SENTENZA N.
133
ANNO 2016
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge
24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza
amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114,
promossi dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia con ordinanza
del 20 novembre 2014, dal Tribunale amministrativo regionale
dell’Emilia-Romagna con ordinanza del 27 novembre 2014, dal Consiglio di Stato
con ordinanza del 29 aprile 2015 e dal Tribunale amministrativo regionale del
Lazio con ordinanza del 17 novembre 2015, rispettivamente iscritte ai nn. 30, 61 e 144
del registro ordinanze 2015 e al n. 19
del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 11, 16 e 33, prima serie speciale,
dell’anno 2015 e n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti
gli atti di costituzione di S.P., M.A. e M.S., nonché gli atti di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 aprile 2016 il Giudice
relatore Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati Cecilia Martelli per S. P. e per M.S.,
Mario Sanino per M.A. e gli avvocati dello Stato
Gianni De Bellis e Ruggero Di Martino per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale amministrativo
regionale della Lombardia, sezione terza, con ordinanza del 20 novembre 2014 (r.o. n. 30 del 2015), il Tribunale amministrativo regionale
per l’Emilia-Romagna, sezione prima, con ordinanza del 27 novembre 2014 (r.o. n. 61 del 2015), il Consiglio di Stato, sezione prima,
con ordinanza del 29 aprile 2015 (r.o. n. 144 del
2015) e il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima, con
ordinanza del 17 novembre 2015 (r.o. n. 19 del 2016),
hanno sollevato, in via incidentale, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure
urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per
l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114, in riferimento agli artt. 3, sotto il profilo della irragionevolezza
e sotto il profilo, rispettivamente, della irragionevole disparità
di trattamento di fattispecie eguali e dell’irragionevole eguaglianza di
trattamento di fattispecie diverse, 33, sesto comma, 77, secondo comma, 81, terzo comma, 97, primo e secondo
comma, e 117,
primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 1, 2 e 6,
paragrafo 1, della direttiva
27 novembre 2000, n. 2000/78/CE (Direttiva del Consiglio che stabilisce un
quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di
condizioni di lavoro).
2.– Il Tribunale amministrativo
regionale della Lombardia, sezione terza, espone di dover decidere sulla
legittimità del provvedimento, con cui il Consiglio di amministrazione
dell’Università degli studi di Milano ha respinto la richiesta del ricorrente
di rimanere in servizio per un ulteriore biennio, a decorrere dal 1° novembre
2014, nonché del decreto del Rettore del 4 dicembre 2013, n. 15813, che ha
disposto il collocamento a riposo del ricorrente a partire dal 1° novembre
2014, e di tutti gli atti presupposti e consequenziali e comunque connessi. Il
TAR lombardo ritiene di dover fare applicazione dell’art. 1, comma 1, del d.l.
n. 90 del 2014, che, eliminando in radice l’istituto del trattenimento in
servizio, compromette la stessa possibilità giuridica dell’azione: la mancanza
della norma che istituisce e qualifica la posizione giuridica soggettiva
farebbe venire meno in radice ogni parametro giuridico per la decisione del
merito.
Tanto premesso il TAR Lombardia dubita
della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 90 del 2014,
nella parte in cui abolisce l’istituto del trattenimento in servizio, anche per
i docenti e i ricercatori universitari, anzitutto per violazione dell’art. 77,
secondo comma, Cost. Il preambolo del d.l. n. 90 del 2014, che peraltro
contiene disposizioni eterogenee, prive di ogni attinenza con la materia
disciplinata, non darebbe conto dei presupposti di necessità e di urgenza che
imponevano l’adozione della disciplina impugnata con lo strumento del
decreto-legge, soprattutto in considerazione del breve arco temporale trascorso
dalla sentenza
n. 83 del 2013 della Corte costituzionale, che è intervenuta sul
trattenimento in servizio dei docenti universitari.
