SENTENZA N.
93
ANNO 2011
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell’articolo 44, comma 1, del decreto-legge
31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni
legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, promosso
dalla Corte dei conti – sezione
giurisdizionale per la Regione Lazio nel procedimento vertente tra il
Procuratore Regionale presso la sezione giurisdizionale della Regione Lazio e L.B. ed altri, con ordinanza del 7 dicembre 2009, iscritta
al n. 176 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti gli atti di costituzione di G.P. ed altro, L.B., L.L.S., G.P.O.
ed altri, V.B., F.Z., e V. E.,
nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2011 il Giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
uditi gli avvocati Federico Sorrentino per L.B.,
Luisa Torchia per G.P.O. ed altri, Donella Resta per G.P. ed altro, Aristide Police per L.L.S. e Fabio Lorenzoni per V.B. ed altri.
Ritenuto in
fatto
1.
– La Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, con
ordinanza del 7 dicembre 2009, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3,
77, 97, 101, secondo comma, 103 e 108 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 44 (recte: dell’articolo 44, comma 1)
del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da
disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.
2. – L’ordinanza di rimessione premette
che il Procuratore della Corte dei conti presso la sezione giurisdizionale per
la Regione Lazio (infra:
Procuratore) ha convenuto in giudizio alcuni amministratori e dirigenti
dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), chiedendone la condanna al
risarcimento del danno da essi asseritamente prodotto
a causa della mancata applicazione della sanzione amministrativa prevista
dall’art. 11 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322 (Norme sul
Sistema statistico nazionale e sulla riorganizzazione dell’Istituto nazionale
di statistica, ai sensi dell’art. 24 della legge 23 agosto 1988, n. 400), nel
caso di violazione da parte di amministrazioni, enti ed organismi pubblici e
privati dell’obbligo di fornire tutti i dati e le notizie richiesti per le
rilevazioni previste dal programma statistico nazionale, disciplinato dall’art.
7, comma 1, di detto d.lgs., richiamato dal comma 3 di tale articolo, nel testo
previgente alle modifiche introdotte dall’art. 3, comma 74, della legge 24
dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2008).
Il Procuratore, nell’atto di citazione,
ha dedotto che l’accertamento di siffatta violazione spetta agli uffici di
statistica, i quali provvedono a trasmettere motivato rapporto al prefetto
competente per territorio, che procede ai sensi dell’art. 18 della legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale). Secondo l’organo
requirente, i convenuti nel giudizio principale non avrebbero provveduto ad
accertare detta violazione ed ha loro
contestato il danno asseritamente prodotto in virtù
di siffatta omissione, in riferimento al periodo 2002-2006 (non coperto da
prescrizione ed in relazione al quale erano disponibili dati definitivi),
quantificato nell’importo di € 191.425.235,00, ripartito pro-quota tra i medesimi.
Ad avviso dell’organo requirente, sarebbe
configurabile a carico del Presidente dell’ISTAT una responsabilità erariale
per colpa grave, poiché egli – in violazione dei doveri d’ufficio ex art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 322
del 1989 e delle competenze attribuitegli quale preposto al Consiglio
dell’ISTAT e al Comitato di indirizzo e coordinamento dell’informazione
statistica (COMSTAT) – non avrebbe neppure affrontato il problema
dell’applicazione delle sanzioni e sollecitato una modifica delle relative
norme, per ottenere una semplificazione del procedimento, sino a quando,
nell’aprile 2006, è stato presentato un esposto alla Corte dei conti. Agli
altri convenuti è stata contestata la responsabilità per colpa grave, a causa
di omissioni nell’espletamento delle funzioni ad essi spettanti nel procedimento
sanzionatorio.
2.1. – Tutti i convenuti si sono
costituiti nel giudizio, contestando la fondatezza della domanda; alcuni hanno
eccepito l’improcedibilità dell’azione, in quanto il Procuratore non avrebbe
tenuto conto dell’art. 44, comma 1, del d.l. n. 248 del 2007, che avrebbe
inciso sull’illiceità delle condotte contestate.
Il giudice a quo, con sentenza parziale del 12 ottobre 2009, ha rigettato
detta eccezione, osservando che il Procuratore, nell’atto di citazione, «ha
affrontato la questione degli effetti della sopravvenuta normativa […],
rilevando che, "ancorché la norma non utilizzi la formula consueta delle
disposizioni interpretative [...] essa manifesta l’intenzione del legislatore
di considerare anche per il passato ‘violazione dell’obbligo di risposta’
quella che abbia dato luogo ad un formale rifiuto”, e "limita con effetto
retroattivo l’applicazione delle sanzioni ai casi in cui il soggetto, pubblico
o privato, destinatario della richiesta di dati o notizie, abbia opposto un
formale rifiuto”, determinando nella sostanza "l’eliminazione della
obbligatorietà della risposta”, e ha contestualmente sollevato questione di
legittimità costituzionale della citata norma».
Inoltre, con detta sentenza parziale, il
rimettente ha deciso «tutte le questioni preliminari di rito e di merito»,
accertando la prescrizione in relazione alle condotte ascrivibili ai convenuti
successivamente al 19 novembre 2002 e sino a tutto il 2006, disponendo «la
pronunzia con separata ordinanza per l’esame della questione di legittimità
costituzionale» del citato art. 44, comma 1.
2.2. – Posta questa premessa, la Corte
dei conti deduce che la norma censurata incide sulle disposizioni in forza
delle quali il Procuratore ha esercitato l’azione di responsabilità, con
conseguente rilevanza della questione di legittimità costituzionale. Nella
specie, sarebbe stato, infatti, applicabile il testo originario dell’art. 7,
comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, poiché tale norma, nella formulazione
novellata dall’art. 3, comma 64 (recte: art. 3, comma 74), della legge n. 244 del 2007,
concerne i fatti commessi dal 1° gennaio 2008. E’, quindi, la norma censurata,
entrata in vigore il 31 dicembre 2007, che non permette di fare riferimento
all’originario testo del citato art. 7, comma 1, anche in riferimento alle
condotte anteriori a tale data.
Secondo il rimettente, qualora non fosse
sopravvenuto il citato art. 44, comma 1, avrebbe potuto essere affermata la
responsabilità dei convenuti, in quanto la sanzione prevista dall’art. 11 del
d.lgs. n. 322 del 1989 sarebbe stata applicabile in tutti i casi di violazione
dell’obbligo di fornire i dati statistici, indipendentemente dalla tipologia
degli stessi e senza possibilità di distinguere le ipotesi di formale diniego
della risposta e di comportamento meramente omissivo. La norma censurata, in
considerazione della sua lettera, impedirebbe, invece, di sanzionare condotte
diverse dal formale rifiuto di rispondere, perfezionatesi sino al 31 dicembre
2008, e di ritenere fondata la domanda, con conseguente rilevanza della
questione.
2.3.
