Ordinanza n. 501/2002

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ORDINANZA N. 501

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                 Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                  Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY      "

- Valerio                        ONIDA                      "

- Carlo                           MEZZANOTTE        "

- Fernanda                    CONTRI                    "

- Guido                         NEPPI MODONA    "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI             "

- Annibale                     MARINI                    "

- Franco                         BILE                          "

- Giovanni Maria          FLICK                                    "

- Francesco                    AMIRANTE              "

- Ugo                             DE SIERVO              "

- Romano                      VACCARELLA        "

– Paolo                          MADDALENA         "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), e dell’art. 7, comma 13, del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio), promossi con ordinanze emesse il 21 gennaio 2002 dal Tribunale di Milano e il 31 dicembre 2001 (n. 2 ordinanze) dal Giudice di pace di Trino, iscritte ai nn. 144, 226 e 227 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 14 e 20, prima serie speciale, dell’anno 2002.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 6 novembre 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che, con ordinanza del 21 gennaio 2002 (r.o. n. 144/2002), il Tribunale di Milano, nel corso di un giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di costituzionalità (a) dell'art. 1, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), "ovvero" (b) dell'art. 7, comma 13, del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio), "entrambi nella parte in cui non prevedono che, se la legge in vigore al momento in cui fu commessa la violazione e quella posteriore stabiliscono sanzioni amministrative [pecuniarie] diverse, si applichi la legge più favorevole al responsabile, salva la definitività del provvedimento di irrogazione o l'intervenuto pagamento";

che, previa esposizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo, concernente l’opposizione proposta dal legale rappresentante di una tintoria avverso una ordinanza-ingiunzione di pagamento di una somma di oltre trenta milioni di lire, ai sensi degli artt. 12, comma 1, e 52, comma 2, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), per avere omesso la registrazione di un prodotto considerato rifiuto speciale pericoloso dalla legislazione vigente, il rimettente sottolinea come, successivamente al tempo della commessa violazione, la sanzione amministrativa pecuniaria prevista per l’omessa registrazione di rifiuti pericolosi (variabile da lire trenta milioni a lire centoottanta milioni) sia stata ridotta, "nel caso di imprese che occupano un numero di unità lavorative inferiore a 15 dipendenti" (come è nella specie per l’opponente), a un importo più esiguo (da lire quattro milioni a lire ventiquattro milioni), a opera dell’art. 7, comma 13, del decreto legislativo n. 389 del 1997;

che però, in mancanza - nel citato decreto legislativo n. 389 del 1997 - di una norma tale da consentire l’applicazione della nuova disciplina ai fatti pregressi, è necessario fare ricorso ai principi di irretroattività e di legalità ricollegabili all’art. 1, secondo comma, della legge n. 689 del 1981;

che, ciò premesso, il giudice a quo – che richiama una propria precedente ordinanza di rimessione di analoga questione di costituzionalità in data 11 aprile 2001 [iscritta al r.o. n. 473/2001] – osserva che la questione è rilevante in quanto l’eventuale accoglimento della stessa consentirebbe l’irrogazione, nel caso di specie, di una sanzione di importo sensibilmente minore rispetto a quella prevista e applicata;

che, nel merito, il giudice rimettente muove da recenti interventi del legislatore con i quali, in materia di successione di leggi nel tempo, è stato esteso a talune tipologie di illecito amministrativo il principio – proprio della materia penale (art. 2, terzo comma, cod. pen.) – dell’applicazione della legge più favorevole al responsabile della violazione, e ciò in particolare: (a) nel sistema delle sanzioni amministrative tributarie, a opera dell’art. 3, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), il quale dispone che "Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo"; (b) nel sistema delle sanzioni amministrative valutarie, con norma di formulazione identica alla precedente, a opera dell’art. 23-bis, comma 3, del d.P.R. 31 marzo 1988, n. 148 (Approvazione del testo unico delle norme in materia valutaria), come modificato dalla legge 7 novembre 2000, n. 326 (Modifiche al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, in materia di sanzioni per le violazioni tributarie);

che tali scelte, secondo il giudice a quo, sarebbero espressive di una "evoluzione ordinamentale", che troverebbe conferma sia nell’intervenuta abrogazione, a opera dell’art. 24 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), dell’art. 20 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), che prevedeva l’"ultrattività" delle norme penali finanziarie, sia in talune iniziative parlamentari, non concluse a causa dello scioglimento delle Camere, rivolte appunto all’introduzione, nel corpo del decreto legislativo n. 22 del 1997, della previsione dell’applicazione della legge più favorevole all’autore della violazione;

che, in tale quadro, al rimettente appare non manifestamente infondata la questione di costituzionalità delle norme impugnate, per l’irragionevole disparità di trattamento sanzionatorio che esse verrebbero a determinare (a) per fatti di identica natura commessi a distanza di pochi mesi e poi contestualmente giudicati e (b) per i fatti oggetto del giudizio a quo, cui sarebbe applicabile il principio dell’applicazione della legge in vigore al momento del fatto, rispetto a "settori contigui dell’ordinamento sanzionatorio amministrativo (tributario e valutario) oltreché penale", per i quali vige il contrapposto principio di retroattività della legge posteriore più favorevole;

che nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza della questione;

che con due ordinanze di contenuto analogo, emesse entrambe in data 31 dicembre 2001 nel corso di due distinti giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione promossi dal medesimo soggetto (r.o. n. 226 e n. 227 del 2002), il Giudice di pace di Trino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, 25, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di costituzionalità dell'art. 1 della legge n. 689 del 1981, nella "parte di esclusione dell’applicazione del favor rei alle sanzioni amministrative";

