti opponibili anche al legislatore dotato di autonomia
speciale, costituendo legittima esplicazione della potestà legislativa
esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza (sentenza n. 443 del
2007; nonché, ex plurimis,
le già richiamate sentenze n. 114 del 2011;
n. 221 e n. 45 del 2010).
Al riguardo, questa Corte – dichiarando
non fondate questioni di costituzionalità sollevate in relazione a norme abrogatrici di disposizioni che prevedevano
l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime, ovvero il divieto di pattuire
compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti – ha infatti
affermato che tali norme tendono a stimolare «una maggiore concorrenzialità
nell’ambito delle attività libero-professionali e intellettuali», con
particolare riferimento ai costi e alle modalità di determinazione dei compensi
(sentenza n. 443
del 2007). Tale conclusione trova conferma nel diritto dell’Unione europea,
che ha costantemente imposto processi di revisione delle restrizioni esistenti
anche in riferimento alle tariffe fisse.
Nello specifico settore delle tariffe
professionali, a fortiori in connessione all’ambito materiale dei lavori
pubblici, vengono in rilievo tutte le disposizioni che, disciplinando, a vario
titolo, la fase procedimentale prodromica alla stipulazione del contratto, si
qualificano per la finalità perseguita di assicurare procedure concorsuali di
garanzia in modo da attuare la progressiva liberalizzazione dei mercati in cui
sono ancora presenti barriere all’entrata o altri impedimenti all’ingresso di
nuovi operatori economici (tra le tante, sentenze n. 145 e n. 45 del 2010;
n. 401 del 2007).
D’altra parte, si tratta di disposizioni che, «sul piano del diritto
dell’Unione europea, e dunque anche sul piano dell’ordinamento dello Stato,
tendono a tutelare essenzialmente i principi della libera circolazione delle
merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi (articoli
da 28 a 32; da 34 a 37; da 45 a 54; da 56 a 66 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea)» (sentenza n. 45 del
2010).
La previsione di norme che si discostino
dal modello definito in ambito europeo, quindi, «viola tanto i valori tutelati
dalle norme del Trattato richiamate impedendo o restringendo l’esercizio delle
fondamentali libertà comunitarie, quanto le corrispondenti normative statali
adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva prevista
dall’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione» (sentenza n. 45 del
2010). Questa Corte ha infatti dichiarato costituzionalmente illegittime
disposizioni di legge regionali che ripristinavano tariffe fisse o che si
ponevano in contrasto con norme abrogatrici di misure
che prevedevano tariffe fisse come stimolo alla concorrenza (ex plurimis,
sentenze n. 219
del 2012; n.
443 del 2007), preservando anche le misure di liberalizzazione adottate in
via transitoria (tra le altre, sentenze n. 325 del 2010;
n. 29 del 2006;
n. 272 del 2004).
Ne consegue la sussistenza del censurato
contrasto tra l’art. 11, comma 3, della legge provinciale n. 18 del 2012 e la
norma invocata a parametro interposto (art. 9 del decreto-legge n. 1 del 2012);
sicché va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 3,
della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2012, per violazione
degli artt. 4 e 8 del d.P.R. n. 670 del 1972 e
dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Gli ulteriori profili di censura
rimangono assorbiti.
5.1.2.— La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 11, comma 1, lettera c), della legge provinciale n. 18
del 2012 è fondata nei termini di seguito precisati.
La norma è censurata in quanto si
porrebbe in contrasto con il richiamato art. 9 del d.l.
n. 1 del 2012, prevedendo, in via suppletiva, l’utilizzo dell’elenco prezzi per
determinare i compensi per attività professionali.
Al riguardo, va anzitutto osservato che
le modalità di adeguamento dei prezzari delle stazioni appaltanti sono regolate,
quanto alla disciplina statale, dall’art. 133, comma 8, del d.lgs. n. 163 del
2006. Questa Corte ha già censurato disposizioni di legge regionale che
consentivano alle stazioni appaltanti di utilizzare elenchi regionali dei
prezzi, discostandosi dalle previsioni "più stringenti” della disciplina
statale, per quanto attiene all’utilizzazione dei prezzari stessi (sentenza n. 43 del
2011).