– Il giudice a quo osserva che la
legge di conversione n. 31 del 2008 ha inserito nella norma in esame il comma
1-bis, che non incide sulla questione
di legittimità costituzionale, avente ad oggetto il solo comma 1 del citato
art. 44, censurato in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
A suo avviso, anche ritenendo che il
legislatore, in prossimità dell’entrata in vigore della nuova disciplina
introdotta dalla legge n. 244 del 2007, abbia inteso, con una norma transitoria,
limitare i casi di applicabilità della sanzione amministrativa per la
violazione in esame, la disposizione in questione non sarebbe sorretta da
«alcun criterio logico». Il citato art. 44, comma 1, non assicurerebbe,
infatti, «un minimo, ma inderogabile livello di garanzia per la tutela
dell’effettività dell’obbligo di conferimento dei dati» sino al 31 dicembre
2008 e nelle more dell’attuazione della disciplina prevista dal citato art. 7,
comma 1, poiché prevede che la violazione del medesimo è sanzionabile
esclusivamente nel caso in cui la parte abbia formalmente dichiarato di non
volere fornire i dati. Il presupposto di irrogazione della sanzione
consisterebbe, quindi, in un comportamento inesigibile, in quanto contrario
all’interesse dell’onerato e verosimilmente irrealizzabile in relazione
all’arco temporale di riferimento, dato che, per evitarne il perfezionamento,
sarebbe sufficiente non manifestare un formale rifiuto.
Un ulteriore elemento di illogicità
sarebbe, poi, costituito dalla circostanza che la norma censurata prevede
l’applicabilità della sanzione in virtù di un criterio diverso rispetto a
quello contenuto nel nuovo testo del citato art. 7, comma 1, il quale
disciplina un procedimento diretto ad identificare i casi nei quali, per
l’importanza dei dati, la violazione dell’obbligo di fornirli è sanzionabile.
La previsione della rilevanza della
violazione nel solo caso di «rifiuto formale» di fornire i dati non sarebbe
coerente con il criterio introdotto dalla legge n. 244 del 2007, poiché non inerisce
alla qualità del dato richiesto, ovvero alle caratteristiche ed alla tecnica
dell’indagine statistica, ma concerne il destinatario dell’obbligo e
discriminerebbe non ragionevolmente i trasgressori, garantendo l’impunità di
quelli rimasti silenti e sanzionando quanti hanno "formalmente” rifiutato di
rispondere.
Il citato art. 44, comma 1, violerebbe,
quindi, «i principi di logica e buona amministrazione» (art. 97 Cost.) e di
eguaglianza (art. 3 Cost.), poiché «comporta paradossalmente la punibilità di
chi fornisce una formale risposta negativa alla richiesta di dati»
(presumibilmente al fine di spiegare le ragioni del rifiuto) e la non
punibilità di chi si limita a violare l’obbligo di risposta, che pure resta
vigente in virtù dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, senza poter
essere sanzionato.
2.4. – Secondo il rimettente, alle
condotte tenute sino al 31 dicembre 2007 sarebbe stato applicabile il testo
originario dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989; l’ultimo giorno di
vigenza del medesimo, tre giorni dopo l’approvazione della legge n. 244 del
2007, che lo ha novellato, nel d.l. n. 248 del 2007 è stato inserito il citato
art. 44, comma 1, il quale ha inciso retroattivamente sull’applicabilità della
sanzione per le violazioni in esame.
Tale effetto, ad avviso della Corte dei
conti, sarebbe estraneo a quello avuto di mira dal d.l. n. 248 del 2007, avente
lo scopo di stabilire una «Proroga di termini previsti da disposizioni
legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria» e nel quale è stata
inserita la disposizione censurata (collocata nel capo «disposizioni
finanziarie urgenti»), che sarebbe priva di ragionevole giustificazione. La
norma non avrebbe, infatti, natura finanziaria e neppure disporrebbe una
proroga di termini in scadenza, in grado di giustificare l’urgenza della sua
adozione, ma realizzerebbe un effetto di segno contrario, in quanto ha
retroattivamente escluso l’efficacia di una disposizione che, in base ad una
legge promulgata soltanto tre giorni prima, avrebbe dovuto rimanere in vigore
sino al 31 dicembre 2007.
Inoltre, non potrebbe essere offerta
un’interpretazione costituzionalmente orientata alla disposizione in esame e
ritenere che, con essa, il legislatore, avendo preso atto che la nuova
disciplina introdotta dalla legge n. 244 del 2007 richiede la definizione di
nuovi e complessi procedimenti, avrebbe inteso «dettare una disposizione
transitoria che limitasse sino al 31 dicembre 2008 […] l’applicabilità delle
sanzioni», al fine «di procrastinare di un anno la concreta entrata in vigore»
del nuovo sistema sanzionatorio. La lettera della norma imporrebbe, infatti, di
ritenere che essa ha limitato la punibilità della violazione dell’obbligo in
questione nel solo caso di rifiuto formale, in relazione alle fattispecie
perfezionatesi sia in data successiva al 31 dicembre 2007 (oggetto del nuovo
testo del citato art. 7, comma 1), sia in data anteriore (perciò regolamentate
dal testo originario del citato art. 7, comma 1), nonostante che quest’ultimo
arco temporale non avrebbe dovuto essere considerato, qualora scopo della
stessa fosse stato di graduare l’entrata in vigore della nuova disciplina.
Pertanto, secondo la Corte dei conti, il
citato art. 44, comma 1, violerebbe l’art. 77 Cost., «quantomeno nella parte in
cui dispone la propria efficacia con riguardo alle rilevazioni statistiche
svolte anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente
decreto», e cioè per i fatti commessi sino al 31 dicembre 2007, con
disposizione diretta a sostituire retroattivamente il testo dell’art. 7, comma
1, del d.lgs. n. 322 del 1989, in difetto del requisito di necessità ed
urgenza, che condiziona la legittimità del decreto legge.
2.5. – Secondo il giudice a quo, gli argomenti svolti a conforto
delle censure riferite agli artt. 3, 77 e 97 Cost. dimostrerebbero che la
disposizione in esame reca vulnus
anche gli artt. 101, secondo comma, 103 e 108 Cost., in quanto avrebbe inciso
sulle funzioni attribuite ai giudici contabili. Il citato art. 44, comma 1, non
ha, infatti, ad oggetto una proroga di termini; non costituisce una
disposizione finanziaria; non «è idonea a individuare un presupposto
comportamentale al quale può collegarsi logicamente e razionalmente la
punibilità del comportamento trasgressivo nell’ambito di un meccanismo
sanzionatorio»; non risulta strumentale a stabilire una disciplina della
punibilità di determinate condotte in via transitoria e sino al 31 dicembre
2008. Siffatta norma, in quanto adottata successivamente al 19 novembre 2007
(data di notifica ai convenuti dell’invito a dedurre), avrebbe avuto quale
unico effetto quello di limitare la responsabilità per la violazione
dell’obbligo previsto dal citato art. 7, comma 1, prevedendo, non
ragionevolmente, che questa è configurabile esclusivamente nel caso di rifiuto
formale della risposta.
In altri termini, la disposizione in
questione, apparentemente diretta a limitare i casi di punibilità della
violazione dell’obbligo di fornire i dati statistici, ma in realtà inidonea a
permettere l’irrogazione della sanzione, non ragionevolmente coordinata con la
nuova disciplina sanzionatoria introdotta dalla legge n. 244 del 2007, adottata
in carenza dei presupposti della necessità ed urgenza e priva di ragionevole
giustificazione, avrebbe avuto la sola finalità di escludere la punibilità di
siffatta violazione in riferimento al testo originario del citato art. 7, comma
1, e con riguardo alle fattispecie perfezionatesi anteriormente all’entrata in
vigore della riforma realizzata con detta legge. L’effetto della disposizione
in esame sarebbe stato, quindi, di escludere l’illegittimità della condotta
contestata ai convenuti nel giudizio principale, realizzando «una preordinata
interferenza sulle funzioni della magistratura contabile, sottraendole una
fattispecie di responsabilità amministrativa già sub judice».
