Sentenza n. 285 del 1990

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SENTENZA N.285

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nel giudizio promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna notificato il 2 febbraio 1990, depositato in cancelleria l'8 successivo ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 1990, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della sentenza della Corte di cassazione, sezione III penale, n. 2734 del 14 novembre 1989, depositata in cancelleria il 12 dicembre 1989.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 3 aprile 1990 il Giudice relatore Mauro Ferri;

uditi l'Avv. Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1.- La Regione Emilia-Romagna ha promosso conflitto di attribuzione in relazione alla sentenza della Corte di cassazione, sezione III penale, 2734 del 14 novembre 1989, chiedendone l'annullamento per violazione degli artt. 117, primo comma, 101 e 134 della Costituzione, nella parte in cui detta sentenza afferma che il giudice ordinario può disapplicare le leggi regionali ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E.

Espone la ricorrente che la Corte di cassazione - nel rigettare il ricorso contro la pronuncia di condanna della Corte di appello di Bologna, resa nei confronti di Predieri Vilder, titolare di un allevamento suinicolo, per scarico in acque pubbliche di liquami non depurati - dopo aver rammentato il potere dell'autorità giudiziaria ordinaria di disapplicare i provvedimenti amministrativi in base all'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (nella specie: la delibera 8 maggio 1980 del Comitato interministeriale previsto dall'art. 3 della legge 10 maggio 1976, n. 319), ha testualmente affermato: "il giudice penale può disapplicare in base all'articolo 5 anche la normativa regionale che recepisca tale delibera". Il che, di seguito, ha proceduto a fare con esplicito riferimento alle leggi della Regione Emilia-Romagna n. 7 del 1983, n. 13 del 1984 e n. 42 del 1986.

Detta affermazione, ed il conseguente esercizio da parte del giudice ordinario del potere di disapplicare direttamente le leggi regionali ritenute illegittime integra, ad avviso della ricorrente, una violazione delle norme costituzionali prima indicate, ed altresì della garanzia del contraddittorio di cui all'art. 25, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.

In particolare, prosegue la Regione, la caratteristica prima dei valore di legge di un atto normativo é - per la legge statale come per la legge regionale - la sola ed esclusiva sindacabilità da parte della Corte costituzionale, e non invece degli altri giudici, i quali dispongono del solo potere di provocare il giudizio della Corte stessa: come pacificamente risulta dall'art. 101 della Costituzione, che vincola il giudice alla legge, e dall'art. 134 della Costituzione, che riserva alla Corte costituzionale il giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi statali e regionali.

Nè varrebbe in contrario osservare che, secondo la Corte di cassazione, la legge regionale avrebbe interferito con la materia penale, da ritenersi in via di principio soggetta a riserva di legge statale. Da una parte, prosegue la ricorrente, la sentenza n. 487 del 1989 della Corte costituzionale afferma che non é precluso alla legge regionale di "concorrere a precisare, secundum legem, presupposti di applicazione di norme penali statali", o di "concorrere ad attuare le stesse norme", e che comunque la legge regionale può ampiamente intervenire quando "dare leggi statali si subordinino effetti incriminatori o decriminalizzanti ad atti amministrativi (o legislativi) regionali".

D'altra parte, non rileva in questa sede sapere se la legge regionale che il giudice ordinario ha disapplicato sia o non sia conforme a Costituzione, ma soltanto conta affermare che tale complesso giudizio di legittimità costituzionale é proprio ciò che - a completamento e protezione dell'autonomia regionale - la Costituzione riserva alla Corte costituzionale. In nessun modo, perciò, si potrebbe sfuggire alla conclusione che il giudice ordinario, disapplicando la legge regionale, ha menomato l'autonomia costituzionale delle Regioni, esercitando un potere di giurisdizione che la Costituzione affida solo al Giudice costituzionale.

Del tutto pretestuoso ed arbitrario risulta quindi, ad avviso della Regione, il riferimento all'art. 5 della legge sul contenzioso amministrativo, che conferisce al giudice ordinario il potere di disapplicare gli atti amministrativi ed i regolamenti illegittimi, ma non certo le leggi.