E’ ben vero che, con il precedente
richiamato, la Corte si è pronunciata su un ricorso proposto da una Regione a
statuto ordinario; ciononostante le considerazioni svolte in quella decisione,
e dirette a censurare il contrasto tra la disciplina regionale e quella statale
e la conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) e l), Cost., si attagliano anche al caso in esame. In
particolare, l’affermazione che le disposizioni allora scrutinate, utilizzando
i prezzari "scaduti” secondo modalità difformi da quelle stabilite dall’art.
133, comma 8, del d.lgs. n. 163 del 2006, come valeva a ricondurre la materia
ad un titolo competenziale esclusivo del legislatore
statale, così vale a concretare un limite opponibile alla competenza della
Provincia autonoma a norma degli artt. 4 e 8 dello statuto speciale, a tutela
di principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica.
Nel caso in esame, la disposizione
impugnata si discosta dalla disciplina statale utilizzando l’elenco prezzi
previsto dall’articolo 13 della legge provinciale sui lavori pubblici alla
stessa stregua delle tariffe, quale riferimento per stabilire i compensi per
attività professionali, determinando, in tal modo, il censurato contrasto con
la disciplina statale. La disciplina in esame risulta soggetta a quelle limitazioni
già opposte dalla giurisprudenza di questa Corte ad analoghe disposizioni di
legge di regioni a statuto ordinario, in quanto lesive della «tutela della
concorrenza» "per” il mercato, idonea a concretare i limiti delle riforme
economico-sociali previste dagli invocati parametri statutari.
Nella memoria depositata in data 30
aprile 2013, la Provincia autonoma resistente – richiamando anche la delibera 3
maggio 2012, n. 49, adottata dall’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture – osserva che l’art. 262, comma 2, del
decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di
esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»), per quanto riguarda i
compensi per gli incarichi di progettazione per i servizi attinenti
all’architettura e all’ingegneria, rinvia espressamente alle tariffe
professionali, facendo riferimento alla «quota del corrispettivo complessivo
riferita alle prestazioni normali e speciali relative alla progettazione […]
sulla base delle percentuali ed aliquote di prestazioni parziali previste dalle
tariffe professionali».
La disposizione richiamata non può
invero essere ritenuta ancora vigente per effetto dell’abrogazione di quelle
che rinviano alle tariffe per la determinazione del compenso del
professionista, disposta dall’art. 9, comma 5, del d.l.
n. 1 del 2012. Né può accogliersi il rilievo avanzato dalla Provincia autonoma
resistente – basato su una mera circostanza di fatto, peraltro inerente al
quadro normativo previgente all’abrogazione della disciplina sulle tariffe –
che la disposizione impugnata modifichi una disciplina che non è mai stata
oggetto di censure, nonché sulla necessità – desumibile anche dalla richiamata
delibera 3 maggio 2012, n. 49 dell’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici – di fondare gli elementi del corrispettivo dei professionisti su
elementi concreti. Tale rilievo mosso dalla resistente è piuttosto riferibile
all’articolata disciplina dettata dagli artt. 20 e 30 della legge provinciale
sui lavori pubblici, che ben possono considerarsi attinenti, almeno per taluni
profili, alla sfera organizzativa dell’ente territoriale.
Non potrebbe invece sostenersi – come
asserisce la difesa provinciale – che l’impugnato art. 11 della legge n. 18 del
2012 rientri nella materia dell’organizzazione perché non è rivolto a regolare
una forma di svolgimento dell’attività amministrativa. Esso, invece, incide
anzitutto sull’ambito materiale relativo alla «tutela della concorrenza» da cui
discendono le richiamate esigenze di uniformità, estensibili anche agli enti
dotati di autonomia speciale (ex plurimis, sentenze n. 114 del 2011;
n. 221 e n. 45 del 2010).