Sarebbe, poi, violato anche l’art. 3
Cost. in quanto la disposizione censurata detterebbe una disciplina
irragionevole e lesiva dell’affidamento dei consociati nella sicurezza
giuridica. L’esigenza di attuare il ricambio generazionale non sarebbe,
infatti, idonea a giustificare una disciplina che preclude all’amministrazione
la valutazione discrezionale dei presupposti del trattenimento in servizio,
anche in relazione alle proprie esigenze organizzative e funzionali, e che
vanifica il legittimo affidamento riposto dai dipendenti pubblici nel protrarsi
della permanenza in servizio a causa dell’eliminazione improvvisa e arbitraria
dell’istituto del trattenimento.
La disciplina impugnata lederebbe,
inoltre, il principio di autonomia delle università, in contrasto con l’art.
33, sesto comma, Cost.
Infine, il TAR Lombardia censura l’art.
1, comma 1, per violazione dell’art. 97 Cost. L’esigenza di attuare il ricambio
generazionale non risulterebbe bilanciata con quella, riconducibile al buon
andamento dell’amministrazione, di mantenere in servizio, peraltro per un arco
di tempo limitato, docenti in grado di dare un positivo contributo per la
particolare esperienza acquisita, secondo le enunciazioni di principio della
citata sentenza
n. 83 del 2013 della Corte costituzionale.
2.1.– Nel giudizio si è costituito il
ricorrente del giudizio principale, che si è associato alle argomentazioni
prospettate nell’ordinanza di rimessione.
La parte ricorda che l’art. 1, comma 2,
del d.l. n. 90 del 2014 salvaguarda soltanto fino al 31 ottobre 2014 o fino
alla loro scadenza, se prevista in data anteriore, i trattenimenti in servizio
già disposti al momento dell’entrata in vigore del decreto-legge (25 giugno
2014) e dispone la revoca dei trattenimenti in servizio già disposti, ma non
ancora efficaci al momento dell’entrata in vigore del decreto-legge.
La disciplina, recata dal decreto-legge,
contravverrebbe ai principi di affidamento, di sicurezza giuridica e di
certezza del diritto, tutelati anche dalle fonti comunitarie: invero,
l’abrogazione delle disposizioni del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori
privati e pubblici, a norma dell’articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n.
421) sarebbe avvenuta in maniera improvvisa e arbitraria, senza tenere nel
debito conto l’affidamento legittimo di chi aveva già presentato la domanda di
permanenza in servizio.
Il legislatore avrebbe dovuto prevedere
una transizione graduale dalla pregressa disciplina a quella nuova, senza
frustrare le aspettative legittimamente maturate dagli interessati.
La scelta legislativa di attuare il
ricambio generazionale sarebbe «sbilanciata e sproporzionata», in quanto non
terrebbe conto in maniera adeguata delle ripercussioni negative sul buon
andamento della pubblica amministrazione e sulla tutela dell’autonomia
universitaria e si tradurrebbe in una disciplina irragionevole, sfornita di una
valida ragione giustificatrice.
Ad inficiare la legittimità della normativa
censurata, concorrerebbe anche la carenza dei presupposti di straordinarietà,
necessità e urgenza (art. 77, secondo comma, Cost.): la disciplina del
trattenimento in servizio sarebbe, infatti, eterogenea rispetto alle materie
regolate dal decreto-legge (semplificazione amministrativa, trasparenza e
correttezza nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici,
semplificazione del procedimento amministrativo e del processo civile).
2.2.– Nel giudizio è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, e ha concluso per la declaratoria di manifesta
infondatezza della questione sollevata dal TAR Lombardia.
