CONSULTA ONLINE
SENTENZA N. 10 *
ANNO 2015
Il
seguito della sent. n. 10 del 2015 della Corte
costituzionale
Commenti alla decisione di
I. Renzo Dickmann, La
Corte costituzionale torna a derogare al principio di retroattività delle
proprie pronunce di accoglimento per evitare "effetti ancor più incompatibilicon la Costituzione”. Nota a Corte cost. 11 febbraio 2015, n. 10c’è una nota riportata due
volte, per g.c. di Federalismi.it
II. Ilenia Massa Pinto, La sentenza della Corte
costituzionale n. 10 del 2015 tra irragionevolezza come conflitto logico
interno alla legge e irragionevolezza come eccessivo sacrificio di un principio
costituzionale: ancora un caso di ipergiurisdizionalismo
costituzionale, per g.c. di Costituzionalismo.it
III. Roberto Romboli, L’"obbligo”
per il giudice di applicare nel processo a quo la norma dichiarata
incostituzionale ab origine: natura incidentale del giudizio costituzionale e
tutela dei diritti, per g.c. del Forum di
Quaderni Costituzionali
IV. Marilisa D’Amico, La
Corte e l’applicazione (nel giudizio a quo)
della legge dichiarata incostituzionale, per g.c.
del
Forum di Quaderni Costituzionali
V. Andrea Pugiotto,
Un
inedito epitaffio per la pregiudizialità costituzionale, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
VI. Antonio Ruggeri, Sliding doors per la
incidentalità nel processo costituzionale, per g.c. del Forum di
Quaderni Costituzionali
VII. Paolo Veronesi, La
Corte "sceglie i tempi”: sulla modulazione delle pronunce d’accoglimento dopo
la sentenza n. 10/2015, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
VIII. Roberto Pinardi, La modulazione degli effetti temporali delle
sentenze d’incostituzionalità e la logica del giudizio in via incidentale in
una decisione di accoglimento con clausola di irretroattività, in questa Rivista, Studi, 2015/I,
220 e ss.
IX. Simone Scagliarini, La Corte tra Robin Hood Tax
e legislatore "Senzaterra”, in questa Rivista, Studi, 2015/I,
232 e ss.
X. Marco Ruotolo, Marta Caredda, Virtualità
e limiti del potere di regolazione degli effetti temporali delle decisioni
d’incostituzionalità. A proposito della pronuncia sulla c.d. Robin Tax, per g.c. della Rivista
AIC
XI. Agatino Lanzafame, La
limitazione degli effetti retroattivi delle sentenze di illegittimità
costituzionale tra tutela sistemica dei principi costituzionali e bilanciamenti
impossibili. A margine di Corte costituzionale n. 10/2015, per g.c. della Rivista
AIC
XII. Luca Antonini, Forzatura
dei principi versus modulazione
temporale degli effetti della sentenza, per g.c.
del Forum
di Quaderni Costituzionali
XIII.
Roberto Bin, Quando
i precedenti degradano a citazioni e le regole evaporano in principi, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
XIV.
Francesco Cocozza, La
Corte costituzionale "vestale” dei conti pubblici tra i guasti del funambolismo
finanziario ed il miraggio di politiche pro-concorrenziali, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
XV. Cesare Mainardis, Limiti
agli effetti retroattivi delle sentenze costituzionali e principio di
proporzionalità (un’osservazione a C. cost. n.
10/2015), per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
XVI. Donato Messineo, «Accadde
domani»: l’illegittimità costituzionale ipotetica di un seguito legislativo
mancato nella sentenza della Corte costituzionale sulla "Robin Tax”, per g.c. del Forum di
Quaderni Costituzionali
XVII.
Alessandro Morelli, Tutela
nel sistema o tutela del sistema? Il «caso» come occasione della «tutela
sistemica» della legalità costituzionale e la «forza politica» del Giudice
delle leggi (notazioni a margine di Corte cost. n.
10/2015), per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
XVIII.
Andrea Pin e Erik Longo, La
sentenza n. 10 del 2015: un giudizio di proporzionalità "in concreto” o
realistico?, per g.c. del Forum di Quaderni
Costituzionali
XIX. Francesco Gabriele, Anna Maria Nico, Osservazioni
"a prima lettura” sulla sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2015:
dalla illegittimità del "togliere ai ricchi per dare ai poveri” alla
legittimità del "chi ha avuto, ha avuto, ha avuto…scordiamoci il passato”, per g.c. della Rivista
AIC
XX. Adele Anzon Demmig, La Corte costituzionale "esce allo scoperto” e limita l’efficacia retroattiva delle proprie pronunzie di accoglimento, per g.c. della Rivista AIC
XXI. Saulle Panizza,
L’argomentazione
della Corte costituzionale in ordine al fondamento e alla disciplina del potere
di modulare il profilo temporale delle proprie decisioni, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
XXII. Marco Polese, L’equilibrio
di bilancio come limite alla retroattività della sentenza di accoglimento
(Commento alla sentenza della Corte costituzionale n. 10/2015), per g.c. dell’Osservatorio AIC
XXIII. Adele Anzon Demmig,
Elogio
della sentenza n. 10 del 2015, per g.c. del Forum di
Quaderni Costituzionali
XXIV. Ines Ciolli, L’art.
81 della Costituzione: da limite esterno al bilanciamento a super principio,
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
XXV. Chiara Bergonzini, Note
a margine di Corte cost. n. 10 del 2015: uno sguardo
al merito (e alle fonti), per g.c. del Forum di
Quaderni Costituzionali
XXVI. Gianluigi Bizioli, Eguaglianza
tributaria e discriminazione soggettiva dei redditi. A margine della sentenza
n. 10 del 2015, per g.c. del Forum di
Quaderni Costituzionali
XXVII. Carlo Padula, Dove
va il bilanciamento degli interessi? Osservazioni sulle sentenze 10 e 155 del
2015, per g.c.
di Federalismi.it
XXVIII. Francesco Gallarati,
La
Robin Tax e l’incostituzionalità ‘d’ora in poi’:
spunti di riflessione a margine della sentenza n. 10/2015, per g.c. di Federalismi.it
XXIX. Raffaele Guido Rodio, Il
seguito della sentenza n. 10/2015: verso il giudice a quo quale giudice
d’appello (di fatto) sulle decisioni della Corte?, per g.c. di Diritti
fondamentali
XXX. Lorenzo Madau, L’incidenza
del nuovo articolo 81 Cost. sui giudizi di
legittimità costituzionale: prime osservazioni, per g.c.
di Amministrazione e contabilità
dello Stato e degli enti pubblici
XXXI. Valerio Di Pasqua, La
modulazione degli effetti nel tempo delle sentenze di incostituzionalità:
Spagna e Italia a confronto alla luce della sentenza n. 10 del 2015, per g.c. dell’Osservatorio AIC
XXXII. Ferruccio Auletta, La Robin tax, la
Corte costituzionale e il processo civile: omnis actor post iudicium
tristis, per g.c.
di Judicium
XXXIII. Valerio Onida, Una pronuncia costituzionale problematica: limitazione degli effetti nel tempo o incostituzionalità sopravvenuta?, per g.c. della Rivista AIC
XXXIV. Margherita Liguori, I
postumi della sentenza 10/2015 nei
giudizi di merito: questioni di prospettive, per g.c.
del Forum
di Quaderni Costituzionali
XXXV. Luigi Sica, Cosa è vivo e cosa è morto della sentenza
n. 10 del 2015 a quasi due anni dalla sua pronuncia, per g.c. di Diritto Pubblico Europeo Rassegna online
XXXVI. Tommaso F. Giupponi, La
Corte e il "suo” processo. Brevi riflessioni a margine della sent. n. 10 del 2015 della Corte costituzionale,
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
XXXVII. Roberto Pinardi, La
Corte e la crisi tra bilanciamenti di interessi ed «impatto macroeconomico»
delle pronunce d’incostituzionalità,
per g.c. di Forum di Quaderni Costituzionali
XXXVIII. Simone Scagliarini, L’incostituzionalità
sopravvenuta sfuggita alla Corte,
per g.c. di Forum di Quaderni Costituzionali
XXXIX. Valentina Giannelli, La
rilevanza smarrita. Brevi riflessioni sulla modulazione degli effetti temporali
a partire dalla decisione n. 10/2015, per g.c. di
Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro
CRISCUOLO
Presidente
- Paolo
Maria
NAPOLITANO
Giudice
-
Giuseppe
FRIGO
”
-
Paolo
GROSSI
”
-
Giorgio
LATTANZI
”
-
Aldo
CAROSI
”
- Marta
CARTABIA
”
-
Sergio
MATTARELLA
”
- Mario
Rosario
MORELLI
”
- Giancarlo
CORAGGIO
”
- Giuliano
AMATO
”
- Silvana
SCIARRA
”
- Daria
de
PRETIS
”
-
Nicolò
ZANON
”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art.
81, commi 16, 17 e 18, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della
finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, promosso dalla
Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia nel procedimento vertente
tra la Scat Punti Vendita Spa e l’Agenzia delle
entrate – Direzione provinciale di Reggio Emilia, con ordinanza
del 26 marzo 2011, iscritta al n. 215 del registro ordinanze 2011 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale,
dell’anno 2011.