Sotto altro profilo, d’altronde,
l’impugnato art. 11, comma 1, lettera c), della legge n. 18 del 2012 non appare
conforme agli stessi indirizzi formulati dall’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici. Infatti, nella delibera 3 maggio 2012, n. 49, è ben vero
che la suddetta Autorità ha affermato la necessità di fornire una base certa
alle amministrazioni aggiudicatrici ai fini della determinazione dei compensi
per gli incarichi attinenti all’architettura e all’ingegneria, ma ha altresì
escluso che essi possano essere stabiliti mediante parametri assimilabili ai
tariffari e ha omesso ogni richiamo agli «elenchi prezzi», anche «quale
possibile riferimento per l’individuazione del valore della prestazione».
Ne consegue la sussistenza del censurato
contrasto tra l’art. 11, comma 1, lettera c), della legge provinciale n. 18 del
2012 e la norma invocata a parametro interposto (art. 9 del decreto-legge n. 1
del 2012).
Va dunque dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 11, comma 1, lettera c), della legge della Provincia
autonoma di Trento n. 18 del 2012, per violazione degli artt. 4 e 8 del d.P.R. n. 670 del 1972 e dell’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost.
Gli ulteriori profili di censura
rimangono assorbiti.
6.— Deve infine essere esaminata la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera a), della legge
provinciale n. 18 del 2012.
Occorre anzitutto prendere in esame le
modificazioni della disposizione impugnata e gli effetti del sopra menzionato ius superveniens. Esso, come
noto, può determinare la cessazione della materia del contendere alla duplice
condizione della: a) efficacia satisfattiva rispetto alle ragioni del
ricorrente; b) mancata applicazione medio tempore della normativa censurata (ex plurimis,
sentenze n. 73
e n. 18 del 2013;
n. 300 e n. 193 del 2012).
Nel caso in esame, l’art. 68, comma 1,
lettera a), della richiamata legge provinciale n. 25 del 2012 ha modificato
l’art. 30, comma 3-bis, della legge provinciale sui lavori pubblici, inserito
dall’impugnato art. 16, comma 1, lettera a), della legge della Provincia
autonoma di Trento n. 18 del 2012, così disponendo:
«La Giunta provinciale, previo parere
del Consiglio delle autonomie locali, adotta schemi-tipo di bandi, di inviti a
presentare offerte e di altri atti necessari per svolgere le procedure di
scelta del contraente sulla base di bandi-tipo approvati dall’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture».
Risulta soddisfatto il requisito sub b)
richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte affinché si possa determinare la
cessazione della materia del contendere (ex plurimis,
sentenze n. 193
del 2012; n.
192 del 2011). La mancata applicazione delle disposizioni impugnate medio
tempore è infatti desumibile dalla circostanza che la Giunta provinciale, nel
limitato periodo di vigenza della norma impugnata (dall’8 agosto 2012 al 28
dicembre 2012), non ha adottato alcuno schema-tipo di bando, continuando invece
ad applicare, in via transitoria, gli schemi-tipo di bando definiti dal
regolamento attuativo dell’art. 13-bis, comma 2, lettera d), della stessa legge
provinciale sui lavori pubblici, secondo quanto previsto dall’art. 16, comma 3,
della legge provinciale n. 18 del 2012, come deduce anche la Provincia autonoma
resistente nella memoria depositata in data 30 aprile 2013.
Non risulta invece soddisfatto il
requisito sub a), attesa la sussistenza della medesima sostanza normativa tra
la disposizione originariamente impugnata e quella sopravvenuta e il perdurante
carattere lesivo della norma oggetto di censura.
In virtù del principio di effettività
della tutela costituzionale nei giudizi in via principale, la questione di
costituzionalità va dunque trasferita sul testo vigente (ex plurimis,
sentenze n. 193
e n. 147 del
2012).
6.1.— Nel merito, la questione è
fondata.
