SENTENZA N. 163
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Regione Veneto notificato il 22 aprile 1996, depositato in Cancelleria il 29 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito degli inviti della Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per il Veneto della Corte dei conti, datati 22 febbraio 1996, indirizzati ad Umberto Carraro ed altri nella qualità di consiglieri ed assessori regionali del Veneto, ai sensi dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, ed iscritto al n. 15 del registro conflitti 1996.
Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 25 febbraio 1997 il Giudice relatore Massimo Vari;
uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l'avvocato dello Stato Michele Dipace per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.-- La Regione Veneto, con ricorso regolarmente notificato e depositato, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione agli inviti, datati 22 febbraio 1996, con i quali la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per il Veneto della Corte dei conti ha sollecitato -- ai sensi dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19 -- ex consiglieri ed assessori regionali, nonchè alcuni consiglieri in carica, a presentare eventuali deduzioni e documenti nel quadro di una iniziativa volta ad accertare, a loro carico, la sussistenza di una responsabilità per danno, in relazione ai contributi erogati negli esercizi 1989, 1990 e 1991 all'ente Veneto Teatro. Il ricorso -- premesso che la Corte dei conti assume l'illegittimità dell'erogazione di contributi all'ente predetto, stante la mancanza, da parte del medesimo, sia del presupposto di una adeguata capacità finanziaria e tecnico-organizzativa (quantomeno a partire dall'esercizio 1988/1989) che di quello di una regolare e trasparente tenuta della documentazione e delle scritture contabili -- rileva che la legge regionale del Veneto 5 settembre 1984, n. 52 (Norme in materia di promozione e diffusione di attività artistiche, musicali, teatrali e cinematografiche), individua, per i previsti interventi finanziari, due distinte categorie di beneficiari: a) enti e istituzioni di rilevante importanza, elencati in modo tassativo, ai quali é corrisposto un contributo annuo sulla base di una relazione circa l'attività svolta (art. 4, comma 1) e di un programma dell'attività per l'anno successivo (art. 4, comma 2); b) altri soggetti (enti locali, singoli o associati; enti, istituti, o altre associazioni, aggregazioni di soggetti a larga base rappresentativa nel territorio regionale) per i quali é prevista la presentazione di una relazione illustrativa delle finalità e delle modalità del programma; di un preventivo dettagliato delle entrate e delle spese; di una idonea documentazione attestante l'attività svolta, che precede l'erogazione del contributo, disposta in unica soluzione (art. 12, comma 3). Il regime dei contributi regionali é pertanto diverso, per le due categorie di enti, quanto agli elementi conoscitivi richiesti, al tempo di erogazione del contributo (che per i primi enti avviene in via preventiva), alla revoca delle assegnazioni, prevista solo per i secondi, ed infine ai controlli, non contemplati per i primi enti, riguardo ai quali, come risulta dai lavori preparatori, si é voluta escludere qualsiasi forma di condizionamento. Secondo il ricorso, la Procura regionale della Corte dei conti, ignorando la richiamata legge regionale, sarebbe pervenuta, in sostanza, alla sua disapplicazione, ritenendo che, indipendentemente da quanto previsto dall'art. 4 della legge regionale n. 52 del 1984, la Regione sarebbe comunque tenuta, sulla base del principio di buona amministrazione, ad una verifica dell'utilizzo dei contributi erogati. In tal modo si sarebbe postulata l'esistenza di un precetto diverso da quello voluto dal legislatore regionale, facendolo discendere dall'art. 97 della Costituzione, il quale può invece rappresentare unicamente una norma parametro alla cui stregua sindacare le scelte operate dal legislatore regionale con gli artt. 3 e 4 della legge n. 52 del 1984.
Nel richiamare, pertanto, il precedente della sentenza di questa Corte n. 285 del 1990, la ricorrente sostiene che gli atti di invito in questione sarebbero lesivi delle sue attribuzioni, ponendosi "in contrasto con specifiche prerogative del legislatore regionale, tutelate dagli artt. 117 (ambito materiale) e 127 della Costituzione (ambito procedimentale)". Sarebbero incise anche le funzioni dei consiglieri regionali garantite dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione, attesa l'incensurabilità della condotta di consiglieri ed assessori che sia coerente con la legge regionale, giacchè altrimenti si determinerebbe una violazione dei predetti artt. 117 e 127, "che rappresentano il titolo più elevato cui é connessa la guarentigia posta dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione".