Ad avviso del rimettente, benché
l’invito a dedurre si collochi in una fase precedente al giudizio, la garanzia
costituzionale della giurisdizione contabile, nella quale rientra il diritto di
azione del Procuratore, concernerebbe anche quella prevista dall’art. 17, comma
30-ter, del decreto-legge 1° luglio
2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito
dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, in quanto necessariamente prodromica all’instaurazione del medesimo.
Il giudice a quo dà, peraltro, atto sia che la giurisprudenza costituzionale
ha ricondotto l’invito a dedurre ad una fase che precede l’accertamento della
responsabilità, sia che, secondo la giurisprudenza della Corte dei conti,
funzione di tale atto è quella di realizzare una «preliminare contestazione di
fatti specifici ad un soggetto già indagato», rendendo possibile all’organo
requirente uno sviluppo di più adeguate indagini. L’invito a dedurre
costituisce, quindi, un atto strumentale all’acquisizione di ulteriori
elementi, anche favorevoli al destinatario, in vista delle formulazione da
parte dell’organo requirente delle proprie determinazioni, che non devono
consistere nell’inizio dell’azione di responsabilità.
Tuttavia, secondo il rimettente, la
circostanza che tale fase «non presenti il carattere della univocità
tipicamente connesso alla fase giudiziale» non escluderebbe che l’attività
svolta al suo interno costituisca espressione di un potere-dovere che si articola
nella fase giudiziale, come diritto alla azione, e nella fase preprocessuale come diritto a svolgere una compiuta
istruttoria quale ineliminabile presupposto per l’eventuale incardinazione
dell’azione. Pertanto, poiché il potere-dovere di azione del Procuratore
comprende quello di accertare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio
dell’azione di responsabilità amministrativa, il principio che impedisce al
legislatore di interferire nell’esercizio della funzione giurisdizionale
concernerebbe anche la fase dell’accertamento della sussistenza degli elementi
sufficienti ad integrare un’ipotesi di responsabilità amministrativa.
3. – Nel giudizio davanti a questa Corte
si è costituita L.L.S., convenuta nel processo
principale, eccependo l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della
questione ed esplicitando nella memoria depositata in prossimità dell’udienza
pubblica gli argomenti a conforto di tale conclusione.
La parte deduce che l’incongruità della
disciplina concernente la violazione dell’obbligo in esame era stata posta
all’attenzione del Presidente dell’ISTAT, del Consiglio di amministrazione e
del Comitato per l’indirizzo ed il coordinamento dell’informazione statistica
oltre un anno prima della proposizione dell’esposto che ha dato l’avvio
all’istruttoria da parte del Procuratore. Inoltre, era stata esaminata nel
corso di molteplici sedute del Consiglio di amministrazione e di detto Comitato
(sintetizzate nella memoria) ed aveva costituito oggetto di un lavoro,
trasmesso al Ministero della funzione pubblica, che preludeva alle modifiche
realizzate dalla legge n. 244 del 2007 e dalla norma censurata, anche allo
scopo di offrire tutela ai «soggetti deboli che già di per sé si fa fatica ad
intercettare nelle ricerche».
Secondo L.L.S.,
il citato art. 44, comma 1, costituirebbe una norma interpretativa ed il
rimettente, nel censurarla in riferimento all’art. 77 Cost., non avrebbe
considerato che la nuova formulazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989 ha
reso necessaria una disposizione regolamentare per identificare i casi di
applicabilità della sanzione, imponendo di adottare con necessità ed urgenza le
misure necessarie per evitare che ai cittadini fossero applicate sanzioni in
contrasto con la ratio
della nuova disciplina.
A suo avviso, le censure svolte con
riguardo agli artt. 3 e 97 Cost. non terrebbero conto del fatto che la norma in
esame non mira a sottrarre i vertici dell’ISTAT al giudizio contabile
(peraltro, neppure promosso alla data di emanazione del decreto-legge), ma è
diretta a tutelare i soggetti esposti al rischio di subire un’iniqua sanzione e
ad evitare che l’avvio di un numero spropositato di procedimenti sanzionatori
aggravasse inutilmente l’attività dell’ISTAT. L’attendibilità del dato
statistico non è, infatti, influenzata dal numero delle mancate risposte e per
questa ragione organizzazioni scientifiche ed eminenti studiosi hanno accolto
favorevolmente la norma censurata. Il rifiuto formale sarebbe, inoltre,
soltanto quello privo di adeguata giustificazione, al quale non potrebbe essere
assimilata la mera inerzia; il principio di eguaglianza era, poi, leso dalla
pregressa disciplina, che rendeva applicabile la sanzione a soggetti i quali
versavano in condizioni disagiate, deteriori rispetto agli altri destinatari
dell’obbligo di fornire i dati statistici.
L.L.S. deduce, infine, che le censure riferite agli artt.
101, secondo comma, 103 e 108 Cost. non considerano che la facoltà del
legislatore ordinario di emanare norme interpretative non può incidere sul
potere giurisdizionale, da ritenersi, tuttavia, leso soltanto quando la norma
vanifica gli effetti del giudicato, oppure è intenzionalmente diretta ad
incidere su concrete fattispecie sub iudice, ipotesi queste insussistenti nella specie, poiché
l’atto di citazione è stato notificato in data successiva all’emanazione della
norma censurata.
4. – Nel presente giudizio si è
costituito anche L.B., convenuto nel processo
principale, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque,
infondata.
A suo avviso, la questione sarebbe
inammissibile per insufficiente motivazione sulla rilevanza, in quanto è stata
proposta prima che il giudice a quo
abbia accertato la sussistenza dei presupposti dell’azione risarcitoria e,
quindi, sarebbe meramente ipotetica ed eventuale, dato che la rilevanza non
sussisterebbe, «qualora dovesse acclararsi che
nessuna responsabilità può essere imputata ai convenuti». In contrario, non
rileverebbe la quantificazione del danno operata da parte del Procuratore con
riguardo a tutte le condotte omissive, poiché la norma censurata è entrata in
vigore sette mesi prima della notificazione dell’atto di citazione. Pertanto,
l’organo requirente, fermi gli eventuali dubbi di legittimità costituzionale in
ordine al citato art. 44, comma 1, bene avrebbe potuto individuare le
fattispecie dalle quali far derivare la responsabilità ai sensi di tale norma.
In relazione alle censure riferite
all’art. 77 Cost., L.B. deduce che, fatta eccezione
per i casi di interviste dirette, il «formale rifiuto» potrebbe essere
integrato da molteplici atti rivelatori dell’univoca volontà di non
collaborare; comunque, le considerazioni del rimettente potrebbero assumere
rilievo in relazione al periodo compreso tra il 31 dicembre 2007 ed il 31 dicembre
2008, non a quello anteriore (che costituisce oggetto del giudizio principale).
In riferimento a quest’ultimo, la condotta del trasgressore si è, infatti, già
perfezionata; quindi non sarebbe esatto che
l’irrogazione della sanzione dipenderebbe da un comportamento
inesigibile, perché contrario all’interesse dell’onerato.
La denunciata disparità di trattamento
tra quanti esplicitano le ragioni del rifiuto e quanti si limitano a non
rispondere neppure sussisterebbe. Indipendentemente dalla corretta esegesi
della locuzione «formale rifiuto» e dalla necessità della volontarietà della
condotta illecita (che impedirebbe di ritenere irrilevante l’esplicitazione
delle ragioni del rifiuto), la prospettazione del rimettente avrebbe, infatti,
senso soltanto se riferita a condotte successive al 31 dicembre 2007, non a
quelle anteriori.