Visti
l’atto di costituzione della Scat Punti Vendita Spa,
nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 13 gennaio 2015 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi
l’avvocato Livia Salvini per la Scat
Punti Vendita Spa e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
1.– La Commissione tributaria provinciale di Reggio
Emilia, con ordinanza emessa il 26 marzo 2011 e depositata in pari data, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e
18 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, per
violazione degli artt. 3,
23, 41, 53, 77 e 117 della
Costituzione.
Il citato art. 81, commi 16, 17 e 18, nel testo
oggetto di impugnazione, prevede che: «16. In dipendenza dell’andamento
dell’economia e dell’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe
del settore energetico, l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società di
cui all’articolo 75 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive
modificazioni, è applicata con una addizionale di 5,5 punti percentuali per i
soggetti che abbiano conseguito nel periodo di imposta precedente un volume di
ricavi superiore a 25 milioni di euro e che operano nei settori di seguito
indicati: a) ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi; b)
raffinazione petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli,
gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e
gas naturale; c) produzione o commercializzazione di energia elettrica. Nel
caso di soggetti operanti anche in settori diversi da quelli di cui alle
lettere a), b) e c), la disposizione del primo periodo si applica qualora i
ricavi relativi ad attività riconducibili ai predetti settori siano prevalenti
rispetto all’ammontare complessivo dei ricavi conseguiti. La medesima
disposizione non si applica ai soggetti che producono energia elettrica
mediante l’impiego prevalente di biomasse e di fonte solare-fotovoltaica o
eolica. […] 17. In deroga all’articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la
disposizione di cui al comma 16 si applica a decorrere dal periodo di imposta
successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007. 18. È fatto divieto agli
operatori economici dei settori richiamati al comma 16 di traslare l’onere
della maggiorazione d’imposta sui prezzi al consumo. L’Autorità per l’energia
elettrica e il gas vigila sulla puntuale osservanza della disposizione di cui
al precedente periodo. […] L’Autorità per l’energia elettrica e il gas
presenta, entro il 31 dicembre 2008, una relazione al Parlamento relativa agli
effetti delle disposizioni di cui al comma 16.».
Il giudice rimettente ha premesso che la Scat Punti Vendita Spa, quale gestore di una rete di
distributori di carburante, ha presentato ricorso avverso il silenzio-rifiuto
opposto dall’Agenzia delle entrate all’istanza di rimborso dei tributi,
maggiorati degli interessi legali, pagati a titolo di «addizionale» all’imposta
sui redditi delle società (IRES) ai sensi del citato art. 81, commi 16, 17 e
18.
La Commissione tributaria assume che la questione
sia rilevante nel giudizio a quo, in quanto la norma impugnata osta
all’accoglimento del richiesto rimborso.
Inoltre, il giudice rimettente considera la
questione non manifestamente infondata, ritenendo di concordare con le
considerazioni – riportate testualmente nella stessa ordinanza di rimessione –
che sono state sviluppate dalla ricorrente in ordine alla illegittimità
costituzionale delle disposizioni censurate.
1.1.– A questo riguardo viene esposto che
l’«addizionale», istituita per un tempo illimitato, ha carattere di tributo
autonomo e ordinario, tale da incidere strutturalmente nell’ordinamento
tributario, così da escludere che si tratti di una misura straordinaria e
temporanea adottata in risposta ad una improvvisa ed eccezionale situazione di
fatto determinatasi nel mercato degli idrocarburi liquidi e gassosi.
Il crollo delle quotazioni del greggio,
determinatosi subito dopo l’adozione del decreto, smentirebbe, poi, la
sussistenza della necessità di colpire profitti straordinari in ragione
dell’andamento del mercato nel settore dei prodotti petroliferi.
La norma impugnata sarebbe stata, quindi, introdotta
nel nostro ordinamento con lo strumento del decreto-legge senza che ne
sussistessero i presupposti di necessità ed urgenza stabiliti dall’art. 77 Cost. e con l’ulteriore conseguenza che il contribuente
sarebbe stato gravato da una prestazione non in forza della legge come previsto
dall’art. 23 Cost.
1.2.– Viene poi rammentato che, ai sensi dell’art.
53 Cost., la capacità contributiva è il presupposto e
il limite del potere impositivo dello Stato e del dovere del contribuente di
concorrere alle spese pubbliche, dovendosi interpretare detto principio come
specificazione settoriale del più ampio principio di uguaglianza di cui
all’art. 3 Cost. (sentenze n. 258 del 2002,
n. 341 del 2000
e n. 155 del 1963).
Perché un’imposta sia legittima occorre, dunque, che
colpisca fatti indici di capacità contributiva e che la sua struttura risponda
a parametri di ragionevolezza, congruità, coerenza e proporzionalità.
Nella specie mancherebbe il fatto indice di capacità
contributiva, in quanto non sussisterebbe l’asserito rialzo straordinario dei
profitti della filiera dei prodotti petroliferi.
Inoltre, il presupposto dell’«addizionale» e il
prelievo non sarebbero espressi secondo gli stessi criteri attributivi di
valore, in quanto si colpirebbe l’intero reddito e non solo gli extra-profitti,
con conseguente irragionevolezza, incongruità e sproporzione della struttura
dell’imposta.
Verrebbe poi stabilito un ingiustificato aggravio
impositivo a carico delle sole imprese operanti nel settore degli idrocarburi,
assimilando in modo altrettanto ingiustificato i produttori di greggio ai
distributori che da loro acquistano, mentre solo i primi, e non i secondi,
aumentano i ricavi in caso di aumento del prezzo del petrolio.
Ulteriore discriminazione sarebbe rappresentata dal
fatto che la norma impugnata assoggetta all’«addizionale» solo gli operatori
con volume d’affari annuo superiore ai venticinque milioni di euro.
Infine il divieto di traslazione dell’onere
economico conseguente all’«addizionale», quale previsto dall’art. 81, comma 18,
del citato decreto-legge, determinerebbe un’altra irrazionale discriminazione,
in prima istanza tra le imprese assoggettate all’«addizionale» rispetto alle
altre e poi, all’interno di quelle assoggettate, tra i produttori e i
distributori, poiché solo i secondi incorrono nel suddetto divieto di
traslazione e sono costretti ad onerose pratiche contabili per dimostrare
all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico la mancata
traslazione.
1.3.– Viene rappresentato, inoltre, che la norma
renderebbe più onerosa l’iniziativa economica, tutelata dall’art. 41 Cost., per le imprese impegnate nel mercato degli idrocarburi
e, tra queste, per le imprese distributrici rispetto a quelle produttrici, in
quanto solo i produttori sono in grado di influire sul meccanismo di formazione
dei prezzi, con conseguente ulteriore ingiustificata disparità di trattamento,
censurabile ex art. 3 Cost.
1.4.– Infine, viene evidenziato che il divieto di
traslazione degli oneri relativi all’«addizionale» realizza una parziale
fissazione autoritativa del prezzo, alterando il funzionamento della libera
concorrenza tutelata dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. come ulteriore estrinsecazione della salvaguardia
dell’iniziativa economica privata ex art. 41 Cost.
1.5.– La Commissione tributaria, pertanto, ha
dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale posta nei termini di cui sopra e, sospeso il giudizio a quo, ha
ordinato l’immediata trasmissione degli atti a questa Corte, unitamente alla
loro notifica alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri e al
Presidente della Camera dei deputati.
2.– Con atto depositato in data 7 novembre 2011 è
intervenuta nel giudizio la Scat Punti Vendita Spa,
dando ulteriore evidenza alle ragioni di rilevanza e fondatezza delle questioni
di legittimità costituzionale sollevate dal giudice rimettente.
2.1.– In particolare è stata rimarcata
l’impossibilità di identificare la ratio fondativa
dell’«addizionale» nel conseguimento di presunti "sovra-profitti” da parte dei
soggetti colpiti. Se si considera il novero dei soggetti incisi, la base imponibile
(costituita dall’intero reddito) e la durata permanente della nuova misura
impositiva risulta impossibile ritenere l’«addizionale» idonea a colpire
un’entità economica tanto aleatoria, transitoria e marginale quale sarebbe il
preteso "sovra-reddito”.
Inoltre, osserva l’interveniente, l’indice di
manifestazione della capacità contributiva è il reddito e non la redditività
dell’attività espletata, cioè il rapporto tra il guadagno netto e i costi
sostenuti, in quanto il sistema dell’imposizione diretta è basata sul criterio
quantitativo del reddito "numerario”, senza che sia possibile operare
discriminazioni qualitative delle attività, che violerebbero i principi di
uguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva.
Proprio il carattere permanente dell’«addizionale» e
l’assenza di meccanismi atti ad isolare il "sovra-reddito” dimostrerebbero come
la forma di imposizione in esame sia del tutto incompatibile con gli schemi di
tassazione dei profitti noti all’esperienza giuridica nazionale e sovranazionale,
quali la Crude Oil Windfall
Profit Tax, applicata negli Stati Uniti dal 1980 al
1988.