La Regione, nel sollecitare la sospensione degli atti oggetto di conflitto, per il pregiudizio che essi arrecano al funzionamento delle commissioni del consiglio chiamate ad operare nell'ambito delle procedure di spesa, chiede alla Corte di dichiarare che non spetta allo Stato, e, per esso, alla Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per il Veneto della Corte dei conti, disapplicare gli artt. 3 e 4 della legge regionale n. 52 del 1984, con conseguente annullamento degli inviti emanati dalla Procura medesima.
2.-- Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, contestando la esistenza dei presupposti per la sospensiva degli atti, in quanto questi avrebbero già prodotto i loro effetti, e chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o comunque respinto.
La inammissibilità deriverebbe anzitutto dal carattere degli atti verso i quali esso é proposto: si tratterebbe di atti prodromici alla eventuale proposizione della azione di responsabilità, che non ne é necessariamente postulata, e che sono volti a tutela e garanzia del destinatario; essi non possono, pertanto, reputarsi immediatamente e direttamente invasivi o lesivi di attribuzioni della Regione, non configurando l'esercizio di un potere autoritativo o, comunque, suscettibile di comprimere l'altrui sfera giuridica e non presentando una qualsiasi attitudine alla lesione attuale e concreta dell'interesse della Regione all'applicazione delle sue leggi (a differenza del caso deciso dalla Corte con la sentenza n. 285 del 1990).
Nell'iniziativa della Procura non potrebbe, d'altra parte, individuarsi materia di conflitto con la Regione, che non é legittimata a stare in giudizi di responsabilità, promossi a tutela della finanza pubblica, nei confronti degli agenti sospettati di non aver fatto buon governo delle risorse amministrate. La Regione sarebbe perciò in linea di massima carente di interesse alle vicende processuali -- e ancor più "preprocessuali" -- del giudizio, salva l'ipotesi estrema che, a conclusione del giudizio stesso, non risultino espressamente disapplicate leggi regionali.
Nel merito, si osserva che con il ricorso si prospetta una questione interpretativa, che la ricorrente ambirebbe a far risolvere preventivamente, ma inammissibilmente, dalla Corte costituzionale. Secondo l'Avvocatura nella iniziativa della Procura regionale non si rinviene alcuna contestazione, nè implicita nè espressa, in ordine alla applicabilità degli artt. 3 e 4 della legge regionale n. 52 del 1984, bensì una interpretazione volta a valorizzare gli elementi testuali desumibili da tali disposizioni (quanto alla finalizzazione dei contributi alle attività ivi previste, oppure alla documentazione dell'attività svolta); interpretazione che contrasta con quella data dalla Regione, secondo la quale dette norme consentirebbero l'incontrollata ed incontrollabile erogazione dei contributi.
Del tutto inconferente sarebbe, poi, il richiamo dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione, che riguarda le opinioni ed i voti espressi dai consiglieri in sede politica, e non le eventuali responsabilità in sede di gestione amministrativa del pubblico denaro.
3.-- In prossimità dell'udienza, la difesa della Regione Veneto ha depositato una memoria, nella quale, con ampi richiami della dottrina e della giurisprudenza della Corte dei conti, si evidenzia che l'invito a dedurre e a presentare documenti é atto di contenuto "pregnante", addirittura posto in essere dopo il compimento dell'istruttoria da parte del Procuratore regionale, con la funzione di contestare fatti specifici, determinati in tutti i loro elementi costitutivi. Rilevato che si tratta di un atto processuale tipico che, secondo la giurisprudenza contabile, costituisce condizione di procedibilità dell'azione, si afferma che lo stesso, in quanto suscettibile di incidere su situazioni giuridiche soggettive, ben può, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, essere ricompreso tra gli atti impugnabili in sede di conflitto di attribuzione. Ciò anche a tener conto del tenore specifico degli atti di invito in questione, che risultano particolarmente circostanziati in ordine alla fattispecie, nonchè del fatto che, nella concretezza dell'esperienza, é rarissimo che all'invito non segua l'atto di citazione.