Ad avviso della parte, l’identificazione
delle fattispecie sanzionabili in base ad un criterio diverso rispetto a quello
dell’art. 3, comma 74, della legge n. 244 del 2007 sarebbe giustificata dal
fatto che esso è contenuto in una norma con efficacia retroattiva e
transitoria, avente lo scopo di sanzionare le sole condotte omissive rilevanti
ai fini dell’indagine statistica.
Il citato art. 44, comma 1, inciderebbe,
inoltre, sul comma 3, non sul comma 1 dell’art. 7, d.lgs. n. 322 del 1989
(come, invece, inesattamente affermato nell’ordinanza di rimessione) e la sua
adozione sarebbe stata imposta dal tempo occorrente per attuare la nuova
disciplina introdotta dall’art. 3, comma 74, della legge n. 244 del 2007 e
dalla finalità di differire di un anno l’entrata in vigore del nuovo testo del
citato art. 7, comma 1, prorogando l’efficacia di tale norma, nel testo
originario, ma limitando la punibilità anche per il passato. La retroattività
della norma sarebbe, dunque, giustificata dall’intento di evitare
un’irragionevole disparità di trattamento tra soggetti egualmente tenuti, sino
all’entrata in vigore della nuova disciplina, a fornire risposta ai sensi del
citato art. 7, comma 1, nel testo originario.
Secondo la parte, siffatte
considerazioni, il titolo ed il preambolo del d.l. n. 248 del 2007 renderebbero
palese il collegamento esistente tra tale atto normativo e la disposizione
censurata. La ratio di quest’ultima sarebbe, inoltre, quella
di attenuare – nell’interesse del destinatario delle rilevazioni e per
garantire il corretto funzionamento del sistema statistico nazionale –
l’originaria disciplina sanzionatoria, che era svincolata dalla rilevanza del
dato statistico, con conseguente ragionevolezza della disposizione ed
infondatezza delle censure riferite all’art. 77 Cost.
4.1. – L.B.
contesta le censure riferite agli artt. 101, 103 e 108 Cost., deducendo che il
legislatore ordinario non interferisce con la funzione giurisdizionale, quando
stabilisce una regola astratta, non mira ad incidere sul giudicato, ovvero a
risolvere, «con la forma della legge, specifiche controversie» ed a «vanificare
gli effetti una pronuncia giurisdizionale divenuta intangibile». Nella specie,
l’efficacia retroattiva della norma censurata non inciderebbe sulla «potestas iudicandi» e,
comunque, al più, avrebbe influito sull’invito a dedurre, che attiene ad una
fase preprocessuale.
In linea gradata,
per il caso in cui siano ritenute fondate le censure proposte dal giudice a quo, la parte privata sollecita questa
Corte a sollevare davanti a sé la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 7, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 322 del 1989, nel testo originario, in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui, in primo luogo, non
ragionevolmente prevede l’irrogazione della sanzione per la violazione
dell’obbligo in esame, senza tenere conto delle ragioni della medesima e senza
operare alcuna graduazione in relazione alla rilevanza dei dati. In secondo luogo,
nella parte in cui non tiene conto che i soggetti chiamati ad accertare la
violazione verserebbero nella «difficoltà-impossibilità» di identificare quanti
non forniscono i dati richiesti, ovvero li forniscono scientemente errati o
incompleti, e di riconoscere l’errore, verificandone l’intenzionalità. In terzo
luogo, non consente una preliminare valutazione in ordine sia all’esistenza di
elementi che potrebbero avere causato (o concorso a causare) la mancata o
errata o incompleta risposta, sia alla rilevanza dei dati ai fini dell’indagine
statistica.
5.
– Nel giudizio davanti a questa Corte si sono costituiti, con un unico
atto, G.P.O., V.T.A., G.A.C., A.M. e R.M., convenuti nel processo principale,
chiedendo, anche nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica,
che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile e,
comunque, infondata.
Dopo avere svolto considerazioni in
ordine alle ragioni che avrebbero reso di difficile applicazione la disciplina
originariamente prevista dall’art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989, le parti
deducono che la legge n. 244 del 2007 ha introdotto gli opportuni rimedi al
riguardo e che la norma censurata reca una «disciplina intertemporale volta ad
assicurare il corretto e proporzionato esercizio del potere sanzionatorio». La
regolamentazione introdotta da detta legge, in armonia con quella vigente in
altri paesi europei, ha specificato il procedimento preordinato
all’individuazione delle rilevazioni statistiche per le quali la mancata
risposta configura una violazione sanzionabile; il citato art. 44, comma 1,
avrebbe, quindi, garantito la continuità tra la disciplina originaria e quella
novellata. Peraltro, la questione non sarebbe rilevante, poiché la norma
censurata non inciderebbe sull’effettività dell’obbligo di risposta per le
rilevazioni svolte in data anteriore alla entrata in vigore della medesima e,
comunque, avrebbe potuto essere sollevata in riferimento ai dati raccolti nel
2008, anno che, però, non rileva nel giudizio principale.
Scopo del citato art. 44, comma 1,
sarebbe stato quello di evitare una ingiustificata disparità di trattamento tra
i casi in cui qualsiasi mancata risposta determinava l’irrogazione della
sanzione e quelli (oggetto della nuova disciplina introdotta dalla legge n. 244
del 2007) nei quali la violazione assume rilievo soltanto in riferimento ad
alcune categorie di dati, con conseguente infondatezza della censure riferite
agli artt. 3 e 97 Cost.
5.1. – Le censure sollevate in relazione
all’art. 77 Cost. sarebbero infondate, poiché, nella specie, sussisteva
l’urgenza di garantire la continuità della disciplina, evitando discriminazioni
ed incertezze interpretative e prevenendo un significativo contenzioso,
obiettivi questi realizzati mediante una norma interpretativa. Inoltre, la
disposizione in questione avrebbe contenuto omologo ad un’altra norma pure
contenuta nel d.l. n. 248 del 2007 e censurata in riferimento a detto parametro
con argomenti ritenuti non fondati da questa Corte con la recente sentenza n. 355 del
2010.
Secondo le parti, il citato art. 44,
comma 1, non avrebbe influito sull’esercizio della funzione giurisdizionale,
poiché non ha inciso su di un giudicato e neppure è intervenuto su una
fattispecie sub iudice,
dato che l’atto di citazione è stato notificato in data successiva a quella
dell’adozione del d.l. n. 248 del 2007. Inoltre, l’attività istruttoria
dell’organo requirente non avrebbe natura giurisdizionale e, comunque, sarebbe
stata compiutamente svolta, senza che su di essa abbia inciso la disposizione
in esame, con conseguente irrilevanza della questione, con conseguente
infondatezza delle censure riferite agli artt. 101, 103 e 108 Cost.
6.
– Con separati atti, di
contenuto sostanzialmente omologo, si sono costituiti nel presente giudizio V.B., F.Z. e V.E., convenuti nel
processo a quo, eccependo, anche
nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica, l’inammissibilità
e l’infondatezza della questione.
Secondo le parti, la disciplina
sanzionatoria stabilita dall’art. 7, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 322 del 1989
era rimasta sostanzialmente inapplicata e la disposizione censurata avrebbe
differito l’entrata in vigore della riforma realizzata dalla legge n. 244 del
2007, in considerazione dell’esigenza di individuare le tipologie di dati statisticamente
rilevanti ai fini della violazione dell’obbligo in esame, garantendo, anche per
il passato, la coerenza del sistema sanzionatorio con i nuovi criteri stabiliti
da detta legge, con conseguente infondatezza delle censure riferite all’art. 77
Cost. La constatazione che l’applicabilità della sanzione nel solo caso di
formale rifiuto di fornire i dati statistici sarebbe coerente con «evidenti
canoni di civiltà giuridica» e con l’esigenza di rendere effettivo il regime
sanzionatorio condurrebbe, inoltre, ad escludere il denunciato vulnus degli artt. 3 e 97 Cost.
