ORDINANZA N.245
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
– Paolo MADDALENA
– Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), e 52, comma 2 (rectius: comma 1), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), come modificato dall’art. 7, comma 13 (rectius: comma 12), del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio), promossi con ordinanze del 6 maggio 2002 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Pietro Ferrara ed altra e la Provincia di Milano e del 23 luglio 2002 dal Giudice di pace di Trino nel procedimento civile vertente tra Domenico Novo e il Prefetto di Vercelli, iscritte ai nn. 383 e 553 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2002 e nella edizione straordinaria, prima serie speciale, del 27 dicembre 2002.
Visti l’atto di costituzione di Pietro Ferrara nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2003 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che, con ordinanza del 6 maggio 2002 (r.o. n. 383 del 2002), il Tribunale di Milano, nel corso di un giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di costituzionalità (a) dell’art. 1, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), "ovvero" (b) dell’art. 7, comma 13 [rectius: comma 12], del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio), che ha modificato l’art. 52, comma 2 (rectius: comma 1), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), "entrambi nella parte in cui non prevedono che, se la legge in vigore al momento in cui fu commessa la violazione e quella posteriore stabiliscono sanzioni amministrative diverse, si applichi la legge più favorevole al responsabile, salva la definitività del provvedimento di irrogazione o l’intervenuto pagamento";
che il giudizio a quo ha ad oggetto l’ordinanza con la quale la Provincia di Milano ha ingiunto all’opponente, legale rappresentante di un’impresa di carrozzeria, il pagamento della somma di lire 5.025.000 a titolo di sanzione amministrativa, per avere inviato il modello unico di dichiarazione (MUD), relativo ai rifiuti speciali prodotti e smaltiti dall’impresa nell’anno 1994, con un ritardo di quattro giorni rispetto al termine stabilito dalla legge;
che il rimettente rileva che, successivamente al tempo della violazione contestata all’opponente, l’art. 7, comma 12, del decreto legislativo n. 389 del 1997, integrando la norma sanzionatoria dell’inosservanza dell’obbligo (art. 52, comma 1, del citato decreto legislativo n. 22 del 1997), ha stabilito per l’ipotesi di ritardo nella comunicazione, purché effettuata entro sessanta giorni dal termine prescritto, una sanzione amministrativa sensibilmente inferiore rispetto a quella originaria;
che tuttavia, prosegue il rimettente, benché la legge posteriore stabilisca una sanzione di entità diversa e più vantaggiosa per il responsabile rispetto a quella prevista dalla legge in vigore al momento della violazione, tale modifica legislativa non potrebbe incidere in senso favorevole al ricorrente, a ciò ostando, in materia di illeciti amministrativi, i principi di legalità, di irretroattività e di divieto dell’analogia, quali espressi, secondo costante giurisprudenza di legittimità, dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole;
che, a fondamento delle questioni sollevate, il giudice a quo richiama i recenti interventi del legislatore con i quali, in materia di successione di leggi nel tempo, è stato esteso a particolari tipologie di illeciti amministrativi il principio – proprio della materia penale (art. 2, terzo comma, cod. pen.) – dell’applicazione della legge più favorevole al responsabile della violazione;
che, in particolare, tale principio è stato introdotto sia nel sistema delle sanzioni amministrative tributarie, a opera dell’art. 3, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), sia nel sistema delle sanzioni amministrative valutarie, a opera dell’art. 23-bis, comma 3, del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico delle norme in materia valutaria), introdotto dalla legge 7 novembre 2000, n. 326 (Modifiche al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, in materia di sanzioni per le violazioni valutarie);
che tali scelte, prosegue il giudice a quo, sarebbero espressive di un "fenomeno che pare ormai porsi in termini di evoluzione ordinamentale" che troverebbe conferma, tra l’altro, nell’intervenuta abrogazione dell’art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), che prevedeva l’ultrattività delle norme penali finanziarie, a opera dell’art. 24 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), oltre che in iniziative legislative, non portate a compimento per la fine della legislatura, volte a introdurre, proprio nella disciplina del decreto legislativo n. 22 del 1997, la regola dell’applicazione della legge più favorevole al responsabile;
che, alla luce di tali premesse, e dopo avere ricordato che analoghe questioni sono state sollevate dallo stesso Tribunale con precedenti ordinanze dell’11 aprile 2001 (r.o. n. 473 del 2001) e del 21 gennaio del 2002 (r.o. n. 144 del 2002), il rimettente reputa la sollevata questione di costituzionalità non manifestamente infondata (a) per l’irragionevole disparità di trattamento sanzionatorio che le norme denunciate verrebbero a determinare per fatti di identica natura commessi a distanza di pochi mesi e poi contestualmente giudicati, e (b) per la ingiustificata differenziazione della disciplina concernente i fatti oggetto del giudizio a quo, cui sarebbe applicabile il principio tempus regit actum nella rigida interpretazione giurisprudenziale sopra richiamata, rispetto a "settori contigui dell’ordinamento sanzionatorio amministrativo (tributario e valutario) oltreché penale", per i quali vige il diverso principio di retroattività della legge posteriore più favorevole;