Riguardo alla vicenda che ha dato luogo al conflitto, la difesa della Regione precisa che il ricorso non ha affatto configurato dinanzi al giudice dei conflitti di attribuzione la ben diversa questione interpretativa di uno specifico dettato legislativo: é stata la Procura regionale della Corte dei conti ad assumere una iniziativa che ha portato alla non applicazione (disapplicazione) degli artt. 3 e 4 della legge regionale n. 52 del 1984 e alla elaborazione di una regola giuridica di rango legislativo direttamente desunta dall'art. 97 della Costituzione. La Regione, pertanto, contesta non un errore in iudicando, bensì un difetto assoluto di giurisdizione del magistrato contabile, che non può sostituire una sua determinazione a quella del legislatore.
D'altro canto, la proponibilità del ricorso nei confronti di un eventuale, futuro, giudicato non rende inammissibile o infondato il conflitto sollevato, potendosi affermare, in prospettiva, "che i due ricorsi sono sostanzialmente sovrapponibili, pur nella prospettazione di censure che tengono conto della diversa fase temporale alla quale lo svolgimento della vicenda era pervenuto" (sentenza n. 7 del 1996).
Quanto alla dedotta violazione dell'art. 122, quarto comma, della Costituzione, si rileva che, trattandosi di conflitto determinato da un difetto assoluto di giurisdizione, incidente su prerogative costituzionali della Regione, va da sè che l'attività dei consiglieri regionali deve essere riguardata dal punto di vista costituzionale, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 e 123, cui si ricollega il citato art. 122, quarto comma, della Costituzione.
Secondo la ricorrente la Procura regionale della Corte dei conti e l'Avvocatura dello Stato -- integrando il dettato della legge regionale n. 52 del 1984 con i principi dedotti dall'art. 97 della Costituzione -- postulano l'esistenza di un principio secondo il quale ogni omissione o divergenza della legge rispetto al dettato costituzionale impone non solo una interpretazione secundum constitutionem, ma anche la possibilità, per il giudice, di riformulare la legge.
Considerato in diritto
1.-- Con il ricorso in epigrafe, la Regione Veneto solleva conflitto di attribuzione in relazione alle note, di identico contenuto, con le quali la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Veneto, ha invitato alcuni ex consiglieri ed assessori regionali, nonchè alcuni consiglieri in carica, a presentare "eventuali deduzioni e documenti", ai sensi dell'art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 453 del 1993, convertito nella legge n. 19 del 1994, nell'ambito di una iniziativa volta ad accertare, a loro carico, la sussistenza di una responsabilità patrimoniale amministrativa in relazione a contributi concessi all'ente Veneto Teatro.
Secondo la ricorrente, con le menzionate note, la < Procura regionale della Corte dei conti, disapplicando la legge regionale n. 52 del 1984, la quale prevede, agli artt. 3 e 4, che il finanziamento avvenga previa presentazione di un mero programma di attività, avrebbe ritenuto insita nel sistema la regola secondo la quale può addivenirsi alla concessione di contributi pubblici solo una volta accertata la capacità finanziaria e tecnico-organizzativa dell'ente destinatario, come pure la trasparente e regolare tenuta della documentazione e delle scritture contabili. Nel far discendere tale regola dall'art. 97 della Costituzione, non avrebbe, però, considerato che la citata disposizione costituzionale può rappresentare solo una norma parametro alla cui stregua sindacare le scelte operate dal legislatore regionale. La disapplicazione della legge regionale comporterebbe, pertanto, la lesione di "specifiche prerogative del legislatore regionale tutelate dagli artt. 117 (ambito materiale) e 127 (ambito procedimentale) della Costituzione", alla quale farebbe riscontro anche il contrasto con l'art. 122, quarto comma, dal quale discenderebbe la non censurabilità della condotta di consiglieri ed assessori che sia coerente con la legge regionale, pena la violazione dei predetti artt. 117 e 127.