A loro avviso, non sarebbero violati gli
artt. 101, 103 e 108 Cost., in primo luogo, poiché la norma censurata è stata
emanata quando il giudizio di responsabilità non era stato ancora instaurato;
in secondo luogo, in quanto essa non ha realizzato una generale sanatoria, né
ha impedito al Procuratore di proseguire l’istruttoria, ma, mediante
un’interpretazione costituzionalmente orientata del citato art. 7 del d.lgs. n.
322 del 1989, ha garantito l’effettività del sistema sanzionatorio. Peraltro,
quest’ultima considerazione inciderebbe sulla rilevanza della questione e,
quindi, sull’ammissibilità della medesima.
7. – O.C. e
G.P., convenuti nel processo principale, si sono costituiti nel giudizio
davanti a questa Corte con separati atti, di contenuto pressoché identico,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata,
esplicitando, in una successiva memoria, le ragioni a conforto di dette
conclusioni.
Secondo le parti, l’originaria
disciplina della sanzione amministrativa in esame la rendeva di difficile e
dispendiosa applicazione da parte dell’ISTAT. Il legislatore, con l’art. 3,
comma 74, della legge n. 244 del 2007, ha, quindi, realizzato una riforma
caratterizzata dalla previsione di un procedimento che, nell’impossibilità di
completarlo in tempi brevi, avrebbe imposto l’emanazione di una disciplina
transitoria. La norma censurata avrebbe assicurato «la necessaria continuità»
tra vecchio e nuovo regime, correggendo le distorsioni del sistema previgente,
al fine di renderlo conforme ai principi di eguaglianza e ragionevolezza, con
conseguente infondatezza delle censure riferite agli artt. 3 e 97 Cost.
A loro avviso, l’originario obbligo
generalizzato di risposta omologava irragionevolmente situazioni differenti ed
il «formale rifiuto» previsto dal citato art. 44, comma 1, non richiederebbe,
necessariamente, un’esplicita affermazione di non volere fornire il dato
statistico, sicché il criterio stabilito dalla norma censurata sarebbe il solo
in grado di garantire la certezza del diritto, limitando la discrezionalità
della pubblica amministrazione. Peraltro, in difetto della norma censurata,
nelle more della definizione del procedimento del citato art. 3, comma 74, sarebbe
accaduto che, non ragionevolmente, una condotta avrebbe potuto essere
sanzionata, benché lecita alla luce della nuova disciplina.
Le censure riferite all’art. 97 Cost.
sarebbero, invece, infondate, in quanto la sproporzione tra costi e ricavi nell’accertamento
della violazione e nell’irrogazione delle sanzione, comprovata da un rapporto
dell’ISTAT riportato in sintesi nella memoria, evidenzierebbe la sostanziale
inapplicabilità della medesima, senza considerare che la scienza statistica
conosce e utilizza tecniche idonee a scongiurare l’incidenza delle mancate
risposte sull’attendibilità dei risultati. Pertanto, non sarebbe esatto che il
citato art. 44, comma 1, elimina «ogni inderogabile livello di garanzia per la
tutela dell’effettività dell’obbligo di conferimento dei dati» e la coerenza di
tale norma con il principio di buon andamento sarebbe stata puntualmente
sottolineata nel corso dei lavori preparatori della legge di conversione del
d.l. n. 248 del 2007.
7.1. – O.C. e
G.P., con riguardo alle censure riferite all’art. 77 Cost., deducono che
l’esigenza di garantire la continuità tra la nuova disciplina e la pregressa
regolamentazione, senza realizzare discriminazioni ed eliminando incertezze
interpretative, giustificherebbe l’inserimento della norma in questione nel
d.l. n. 248 del 2007.
Le censure prospettate con riguardo agli
artt. 101, 103 e 108 Cost. sarebbero, invece, infondate, in quanto la norma in
esame è stata emanata dopo l’invito a dedurre e prima della notificazione della
citazione che ha dato avvio al giudizio principale; quindi, la disposizione non
è intervenuta per annullare un giudicato o per incidere su di una fattispecie sub judice.
Le parti concludono, infine, chiedendo
che la Corte, qualora ritenga fondate le censure formulate dal giudice a quo, voglia «dichiarare
l’illegittimità parziale, con riferimento agli artt. 3 e 97» Cost. dell’art. 7,
commi 1 e 3, del d.lgs. n. 322 del 1989, nel testo originario, «in virtù del
potere conferitole dall’ultima parte dell’art. 27 legge n. 87/1953».
8. – Nel presente giudizio è intervenuto
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile, in quanto, qualora si ritenga che il citato art. 44, comma 1,
costituisca una norma di interpretazione autentica dell’art. 7 del d.lgs. n.
322 del 1989, il rimettente avrebbe dovuto censurare anche quest’ultima norma.
Ad avviso dell’interveniente, la
questione, nel merito, sarebbe infondata, poiché la disposizione in esame non
avrebbe sottratto ai ricorrenti nessuno strumento di tutela e neppure menomato
la funzione giurisdizionale e, quindi, non recherebbe vulnus agli artt. 101, 103 e 108 Cost. Inoltre, detta norma non
violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost., dato che essa ha fatto chiarezza, ponendo
rimedio agli inconvenienti determinati dall’originaria disciplina
sanzionatoria, ed avrebbe assegnato alla disposizione interpretata uno dei
significati possibili, con conseguente inesistenza della lesione dei principi
di ragionevolezza e tutela dell’affidamento.
Infine, il citato art. 44, comma 1, non
si porrebbe in contrasto con l’art. 77 Cost., poiché il requisito della
«necessità» che legittima l’adozione del decreto-legge dipenderebbe da una
valutazione politica del Governo e, comunque, sarebbe stata correttamente
ritenuta urgente ed indifferibile l’esigenza di provvedere alla «eliminazione
di una norma che aveva dato luogo a notevoli inconvenienti ed a interpretazioni
contrastanti».
9. – All’udienza pubblica le parti hanno
insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1. – La Corte dei conti – sezione
giurisdizionale per la Regione Lazio, dubita, in riferimento agli articoli 3,
77, 97, 101, secondo comma, 103 e 108 della Costituzione, della legittimità
costituzionale dell’articolo 44 (recte: dell’articolo 44, comma 1) del decreto-legge 31
dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative
e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni,
dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, che stabilisce: «fino al 31 dicembre 2008,
ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative previste dall’articolo
11 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, e con riguardo alle
rilevazioni svolte anche anteriormente alla data di entrata in vigore del
presente decreto, è considerato violazione dell’obbligo di risposta, di cui
all’articolo 7, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 322 del 1989,
esclusivamente il formale rifiuto di fornire i dati richiesti».
2. – L’ordinanza di rimessione premette
che, nel giudizio principale, il Procuratore della Corte dei conti presso la
sezione giurisdizionale per la Regione Lazio (di seguito: Procuratore) ha
chiesto la condanna di alcuni amministratori e dirigenti dell’Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) a risarcire il danno asseritamente
prodotto a causa della mancata applicazione della sanzione amministrativa
pecuniaria prevista dall’art. 7 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n.