L’art. 64, comma 4-bis, del decreto
legislativo n. 163 del 2006 – comma aggiunto dall’art. 4, comma 2, lettera h),
del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni
urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio
2011, n. 106 – attribuisce all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici
di lavori, servizi e forniture il compito di approvare i "bandi-tipo”, previo parere
del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sentite le categorie
professionali interessate.
Il bando-tipo costituisce pertanto lo
schema di riferimento e detta criteri univoci ai fini della redazione del bando
di gara ai sensi dell’art. 64, comma 4-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006,
costituendone, pertanto, puntuale esplicazione e attuazione.
In questo senso, è stato qualificato
anche dalla determinazione n. 4 dell’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici del 10 ottobre 2012, che lo ha definito «quadro giuridico di
riferimento sulla base del quale le stazioni appaltanti sono tenute a redigere
la documentazione di gara».
In sintesi, il bando-tipo approvato
dall’Autorità costituisce parametro specificativo della determinazione dei requisiti
richiesti a vario titolo dal Codice degli appalti per: la partecipazione alle
gare; la presentazione e la valutazione delle offerte, con particolare
riferimento ai criteri di valutazione circa la carenza di elementi essenziali e
di incertezza sul contenuto e sulla provenienza dell’offerta; le cause di
esclusione; la partecipazione dei raggruppamenti temporanei, dei consorzi
ordinari e dei consorzi stabili; la garanzia della qualità e dell’ambiente.
Esso assume pertanto caratteri assai articolati e puntuali ai fini
dell’individuazione dei criteri di disciplina delle diverse fasi della
procedura di scelta del contraente, configurandosi come modello cui sono tenute
ad uniformarsi le stazioni appaltanti "nella base”, pur mantenendo queste
ultime una limitata discrezionalità nel grado di dettaglio dei bandi e delle
convenzioni da inserire nei capitolati delle gare.
Ne consegue la preclusione per il
legislatore provinciale, ancorché dotato di autonomia speciale, ad intervenire
in tale ambito materiale riconducibile alla «tutela della concorrenza», nei
termini precisati di derivazione comunitaria (ex plurimis, le già richiamate sentenze n. 328 e n. 114 del 2011;
n. 221 e n. 45 del 2010).
In questa prospettiva, il richiamato rapporto tra le funzioni dell’Autorità di
vigilanza nell’approvazione dei bandi-tipo e l’obbligo di adeguamento delle
stazioni appaltanti risponde ad esigenze unitarie, che non tollerano alcun
margine di discrezionalità "intermedio” riservato alla Giunta provinciale: il legislatore
provinciale risulta pertanto – alla luce della sopra menzionata giurisprudenza
di questa Corte – privo del titolo competenziale ad
intervenire in subiecta materia.
Quanto al rapporto tra il riparto di
competenze legislative tra Stato ed enti territoriali e le funzioni svolte
dalle Autorità di regolazione, questa Corte ha ribadito, in più pronunce, che
queste ultime sono funzionali a garantire la tutela e la promozione della
concorrenza e la realizzazione di mercati concorrenziali (da ultimo, sentenza n. 41 del
2013). In tale contesto, in specifico riferimento ai bandi-tipo approvati
dalle Autorità, la Corte ha affermato che, fermo restando il residuo margine di
discrezionalità delle amministrazioni nell’elaborazione in dettaglio dei bandi
delle gare, le Autorità stesse sono competenti a stabilirne i criteri
fondamentali di redazione, senza che l’esercizio delle loro funzioni possa
produrre alcun tipo di alterazione dei criteri costituzionali di riparto delle
competenze legislative e amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali,
costituendone anzi presupposto e supporto (sentenze n. 41 del 2013
e n. 88 del 2009).
In questa prospettiva, l’adeguamento
della disciplina provinciale alla norma interposta invocata nel presente
giudizio non è previsto soltanto «sulla base» – come asserisce la difesa
provinciale e come dispone la norma impugnata – ma con riguardo al complesso
dei puntuali e articolati criteri previsti nei bandi-tipo adottati
dall’Autorità, permanendo comunque la facoltà delle stazioni appaltanti, nella
delibera a contrarre, di motivare espressamente in ordine ad eventuali deroghe.