La disciplina, introdotta nel 2014, si
riprometterebbe non solo di favorire il ricambio generazionale nelle pubbliche
amministrazioni, ma anche di ottenere risparmi di spesa, apprestando il
necessario sostegno all’occupazione. A fronte di rapporti di durata, che
possono essere modificati in senso sfavorevole nel rispetto del canone di
ragionevolezza, non potrebbe reputarsi leso alcun affidamento legittimo. La
scelta normativa, a dire della difesa statale, è stata attuata in maniera
ragionevole, contemperando l’esigenza di assicurare l’avvicendamento del
personale e l’equilibrio tra le entrate e le spese (art. 81 Cost.) con
l’esigenza di tutelare i diritti fondamentali dei dipendenti pubblici, che
beneficiano di un congruo periodo di transizione.
La difesa statale non ravvisa alcuna
lesione dell’autonomia universitaria: il legislatore, difatti, nel perseguire
interessi e finalità di rilievo costituzionale ben potrebbe imporre vincoli e
limiti all’esercizio di tale autonomia.
Non sussisterebbe infine alcuna
violazione dell’art. 77 Cost.: i requisiti di necessità e di urgenza sarebbero
confermati anche dall’impellente esigenza, tratteggiata nella relazione
illustrativa del disegno di legge, di «favorire il ricambio generazionale, in
un momento di crisi del sistema economico nel suo complesso e di blocco delle
assunzioni».
3.– Il Tribunale amministrativo
regionale dell’Emilia-Romagna premette di essere stato adito da un avvocato
dello Stato dell’Avvocatura distrettuale di Bologna, per ottenere
l’annullamento del provvedimento di collocamento a riposo anticipato, adottato
dal Presidente del Consiglio dei ministri in attuazione della legge 11 agosto
2014, n. 114, che aveva ridotto il trattenimento in servizio dal 31 dicembre
2015 (data originariamente prevista dal d.l. n. 90 del 2014, prima della
conversione) al 31 ottobre 2014. Il rimettente precisa, altresì, che il
trattenimento in servizio del ricorrente era stato originariamente disposto con
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 dicembre 2012, n. 8433,
fino al 21 aprile 2018, data di compimento del 75° anno di età, in forza
dell’art. 16, comma 1-bis, del d.lgs. n. 503 del 1992, come successivamente
modificato.
Il TAR rileva, inoltre, di aver accolto
l’istanza di sospensione cautelare del provvedimento, con ordinanza n. 527 del
2014, adottata nella medesima camera di consiglio nella quale ha sollevato la
questione di legittimità costituzionale.
In punto di rilevanza, il rimettente ne
argomenta la sussistenza segnalando che l’art. 1, comma 2, del d.l. n. 90 del
2014, come convertito, è l’unica norma richiamata ed applicata con il
provvedimento impugnato, cosicché l’eventuale dichiarazione di illegittimità
costituzionale della medesima determinerebbe l’illegittimità del provvedimento
e avrebbe l’effetto di rimuovere l’ostacolo normativo al perdurare degli
effetti del già disposto trattenimento in servizio. La natura cautelare del
giudizio nel quale la questione di legittimità costituzionale è sollevata non
influirebbe negativamente sulla rilevanza della medesima, dato che la potestas iudicandi del giudice a
quo non deve ritenersi esaurita allorquando la concessione della misura
cautelare sia fondata, quanto al fumus boni iuris, sulla non manifesta
infondatezza della questione stessa.
Nel merito, il TAR Emilia-Romagna dubita
della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 90 del 2014,
come convertito, «nella parte in cui riduce soltanto fino al 31 ottobre 2014,
per gli avvocati dello Stato, il trattenimento in servizio già disposto con
formale provvedimento», in primo luogo per violazione dell’art. 97 Cost. La
scelta operata dal legislatore con la norma censurata sarebbe sbilanciata e
sproporzionata, perché, senza che sia possibile effettuare alcun ricambio
generazionale, non si farebbe carico delle ripercussioni negative che
potrebbero derivarne sul principio di buon andamento della pubblica
amministrazione. La drastica riduzione del periodo di permanenza in servizio,
fino al 31 ottobre 2014, avvenuta in agosto e solo in sede di conversione del
d.l. n. 90 del 2014, non avrebbe consentito neanche di avviare la procedura
concorsuale di reclutamento dei nuovi avvocati dello Stato, per i tempi tecnici
amministrativi necessari.