La Regione, infine, sottolinea come la sentenza in esame sia pienamente sindacabile in questa sede.

Rammenta la ricorrente che sin dalla sentenza n. 289 del 1974 (con orientamento ribadito ancor di recente con le ordinanze nn. 244 e 245 del 1988) questa Corte ha chiarito che, se da una parte é inammissibile l'impugnazione, mediante conflitto, di atti giurisdizionali quando si chieda in sostanza la correzione di eventuali errori in iudicando nei quali il giudice sia incorso, mirando ad ottenere nel merito la revisione della sentenza, d'altra parte il conflitto é pienamente ammissibile quando sia denunciata una lesione derivante "dal solo fatto di esercitare la giurisdizione nei confronti di atti... che si affermino ad essa sottratti da norme costituzionali".

2.- Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato.

La difesa del Governo eccepisce in primo luogo l'inammissibilità del ricorso in quanto volto a censurare il modo stesso di esplicazione della funzione giurisdizionale nel caso concreto, denunciando errori in iudicando che non spetta alla Corte costituzionale conoscere, non potendo essa esercitare le funzioni proprie del giudice dell'impugnazione.

Nella specie, prosegue l'Avvocatura, la Corte di cassazione ha deciso dell'esistenza di un reato di inquinamento senza tener conto di una legge regionale che sanzionava quell'infrazione solo in via amministrativa.

L'errore della Corte, quindi, se errore vi é stato, non si sarebbe tradotto nella menomazione di competenze costituzionalmente garantite alla Regione Emilia-Romagna, in quanto avrebbe avuto effetti limitati alla sola lite oggetto del giudizio, non impedendo alla legge regionale, in ipotesi violata, di spiegare tutti i suoi effetti nell'intero ordinamento dello Stato.

In secondo luogo, l'asserito errore integrerebbe semmai gli estremi di un comune errore di diritto (del tipo previsto dall'art. 360, n. 3, dei codice di procedura civile) che, se non fosse stato commesso dal giudice di vertice, avrebbe potuto formare oggetto di un'ordinaria impugnazione, ma non di un conflitto di attribuzione.

Nel merito l'Avvocatura eccepisce incidentalmente l'illegittimità costituzionale delle leggi della Regione Emilia-Romagna nn. 7 del 1983, 13 del 1984 e 42 del 1986, nelle parti in cui hanno qualificato gli allevamenti suinicoli, del tipo cui si riferisce l'impugnata sentenza, come insediamenti civili, con la conseguenza che agli eventuali inquinamenti dovrebbero applicarsi sanzioni amministrative regionali, in luogo delle sanzioni penali previste dalla legge statale per gli insediamenti industriali.

In tal modo le leggi regionali avrebbero depenalizzato una o più fattispecie criminose, ove invece é escluso che le regioni possano abrogare norme penali statali, in quanto la fonte del potere punitivo risiede nella legislazione dello Stato e conseguentemente le regioni, pur possedendo potestà normativa in certe materie, non dispongono della possibilità di comminare, rimuovere o variare pene, o concedere sanatorie da valere quali esimenti di sanzioni penali.

Cadute le tre leggi indicate, sostiene l'Avvocatura, il conflitto potrebbe essere dichiarato "privo di fondamento".

3.- In prossimità dell'udienza la ricorrente ha presentato memoria con la quale ha ribadito le argomentazioni già precedentemente svolte.