2.2.– Un ulteriore profilo di ingiustificata
disparità di trattamento viene individuato dalla interveniente nel fatto che le
società colpite dall’«addizionale» vengono escluse, ex art. 81, commi 16-bis e
16-ter, del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, dai benefici
altrimenti riconosciuti ai «gruppi caratterizzati da un’integrazione
economico-giuridica tale da giustificare un riconoscimento fiscale della
sostanziale unitarietà della base imponibile».
2.3.– Viene poi sottolineato come la giurisprudenza
costituzionale (sentenza
n. 21 del 2005) richieda la necessaria transitorietà delle misure
straordinarie, ai fini della loro legittimità, tanto che il legislatore pare
essersene tardivamente avveduto con l’art. 7 del decreto-legge 13 agosto 2011,
n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo) convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14
settembre 2011, n. 148, che ha apportato significative modifiche
all’«addizionale» in questione, ampliandone l’ambito soggettivo di applicazione
e aumentandone l’aliquota per i soli tre periodi di imposta successivi.
2.4.– La memoria sottolinea ulteriori profili di
ingiustificata discriminazione vengono in riferimento ad alcune tipologie di
imprese operanti nel settore energetico, dato che dal campo di applicazione
dell’addizionale risultano escluse le imprese ad alto reddito, ma non eccedenti
il limite minimo di ricavi richiesto dal legislatore, così favorendo le imprese
che utilizzano contratti di intermediazione rispetto a quelle che, procedendo
all’acquisto e alla rivendita di prodotti petroliferi, evidenziano maggiori
ricavi a parità di reddito.
2.5.– È stato poi rimarcato che anche i soci delle
società operanti nel settore energetico vengono sottoposti ad un carico fiscale
complessivo sugli utili societari superiore rispetto a quello riscontrabile per
i soci di altre società.
2.6.– In riferimento all’art. 77 Cost.,
la difesa della Scat spa concorda con le osservazioni
del giudice remittente, circa il fatto che l’«addizionale» sia stata introdotta
con decreto-legge in assenza dei necessari presupposti di necessità ed urgenza
e in violazione dell’art. 4 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in
materia di statuto dei diritti del contribuente).
2.7.– È stata ribadita, infine, l’irragionevolezza
del divieto di traslazione della maggiore imposta come configurato dal
legislatore solo con riferimento ai prezzi al consumo.
3.– Con atto depositato in data 8 novembre 2011, si
è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri.
3.1.– La difesa erariale ha rilevato, anzitutto,
come, a seguito delle modifiche apportate alla disciplina in esame dall’art. 7
del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 148 del 2011, sia
necessario restituire gli atti al giudice rimettente, affinché valuti la
persistente rilevanza della questione alla luce delle radicali modifiche
operate, nel senso dell’ampliamento dei soggetti, dell’aliquota, dei
presupposti e della base imponibile del tributo.
3.2.– È stata poi eccepita l’inammissibilità delle
questioni di legittimità sollevate per mancata autonoma esplicitazione delle
ragioni fondanti il dubbio di legittimità costituzionale, posto che il
rimettente si è limitato ad affermare di condividere le censure sviluppate dal
ricorrente, riproducendole testualmente.
3.3.– Ulteriore eccezione di inammissibilità è stata
sollevata in ordine all’insufficiente motivazione dell’ordinanza in punto di
rilevanza, non avendo il giudice fornito alcun elemento di fatto che
consentisse di stabilire che la società ricorrente rientri plausibilmente
nell’ambito di applicazione dell’«addizionale» e che la controversia non sia
stata artificiosamente creata dalla ricorrente.
3.4.– Nel merito si è chiesto che la questione sia
dichiarata non fondata.
In riferimento all’art. 77 Cost.,
il Presidente del Consiglio osserva che, data la contingenza economica
verificatasi all’epoca dell’adozione del decreto-legge e richiamata anche nelle
disposizioni impugnate, non si può ritenere che si versi in un caso di evidente
mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza per l’adozione dei decreti-legge. È stato quindi evidenziato come
l’«addizionale» in esame si sia inserita armonicamente in un più ampio quadro
di misure di riorganizzazione fiscale e amministrativa del settore energetico,
al fine di sostenere le fasce sociali più esposte alle tendenze di questo
mercato.
3.5.– Nessuna violazione dell’art. 23 Cost. sarebbe poi ravvisabile, in quanto la riserva di
legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte risulta soddisfatta anche
dal ricorso ad atti con forza di legge.
3.6.– Parimenti non sussisterebbe alcuna violazione
degli artt. 3 e 53 Cost., in quanto le imprese
energetiche operano in un settore in cui l’aumento dei costi alla fonte si
ripercuote in un aumento dei prezzi sino al consumatore finale, senza che ciò
possa essere contrastato da una corrispondente contrazione della domanda, che
in quel campo è del tutto anelastica, con la conseguenza che la possibilità di
"extraprofitti” sarebbe strutturale in quel settore economico, così da
differenziarlo dagli altri e giustificare un trattamento fiscale differenziato.
Il fatto poi che l’«addizionale» colpisca imprese
per le quali l’incremento dei prezzi non può essere contrastato da contrazioni
della domanda, rappresenta un dato economicamente significativo, come tale
espressivo di capacità contributiva.
Neppure potrebbe ritenersi ingiustificato il
trattamento dei vari operatori della filiera energetica, in quanto l’incremento
dei prezzi alla produzione viene in tale settore applicato anche sulle quantità
acquistate prima degli aumenti, senza che vi sia alcuna garanzia circa il fatto
che il prezzo finale sia effettivamente calcolato sulla base del costo di
acquisto effettivamente sopportato dal raffinatore o dal distributore. In altre
parole, anche i distributori del carburante si avvantaggerebbero della
struttura del mercato di settore, attraverso la rivalutazione delle scorte,
tenendo conto anche del fatto che il mercato energetico è in larga misura
dominato da operatori verticalmente integrati che occupano l’intera filiera.
3.7.– Non sarebbe, poi, ravvisabile alcuna
violazione della libera concorrenza e della iniziativa economica privata
tutelate dagli artt. 117 e 41 Cost., in quanto la
loro tutela non può essere assicurata in contrasto con l’utilità sociale e
l’«addizionale» in questione, compreso il divieto di traslazione del relativo
onere sui prezzi all’acquisto, rappresenta appunto un modo per ragionevolmente
armonizzare con l’utilità sociale la peculiare struttura del mercato
energetico, ritenuto tutt’altro che libero e concorrenziale.
4.– Con memoria depositata in data 6 marzo 2013, la Scat Punti Vendita Spa ha chiesto che siano respinte le
eccezioni sollevate dalla difesa statale e ha insistito per la dichiarazione di
illegittimità costituzionale.
4.1.– Più precisamente, in relazione alla
restituzione degli atti al giudice rimettente per ius
superveniens, la società ha osservato che l’anno di imposta,
oggetto del giudizio a quo, è il 2008, di tal che la legge applicabile risulta
quella anteriore alle modifiche intervenute le quali, quindi, non rilevano ai
fini della decisione della questione. In ogni caso le sopraggiunte modifiche
non avrebbero rimediato ai denunciati vizi di illegittimità costituzionale, ma
semmai li avrebbero aggravati.
4.2.– Quanto all’inammissibilità delle questioni per
mancata autonoma esplicitazione, nell’ordinanza di rimessione, delle ragioni
fondanti il dubbio di legittimità costituzionale, si è rimarcato che il giudice
rimettente ha esposto in modo chiaro e puntuale le ragioni dell’illegittimità
costituzionale, producendo così un’ordinanza autosufficiente nella motivazione,
indiscutibilmente espressiva del suo autonomo convincimento.
4.3.– In ordine all’inammissibilità per difetto di
rilevanza, la difesa della parte privata ha rilevato che il pagamento
dell’«addizionale» è stato determinato dall’esigenza di evitare le conseguenze
sanzionatorie, nell’evidente ricorrenza dei presupposti applicativi stabiliti
dalla legge. Del resto, la stessa società ricorrente non ha eccepito nel
giudizio a quo l’esistenza di esenzioni, con la conseguenza che, vigendo nel
processo tributario il principio dispositivo, non potrebbero rilevare nel
predetto giudizio tributario le suddette esclusioni.
4.4.– È stato poi rimarcato che persistono le già
dedotte ragioni di illegittimità costituzionale ai sensi degli artt. 3 e 53 Cost., costituite da: l’assenza di documentati ed evidenti
motivi che possano fondare l’applicazione dell’addizionale alle imprese
operanti nel settore petrolifero e dell’energia; l’inidoneità tecnica
dell’imposta a colpire selettivamente i pretesi "sovra-profitti” determinati
dal rincaro del greggio; l’operata discriminazione qualitativa, a parità di
reddito, sul margine di redditività dell’attività svolta; l’ingiustificata
discriminazione dei soggetti colpiti dall’«addizionale», selezionati sulla base
dei ricavi effettuati.