L’art. 1, comma 2, violerebbe, inoltre,
il principio del legittimo affidamento sotto il profilo del difetto di
ragionevolezza e della lesione del principio di eguaglianza, ponendosi in
contrasto con l’art. 3 Cost. L’affidamento in un congruo termine del periodo di
trattenimento in servizio, già consolidatosi con i provvedimenti di permanenza
in servizio e garantito fino al 31 dicembre 2015 anche nell’ambito della nuova
disciplina di cui al d.l. n. 90 del 2014, sarebbe stato totalmente frustrato
dal collocamento a riposo a decorrere dal 31 ottobre 2014, disposto soltanto
nel mese di agosto in sede di conversione del predetto decreto-legge ad opera
della legge 11 agosto 2014, n. 114.
L’art. 3 Cost. sarebbe, inoltre, violato
per disparità di trattamento, in relazione al regime stabilito dal comma 3 del
medesimo art. 1 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, con riguardo al
trattenimento in servizio dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e
militari, in possesso dei requisiti di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 503 del
1992, alla data di entrata in vigore del predetto d.l. n. 90 del 2014,
garantito fino alla data del 31 dicembre 2015.
Esso, infine, colliderebbe anche con
l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 1, 2 e 6, paragrafo 1,
della direttiva n. 2000/78/CE, come interpretati dalla Corte di giustizia nella
sentenza
6 novembre 2012, in causa C-286/12, Commissione contro Ungheria. Infatti,
la drastica riduzione della permanenza in servizio, con un preavviso di poco
più di due mesi, sarebbe lesiva del principio di proporzionalità e
dell’affidamento che il dipendente ripone nell’efficacia dei provvedimenti
amministrativi già adottati nei suoi confronti.
3.1.– Nel giudizio dinanzi alla Corte
costituzionale si è costituito il ricorrente nel giudizio principale, chiedendo
che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del
d.l. n. 90 del 2014, come convertito, «nella parte in cui riduce soltanto fino
al 31.10.2014 per gli avvocati dello Stato il trattenimento in servizio degli
stessi già disposto con formale provvedimento».
Il ricorrente nel giudizio principale
sostiene che la norma censurata, in applicazione della quale egli avrebbe
subìto «una sorta di licenziamento con preavviso minimo», contrasti con il
valore costituzionale del legittimo affidamento e della sicurezza giuridica, in
assenza di dimostrate e specifiche esigenze pubbliche atte a giustificare una
simile lesione.
Nella specie, infatti, il preteso
risparmio di spesa conseguente all’introduzione della normativa denunciata
sarebbe inesistente, dovendosi valutare il predetto risparmio nella prospettiva
della finanza pubblica allargata. In tale prospettiva emergerebbe che
l’operazione di ricambio generazionale realizzata con l’avvio del trattamento
di quiescenza e l’avvio di nuove assunzioni, lungi dal realizzare un risparmio,
determinerebbe un aumento della spesa, dovendosi versare all’avvocato in uscita
una pensione equivalente allo stipendio ed in aggiunta pagare all’avvocato in
entrata giovane il nuovo stipendio.
A ciò si aggiungerebbe la considerazione
dell’intima contraddittorietà di una normativa di bilancio recante due manovre
dagli effetti opposti: da un lato, "licenziare” prima del previsto magistrati
ed avvocati dello Stato ex d.l. n. 90 del 2014; dall’altro, trattenere in
servizio gli impiegati pubblici, allungandone la vita lavorativa, con
l’evidente conseguenza di pagare stipendi accresciuti da notevole anzianità.
Il ricambio generazionale non
costituirebbe un’idonea giustificazione, considerato che non rappresenterebbe
un valore costituzionale tale da consentire di sacrificare il legittimo
affidamento e la sicurezza giuridica. Esso non sarebbe comunque impedito dalla
permanenza in servizio di pochi avvocati dello Stato, quanto piuttosto dalla
vigente normativa sul blocco delle assunzioni.