2.-- L'Avvocatura dello Stato, nel costituirsi per il resistente Presidente del Consiglio dei ministri, eccepisce l'inammissibilità del ricorso, sostenendo, innanzitutto, che gli atti impugnati sarebbero privi di carattere lesivo, essendo prodromici alla eventuale proposizione della azione di responsabilità e, in secondo luogo, che la Regione, non legittimata a stare nei giudizi di responsabilità promossi "nei confronti degli agenti sospettati di non aver fatto buon uso delle risorse amministrate", sarebbe carente di interesse in ordine alle vicende processuali -- e ancor più "preprocessuali" -- dei giudizi stessi. Nel merito, il ricorso sarebbe infondato, prospettandosi con esso non la disapplicazione della legge regionale n. 52 del 1984, bensì una questione di interpretazione della stessa legge.
3.-- In ordine di pregiudizialità logica, va esaminata, anzitutto, l'eccezione relativa al difetto di legittimazione della Regione Veneto; eccezione che é da disattendere, considerata la evidente necessità di tenere distinto il problema della legittimazione e dell'interesse nell'ambito del giudizio di responsabilità amministrativa, da quello che concerne la verifica degli analoghi elementi nell'ambito del giudizio per conflitto di attribuzione. Quanto a quest'ultimo, la Corte, proprio con riferimento al processo contabile, ha già avuto occasione di rilevare che l'eventuale lesione dei poteri spettanti ai rappresentanti di un ente fornito di autonomia costituzionalmente protetta, non può, in tesi, non offendere anche l'autonomia dell'ente medesimo (sentenza n. 211 del 1972), facendo così insorgere per esso l'interesse a tutelare nell'appropriata sede le proprie attribuzioni.
Di ciò é, del resto, esempio paradigmatico il ricorso in esame, con il quale la ricorrente lamenta che l'iniziativa in materia di responsabilità amministrativa assunta dal Procuratore regionale della Corte dei conti si traduce, attraverso la "disapplicazione" di una legge regionale, nel disconoscimento e, quindi, nella lesione delle competenze ad essa costituzionalmente garantite, tra cui, in particolare, quelle di carattere legislativo previste dall'art. 117 della Costituzione.
4.-- Riconosciuta, così, in via di principio, la legittimazione della Regione a sollevare conflitto nella materia qui considerata, si tratta piuttosto di valutare, venendo all'altra eccezione sollevata dall'Avvocatura, se l'invito indirizzato ai presunti responsabili dal Procuratore regionale, ai sensi dell'art. 5 del decreto-legge n. 453 del 1993 (convertito nella legge n. 19 del 1994), sia idoneo ad esprimere quella lesività delle competenze regionali di cui si duole la ricorrente, alla luce di quella giurisprudenza costituzionale che ammette che qualsiasi atto o comportamento significante, imputabile allo Stato o alla Regione, sia idoneo ad innescare un conflitto, purchè l'atto stesso abbia efficacia o rilevanza esterna e sia diretto ad esprimere, in modo chiaro ed inequivoco, la pretesa di esercitare una competenza il cui svolgimento possa determinare una invasione attuale dell'altrui sfera di attribuzioni o, comunque, una menomazione altrettanto attuale della possibilità di esercizio della medesima (sentenze n. 771 del 1988 e n. 211 del 1994).
Quanto alle connotazioni degli atti oggetto di conflitto, dal predetto art. 5 si desume che, prima di emettere l'atto di citazione in giudizio, il Procuratore regionale invita il presunto responsabile del danno a depositare, entro un termine non inferiore a trenta giorni dalla notifica della comunicazione dell'invito, le proprie deduzioni ed eventuali documenti. I predetti trenta giorni rappresentano, altresì, il termine entro il quale il presunto responsabile può chiedere di essere sentito personalmente.