Queste ultime rimangono pur sempre ammissibili tanto per le stazioni appaltanti
delle amministrazioni statali, quanto per quelle regionali e per quelle degli
enti territoriali dotati di autonomia speciale, sorrette dalle peculiari
condizioni dello statuto di autonomia.
Ne consegue la sussistenza del censurato
contrasto tra l’art. 30, comma 3-bis, della legge provinciale n. 26 del 1993,
introdotto dall’art. 16, comma 1, lettera a), della legge provinciale n. 18 del
2012, come modificato dall’art. 68, comma 1, lettera a), della legge
provinciale n. 25 del 2012, e la norma invocata a parametro interposto (art.
64, comma 4-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006).
Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 30, comma 3-bis, della legge provinciale n. 26 del 1993, come
modificato dall’art. 68, comma 1, lettera a), della legge provinciale n. 25 del
2012, per violazione degli artt. 4 e 8 del d.P.R. n.
670 del 1972 e dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Gli ulteriori profili di censura
rimangono assorbiti.
7.— L’accoglimento del ricorso per le
ragioni enunciate comporta che sia dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art.
27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale anche
degli articoli 11, comma 2, e 16, comma 1, lettera b), e comma 3 della legge n.
18 del 2012.
Infatti, gli artt. 11, comma 2, e 16,
comma 3, stabiliscono una limitata durata nel tempo delle norme vigenti sino
all’attuazione delle norme censurate. All’art. 16, comma 1, lettera b), vanno
invece estesi i motivi di illegittimità esposti a sostegno della fondatezza
delle questioni prospettate con riferimento alla violazione degli artt. 4 e 8
del d.P.R. n. 670 del 1972 e all’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., trattandosi di disposizione
che rinvia integralmente al censurato art. 16, comma 1, lettera a), quanto alla
procedura relativa all’adozione di schemi-tipo di bandi da parte della Giunta
provinciale ai fini della scelta del contraente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 11, comma 1, lettera c), e comma 3
della legge della Provincia autonoma di Trento 3 agosto 2012, n. 18, recante
«Modificazioni della legge provinciale 10 settembre 1993, n. 26 (legge
provinciale sui lavori pubblici), della legge provinciale 15 dicembre 1980, n.
35 (Determinazione delle quote di aggiunta di famiglia e disposizioni varie in
materia di personale), della legge provinciale 3 aprile 1997, n. 7 (legge sul
personale della Provincia), dell’articolo 14 (Costituzione della società
"Patrimonio del Trentino s.p.a.”) della legge
provinciale 10 febbraio 2005, n. 1, della legge provinciale 16 maggio 2012, n.
9 (Interventi a sostegno del sistema economico e delle famiglie), e della legge
provinciale 31 maggio 2012, n. 10 (Interventi urgenti per favorire la crescita
e la competitività del Trentino)»;
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 30, comma 3-bis, della legge della
Provincia autonoma di Trento 10 settembre 1993, n. 26 (Norme in materia di
lavori pubblici di interesse provinciale e per la trasparenza negli appalti),
introdotto dall’art. 16, comma 1, lettera a), della legge della Provincia
autonoma di Trento n. 18 del 2012 e modificato dall’art. 68, comma 1, lettera
a), della legge della Provincia autonoma di Trento 27 dicembre 2012, n. 25
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale
2013-2015 della Provincia autonoma di Trento – legge finanziaria provinciale
2013);
3) dichiara
l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell’articolo
27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale), dell’articolo 11, comma 2, della
legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2012;
4) dichiara
l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi dell’articolo
27 della legge n. 87 del 1953, dell’articolo 16, comma 1, lettera b), e comma
3, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 18 del 2012;
5) dichiara
estinto il processo relativo alla questione di legittimità costituzionale
dell’art. 16, comma 1, lettera c), della legge della Provincia autonoma di
Trento n. 18 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri con
il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Sergio MATTARELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 luglio
2013.