Quanto, poi, alla dedotta disparità di
trattamento con i magistrati, senza ragionevole giustificazione, il ricorrente
nel giudizio principale ne argomenta la fondatezza richiamando all’attenzione
la circostanza che essa si pone in contrasto con il vigente sistema normativo
contraddistinto dalla equiparazione degli avvocati dello Stato ai magistrati,
come confermato dal recente decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure
urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri
interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile),
convertito, con modificazioni, dall’art 1 comma 1 della legge 10 novembre 2014,
n. 162, che ha contestualmente provveduto a ridurre le ferie dei magistrati e
degli avvocati dello Stato (art. 16) in una prospettiva di accelerazione del
servizio giustizia.
Quanto, infine, alla censura di
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 1, 2 e 6,
paragrafo 1, della direttiva n. 2000/78/CE del Consiglio, come interpretati
dalla Corte di giustizia nella sentenza
6 novembre 2012, in causa C-286/12, Commissione contro Ungheria, la difesa
della parte privata ne conferma la fondatezza, ravvisando nella normativa
denunciata una disparità di trattamento direttamente fondata sull’età. Anche in
tal caso, come in quello oggetto della richiamata decisione della Corte di
giustizia, tale discriminazione si determinerebbe per effetto della riduzione
del limite di età precedentemente previsto per il collocamento a riposo, in
danno degli avvocati dello Stato ultrasettantenni destinatari di uno specifico
provvedimento di collocamento a riposo al compimento del 75° anno di età.
3.2.– È intervenuto nel giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 90
del 2014, come convertito.
La difesa statale premette che
l’istituto del trattenimento in servizio, introdotto dall’art. 16 del d.lgs. n.
503 del 1992, si è posto come eccezione o regime derogatorio rispetto
all’ordinario limite di età per la permanenza in servizio nell’ambito
dell’impiego pubblico. Sulla richiamata previsione, già profondamente
modificata da successivi interventi normativi, ha inciso l’art. 1 del d.l. n.
90 del 2014, che, al comma 1, ha abrogato tutte le disposizioni inerenti al
trattenimento in servizio, mentre al comma 2 ha inserito una disposizione
transitoria, volta a far salvi fino al 31 ottobre 2014 i trattenimenti in
servizio in essere alla data dell’entrata in vigore del medesimo decreto-legge e
a prevedere la revoca di quelli disposti ma non ancora efficaci alla medesima
data, consentendo la proroga fino al 31 dicembre 2015 dei trattenimenti in
servizio, anche ove non ancora disposti, dei soli magistrati, al fine di
salvaguardare la funzionalità degli uffici giudiziari.
Secondo la difesa statale una simile
disciplina sarebbe volta a realizzare sia il ricambio generazionale, sia il
risparmio nella spesa e il sostegno all’occupazione, nel corso di una grave
crisi economica internazionale. La cessazione dal servizio del personale di età
elevata consentirebbe di conseguire notevoli risparmi di spesa, tenuto conto
che a tale personale spetta un trattamento economico molto più elevato rispetto
a quello dei nuovi assunti e che libererebbe posti nelle dotazioni organiche e
risorse da destinare a nuove assunzioni. La ragionevolezza della scelta
normativa troverebbe conferma nella progressività dell’intervento, assicurata
dalla previsione di un congruo periodo transitorio per tutti i dipendenti
pubblici e di un maggior periodo di proroga per i magistrati, in considerazione
delle loro specifiche funzioni.
Neanche la censura inerente alla
violazione dell’art. 3 Cost. per irragionevole disparità di trattamento degli
avvocati dello Stato rispetto ai magistrati sarebbe fondata, non essendo
possibile invocare una completa assimilazione tra la funzione della
magistratura e quella dell’avvocatura dello Stato.