4.5.– In ordine alla violazione degli artt. 77 e 23 Cost., si è evidenziato come, anche a voler ammettere che
l’adozione del decreto-legge possa giustificarsi in base ad esigenze
eccezionali relative al mercato, le stesse avrebbero potuto determinare solo
interventi puntuali, occasionali e transitori, non riforme di struttura, come
quella oggetto di impugnazione.
4.6.– Quanto alle dinamiche dei prezzi del greggio,
che avrebbero determinato gli extraprofitti di tutti i soggetti economici
facenti parte del settore petrolifero, la difesa della parte privata ha
osservato come non sia possibile formulare conclusioni scientificamente fondate
sulle dinamiche predette e sulla loro distribuzione all’interno della filiera.
In ogni caso, anche se si immaginasse il verificarsi
di "extra-profitti”, ciò non giustificherebbe alcuna forma di tassazione
integrale e aggiuntiva del reddito di quelle imprese, ma determinerebbe solo
l’esigenza di attuare un congegno impositivo capace di isolare i
"sovra-redditi”, se e quando esistenti, in modo da tassare solo quelli.
Apodittiche e infondate sarebbero poi le ulteriori
affermazioni della difesa dello Stato, in particolare quelle relative alla
pretesa integrazione verticale della filiera.
4.7.– Da ultimo, la società interveniente ha
sottolineato come ulteriori conferme delle ragioni di illegittimità
costituzionale delle disposizioni impugnate possano trarsi dalla sentenza n. 223 del
2012, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale di alcune
disposizioni relative ai redditi da lavoro dipendente, proprio per ragioni di
discriminazione qualitativa dei redditi.
La memoria sottolinea che l’«addizionale» impugnata
potrebbe giustificarsi, alla luce della giurisprudenza costituzionale, solo in
ragione della sua temporaneità, che in questo caso non sussiste. In proposito
vengono richiamati i precedenti della Corte in materia di sovraimposta comunale
sui fabbricati (sentenza
n. 159 del 1985), di prelievo del sei per mille sulle giacenze bancarie (sentenza n. 143 del
1995), di imposta straordinaria sugli immobili (sentenza n. 21 del
1996) e di contributo straordinario per l’Europa (ordinanza n. 341
del 2000). In mancanza di detta temporaneità l’attuale «addizionale»
avrebbe perciò palesato la sua totale illegittimità.
Si è rammentata, poi, la sentenza n. 34 del
1961 su un’addizionale regionale siciliana, rispetto alla quale è stata
ravvisata una ingiustificata discriminazione tra i soggetti passivi di una
medesima imposta erariale, a conferma della possibilità di ravvisare una
discriminazione qualitativa di imposta anche su base soggettiva all’interno di
una stessa imposta.
4.8.– In chiave storica e comparativa, la difesa
della società intervenuta ha nuovamente richiamato le imposte straordinarie sui
redditi di guerra e la Crude Oil Windfall
Profit Tax statunitense, per rimarcarne le differenze
di struttura rispetto all’«addizionale» impugnata.
5.– Con ulteriore memoria depositata in data 23
dicembre 2014, la Scat Punti Vendita Spa, nel
rimarcare come le proprie deduzioni siano rimaste senza pertinenti repliche
dell’Avvocatura dello Stato, ha illustrato come la successiva giurisprudenza
della Corte costituzionale fornisca ulteriori argomenti a sostegno della
dedotta illegittimità costituzionale della disposizione impugnata.
5.1.– In particolare, è stata richiamata la sentenza n. 116 del
2013 relativa al contributo di perequazione imposto ai titolari di
trattamenti pensionistici superiori ai novantamila euro annui. Ritenuta la
natura tributaria del contributo, la Corte ha considerato irragionevole la
deroga al principio di universalità contributiva in tal modo operato,
sottolineando che la eccezionalità della situazione economica non consente di
obliterare il canone di uguaglianza fondante l’ordinamento costituzionale.
Simili principi, ad avviso della società ricorrente, dovrebbero valere a
maggior ragione nel caso della maggiorazione dell’aliquota dell’imposta sul
reddito delle società dalla medesima censurato.
5.2.– È stata poi ricordata la sentenza n. 142 del
2014 con cui è stata dichiarata la illegittimità costituzionale della norma
che deroga, per i compensi corrisposti in ritardo ai giudici tributari, al
principio generale della più favorevole tassazione separata di detti
emolumenti. Anche questa decisione, secondo la società ricorrente, si porrebbe
in continuità con i principi reiteratamente affermati dalla Corte
costituzionale che, a maggior ragione, dovrebbero valere nella specie.
5.3.– Viene poi menzionata la sentenza n. 201 del
2014, relativa all’«addizionale» del 10% sui compensi corrisposti sotto
forma di bonus e stock options ai dirigenti che
operano nel settore finanziario e ai titolari di rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa nel medesimo settore. A questo proposito la difesa
della parte privata ha evidenziato come, in quest’ultima decisione, la Corte
costituzionale abbia ritenuto che solo la presenza di un documentato e
specifico contesto di politica economica e legislativa internazionale, volto a
delimitare la remunerazione del management finanziario per scoraggiare la
ricerca di redditività ad alto rischio, può fornire legittimi motivi al
legislatore nazionale per rimodulare la tassazione tramite addizionali volte a
contenere le dinamiche reddituali di quel settore. Tuttavia, simili motivi non
sussistono in relazione al settore dell’energia. Del resto, la parte privata
rimarca come la stessa Agenzia delle entrate dimostri di distinguere la
struttura di imposizione nei due casi, posto che per il settore dell’energia si
tratta di una maggiorazione dell’aliquota dell’imposta sui redditi delle
società, mentre l’aliquota addizionale sui bonus e le stock options
rappresenta un prelievo d’imposta aggiuntivo, ma autonomo e distinto rispetto
all’imposta sui redditi delle persone fisiche.
5.4.– In ultimo, la società ricorda che, come si
desume dalla relazione al Parlamento presentata nel 2013 dall’Autorità per
l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, non siano noti, o quanto meno
condivisi, i criteri di formazione dei margini di redditività in funzione delle
variazioni di prezzo delle materie prime nel settore dell’energia, a conferma
dell’inesistenza o dell’indimostrabilità del presupposto della maggiorazione
d’aliquota, vale dire gli "extra-profitti” che si realizzerebbero in quel
settore, in realtà soggetto a dinamiche alquanto imprevedibili e variamente
interpretabili, come comprovato dalla recente significativa riduzione del
prezzo del greggio determinato dall’imprevisto aumento dell’offerta da parte del
principale produttore, l’Arabia Saudita.
5.5.– Anche sulla base di tali sopravvenute
emergenze giurisprudenziali e fattuali, la parte privata ha insistito perciò
per la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni
censurate.
1.– La Commissione tributaria provinciale di Reggio
Emilia, con ordinanza emessa il 26 marzo 2011 e depositata in pari data, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e
18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, in
riferimento agli artt. 3, 23, 41, 53, 77 e 117 della Costituzione.
Con le disposizioni impugnate è stato previsto – a
decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre
2007 – un prelievo aggiuntivo, qualificato «addizionale» all’imposta sul
reddito delle società di cui all’art. 75 del decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte
sui redditi) e successive modificazioni, pari al 5,5 per cento, da applicarsi
alle imprese operanti in determinati settori, tra cui la commercializzazione di
benzine, petroli, gas e oli lubrificanti, che abbiano conseguito ricavi
superiori a 25 milioni di euro nel periodo di imposta precedente, ponendo a carico
dei soggetti passivi il divieto di traslazione sui prezzi al consumo e
affidando all’Autorità per l’energia elettrica e il gas (poi divenuta Autorità
per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico) il compito di vigilare e
di presentare al Parlamento, entro il 31 dicembre di ogni anno, una relazione
sugli effetti del tributo.
La questione è stata sollevata nel corso di un
giudizio di impugnazione del silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di
rimborso presentata dalla Scat Punti Vendita Spa di
quanto corrisposto all’ente impositore a titolo di «addizionale» dell’imposta
sui redditi delle società (IRES), dovuta in applicazione delle disposizioni in
esame.
In particolare, la Commissione tributaria
provinciale di Reggio Emilia – facendo proprie e riproducendo testualmente le
censure eccepite dalla difesa della contribuente – lamenta anzitutto la
violazione dell’art. 77 Cost., perché non
sussisterebbero i presupposti di necessità e urgenza richiesti per l’adozione
del decreto-legge.
Sussisterebbe altresì, secondo la rimettente, la
violazione della riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost.,
perché si tratterebbe di prestazione imposta in forza non di una legge, ma di
un decreto-legge.
Parimenti violati sarebbero gli artt. 3 e 53 Cost., perché l’«addizionale» non risulterebbe ancorata ad
un indice di capacità contributiva e determinerebbe una ingiustificata
disparità di trattamento tra le imprese operanti nei settori soggetti
all’«addizionale» e le altre, nonché, nell’ambito delle prime, tra quelle
aventi un volume di ricavi superiore o inferiore a 25 milioni di euro. La
disparità di trattamento contributivo sussisterebbe anche tra produttori e
distributori di greggio, in quanto solo i primi potrebbero legittimamente
traslare su altri soggetti l’onere economico dell’«addizionale», mentre ai soli
distributori si applicherebbe il divieto di traslazione degli oneri sul prezzo
al consumo, previsto dall’impugnato art. 81, comma 18.