Considerato in diritto

 

1. - Il conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Emilia Romagna nei confronti dello Stato ha per oggetto la sentenza della Corte di cassazione, sezione III penale, n. 2734 del 14 novembre (rectius 12 dicembre) 1989, con la quale è stato rigettato il ricorso di Predieri Vilder avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 6 ottobre 1988. Secondo la regione ricorrente, la Corte di cassazione ha disapplicato, in base all'art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, le leggi regionali n. 7 del 1973, n. 13 del 1984 e n. 42 del 1986, sia perchè le ha considerate alla stregua di un atto amministrativo i cui contenuti esse avrebbero recepito (deliberazione 8 maggio 1980 del Comitato interministeriale previsto dall'art. 3 della legge 10 maggio 1976 n. 319), sia perchè ha ritenuto le medesime leggi costituzionalmente illegittime per avere interferito in una materia, quella penale, riservata allo Stato. In tal modo la Corte di cassazione avrebbe esercitato poteri che non le competono, con violazione delle norme costituzionali che disciplinano il regime di sindacabilità delle leggi, anche regionali (artt. 117, primo comma, 101 e 134 della Costituzione).

2. -Così precisati i termini del conflitto, è opportuno innanzitutto richiamare il principio enunciato nella sentenza di questa Corte n. 110 del 1970 e concordemente seguito in successive pronunce (cfr. sentt. nn. 211 del 1972, 178 del 1973, 289 del 1974, 75 del 1977, 183 del 1981, 70 del 1985): < nulla vieta che un conflitto di attribuzione tragga origine da un atto giurisdizionale, se ed in quanto si deduca derivarne una invasione della competenza costituzionalmente garantita alla Regione. la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per sè, ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto>.

Non sfugge al Collegio la particolare delicatezza del caso in esame, che investe una sentenza della Corte di cassazione (del resto già in precedenza verificatosi: sent. n. 66 del 1964). Ma una volta ammesso il conflitto su di un atto giurisdizionale, nulla rileva quale sia il giudice che l'ha emanato; che anzi si potrebbe osservare come, proprio perchè il conflitto ha luogo nei confronti di una sentenza avverso la quale non è dato alcun mezzo di impugnazione, non possono sorgere nemmeno eventuali problemi relativi alla possibile concomitanza tra giudizio sul conflitto e giudizio di impugnazione.

3.-Poste queste premesse, si deve esaminare l'eccezione di inammissibilità sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri. In sostanza, secondo l' Avvocatura, la Regione censura il modo in cui la funzione giurisdizionale è stata esercitata in concreto, denunciando presunti errori in giudicando, di guisa che si verrebbe a chiedere alla Corte di assumere le funzioni proprie del giudice dell'impugnazione, funzioni che chiaramente non competono alla Corte stessa. L'Avvocatura sostiene inoltre che non vi sarebbe stata comunque menomazione di competenze costituzionalmente garantite alla Regione, in quanto gli effetti della sentenza della Cassazione si limitano al giudizio deciso dalla medesima, non impedendo alle leggi regionali di spiegare la loro efficacia in via generale.

3.1. - L'eccezione non può essere accolta.

La Regione in realtà non sostiene che la sentenza di cui si discute si fondi su erronee interpretazioni di legge ovvero sull'errata individuazione della normativa da applicare nel caso concreto; essa lamenta invece che la Cassazione, pur avendo ritenuto riferibili alla fattispecie le citate leggi regionali, le abbia espressamente disapplicate, considerandole alla stregua di atti amministrativi; e più ancora che, in base ad una valutazione di incostituzionalità delle anzidette leggi, anzichè sollevare la relativa questione dinanzi alla Corte costituzionale, sia pervenuta direttamente alla disapplicazione delle medesime.

Non si è dunque dinanzi alla denuncia di un error in iudicando, nel senso in cui questa Corte in precedenti sentenze (cfr. sentt. nn. 289 del 1974, 70 del 1985; ordd. nn. 77 e 98 del 1981, 244, 245, 246 del 1988) lo ha ritenuto sottratto al proprio giudizio come non idoneo a costituire materia di conflitto d; attribuzione.

L'errore di cui si discute è consistito, secondo la ricorrente, nell'erroneo convincimento che ha indotto la Corte di cassazione ad esercitare un potere che non le compete, errore cioè che è caduto sui confini stessi della giurisdizione e non sul concreto esercizio di essa. Ed è proprio l'esercizio di tale potere di disapplicazione delle leggi che costituisce l'oggetto del presente conflitto.