Del pari infondata sarebbe la censura di
violazione dell’art. 97 Cost., in quanto la norma censurata non avrebbe
intaccato l’organizzazione degli uffici, né il principio di buona
amministrazione, da valutare con riguardo all’amministrazione complessivamente
intesa, non con riguardo a sue singole componenti.
Infine, la difesa statale ritiene che
sia priva di fondamento anche la dedotta violazione dell’art. 117, primo comma,
Cost., in relazione agli artt. 1, 2 e 6, paragrafo 1, della direttiva n.
2000/78/CE. Non sarebbe stata, infatti, operata dalla norma censurata alcuna
discriminazione, essendo essa rivolta a tutto il personale in servizio presso
le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) e non soltanto agli avvocati
dello Stato. Neppure sarebbe pertinente il richiamo alla sentenza
della Corte di giustizia 6 novembre 2012, in causa C-286/12, Commissione contro
Ungheria. Nel caso di specie, la norma censurata non inciderebbe sui limiti
dell’età pensionabile, ma sopprimerebbe una facoltà di proroga da considerare
eccezione alla regola, in tema di limiti di età pensionabile, che spetta al
legislatore prevedere e che si caratterizzava quale ipotesi sempre più
eccezionale, soprattutto dopo le modifiche normative degli ultimi anni,
ispirate alla necessità di contenimento della spesa pubblica.
4.– Il Consiglio di Stato premette di
essere stato adito in sede consultiva nell’ambito del ricorso straordinario al
Presidente della Repubblica proposto da un avvocato dello Stato nei confronti
della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministro per la
semplificazione e la pubblica amministrazione e dell’Avvocatura dello Stato
avverso il provvedimento di collocamento a riposo a decorrere dal 15 marzo 2015
e la connessa comunicazione di insuscettibilità di
valutazione della sua domanda di trattenimento in servizio fino al 75° anno di
età per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 1 del d.l. n. 90 del 2014,
come modificato dalla legge di conversione n. 114 del 2014.
La prima sezione del Consiglio di Stato,
con parere interinale reso in sede cautelare, sospesa l’efficacia dei
provvedimenti impugnati, chiedeva all’Amministrazione competente di provvedere
sulla domanda di trattenimento in servizio del ricorrente in base al regime precedente
all’entrata in vigore della normativa di cui all’art. 1 del d.l. n. 90 del 2014
e della relativa legge di conversione. La medesima sezione ritiene che la
questione di legittimità costituzionale del citato art. 1, commi 1, 2 e 3, del
d.l. n. 90 del 2014, come modificato dalla legge n. 114 del 2014, nella parte
in cui ha abrogato l’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992, sia rilevante e non
manifestamente infondata.
In punto di rilevanza, la sezione
ritiene che la questione sollevata nel corso della fase cautelare del
procedimento per ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 13, primo comma,
terzo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n.
1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi),
inserito dall’art. 69, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in
materia di processo civile), sia rilevante ai fini dell’emissione del parere.
Infatti, i provvedimenti impugnati sono espressamente fondati sulle
disposizioni di cui all’art. 1, commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 90 del 2014, come
convertito, disposizioni che rilevano nella parte in cui hanno abrogato la
previsione della facoltà dell’Amministrazione di trattenere in servizio i
dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici (comma 1) e,
in via subordinata, hanno disciplinato i trattenimenti in servizio degli
avvocati dello Stato nell’ambito della generalità dei dipendenti e non
nell’ambito delle categorie di personale di cui all’art. 1 della legge 19
febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura), (comma 3).
Nel merito, il Consiglio di Stato
solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 2 e 3, del
d.l. n. 90 del 2014, come convertito, nella parte in cui, abrogando l’art. 16
del d.lgs. n. 503 del 1992, dispone al 31 ottobre 2014 la cessazione dal
trattenimento in servizio oltre il limite di età degli avvocati dello Stato e,
subordinatamente, non fissa la data di cessazione del trattenimento in servizio
per gli avvocati dello Stato al 31 dicembre 2015, anzitutto per violazione
dell’art. 81, terzo comma, Cost.