L’imposizione violerebbe, inoltre, gli artt. 3 e 41 Cost., perché renderebbe più onerosa l’iniziativa economica
delle imprese operanti nel settore degli idrocarburi e, tra queste, di quelle
distributrici, che, diversamente dalle imprese produttrici, non sarebbero in
grado di effettuare la predetta traslazione dell’onere dell’imposta.
Le disposizioni censurate contravverrebbero, infine,
agli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost.,
perché il suddetto divieto di traslazione, risolvendosi in una fissazione
autoritativa del prezzo, altererebbe la libera concorrenza e, quindi,
limiterebbe illegittimamente l’iniziativa economica privata.
2.– Nel giudizio dinanzi a questa Corte è
intervenuta la Scat Punti Vendita Spa, che ha
presentato memorie a supporto delle censure formulate dal giudice remittente.
L’intervento è pienamente ammissibile, in quanto si
tratta del ricorrente nel procedimento a quo e, quindi, parte anche del
giudizio di legittimità costituzionale (ex plurimis,
sentenze n. 304
del 2011, n.
138 del 2010 e n. 263 del 2009).
3.– Occorre esaminare, in via preliminare, gli
ostacoli all’ammissibilità eccepiti dall’Avvocatura generale dello Stato.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto,
anzitutto, che gli atti siano restituiti al giudice rimettente in
considerazione dello ius superveniens.
La richiesta non può essere accolta.
È pur vero, infatti, che, successivamente
all’ordinanza di rimessione, il legislatore ha modificato l’art. 81, commi 16,
17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, convertito con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008.
Segnatamente ciò è avvenuto: con la legge 23 luglio
2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle
imprese, nonché in materia di energia); con il decreto-legge 13 agosto 2011, n.
138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14
settembre 2011, n. 148; con il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69
(Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98; con il
decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento
di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125.
Si tratta di modifiche con le quali, ferma restando la struttura dell’imposta,
è stata elevata la misura dell’«addizionale» a 6,5 punti percentuali; è stata
ampliata la platea dei soggetti rientranti nel campo di applicazione
dell’imposta, dal momento che il legislatore ha diminuito il volume minimo di
ricavi oltre il quale le società operanti nel settore rientrano fra i soggetti
passivi, portandolo dagli originari 25 milioni a 10 milioni e poi a 3 milioni
di euro; è stata introdotta l’ulteriore soglia del conseguimento di un reddito
superiore a 1 milione di euro, poi abbassata a 300 mila euro; sono stati
limitati i poteri di controllo dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e
il sistema idrico alle sole imprese che integrino i presupposti per l’applicazione
dell’«addizionale».
Orbene, tali modifiche legislative non comportano la
necessità di restituire gli atti al giudice a quo, anzitutto perché l’anno di
imposta a cui si riferisce il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di
rimborso, oggetto del giudizio a quo, è il 2008, di tal che la legge
applicabile risulta quella anteriore alle modifiche intervenute. A ciò si
aggiunga che le modifiche introdotte non rimediano affatto ai profili di
illegittimità dedotti dal rimettente, ma semmai li accentuano, con particolare
riguardo a quelli prospettati in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dal momento che innalzano la percentuale
dell’«addizionale», ampliano l’area dei soggetti tenuti a versarla e
stabilizzano l’imposta senza limiti di tempo, tanto che si deve ritenere che –
come si dirà più avanti – alcune delle censure prospettate dall’ordinanza di
rimessione interessino anche le novelle successive. Non v’è dunque ragione
alcuna di disporre la restituzione degli atti al giudice a quo.
4.– L’Avvocatura generale dello Stato ha poi
eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate per difetto di motivazione
sulla rilevanza e sulle ragioni fondanti le censure, dal momento che il giudice
rimettente si sarebbe limitato a condividere quanto affermato dal ricorrente.
In proposito, deve osservarsi che il giudice a quo,
nell’ordinanza di rimessione, ha descritto accuratamente la fattispecie
sottoposta al suo giudizio e, dopo aver riportato testualmente e per esteso le
ragioni della ricorrente, ha esplicitato che «la Commissione concorda con le
suddette considerazioni e ritiene rilevante, posto che la presenza della
"norma” nell’ordinamento giuridico osta al richiesto rimborso, e non
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della "norma”
secondo i profili dedotti dalla Ricorrente».
Il giudice rimettente non ha motivato l’ordinanza
nella forma del mero rimando alle argomentazioni contenute negli atti di parte,
ma ha riportato le censure eccepite della parte del giudizio a quo, facendole
proprie. Così strutturata, l’ordinanza non risulta affetta da carenza di
motivazione, né vulnera il principio di autosufficienza, che deve considerarsi
rispettato quando, come nella specie, «le argomentazioni a sostegno delle
censure risultano chiaramente dalla stessa ordinanza di rimessione, senza
rinvio ad atti ad essa esterni» (ex plurimis, sentenza n. 143 del
2010). Non si tratta, dunque, di un caso di motivazione per relationem, essendo pienamente ottemperato l’obbligo che
questa Corte ritiene incombere sul rimettente di «rendere espliciti, facendoli
propri, i motivi della non manifesta infondatezza» (ex plurimis,
sentenze n. 7
del 2014, n.
234 del 2011 e n. 143 del 2010;
ordinanze n. 175
del 2013, n.
239 e n. 65
del 2012).
Con riguardo, poi, alla motivazione sulla rilevanza,
è pur vero che il rimettente si è limitato ad osservare che la disposizione
impugnata osta al rimborso, senza specificare se la ricorrente integri gli
ulteriori presupposti d’imposta, all’epoca costituiti solo dal volume dei
ricavi conseguiti. Tuttavia – anche a prescindere da ogni considerazione circa
il fatto che il principio dispositivo, operante anche nel giudizio tributario a
quo, priverebbe di rilievo la circostanza (in quanto non eccepita
dall’interessato) – risulta totalmente implausibile
ritenere che la società abbia pagato un’imposta di significativo ammontare
senza che ne ricorrano i presupposti, determinati dal volume dei ricavi.
Conseguentemente, l’affermazione del rimettente secondo cui solo la
disposizione censurata ostacolerebbe il richiesto rimborso deve ragionevolmente
considerarsi integrare una sufficiente motivazione anche su questo punto.
5.– Nel merito, le questioni sollevate in relazione
agli artt. 77, secondo comma, e 23 Cost., incentrate
sull’illegittimo utilizzo del decreto-legge, non sono fondate.
È pur vero, infatti, che «la preesistenza di una
situazione di fatto comportante la necessità e l’urgenza di provvedere tramite
l’utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge,
costituisce un requisito di validità dell’adozione di tale atto, la cui
mancanza configura un vizio di legittimità costituzionale del medesimo, che non
è sanato dalla legge di conversione» (sentenza n. 93 del
2011).
Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
il sindacato sulla legittimità dell’adozione, da parte del Governo, di un
decreto-legge, va comunque limitato ai casi di «evidente mancanza» dei
presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77,
secondo comma, Cost. o di «manifesta irragionevolezza
o arbitrarietà della relativa valutazione» (ex plurimis,
sentenze n. 22
del 2012, n.
93 del 2011, n.
355 e n. 83
del 2010; n.
128 del 2008; n.
171 del 2007).
Invero, la notoria situazione di emergenza economica
posta a base del censurato d.l. n. 112 del 2008, che
ha ad oggetto «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria», consente di escludere che esso sia stato adottato
in una situazione di evidente mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza;
né dall’ordinanza di remissione si possono ricavare argomentazioni valevoli ad
attestare la manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della valutazione
governativa sulla sussistenza dei presupposti della decretazione d’urgenza.
D’altro canto, le impugnate disposizioni – in quanto hanno introdotto
un’«addizionale» per reperire nuove entrate al fine di fronteggiare la predetta
emergenza e ridistribuire la pressione fiscale – risultano coerenti con le
finalità del provvedimento e con i presupposti costituzionali su cui esso si
fonda.
Quanto alla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., essa deve ritenersi pacificamente soddisfatta anche
da atti aventi forza di legge, come accade in riferimento a tutte le riserve
contenute in altre norme costituzionali, comprese quelle relative ai diritti
fondamentali (ex plurimis, ordinanza n. 134
del 2003, sentenze
n. 282 del 1990, n. 113 del 1972
e n. 26 del 1966)
e salvo quelle che richiedono atti di autorizzazione o di approvazione del Parlamento.
Ciò sia perché i decreti-legge e i decreti
legislativi sono fonti del diritto con efficacia equiparata a quella della
legge parlamentare, sia perché nel relativo procedimento di formazione è
assicurata la partecipazione dell’organo rappresentativo, rispettivamente in
sede di conversione e in sede di delega (oltre che con eventuali pareri, in
fase di attuazione della delega stessa). Ne consegue che il parametro
costituzionale evocato, cui questa Corte deve fare esclusivo riferimento,
risulta adeguatamente rispettato anche quando la disciplina impositiva sia
introdotta con un decreto-legge, purché ciò avvenga, come nella specie, nel
pieno rispetto dei presupposti costituzionalmente previsti.