322 (Norme sul Sistema statistico nazionale e sulla riorganizzazione
dell’Istituto nazionale di statistica, ai sensi dell’art. 24 della legge 23
agosto 1988, n. 400), nel caso di violazione da parte di amministrazioni, enti
ed organismi pubblici e privati dell’obbligo di fornire tutti i dati e le
notizie richiesti per le rilevazioni previste dal programma statistico
nazionale. Secondo il giudice a quo,
il citato art. 44, comma 1, avrebbe limitato l’applicabilità di detta sanzione
e, impedendo, per le condotte concernenti le rilevazioni statistiche svolte
anteriormente al 31 dicembre 2007, di fare riferimento al testo originario
dell’art. 7, comma 1, del d.lgs. n. 322 del 1989, avrebbe influito sulla
configurabilità della responsabilità dei convenuti nel giudizio principale.
La Corte dei conti dubita, tuttavia,
della legittimità costituzionale di siffatta disposizione in riferimento agli
artt. 3 e 97 Cost., in primo luogo, poiché essa non sarebbe sorretta da «alcun
criterio logico» e non assicurerebbe «un minimo, ma inderogabile livello di
garanzia per la tutela dell’effettività dell’obbligo di conferimento dei dati»
sino al 31 dicembre 2008 e nelle more dell’attuazione della nuova disciplina
prevista dal novellato art. 7, comma 1, dato che la condotta consistente nel
rifiuto formale di fornire i dati sarebbe inesigibile, perché contraria
all’interesse dell’onerato e verosimilmente irrealizzabile. In secondo luogo,
in quanto il criterio di applicabilità della sanzione sarebbe difforme da quello
che caratterizza la disciplina introdotta dall’art. 3, comma 74, della legge 24
dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2008) e discriminerebbe, non ragionevolmente, i trasgressori,
garantendo l’impunità a quelli rimasti silenti e sanzionando quanti hanno,
invece, "formalmente” manifestato il rifiuto di fornire i dati, eventualmente
motivandone le ragioni.
2.1. – Il citato art. 44, comma, 1, ad
avviso del giudice a quo, violerebbe
anche l’art. 77 Cost., poiché avrebbe un
contenuto difforme rispetto a quello oggetto delle altre disposizioni del d.l.
n. 248 del 2007, dato che non avrebbe carattere finanziario, né disporrebbe una
proroga di termini in scadenza. Siffatta norma ha, infatti, modificato,
retroattivamente, la disciplina della sanzione amministrativa in esame,
incidendo su una disposizione che, in virtù della legge n. 244 del 2007,
avrebbe dovuto rimanere in vigore sino al 31 dicembre 2007. Inoltre, qualora
scopo della disposizione fosse stato quello di graduare l’entrata in vigore
della disciplina introdotta dall’art. 3, comma 74, della legge n. 244 del 2007,
in considerazione dell’esigenza di definire il procedimento da questo previsto,
la modifica da essa realizzata sarebbe stata giustificabile esclusivamente in
riferimento alle condotte tenute successivamente al 31 dicembre 2007. Pertanto,
la norma censurata, «quantomeno nella parte in cui dispone la propria efficacia
con riguardo alle rilevazioni statistiche svolte anche anteriormente alla data
di entrata in vigore del presente decreto», recherebbe vulnus all’art. 77 Cost., stante il difetto del requisito di
necessità ed urgenza previsto da tale parametro costituzionale.
2.2. – Secondo la Corte dei conti, la
norma in esame si porrebbe, infine, in contrasto con gli artt. 101, secondo
comma, 103 e 108 Cost., in quanto le censure sopra sintetizzate dimostrerebbero
che, con essa, il legislatore ha leso le prerogative dei giudici contabili. Il
citato art. 44, comma 1, non avrebbe, infatti, previsto una generale sanatoria,
ma avrebbe limitato l’applicabilità della sanzione per la violazione
dell’obbligo di fornire i dati statistici e, quindi, escluso l’illiceità della
condotta dei convenuti nel giudizio principale, realizzando in tal modo «una
preordinata interferenza sulle funzioni della magistratura contabile».
Ad avviso del rimettente, la garanzia
costituzionale della giurisdizione contabile, nella quale rientrerebbe il
diritto di azione del Procuratore, concernerebbe anche la fase promossa con
l’invito a dedurre, la quale, benché preceda la proposizione del giudizio,
sarebbe necessariamente prodromica a quest’ultimo. La
norma censurata violerebbe, dunque, i suindicati parametri costituzionali,
nonostante che alla data della pubblicazione del d.l. n. 248 del 2007 l’organo
requirente non avesse ancora depositato l’atto di citazione a giudizio.
3. – In linea preliminare, vanno
esaminate le eccezioni di inammissibilità proposte da alcune delle parti
costituite nel presente giudizio e dall’interveniente.
Secondo L.B.,
l’ordinanza di rimessione sarebbe viziata da insufficiente motivazione in
ordine alla rilevanza della questione, in quanto quest’ultima è stata sollevata
dal giudice a quo «prima ancora di
avere accertato la sussistenza dei presupposti dell’azione risarcitoria» e,
quindi, la rilevanza resterebbe esclusa, «qualora dovesse acclararsi
che nessuna responsabilità può essere imputata ai convenuti».
G.P.O., V.T.A., G.A.C., A.M. e R.M. sostengono, invece, che la questione
non sarebbe rilevante, sia perché la norma censurata non inciderebbe
sull’effettività dell’obbligo di risposta per le rilevazioni svolte in data
anteriore alla entrata in vigore della medesima, sia perché non avrebbe
impedito lo svolgimento dell’attività istruttoria da parte del Procuratore.
Ad avviso di V.B.,
F.Z. e V.E., la questione non sarebbe rilevante, in
quanto la disposizione in esame avrebbe offerto un’interpretazione
costituzionalmente orientata dell’art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989.
L’Avvocatura generale dello Stato
eccepisce, infine, l’inammissibilità della questione, sostenendo che, qualora
si ritenga che il citato art. 44, comma 1, costituisca una norma di
interpretazione autentica dell’art. 7 del d.lgs. n. 322 del 1989, il rimettente
avrebbe dovuto censurare anche quest’ultima disposizione.
3.1. –
Le eccezioni non sono fondate.
Secondo l’ordinanza di rimessione, la
norma censurata «incide sulle disposizioni poste dalla Procura a base
dell’azione di responsabilità erariale», poiché «sostituisce, con effetto
esteso ai fatti contestati ai convenuti, alla previgente fattispecie
sanzionabile di cui all’art. 7, comma 1, del citato decreto legislativo una
nuova fattispecie costituita esclusivamente dal "rifiuto formale di fornire i
dati richiesti”». Il giudice a quo,
esplicitando che l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale del
citato art. 44, comma 1, permetterebbe di valutare la condotta dei convenuti
nel giudizio principale in base alla disciplina stabilita dal testo originario
del citato art. 7, ha, quindi, non implausibilmente
ritenuto rilevante la questione. Non concerne, infatti, tale profilo ed
attiene, invece, ad una fase logicamente e giuridicamente successiva
l’accertamento dell’effettiva sussistenza della responsabilità, in base alla
prima ovvero alla seconda delle due formulazioni della norma succedutesi nel
tempo. La circostanza che la disposizione in esame non ha impedito lo
svolgimento dell’attività istruttoria da parte dell’organo requirente neppure,
poi, esclude detto requisito, da ritenersi sussistente, in quanto la norma ha
modificato il presupposto di applicabilità della sanzione in esame, mentre
l’apprezzamento dell’idoneità della stessa a garantire l’effettività
dell’obbligo di fornire i dati concerne la fondatezza delle censure riferite
agli artt. 3 e 97 Cost., non l’ammissibilità della questione.