L’introduzione delle disposizioni di cui
all’art. 1 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, che hanno stabilito
l’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio e, con le modifiche
apportate in sede di conversione, hanno ampliato il novero dei dipendenti
pubblici cui si applica la specifica disciplina, non sarebbe stata corredata dalla
realizzazione di tutti gli adempimenti necessari a garantire l’esatta
quantificazione e la credibile copertura degli oneri finanziari da esse
derivanti.
La norma denunciata, infatti, nel
disporre l’eliminazione dell’istituto del trattenimento in servizio,
comporterebbe maggiori spese per l’anticipo dell’erogazione della pensione e
dei trattamenti di fine servizio, rispetto a quelle originariamente calcolate
dal Governo e riportate al comma 6 del medesimo art. 1. Quest’ultima
disposizione, nonostante le modificazioni introdotte dalla legge di conversione
abbiano significativamente ampliato le categorie di dipendenti pubblici cui si
applica la specifica disciplina, con conseguente aumento delle spese, non ha
subìto modificazioni, in tal modo violando l’obbligo di copertura delle spese.
L’introduzione delle disposizioni di cui
all’art. 1 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, pur attenendo alla materia
pensionistica e del pubblico impiego, non sarebbe stata corredata dalla
realizzazione di tutti gli adempimenti prescritti dall’art. 17, comma 3, della
legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), come
risulterebbe confermato dalla Nota di lettura n. 57, redatta dal Servizio del
bilancio del Senato, dedicata appunto all’impugnato art. 1. In quest’ultima si
segnalava che: la quantificazione della "maggiore spesa” derivante
dall’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio non era stata
aggiornata al 2014 e non teneva quindi conto dell’effettivo numero dei soggetti
coinvolti dalle nuove disposizioni; le previsioni di spesa riferite nel
prospetto allegato alla relazione tecnica governativa e poi riprodotte nel
comma 6 dell’art. 1 riguardavano solo il quinquennio 2014-2018, nonostante si
riconoscesse che gli oneri in questione sussistevano anche per gli anni
successivi, sicché non risultava assolto l’obbligo di indicare le proiezioni
finanziarie, almeno decennali. Erroneamente si indicava che l’anticipazione
della cessazione dal servizio del personale della scuola alla data del 31
agosto 2014 non avrebbe avuto alcun effetto finanziario; la tesi della
"neutralità” finanziaria delle modifiche riguardanti gli avvocati dello Stato,
che secondo il Governo sarebbe stata compensata dal differimento al 31 dicembre
2015 del collocamento a riposo dei magistrati i cui provvedimenti di
mantenimento in servizio non si erano ancora perfezionati, non era sostenuta da
elementi di supporto. Si denunciava, altresì, il mancato computo delle
ulteriori spese derivanti dall’anticipazione al 31 ottobre 2014 della
cessazione della disciplina per i richiami, di cui agli artt. 992 e 993 del
decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare);
l’assenza di qualsiasi indicazione di copertura finanziaria, dopo la
riscrittura del comma 5 dell’art. 1 che disciplina la facoltà di risoluzione
anticipata del rapporto di lavoro o del contratto individuale anche del
personale dirigenziale.
Il raffronto tra i costi
dell’eliminazione del trattenimento in servizio e i risparmi da destinare alle
assunzioni rivelerebbe, inoltre, il contrasto della richiamata disciplina con
il criterio di economicità che, ai sensi dell’art. 97, primo comma, Cost.