6.– Fondata, nei limiti di seguito precisati, è la
questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.
6.1.– L’ordinanza muove dalla considerazione che
l’«addizionale» impugnata determina una discriminazione qualitativa dei
redditi, per il fatto che essa si applica solo ad alcuni soggetti economici operanti
nel settore energetico e degli idrocarburi. Detta discriminazione, poi, non
sarebbe supportata da adeguata giustificazione e risulterebbe pertanto
arbitraria. In particolare, sebbene una pluralità di indizi contenuti nel testo
normativo impugnato e nei relativi lavori preparatori suggeriscano che
l’intento del legislatore fosse quello di colpire i "sovra-profitti” conseguiti
da detti soggetti in una data congiuntura economica, in realtà la struttura
della nuova imposta non sarebbe poi coerente con tale ratio giustificatrice.
Profili di irrazionalità rispetto allo scopo
sarebbero ravvisabili nella individuazione della base imponibile, che è
costituita dall’intero reddito anziché dai soli "sovra-profitti”, e nella
durata permanente, anziché contingente, dell’«addizionale», che non appare in
alcun modo circoscritta a uno o più periodi di imposta, né risulta ancorata al
permanere della situazione congiunturale, che tuttavia è addotta come sua
ragione.
Il tenore di tali motivazioni e, in particolare, l’insistenza
sul carattere strutturale e permanente della «addizionale» [rectius:
della maggiorazione della aliquota IRES] inducono la Corte a ritenere che le
censure interessino il citato art. 81, commi 16, 17 e 18, anche nel testo
risultante dalle successive modifiche legislative. Infatti, in virtù di tali
novelle, l’imposta oggetto del presente giudizio, che già in origine era stata
istituita senza limiti di tempo, è stata poi stabilizzata accentuando gli
aspetti della normativa su cui si fondano le doglianze prospettate dalla
ricorrente.
6.2.– La maggiorazione dell’aliquota IRES gravante
su determinati operatori dei settori energetico, petrolifero e del gas, così
come è stata configurata dall’art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, e successive modificazioni, non è
conforme agli artt. 3 e 53 Cost., come costantemente
interpretati dalla giurisprudenza di questa Corte.
Ai sensi dell’art. 53 Cost.,
infatti, la capacità contributiva è il presupposto e il limite del potere
impositivo dello Stato e, al tempo stesso, del dovere del contribuente di
concorrere alle spese pubbliche, dovendosi interpretare detto principio come
specificazione settoriale del più ampio principio di uguaglianza di cui
all’art. 3 Cost. (sentenze n. 258 del
2002, n. 341
del 2000 e n.
155 del 1963).
Vero è che questa Corte ha ripetutamente rimarcato
che «la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con
criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di
imposizione tributaria»; piuttosto essa esige «un indefettibile raccordo con la
capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di
progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario,
del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli
economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei
cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e
sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)» (sentenza n. 341 del
2000, ripresa sul punto dalla sentenza n. 223 del
2012).
Pertanto, secondo gli orientamenti costantemente
seguiti da questa Corte, non ogni modulazione del sistema impositivo per
settori produttivi costituisce violazione del principio di capacità
contributiva e del principio di eguaglianza. Tuttavia, ogni diversificazione
del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti,
deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la
differenziazione degenera in arbitraria discriminazione.
In ordine ai principi di cui agli artt. 3 e 53 Cost., la Corte è, dunque, chiamata a verificare che le
distinzioni operate dal legislatore tributario, anche per settori economici,
non siano irragionevoli o arbitrarie o ingiustificate (sentenza n. 201 del
2014): cosicché in questo ambito il giudizio di legittimità costituzionale
deve vertere «sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia
fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di
verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo
presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità
dell’imposizione» (sentenza n. 111 del
1997; ex plurimis, sentenze n. 116 del
2013 e n.
223 del 2012).
6.3.– Non mancano nell’ordinamento esempi di
legislazione che impongono una più esigente contribuzione tributaria a carico
di alcuni soggetti.
Numerosi sono i casi di temporaneo inasprimento
dell’imposizione – applicabili a determinati settori produttivi o a determinate
tipologie di redditi e cespiti – ritenuti non illegittimi da questa Corte
proprio in forza della loro limitata durata: basti menzionare la sovraimposta
comunale sui fabbricati (sentenza n. 159 del
1985), l’imposta straordinaria immobiliare sul valore dei fabbricati (sentenza n. 21 del
1996), il tributo del sei per mille sui depositi bancari e postali (sentenza n. 143 del
1995), il contributo straordinario per l’Europa (ordinanza n. 341
del 2000).
Neppure mancano casi in cui la differenziazione
tributaria per settori economici o per tipologie di reddito ha assunto
carattere strutturale, superando, ciò nondimeno, il vaglio di questa Corte. Si
può, a titolo esemplificativo, ricordare l’addizionale sulle remunerazioni in
forma di bonus e stock options, ritenuta tutt’altro
che irragionevole, arbitraria o ingiustificata da questa Corte con la sentenza n. 201 del
2014; ovvero la normativa esaminata con la sentenza n. 21 del
2005, in cui la Corte ha giudicato che la previsione di aliquote
dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) differenziate per
settori produttivi e per tipologie di soggetti passivi fosse sorretta da non
irragionevoli motivi di politica economica e redistributiva, individuati
principalmente nell’esigenza di neutralizzare tanto il maggiore impatto del
nuovo tributo sui settori agricolo e della piccola pesca, quanto il minore
impatto del medesimo sui settori bancario, finanziario e assicurativo, i quali,
non ingiustificatamente, sono stati assoggettati ad una maggiore aliquota.
6.4.– Alla luce dei principi affermati nella
giurisprudenza costituzionale – che, come si è visto, non impongono
un’uniformità di tassazione e, tuttavia, vietano le differenziazioni
ingiustificate, arbitrarie, irragionevoli o sproporzionate – è appena il caso
di aggiungere che non si può escludere che le peculiarità del settore
petrolifero si prestino, in linea teorica, a legittimare uno speciale regime
tributario. Come si evince dalle istruttorie e dalle indagini conoscitive
dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, svariati indizi
economici segnalano che si tratta di un ambito caratterizzato da una scarsa
competizione fra le imprese. D’altra parte, lo stampo oligopolistico del
settore, popolato da pochi soggetti che spesso operano in tutte le fasi della
filiera – dalla ricerca, alla coltivazione, fino alla raffinazione del petrolio
e alla distribuzione dei carburanti – unitamente agli elevati costi e alle
difficoltà di realizzazione delle infrastrutture, rende particolarmente arduo
l’ingresso di nuovi concorrenti che intendano operare su vasta scala. Inoltre,
nel settore petrolifero ed energetico, le ordinarie dinamiche di mercato
faticano ad esplicarsi, anche perché l’aumento dei prezzi difficilmente può
essere contrastato da una corrispondente contrazione della domanda che, in
questi ambiti, risulta anelastica. In sintesi, non è del tutto implausibile ritenere che questo settore di mercato possa
essere caratterizzato da una redditività, dovuta a rendite di posizione,
sensibilmente maggiore rispetto ad altri settori, così da poter astrattamente
giustificare, specie in presenza di esigenze finanziarie eccezionali dello
Stato, un trattamento fiscale ad hoc.
6.5.– Tutto ciò premesso, occorre rimarcare che la
possibilità di imposizioni differenziate deve pur sempre ancorarsi a una
adeguata giustificazione obiettiva, la quale deve essere coerentemente,
proporzionalmente e ragionevolmente tradotta nella struttura dell’imposta (sentenze n. 142 del
2014 e n. 21
del 2005).
Nella specie l’art. 81, comma 16, ha previsto, «[i]n
dipendenza dell’andamento dell’economia e dell’impatto sociale dell’aumento dei
prezzi e delle tariffe del settore energetico», una «addizionale» del 5,5 per
cento (poi innalzata al 6,5 per cento) dell’aliquota dell’imposta sul reddito
delle società per chi operi nel predetto settore e abbia conseguito un ricavo
superiore a un determinato ammontare, la cui entità è andata progressivamente
diminuendo, così da allargare in modo significativo il novero degli operatori
assoggettati alla maggiorazione di imposta, secondo una linea di tendenza solo
marginalmente compensata dalla introduzione di altra soglia, questa volta riferita
al reddito imponibile.
I presupposti di fatto, addotti dal legislatore
nell’art. 81, comma 16, per inasprire il carico fiscale delle società del
settore, consistono, da un lato, nella grave crisi economica deflagrata proprio
in quel periodo e nella correlata insostenibilità, specie per le fasce più
deboli, dei prezzi dei prodotti di consumo primario; d’altro lato, nel
contemporaneo eccezionale rialzo del prezzo del greggio al barile, verificatosi
proprio nel medesimo volger di tempo, che, nella prospettiva del legislatore, è
parso idoneo ad incrementare sensibilmente i margini di profitto da parte degli
operatori dei settori interessati e a incentivare condotte di mercato
opportunistiche o speculative.