3.2.-Quanto al punto se venga o meno in discussione una menomazione di una competenza costituzionalmente attribuita alla Regione, non può esservi dubbio che la prospettata disapplicazione di leggi regionali, sia sotto il profilo di una loro equiparazione ad atti amministrativi, sia in quanto ritenute costituzionalmente illegittime, violi, ove accertata, le invocate norme costituzionali e incida, in particolare, sulla competenza legislativa garantita alla Regione dall'art. 117, primo comma. Nè ha pregio l'argomento addotto dall'Avvocatura dello Stato secondo cui gli effetti della sentenza sarebbero limitati all'oggetto del giudizio, così che la legge regionale continuerebbe integra a spiegare la sua efficacia in via generale: l'efficacia della legge sta proprio nell'obbligo del giudice di applicarla nel caso concreto che gli è sottoposto. La disapplicazione della legge anche in un solo caso-come esattamente osserva la difesa della Regione -viene a negarne la intrinseca natura, e costituisce pertanto una lesione del potere legislativo regionale.

4.-Accertata l'ammissibilità del conflitto, il Collegio deve ora procedere all'esame della sentenza che vi ha dato origine.

L'imputato ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte di appello di Bologna precedentemente citata, sostenendo l'insussistenza del reato, essenzialmente perchè < le imprese agricole in base alla delibera 8 maggio 1980 del Comitato interministeriale e alle leggi regionali Emilia-Romagna n. 7/83, 23 marzo 1984 n. 13 e 42/86 sono insediamenti civili, come tali non soggetti alle sanzioni penali stabilite dall'art. 21 della legge statale n. 319/76....!>.

4.1. -La decisione, dopo aver premesso che < il ricorso è infondato e deve, perciò, essere rigettato con le conseguenze di legge>, si sofferma prima sulla questione < della natura dell'insediamento (civile o produttivo) delle imprese agricole di allevamento> alla stregua dell'orientamento sviluppato in precedenti pronunce della Corte di cassazione. Enunciata diffusamente < questa impostazione generale circa la problematica connessa alle imprese agricole>, la terza sezione penale della Cassazione viene alle ulteriori precisazioni che rappresentano in effetti l'esame del vero motivo dedotto nel ricorso, vale a dire la mancata applicazione delle leggi regionali sopra citate, il cui precetto riproduce il contenuto della deliberazione 8 maggio 1980 del Comitato interministeriale. A tale proposito, dopo aver richiamato l'affermazione di una precedente sentenza (Sez. III, 10 dicembre 1985) secondo cui < la delibera 8 maggio 1980 del Comitato interministeriale non può vincolare il giudice .... perchè le sue statuizioni sono state emanate senza una preventiva determinazione dei principi e criteri direttivi nella legge 650 del 1979>, la motivazione prosegue testualmente: < Ne consegue che tale deliberazione non si sottrae al sindacato del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 5 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. Ed anzi, il giudice penale può disapplicare in base al citato art. 5, anche la normativa regionale che recepisca tale delibera in modo tale da vincolare di fatto l'interprete, in sede penale, ai parametri della delibera (che invece, come si è detto, vengono ritenuti non vincolanti)>.

Appare quindi chiaramente per tabulas che i giudici della Cassazione hanno ritenuto di poter disapplicare la normativa regionale, nella specie costituita dalla legge n. 7 del 1983 e dalle successive leggi nn. 13 del 1984 e 42 del 1986 (le quali-prosegue la motivazione-< si muovono nella medesima logica>), trattandole alla stregua di un atto amministrativo. Essi hanno dunque esercitato un potere del tutto abnorme, non previsto nel nostro ordinamento costituzionale, con palese violazione degli artt. 101, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione.

4.2.-Ma la motivazione non si ferma qui: i giudici della Cassazione si diffondono a dimostrare, citando anche sentenze di questa Corte, che le regioni non possono interferire con proprie leggi in materia penale, come tale riservata alla sola legislazione statale. A questo punto, gli stessi giudici, anzichè pervenire all'unica conclusione ad essi consentita, quella cioé di sollevare questione di legittimità costituzionale delle leggi regionali, hanno tratto da tale argomento un'ulteriore giustificazione per disapplicare le leggi stesse, in violazione, oltre che degli artt. 101 e 117, anche dell'art. 134 della Costituzione, che attribuisce esclusivamente alla Corte costituzionale il sindacato di legittimità costituzionale sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge dello Stato e delle regioni.