Relativamente alle restanti eccezioni,
va, infine, osservato che, secondo la non implausibile
motivazione del giudice a quo, è
possibile una differente interpretazione, costituzionalmente orientata, del
testo originario del citato art. 7 e sarebbe, quindi, proprio l’art. 44, comma
1, del d.l. n. 248 del 2007 la disposizione censurabile, poiché è questa che
avrebbe attribuito alla prima un contenuto precettivo lesivo dei parametri
costituzionali evocati nell’ordinanza di rimessione. Inoltre, detta
disposizione definisce la condotta che integra una «violazione dell’obbligo di
risposta, di cui all’art. 7, comma 1» del d.lgs. n. 322 del 1989 e, in tal
modo, incide anche sul comma 3 di quest’ultimo, avente ad oggetto il
comportamento sanzionabile, con la conseguenza che il riferimento del
rimettente ai commi 1 e 3 di detto art. 7 non comporta alcuna incertezza in
ordine alla identificazione della norma censurata.
4. – Nel merito, la questione non è
fondata.
4.1. – Delle censure svolte
nell’ordinanza di rimessione hanno carattere prioritario quelle riferite
all’art. 77 Cost., in relazione alle quali va ribadito che la preesistenza di
una situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere
tramite l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge,
costituisce un requisito di validità dell’adozione di tale atto, la cui
mancanza configura un vizio di legittimità costituzionale del medesimo, che non
è sanato dalla legge di conversione. Il sindacato sulla legittimità
dell’adozione, da parte del Governo, di un decreto-legge, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, deve tuttavia ritenersi limitato ai casi di
«evidente mancanza» dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza
richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost. o di manifesta irragionevolezza o
arbitrarietà della relativa valutazione, rimanendo quella in ordine al merito
delle situazioni di urgenza nell’ambito della responsabilità politica del
Governo nei confronti delle Camere, chiamate a decidere sulla conversione in
legge del decreto (sentenze n. 355
e n. 83 del 2010;
n. 128 del 2008;
n. 171 del 2007).
L’espressione utilizzata dalla Costituzione per indicare i presupposti alla cui
ricorrenza è subordinato il potere del Governo di emanare norme primarie
comporta, inoltre, «l’inevitabile conseguenza di dare alla disposizione un
largo margine di elasticità», poiché la straordinarietà del caso che impone la
necessità di dettare con urgenza una disciplina in proposito «può essere dovuta
ad una pluralità di situazioni (eventi naturali, comportamenti umani e anche
atti e provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle quali non sono
configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi» (sentenza n. 171 del
2007).
Nel caso in esame, gli indici intrinseci
ed estrinseci alla disposizione censurata permettono di escludere l’ipotesi di
evidente carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità ed
urgenza di provvedere.
L’epigrafe del decreto-legge n. 248 del
2007 reca l’intestazione «Proroga di termini previsti da disposizioni
legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria», mentre il preambolo
fa riferimento alla «straordinaria necessità ed urgenza di provvedere alla
proroga di termini previsti da disposizioni legislative, al fine» sia «di
consentire una più concreta e puntuale attuazione dei correlati adempimenti»,
sia «di conseguire una maggiore funzionalità delle pubbliche amministrazioni,
nonché di prevedere interventi di riassetto di disposizioni di carattere
finanziario».
Il comma 1 della norma in esame, inserito nel
testo originario del decreto-legge n. 248 e non modificato nel corso del
procedimento di conversione del medesimo, nella parte in cui ha disciplinato le
violazioni commesse anteriormente al 31 dicembre 2007 (la sola rilevante nel
giudizio principale), non è dissonante rispetto al contenuto ed alla materia di
detto decreto-legge.
In riferimento a tale atto normativo e
ad una disposizione del medesimo concernente la disciplina della responsabilità
dei dipendenti pubblici, pure censurata in relazione all’art. 77, secondo
comma, Cost., questa Corte ha, infatti, già considerato coerente con il
contenuto dello stesso la «esigenza di limitare ambiti, ritenuti dal
legislatore troppo ampi», di tale responsabilità, poiché l’ampliamento degli
stessi «è suscettibile di determinare un rallentamento nell’efficacia e
tempestività dell’azione amministrativa dei pubblici poteri» (sentenza n. 355 del
2010). E lo scopo del citato art. 44, comma 1, è stato eminentemente quello
– riconducibile appunto tra le finalità del d.l. n. 248 del 2007 – di garantire
la funzionalità dell’attività dell’ISTAT. Il legislatore ordinario, con tale
norma, come è stato esplicitato nel corso dei lavori preparatori, ha, infatti,
inteso «conseguire una sostanziale semplificazione delle attività che i
soggetti del Sistema statistico nazionale devono porre in essere per
individuare in maniera certa – a fronte delle centinaia di migliaia di mancate
risposte che si registrano annualmente – quelle che, per la volontarietà della
condotta, configurano una effettiva violazione dell’obbligo di risposta»,
mirando, allo stesso tempo, «a ridurre l’onerosità di dette attività», tale da
«mettere a rischio la stessa qualità della statistica ufficiale» (Relazione al
disegno di legge n. 3324, poi approvato come legge n. 31 del 2008).
Si tratta di una considerazione corretta
anche perché l’alto numero dei casi in cui avrebbe potuto essere irrogata la
sanzione in esame, al quale fanno cenno i lavori preparatori, neppure è stato
negato dal giudice a quo ed è anzi
desumibile dall’entità del preteso danno indicato nell’ordinanza di rimessione
(sostanzialmente coincidente con l’importo delle somme riscuotibili in ipotesi
di applicazione della sanzione). Quest’ultimo evidenzia, infatti, l’elevata
quantità dei procedimenti promuovibili che, non implausibilmente,
avrebbe potuto influire negativamente sulla funzionalità dell’attività
dell’ISTAT ed ha, quindi, giustificato la modifica realizzata in via d’urgenza
con la norma in esame (peraltro, successivamente a quella attuata con l’art. 3,
comma 74, della legge n. 244 del 2007), che ha inciso anche sui presupposti
della responsabilità dei soggetti competenti ad instaurarli.
4.2. – Siffatta finalità è stata
conseguita stabilendo una disciplina che è, altresì, immune dalle censure svolte dal rimettente in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
Occorre premettere che non è necessario
verificare se il citato art. 44 comma 1, costituisca una disposizione
interpretativa (e sia perciò retroattiva), ovvero sia innovativa con efficacia
retroattiva, poiché in entrambi i casi si tratta di accertare se la
retroattività della norma, il cui divieto non è stato elevato a dignità costituzionale,
salvo che per la materia penale, trovi adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente
protetti (tra le molte, sentenze n. 74 del
2008; n. 234
del 2007). Inoltre, va ribadito che rientra nella discrezionalità del
legislatore ordinario, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza
della scelta, sia conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa e
stabilire le relative sanzioni (per tutte, ordinanze n. 23 del
2009 e n.
424 del 2008), sia «modulare le proprie determinazioni secondo criteri di
maggiore o minore rigore a seconda delle materie oggetto di disciplina», anche
in ordine all’eventuale applicabilità della disciplina posteriore più
favorevole (ordinanze
n. 245 del 2003, n. 501 e n. 140 del 2002).
Nel caso in esame, avendo la legge n.