La complessa congiuntura economica così ricostruita
dal legislatore che vi ha ravvisato spinte contraddittorie, costituite
dall’insostenibilità dei prezzi per gli utenti e dalla eccezionale redditività
dell’attività economica per gli operatori del petrolio, ben potrebbe essere
considerata in astratto, alla luce della richiamata giurisprudenza di questa
Corte, un elemento idoneo a giustificare un prelievo differenziato che colpisca
gli eventuali "sovra-profitti” congiunturali, anche di origine speculativa, del
settore energetico e petrolifero.
Così interpretato, lo scopo perseguito dal
legislatore appare senz’altro legittimo.
Occorre allora verificare se i mezzi approntati
siano idonei e necessari a conseguirlo. Infatti, affinché il sacrificio recato
ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva non sia sproporzionato e
la differenziazione dell’imposta non degradi in arbitraria discriminazione, la
sua struttura deve coerentemente raccordarsi con la relativa ratio
giustificatrice. Se, come nel caso in esame, il presupposto economico che il
legislatore intende colpire è la eccezionale redditività dell’attività svolta
in un settore che presenta caratteristiche privilegiate in un dato momento
congiunturale, tale circostanza dovrebbe necessariamente riflettersi sulla
struttura dell’imposizione.
6.5.1.– Ciò non è avvenuto nella specie, posto che
il legislatore, con l’art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l.
n. 112 del 2008, e successive modificazioni, ha previsto una maggiorazione
d’aliquota di una imposizione, qual è l’IRES, che colpisce l’intero reddito dell’impresa,
mancando del tutto la predisposizione di un meccanismo che consenta di tassare
separatamente e più severamente solo l’eventuale parte di reddito suppletivo
connessa alla posizione privilegiata dell’attività esercitata dal contribuente
al permanere di una data congiuntura.
Infatti, al di là della denominazione di
«addizionale», la predetta imposizione costituisce una "maggiorazione
d’aliquota” dell’IRES, applicabile ai medesimi presupposto e imponibile di
quest’ultima e non, come è avvenuto in altri ordinamenti, come un’imposta sulla
redditività.
6.5.2.– A questa prima incongruenza dell’imposizione
censurata, se ne aggiunge un’altra ancor più grave relativa alla proiezione
temporale dell’«addizionale». Infatti, la richiamata giurisprudenza di questa
Corte è costante nel giustificare temporanei interventi impositivi
differenziati, vòlti a richiedere un particolare contributo solidaristico a
soggetti privilegiati, in circostanze eccezionali.
Orbene, a differenza delle ipotesi appena ricordate,
le disposizioni censurate nascono e permangono nell’ordinamento senza essere
contenute in un arco temporale predeterminato, né il legislatore ha provveduto
a corredarle di strumenti atti a verificare il perdurare della congiuntura
posta a giustificazione della più severa imposizione. Con l’art. 81, commi 16,
17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, e successive
modificazioni, per fronteggiare una congiuntura economica eccezionale si è
invece stabilita una imposizione strutturale, da applicarsi a partire dal
periodo di imposta 2008, senza limiti di tempo.
Si riscontra, pertanto, un conflitto logico interno
alle disposizioni impugnate, le quali, da un lato, intendono ancorare la
maggiorazione di aliquota al permanere di una determinata situazione di fatto
e, dall’altro, configurano un prelievo strutturale destinato ad operare ben
oltre l’orizzonte temporale della peculiare congiuntura.
6.5.3.– Un ulteriore profilo di inadeguatezza e
irragionevolezza è connesso alla inidoneità della manovra tributaria in
giudizio a conseguire le finalità solidaristiche che intende esplicitamente
perseguire.
Uno degli obiettivi dichiarati delle disposizioni
impugnate, infatti, è quello di attenuare «l’impatto sociale dell’aumento dei
prezzi e delle tariffe del settore energetico» (art. 81, comma 16).
Coerentemente con tale finalità, il comma 18 prevede un divieto di traslazione
degli oneri dovuti all’aumento d’aliquota sui prezzi al consumo. In tal modo,
il legislatore ha inteso evitare che l’inasprimento fiscale diretto verso
operatori economici ritenuti avvantaggiati finisca, con un effetto paradossale,
per ricadere sui consumatori, cioè proprio su quei soggetti che avrebbero
dovuto beneficiare della manovra tributaria in esame, improntata a uno spirito
di solidarietà, in chiave redistributiva. Ora il divieto di traslazione degli
oneri sui prezzi al consumo, così come delineato nel comma 18, non è in grado
di evitare che l’«addizionale» sia scaricata a valle, dall’uno all’altro dei
contribuenti che compongono la filiera petrolifera per poi essere, in
definitiva, sopportata dai consumatori sotto forma di maggiorazione dei prezzi.
Senza entrare qui nel merito dei profili di ingiustificata discriminazione
intra-settoriale tra diversi soggetti della "filiera” petrolifera sollevati
nell’ordinanza di rimessione, la disposizione appare irrazionale per inidoneità
a conseguire il suo scopo.
Il divieto di traslazione degli oneri sui prezzi al
consumo risulta difficilmente assoggettabile a controlli efficaci, atti a
garantire che non sia eluso.
Vero è che la disposizione ha affidato alla Autorità
per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico un potere di vigilanza
«sulla puntuale osservanza» del divieto di traslazione. Tuttavia, come è
congegnato nella normativa in questione, tale meccanismo pare difficilmente
attuabile e in ogni caso facilmente vulnerabile, se è vero, come si legge nelle
relazioni della medesima Autorità preposta al controllo, che le analisi svolte
hanno «mostrato che una parte dei soggetti vigilati ha continuato ad attuare
politiche di prezzo tali da costituire una possibile violazione del divieto di
traslazione, comportando comunque uno svantaggio economico per i consumatori
finali» (Relazione al Parlamento n. 18/2013/I/Rht
sull’attività di vigilanza svolta nell’anno 2012 dall’Autorità per l’energia
elettrica, il gas e il sistema idrico). Elementi indiziari tratti dalle
politiche dei prezzi adottati dai soggetti vigilati, «che generano un
incremento dei margini non sufficientemente motivato» (Relazione al Parlamento
sopra citata) alimentano il dubbio che il divieto di traslazione sui prezzi non
sia stato in fatto osservato, né possa essere puntualmente sanzionato a causa
della obiettiva difficoltà di isolare, in un’economia di libero mercato, la
parte di prezzo praticato dovuta a traslazioni dell’imposta. Da qui il
contenzioso amministrativo che ha di fatto paralizzato le iniziative assunte in
tal senso dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico.
6.5.4.– In definitiva, il vizio di irragionevolezza
è evidenziato dalla configurazione del tributo in esame come maggiorazione di
aliquota che si applica all’intero reddito di impresa, anziché ai soli
"sovra-profitti”; dall’assenza di una delimitazione del suo ambito di
applicazione in prospettiva temporale o di meccanismi atti a verificare il
perdurare della congiuntura economica che ne giustifica l’applicazione;
dall’impossibilità di prevedere meccanismi di accertamento idonei a garantire
che gli oneri derivanti dall’incremento di imposta non si traducano in aumenti
del prezzo al consumo.
Per tutti questi motivi, la maggiorazione dell’IRES
applicabile al settore petrolifero e dell’energia, così come configurata
dall’art. 81, commi, 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del
2008, e successive modificazioni, viola gli artt. 3 e 53 Cost.,
sotto il profilo della ragionevolezza e della proporzionalità, per incongruità
dei mezzi approntati dal legislatore rispetto allo scopo, in sé e per sé
legittimo, perseguito.
7.– Nel pronunciare l’illegittimità costituzionale
delle disposizioni impugnate, questa Corte non può non tenere in debita
considerazione l’impatto che una tale pronuncia determina su altri principi
costituzionali, al fine di valutare l’eventuale necessità di una graduazione
degli effetti temporali della propria decisione sui rapporti pendenti.
Il ruolo affidato a questa Corte come custode della
Costituzione nella sua integralità impone di evitare che la dichiarazione di
illegittimità costituzionale di una disposizione di legge determini,
paradossalmente, «effetti ancor più incompatibili con la Costituzione» (sentenza n. 13 del
2004) di quelli che hanno indotto a censurare la disciplina legislativa.
Per evitare che ciò accada, è compito della Corte modulare le proprie
decisioni, anche sotto il profilo temporale, in modo da scongiurare che
l’affermazione di un principio costituzionale determini il sacrificio di un
altro.
Questa Corte ha già chiarito (sentenze n. 49 del
1970, n. 58
del 1967 e n.
127 del 1966) che l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità
costituzionale è (e non può non essere) principio generale valevole nei giudizi
davanti a questa Corte; esso, tuttavia, non è privo di limiti.
Anzitutto è pacifico che l’efficacia delle sentenze
di accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le «situazioni
giuridiche comunque divenute irrevocabili» ovvero i «rapporti esauriti».
Diversamente ne risulterebbe compromessa la certezza dei rapporti giuridici (sentenze n. 49 del
1970, n. 26
del 1969, n.
58 del 1967 e n.