che, con ordinanza del 23 luglio 2002 (r.o. n. 553 del 2002), il Giudice di pace di Trino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, 25 e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di costituzionalità dell’art. 1 della legge n. 689 del 1981, nella "parte di esclusione dell’applicazione del favor rei alle sanzioni amministrative";
che il giudizio principale ha ad oggetto l’opposizione a un’ingiunzione di pagamento di sanzione amministrativa pecuniaria irrogata per la violazione dell’art. 74 del d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162 (Norme per la repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio dei mosti, vini ed aceti), disposizione nel frattempo abrogata dall’art. 3, comma 1, del d.P.R. 9 novembre 1998, n. 433 (Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi alla detenzione e alla commercializzazione di sostanze zuccherine, ai sensi dell’articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59);
che tuttavia, prosegue il rimettente, l’intervenuta abrogazione dell’illecito contestato all’opponente non può giovare a quest’ultimo, poiché, alla luce dei principi di legalità, di irretroattività e di divieto di applicazione dell’analogia, espressi dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981, le sanzioni previste devono trovare applicazione in relazione ai fatti commessi durante la vigenza della norma che stabilisce la violazione;
che il giudice a quo ritiene che la mancata estensione del principio dell’applicabilità della disciplina posteriore più favorevole anche alla materia degli illeciti amministrativi si ponga in contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, "poiché tale istituto è invece applicabile in materia penale (art. 2, commi secondo e terzo, cod. pen.) ed ora anche in materia tributaria (art. 3 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212)" e, di conseguenza, "visti gli artt. 3, 24, 25 e 111, secondo comma, della Costituzione", solleva la questione di legittimità costituzionale nei termini sopra indicati;
che nel giudizio di cui al r.o. n. 383 del 2002 ha depositato atto di costituzione il ricorrente nel giudizio principale, concludendo per l’accoglimento della questione sollevata;
che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza delle questioni.
Considerato che (a) il Tribunale di Milano (r.o. n. 383 del 2002) ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di costituzionalità dell’art. 1, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), "ovvero" dell’art. 7, comma 13 (rectius: comma 12), del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio), di modifica dell’art. 52, comma 2 (rectius: comma 1), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), nella parte in cui dette norme non prevedono che, se la legge in vigore al momento in cui fu commessa la violazione e quella posteriore stabiliscono sanzioni amministrative pecuniarie diverse, si applichi la legge più favorevole al responsabile della violazione, e che (b) il Giudice di pace di Trino (r.o. n. 553 del 2002) dubita, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, 25 e 111, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 689 del 1981 nella "parte di esclusione dell’applicazione del favor rei alle sanzioni amministrative";
che, preliminarmente, deve essere dichiarato inammissibile, perché depositato oltre il termine stabilito dagli artt. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’atto di costituzione depositato dalla parte privata nel giudizio iscritto al r.o. n. 383 del 2002;
che le due ordinanze di rimessione sollevano questioni in parte coincidenti e sorrette da analoghe argomentazioni, e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e definiti con unica pronuncia;
che, chiamata a pronunciarsi su identiche questioni di costituzionalità sollevate dagli stessi rimettenti, questa Corte, con le ordinanze n. 140 del 2002 – in relazione alla questione sollevata dal Tribunale di Milano – e n. 501 del 2002 – in relazione alla questione sollevata dal Giudice di pace di Trino –, ne ha dichiarato la manifesta infondatezza, escludendo il contrasto delle norme denunciate con gli invocati parametri costituzionali;
che nelle richiamate decisioni questa Corte ha affermato che in materia di sanzioni amministrative pecuniarie non è dato rinvenire, in caso di successione di leggi nel tempo, un vincolo costituzionale nel senso dell’applicazione della legge posteriore più favorevole, rientrando nella discrezionalità del legislatore – nel rispetto del limite della ragionevolezza – modulare le proprie scelte secondo criteri di maggiore o minore rigore a seconda delle materie oggetto di disciplina;
che, inoltre, il differente e più favorevole trattamento non irragionevolmente riservato dal legislatore alla disciplina delle sanzioni amministrative tributarie e valutarie, trovando fondamento nell’innegabile peculiarità sostanziale che caratterizza le rispettive materie, non si presta a essere messo a raffronto con la disciplina dettata dalle norme impugnate né tantomeno a essere esteso in via generale, trasformandosi da eccezione in regola;
che, quanto al profilo della differenza di trattamento di violazioni analoghe commesse in tempi diversi, questa Corte ha infine osservato come tale eventualità costituisca la semplice conseguenza, sul piano applicativo, del principio di stretta legalità che sorregge la materia delle sanzioni amministrative pecuniarie, principio che non può, per quanto sopra rilevato, ritenersi in contrasto con i parametri costituzionali invocati dai rimettenti (ordinanza n. 140 del 2002);
che, non essendo stati proposti profili ulteriori rispetto a quelli già presi in esame dalla Corte nelle indicate pronunce, le questioni sollevate devono essere dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), e dell’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), come modificato dall’art. 7, comma 12, del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Milano e dal Giudice di pace di Trino con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2003.