L'art. 1, comma 3-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito nella legge 20 dicembre 1996, n. 639, ha successivamente provveduto a stabilire il lasso di tempo entro il quale il Procuratore regionale, dopo la scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni, é tenuto ad emettere l'eventuale atto di citazione.
Questa Corte, in una sua precedente pronunzia, soffermandosi sull'istituto qui in esame, il quale rappresenta una delle peculiari innovazioni della più recente riforma del processo contabile, ha già avuto occasione di rilevare che l'invito a dedurre attiene ad una fase che precede l'accertamento delle responsabilità, suscettibile, alternativamente, di mettere capo all'instaurazione del giudizio ovvero all'archiviazione, ma tale da non inficiare la tradizionale regola secondo la quale, nel giudizio di responsabilità amministrativa, il giudice é investito della causa solo attraverso l'atto di citazione (sentenza n. 415 del 1995). Da detta impostazione non si discosta quella giurisprudenza contabile che ha individuato la funzione dell'atto di cui trattasi essenzialmente nella preliminare contestazione di fatti specifici ad un soggetto già indagato, che viene così messo in grado di rappresentare tempestivamente le sue ragioni all'organo inquirente, consentendo, al tempo stesso, al Procuratore regionale lo sviluppo di più adeguate indagini.
Senza che occorra qui indugiare sulla questione della qualificazione giuridica dell'invito a dedurre, come condizione di procedibilità o meno rispetto all'azione, tema questo ancora controverso in giurisprudenza, può ritenersi, comunque, che si tratti di un atto che muove all'acquisizione di ulteriori elementi, se del caso anche di carattere esimente, in vista delle conclusive determinazioni che non necessariamente dovranno essere nel senso dell'inizio dell'azione di responsabilità.
5.-- Le accennate connotazioni degli atti oggetto di conflitto, ed in particolare l'assenza di ogni univocità circa l'ulteriore seguito dell'iniziativa assunta dal Procuratore regionale, non consentono perciò di scorgere in essi quella lesività che il ricorso ritiene, invece, di individuare nell'avere postulato l'esistenza di una norma diversa da quella voluta dal legislatore regionale, con conseguente disapplicazione della legge da questi emanata e con sostanziale disconoscimento delle competenze della ricorrente.
Questa Corte, come la stessa Regione Veneto ricorda citando la sentenza n. 285 del 1990, non ha escluso che anche funzioni aventi carattere valutativo ed effetti decisori si prestino ad essere sindacate, in sede di conflitto, con riferimento ai criteri impiegati, potendo la lesione alle attribuzioni regionali derivare da pronunzie di organi giurisdizionali che espressamente dichiarino di disapplicare le leggi emanate dalle stesse Regioni, ovvero, come affermato in diversa circostanza, anche da pronunzie di organi non giurisdizionali bensì di controllo che si attengano, nel giudizio che sono chiamati ad esprimere, ad interpretazioni palesemente erronee e quindi di fatto meramente apparenti, "sì da celare il sostanziale travalicamento della funzione" (sentenza n. 473 del 1992).
Ma non é certamente l'esame di tali precedenti che può suffragare la tesi della ricorrente, ove si consideri che il Procuratore regionale, attraverso l'invito a dedurre, lungi dall'esprimere qualsiasi funzione valutativa avente per effetto l'applicazione ovvero la disapplicazione della legge, si limita, nel quadro dei delineati rapporti fra l'invito medesimo e l'azione di responsabilità, a prospettare una sua interpretazione nel contesto di una iniziativa non idonea di per sè a ledere le attribuzioni regionali, proprio perchè destinata a restare circoscritta per il momento al rapporto con i presunti responsabili, essendo, invece, rimessa all'esito finale dell'istruttoria ogni conclusiva determinazione in ordine all'eventuale instaurazione del giudizio.
L'inidoneità degli atti oggetto di conflitto a realizzare la lamentata lesione determina l'inammissibilità del ricorso.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione agli inviti della Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per il Veneto della Corte dei conti, datati 22 febbraio 1996, sollevato dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 giugno 1997.
Renato GRANATA: Presidente
Massimo VARI: Redattore
Depositata in cancelleria il 4 giugno 1997.