244 del 2007 limitato, per il futuro, i casi nei quali può essere irrogata la
sanzione per la violazione dell’obbligo di fornire i dati statistici, la
successiva scelta di attenuare il rigore della disciplina anche per il passato
non è in sé irragionevole, soprattutto in considerazione dell’onerosità (sopra
richiamata) dell’attività diretta ad irrogare detta sanzione e dell’esigenza di
garantire l’efficiente funzionamento dell’ISTAT, quindi, l’applicazione del
principio di buon andamento dell’amministrazione, ferma restando la qualità
della rilevazione statistica.
La diversità del criterio di
identificazione dei presupposti per l’irrogazione della sanzione stabilito dal
citato art. 44, comma 1, rispetto a quello previsto dall’art. 3, comma 74,
della legge n. 244 del 2007 è, poi, giustificata dalla circostanza che la norma
censurata concerne indagini statistiche già svolte e comportamenti dei
destinatari dell’obbligo ormai esauriti, ai quali non avrebbe potuto essere
applicata, con mero automatismo, la nuova regolamentazione, caratterizzata
dall’identificazione delle fattispecie sanzionabili, all’esito del procedimento
introdotto da quest’ultima norma. La diversità delle discipline non
costituisce, dunque, sintomo della asserita illogicità della scelta operata con
la norma in questione ed è anzi agevole individuare il comune elemento
ispiratore di entrambe nell’intento di stabilire un criterio diretto a limitare
i casi di applicabilità della sanzione amministrativa.
I dubbi del rimettente in ordine
all’idoneità della norma censurata a garantire l’effettività dell’obbligo non
tengono, invece, conto della circostanza che la disciplina dalla stessa
stabilita, nella parte rilevante nel giudizio principale, concerne condotte
ormai esauritesi. Inoltre, detti dubbi sono stati prospettati senza valutare ed
approfondire sia la rilevanza delle presunte violazioni in relazione alle
differenti rilevazioni, sia l’eventuale idoneità delle metodologie di
interpretazione dei dati ad evitare che le omissioni possano avere influito sull’attendibilità delle indagini
statistiche.
La locuzione «formale rifiuto» contenuta
nel citato art. 44, comma 1, permette, infine, di ritenere integrato il presupposto
di applicabilità della sanzione in esame sia nel caso in cui il destinatario
della richiesta abbia esplicitamente comunicato l’immotivato rifiuto di fornire
i dati, sia nel caso in cui egli ciò abbia fatto, adducendo giustificazioni
pretestuose o inattendibili, in virtù di un’interpretazione che la rende immune
dalle censure svolte dal rimettente. Si tratta, infatti, di fattispecie
entrambe diverse dalla mera omissione della comunicazione, in tesi
riconducibile ad ulteriori, differenti ragioni, con conseguente non omologabilità delle fattispecie ed insussistenza della
denunciata violazione dell’art. 3 Cost.
4.3. – Le censure proposte in
riferimento agli artt. 101, secondo comma, 103 e 108 Cost. sono anch’esse non
fondate.
Al legislatore ordinario, come sopra è
stato precisato, non è inibita l’adozione di norme retroattive, al di fuori
della materia penale, qualora ciò trovi adeguata giustificazione sul piano
della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi
costituzionalmente protetti. In particolare, con riguardo al rispetto delle
funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, che viene qui in
rilievo, la retroattività della norma, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, reca vulnus alle stesse,
quando travolge gli effetti di pronunce divenute irrevocabili (tra le più
recenti, sentenze
n. 209 del 2010, n. 364 del 2007)
e, comunque, nel caso in cui la disposizione non stabilisce una regola
astratta, ma mira a risolvere specifiche controversie (ex plurimis, sentenza n. 94 del
2009), risultando diretta ad incidere sui giudizi in corso, per
determinarne gli esiti (sentenza n. 170 del
2008).
Nella specie, secondo l’ordinanza di
rimessione, l’organo requirente ha notificato ai convenuti l’invito a dedurre
in data 19 novembre 2007 ed ha depositato l’atto di citazione, con il quale ha
promosso il giudizio principale, il 5 agosto 2008; il decreto-legge recante la
norma censurata è stato adottato e pubblicato il 31 dicembre 2007. Siffatta
scansione temporale rende chiara l’inesistenza di elementi in grado di
dimostrare la strumentalità del citato
art. 44, comma 1, rispetto allo scopo di influire sulle attribuzioni
costituzionali spettanti al giudice contabile.
Questa Corte ha, infatti, costantemente
affermato che l’invito a dedurre – in quanto diretto all’acquisizione di
ulteriori elementi in vista delle determinazioni del pubblico ministero –
attiene «ad una fase del procedimento avente natura pre-processuale,
sicché l’effettiva proposizione dell’azione di responsabilità è del tutto
eventuale e solo con l’atto di citazione il giudice è investito della causa ed
ha inizio il relativo giudizio»; la notificazione di tale atto non vale a
conferire al presunto responsabile del danno la qualità di parte (sentenze n. 513 del
2001, n. 163
del 1997, n.
415 del 1995), poiché con esso è meramente ipotizzata e non ancora
contestata una eventuale responsabilità del destinatario del medesimo. La
natura pre-processuale della fase anteriore alla
notifica dell’atto di citazione è condivisa dalla giurisprudenza della Corte
dei conti (di cui si dimostra consapevole lo stesso rimettente), orientata nel
ritenere l’invito a dedurre un prevalente strumento di definizione delle
acquisizioni probatorie dell’attore, il quale, in relazione ad esse, si determina
ad instaurare il giudizio con la citazione, ovvero a procedere
all’archiviazione (Corte conti, sez. riun. giur., 20 marzo 2003, n. 6/QM; 19 giugno 1998, n. 14/QM),
disposta con decreto, privo di natura giurisdizionale, revocabile e non
soggetto al controllo del giudice contabile.
Nel quadro di tali principi, la
constatazione che il decreto-legge contenente la norma censurata è stato
emanato quando ai convenuti era stato notificato esclusivamente l’invito a
dedurre, in una fase avente lo scopo e la natura sopra sintetizzata, molti mesi
prima del deposito dell’atto di citazione ed allorché era già stata modificata
l’originaria regolamentazione stabilita dal citato art. 7, rende chiara
–indipendentemente da ogni considerazione in ordine alle funzioni esercitate
dall’organo requirente ed alle garanzie che connotano l’attività dallo stesso
svolta – l’inesistenza di elementi in grado di dimostrare la strumentalità
della disposizione rispetto all’intento di risolvere una specifica controversia
e di incidere su di un giudizio in corso, per determinarne l’esito. Pertanto,
va escluso che il citato art. 44, comma 1, abbia compromesso la funzione
giurisdizionale e deve ritenersi che, con esso, il legislatore ordinario si sia
limitato a stabilire una nuova regola, generale ed astratta.
5. – L’infondatezza delle censure
comporta, a prescindere da ogni altra valutazione, l’irrilevanza nel presente
giudizio della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 1 e
3, del d.lgs. n. 322 del 1989, nel testo originario, proposta in linea
subordinata da L.B, O.C. e
G.P., in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.; dunque, difettano i presupposti,
affinché questa Corte possa eventualmente sollevarla davanti a se stessa.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 44, comma 1, del decreto-legge 31 dicembre 2007,
n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni
urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 28
febbraio 2008, n. 31, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 77, 97, 101,
secondo comma, 103 e 108 della Costituzione, dalla Corte dei conti –sezione
giurisdizionale per la Regione Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo
2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2011.