É appena il caso di aggiungere che ben altra ipotesi è quella di leggi statali o regionali confliggenti con regolamenti comunitari.

In tal caso il potere-dovere del giudice di applicare la norma comunitaria anzichè quella nazionale (riconosciuto ai giudici dalla sentenza n. 170 del 1984 di questa Corte e dalle successive che hanno confermato e sviluppato tale giurisprudenza) non si fonda sull'accertamento di una presunta illegittimità di quest'ultima, bensì sul presupposto che l'ordinamento comunitario è autonomo e distinto da quello interno, con la conseguenza che nelle materie previste dal Trattato CEE la normativa regolatrice è quella emanata dalle istituzioni comunitarie secondo le previsioni del Trattato stesso, fermo beninteso il rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili della persona umana: di fronte a tale normativa l'ordinamento interno si ritrae e non è più operante.

Tanto precisato, va riaffermato che uno dei principi basilari del nostro sistema costituzionale è quello per cui i giudici sono tenuti ad applicare le leggi, e, ove dubitino della loro legittimità costituzionale, devono adire questa Corte che sola può esercitare tale sindacato, pronunciandosi, ove la questione sia riconosciuta fondata, con sentenze aventi efficacia erga omnes. Questo principio non può soffrire eccezione alcuna.

4.3. - Si deve dunque concludere che nel caso in esame i giudici della Cassazione non si sono limitati ad esercitare il loro potere di verificare quale legge dovesse applicarsi nel caso concreto e di interpretare la legge stessa, bensì hanno espressamente disapplicato leggi regionali, con violazione degli artt. 101, 117 e 134 della Costituzione.

5. -Va per ultima esaminata la subordinata istanza avanzata dalla Presidenza del Consiglio. L'Avvocatura dello Stato eccepisce l'illegittimità costituzionale delle leggi della Regione Emilia- Romagna nn. 7 del 1983, 13 del 1984 e 42 del 1986, nelle parti cui si è riferita l'impugnata sentenza della Cassazione, per avere interferito in materia penale, riservata all'esclusiva competenza della legge statale: dichiarata l'illegittimità costituzionale delle suddette norme-sostiene l'Avvocatura-il conflitto risulterebbe < privo di fondamento>.

La questione è inammissibile.

Questa Corte è chiamata a decidere se spetta alla Corte di cassazione disapplicare leggi regionali ritenute illegittime.

Accertare se tale illegittimità sussista o meno non è strumentale alla soluzione del conflitto, e la relativa questione risulta pertanto irrilevante (cfr., per un caso analogo, sent. n. 162 del 1976).

6. -Accertato che non spetta alla Corte di cassazione disapplicare le leggi regionali, la sentenza oggetto del conflitto deve essere annullata in applicazione degli artt. 41 e 38 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Non è infatti possibile separare la motivazione dal dispositivo, sia perché in linea generale la sentenza costituisce un unico atto inscindibile, sia perché, nel caso in esame, si tratta di una sentenza di rigetto di un ricorso per cassazione: perciò, anche in presenza di autonomi e distinti motivi della decisione, basta l'accertato vizio di incompetenza nella parte della motivazione relativa alla disapplicazione delle leggi regionali - che del resto è quella che principalmente sorregge il dispositivo di rigetto - a rendere conseguenziale e necessario l'annullamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato, e per esso alla Corte di cassazione, disapplicare le leggi nn. 7 del 1983, 13 del 1984 e 42 del 1986 della Regione Emilia-Romagna;

annulla di conseguenza la sentenza della Corte di cassazione, sezione III penale, n. 2734 del 12 dicembre 1989.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/90.

Francesco SAJA, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 14/06/90.