che il rimettente osserva come i giudizi a quibus abbiano ad oggetto opposizioni a ingiunzioni di pagamento di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per violazione dell’art. 74 del d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162 (Norme per la repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio dei mosti, vini ed aceti), e rileva che la suddetta disposizione è stata abrogata dall’art. 3, comma 1, del d.P.R. 9 novembre 1998, n. 433 (Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi alla detenzione e alla commercializzazione di sostanze zuccherine, ai sensi dell'articolo 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59);

che, prosegue il rimettente, nonostante l’intervenuta abrogazione dell’illecito amministrativo contestato all’opponente, le sanzioni per esso previste devono continuare a trovare applicazione in relazione ai fatti commessi durante la vigenza della norma, in forza dei principi di legalità, di irretroattività e di divieto di applicazione dell'analogia, risultanti dall'art. 1 della legge n. 689 del 1981, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, "sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali ab origine, senza che rilevi in contrario la circostanza che la più favorevole disciplina posteriore alla data della commissione del fatto sia entrata in vigore anteriormente all'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione per il pagamento della sanzione pecuniaria e senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all'art. 2, commi secondo e terzo, del codice penale";

che il rimettente ritiene che la mancata estensione del principio dell’applicabilità della disciplina posteriore più favorevole anche alla materia degli illeciti amministrativi si ponga in contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, "poiché tale istituto è invece applicabile in materia penale (art. 2, commi 2 e 3 c.p.) ed ora anche in materia tributaria (art. 3 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 e art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 [Statuto contribuente])" e, di conseguenza, "visti gli artt. 3, 24, 25 e 111, secondo comma, della Costituzione", solleva, in entrambi i giudizi, la medesima questione di legittimità costituzionale, nei termini sopra indicati;

che anche nei due giudizi così promossi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, con argomentazioni coincidenti a quelle formulate nel giudizio di cui al r.o. n. 144 del 2002, ha concluso per l’infondatezza della questione.

Considerato che le tre ordinanze di rimessione sollevano questioni in parte coincidenti e sorrette da analoghe argomentazioni, e che pertanto è opportuno che i relativi giudizi siano riuniti per essere definiti con unica pronuncia;

che, chiamata a pronunciarsi su precedente questione di costituzionalità (r.o. n. 473/2001), analoga a quella (r.o. n. 144/2002) ora in esame, anche se riferita al comma 12 dell’art. 7 del decreto legislativo n. 389 del 1997, e sollevata dal medesimo organo giudiziario (Tribunale di Milano), questa Corte, con l’ordinanza n. 140 del 2002, ne ha dichiarato la manifesta infondatezza, escludendo il contrasto con l’invocato art. 3 della Costituzione: (a) sia dell’impugnato art. 1 della legge n. 689 del 1981, che pone in generale il principio di stretta legalità nella materia delle violazioni e delle sanzioni amministrative pecuniarie, con assoggettamento della violazione alla disciplina in vigore al tempo della sua commissione e con la conseguente inapplicabilità della eventuale disciplina posteriore più favorevole, perché, in mancanza di un vincolo costituzionale per il legislatore, appartiene alla discrezionalità di quest’ultimo la valutazione circa l’adozione di criteri di maggiore o minor rigore, a seconda dell’oggetto, come appunto si è verificato per le discipline in tema di illeciti valutari e tributari assunte a termini di raffronto; (b) sia dell’art. 7, comma 12, del decreto legislativo n. 389 del 1997, per la già rilevata inesistenza, alla stregua dell’art. 3 della Costituzione, di un obbligo di estensione delle scelte legislative effettuate in determinate materie ad altre e diverse materie;

che nella richiamata decisione di questa Corte si è inoltre osservato che neppure potrebbe dirsi, sotto altro aspetto, violato il principio di uguaglianza per il fatto della sottoposizione di medesime fattispecie di illecito amministrativo a una diversa disciplina, in dipendenza del tempo in cui sono state commesse, ciò che costituisce semplicemente la conseguenza, sul piano applicativo, del principio di stretta legalità che sorregge la materia delle sanzioni amministrative pecuniarie;

che le osservazioni che precedono sono ripetibili anche per la questione sollevata dal Tribunale di Milano, in particolare in relazione al comma 13 dell’art. 7 del decreto legislativo n. 389 del 1997, il quale, per quanto qui rileva, pone una disposizione più favorevole per la violazione amministrativa dell’art. 52, comma 2, del decreto legislativo n. 22 del 1997, al pari del comma 12 – oggetto della citata pronuncia n. 140 del 2002 di questa Corte – relativo alla violazione amministrativa di cui al comma 1 dello stesso art. 52 del decreto legislativo n. 389;

che i medesimi rilievi valgono altresì per le questioni sollevate, sul solo art. 1 della legge n. 689 del 1981, dal Giudice di pace di Trino (r.o. n. 226 e n. 227/2002), che invoca in modo assertivo gli ulteriori parametri degli artt. 24, 25, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, facendo menzione di alcuni di essi (artt. 24 e 111) nel solo dispositivo di entrambe le ordinanze di rinvio, e comunque senza fornire una corrispondente motivazione per ciascuno;

che, in mancanza di argomenti che possano indurre questa Corte a discostarsi dalle conclusioni raggiunte nella citata pronuncia, le questioni sollevate devono pertanto essere dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), e dell’art. 7, comma 13, del decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, in materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti di imballaggio), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Milano e dal Giudice di pace di Trino con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2002.