127 del 1966). Pertanto, il principio della retroattività «vale […]
soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli
esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del
1984, ripresa da ultimo dalla sentenza n. 1 del
2014). In questi casi, l’individuazione in concreto del limite alla
retroattività, dipendendo dalla specifica disciplina di settore – relativa, ad
esempio, ai termini di decadenza, prescrizione o inoppugnabilità degli atti
amministrativi – che precluda ogni ulteriore azione o rimedio giurisdizionale,
rientra nell’ambito dell’ordinaria attività interpretativa di competenza del
giudice comune (principio affermato, ex plurimis,
sin dalle sentenze
n. 58 del 1967 e n. 49 del 1970).
Inoltre, come il limite dei «rapporti esauriti» ha
origine nell’esigenza di tutelare il principio della certezza del diritto, così
ulteriori limiti alla retroattività delle decisioni di illegittimità
costituzionale possono derivare dalla necessità di salvaguardare principi o
diritti di rango costituzionale che altrimenti risulterebbero irreparabilmente
sacrificati. In questi casi, la loro individuazione è ascrivibile all’attività
di bilanciamento tra valori di rango costituzionale ed è, quindi, la Corte
costituzionale – e solo essa – ad avere la competenza in proposito.
Una simile graduazione degli effetti temporali delle
dichiarazioni di illegittimità costituzionale deve ritenersi coerente con i
principi della Carta costituzionale: in tal senso questa Corte ha operato anche
in passato, in alcune circostanze sia pure non del tutto sovrapponibili a
quella in esame (sentenze
n. 423 e n.
13 del 2004, n.
370 del 2003, n.
416 del 1992, n.
124 del 1991, n.
50 del 1989, n.
501 e n. 266
del 1988).
Il compito istituzionale affidato a questa Corte
richiede che la Costituzione sia garantita come un tutto unitario, in modo da
assicurare «una tutela sistemica e non frazionata» (sentenza n. 264 del
2012) di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione. «Se così non
fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che
diverrebbe "tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche
costituzionalmente riconosciute e protette»: per questo la Corte opera
normalmente un ragionevole bilanciamento dei valori coinvolti nella normativa
sottoposta al suo esame, dal momento che «[l]a Costituzione italiana, come le
altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un
continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza
pretese di assolutezza per nessuno di essi» (sentenza n. 85 del
2013).
Sono proprio le esigenze dettate dal ragionevole
bilanciamento tra i diritti e i principi coinvolti a determinare la scelta
della tecnica decisoria usata dalla Corte: così come la decisione di
illegittimità costituzionale può essere circoscritta solo ad alcuni aspetti
della disposizione sottoposta a giudizio – come avviene ad esempio nelle
pronunce manipolative – similmente la modulazione dell’intervento della Corte
può riguardare la dimensione temporale della normativa impugnata, limitando gli
effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale sul piano del tempo.
Del resto, la comparazione con altre Corti
costituzionali europee – quali ad esempio quelle austriaca, tedesca, spagnola e
portoghese – mostra che il contenimento degli effetti retroattivi delle
decisioni di illegittimità costituzionale rappresenta una prassi diffusa, anche
nei giudizi in via incidentale, indipendentemente dal fatto che la Costituzione
o il legislatore abbiano esplicitamente conferito tali poteri al giudice delle
leggi.
Una simile regolazione degli effetti temporali deve
ritenersi consentita anche nel sistema italiano di giustizia costituzionale.
Essa non risulta inconciliabile con il rispetto del
requisito della rilevanza, proprio del giudizio incidentale (sentenza n. 50 del
1989). Va ricordato in proposito che tale requisito opera soltanto nei
confronti del giudice a quo ai fini della prospettabilità
della questione, ma non anche nei confronti della Corte ad quem
al fine della decisione sulla medesima. In questa chiave, si spiega come mai,
di norma, la Corte costituzionale svolga un controllo di mera plausibilità
sulla motivazione contenuta, in punto di rilevanza, nell’ordinanza di
rimessione, comunque effettuato con esclusivo riferimento al momento e al modo
in cui la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata. In questa
prospettiva si spiega, ad esempio, quell’orientamento giurisprudenziale che ha
riconosciuto la sindacabilità costituzionale delle norme penali di favore anche
nelle ipotesi in cui la pronuncia di accoglimento si rifletta soltanto «sullo
schema argomentativo della sentenza penale assolutoria, modificandone la ratio
decidendi […], pur fermi restando i pratici
effetti di essa» (sentenza
n. 148 del 1983, ripresa sul punto dalla sentenza n. 28 del
2010).
Né si può dimenticare che, in virtù della
declaratoria di illegittimità costituzionale, gli interessi della parte
ricorrente trovano comunque una parziale soddisfazione nella rimozione, sia
pure solo pro futuro, della disposizione costituzionalmente illegittima.
Naturalmente, considerato il principio generale
della retroattività risultante dagli artt. 136 Cost.
e 30 della legge n. 87 del 1953, gli interventi di questa Corte che regolano
gli effetti temporali della decisione devono essere vagliati alla luce del
principio di stretta proporzionalità. Essi debbono, pertanto, essere
rigorosamente subordinati alla sussistenza di due chiari presupposti:
l’impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i quali,
altrimenti, risulterebbero irrimediabilmente compromessi da una decisione di
mero accoglimento e la circostanza che la compressione degli effetti
retroattivi sia limitata a quanto strettamente necessario per assicurare il
contemperamento dei valori in gioco.
8.– Ciò chiarito in ordine al potere della Corte di
regolare gli effetti delle proprie decisioni e ai relativi limiti, deve
osservarsi che, nella specie, l’applicazione retroattiva della presente
declaratoria di illegittimità costituzionale determinerebbe anzitutto una grave
violazione dell’equilibro di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost.
Come questa Corte ha affermato già con la sentenza n. 260 del
1990, tale principio esige una gradualità nell’attuazione dei valori
costituzionali che imponga rilevanti oneri a carico del bilancio statale. Ciò
vale a fortiori dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale 20 aprile
2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta
costituzionale), che ha riaffermato il necessario rispetto dei principi di
equilibrio del bilancio e di sostenibilità del debito pubblico (sentenza n. 88 del
2014).
L’impatto macroeconomico delle restituzioni dei
versamenti tributari connesse alla dichiarazione di illegittimità
costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l.
n. 112 del 2008, e successive modificazioni, determinerebbe, infatti, uno
squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di
una manovra finanziaria aggiuntiva, anche per non venire meno al rispetto dei
parametri cui l’Italia si è obbligata in sede di Unione europea e
internazionale (artt. 11 e 117, primo comma, Cost.)
e, in particolare, delle previsioni annuali e pluriennali indicate nelle leggi
di stabilità in cui tale entrata è stata considerata a regime.
Pertanto, le conseguenze complessive della rimozione
con effetto retroattivo della normativa impugnata finirebbero per richiedere,
in un periodo di perdurante crisi economica e finanziaria che pesa sulle fasce
più deboli, una irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio di quegli
operatori economici che possono avere invece beneficiato di una congiuntura
favorevole. Si determinerebbe così un irrimediabile pregiudizio delle esigenze
di solidarietà sociale con grave violazione degli artt. 2 e 3 Cost.
Inoltre, l’indebito vantaggio che alcuni operatori
economici del settore potrebbero conseguire – in ragione dell’applicazione
retroattiva della decisione della Corte in una situazione caratterizzata dalla
impossibilità di distinguere ed esonerare dalla restituzione coloro che hanno traslato
gli oneri – determinerebbe una ulteriore irragionevole disparità di
trattamento, questa volta tra i diversi soggetti che operano nell’ambito dello
stesso settore petrolifero, con conseguente pregiudizio anche degli artt. 3 e
53 Cost.
La cessazione degli effetti delle norme dichiarate
illegittime dal solo giorno della pubblicazione della presente decisione nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica risulta, quindi, costituzionalmente
necessaria allo scopo di contemperare tutti i principi e i diritti in gioco, in
modo da impedire «alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di
alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri […] garantendo il rispetto dei
principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante,
occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori
costituzionali» (sentenza
n. 264 del 2012). Essa consente, inoltre, al legislatore di provvedere
tempestivamente al fine di rispettare il vincolo costituzionale dell’equilibrio
di bilancio, anche in senso dinamico (sentenze n. 40 del
2014, n. 266
del 2013, n.
250 del 2013, n.
213 del 2008, n.
384 del 1991 e n. 1 del 1966),
e gli obblighi comunitari e internazionali connessi, ciò anche eventualmente
rimediando ai rilevati vizi della disciplina tributaria in esame.
In conclusione, gli effetti della dichiarazione di
illegittimità costituzionale di cui sopra devono, nella specie e per le ragioni
di stretta necessità sopra esposte, decorrere dal giorno successivo alla
pubblicazione della presente decisione nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica.
9.– Devono considerarsi assorbite le ulteriori
questioni di legittimità costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e 18, del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, a decorrere
dal giorno successivo alla pubblicazione di questa sentenza nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il [9 febbraio
2015: data sostituita dalla seguente: 13 gennaio 2015, con ordinanza correttiva n. 69 del 2015]
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’11 febbraio 2015.