costituisce un vincolo ineludibile alla capacità e alla condizione della spesa
delle amministrazioni pubbliche, i cui esborsi non possono eccedere le risorse
effettivamente disponibili. In particolare, la tabella riportata nella parte
della Nota di lettura n. 57 del Servizio del bilancio del Senato relativa
all’art. 1 del d.l. n. 90 del 2014, evidenzierebbe che, nel raffronto fra
maggiori costi per pensioni e per trattamento di fine servizio e risparmi per
spese correnti stipendiali conseguenti all’abrogazione del trattenimento in
servizio, emergerebbero non già "risparmi da cessazione” che possano liberare
somme spendibili per nuove assunzioni, bensì un consistente disavanzo passivo
per l’erario, pari a complessivi 467,3 milioni di euro netti. A tale aggravio
per la finanza dovrebbe aggiungersi il mancato introito dei contributi
previdenziali dei dipendenti interessati al trattenimento in servizio, i cui
versamenti non sarebbero utili a incrementare la loro posizione pensionistica,
avendo già quasi tutti raggiunto il massimo conseguibile.
Altra censura è proposta in riferimento
all’art. 97, secondo comma, Cost. in quanto la drastica riduzione del periodo
di trattenimento in servizio, operata solo in sede di conversione del d.l. n.
90 del 2014, rispetto al testo originario del medesimo d.l. n. 90 del 2014, in
particolare per la categoria degli avvocati dello Stato, per i quali la durata
del trattenimento in servizio era di cinque anni, inciderebbe negativamente
sull’efficiente andamento dei servizi dell’Avvocatura dello Stato. Tale misura
si porrebbe in contrasto con le esigenze organizzative e funzionali di quest’ultima,
privando l’amministrazione di risorse umane peculiari non facilmente
rinvenibili nei tempi immediati e cancellando l’affidamento dei dipendenti
nella sicurezza giuridica.
La normativa censurata contrasterebbe,
inoltre, con l’art. 3 Cost., per difetto di ragionevolezza. Essa, infatti,
sebbene sia dichiaratamente volta a favorire il ricambio generazionale nelle
pubbliche amministrazioni, si porrebbe in contrasto con la previsione,
contenuta nell’art. 3 del medesimo d.l. n. 90 del 2014, del blocco delle
assunzioni, della necessità dell’autorizzazione per le assunzioni di cui
all’art. 35, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché con la disciplina del
turn over ivi stabilita.
Essa tratterebbe, inoltre,
irragionevolmente allo stesso modo gli avvocati dello Stato, il cui
trattenimento in servizio era previsto per cinque anni, oltre il limite di età
per il collocamento a riposo, e la generalità dei dipendenti pubblici, per i
quali il trattenimento era previsto per due anni, in vista dell’obiettivo di
garantire il buon andamento e l’efficienza dell’amministrazione. Ciò anche
tenuto conto della circostanza che in percentuale il numero dei dipendenti che
cessano dal servizio varia in modo notevole fra le generalità dei dipendenti e
gli avvocati dello Stato. Altra violazione dell’art. 3 Cost. si profilerebbe,
infine, per l’irragionevole disparità di trattamento fra gli avvocati dello
Stato e i magistrati.
4.1.– Nel giudizio innanzi alla Corte
costituzionale si è costituito il ricorrente nel giudizio principale, chiedendo
che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt.
3, 81 e 97 Cost., dell’art. 1, commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 90 del 2014, come
convertito, nella parte in cui dispone al 31 ottobre 2014 la cessazione del
trattenimento in servizio oltre il limite di età degli avvocati dello Stato e,
subordinatamente, non fissa al 31 dicembre 2015 la data del trattenimento in
servizio per gli avvocati dello Stato così come previsto per i magistrati della
stessa età del ricorrente dall’art. 18 del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83
(Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di
organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 132.
4.2.– È intervenuto nel giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari inammissibile e/o
comunque infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1,
commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito.
Con riguardo alla dedotta violazione
dell’art. 81, terzo comma, Cost., la difesa statale ne sostiene l’infondatezza,
alla luce delle seguenti considerazioni.
Anzitutto le modifiche apportate al
testo originario del d.l. n. 90 del 2014 con la legge di conversione non
sarebbero tali da modificare l’impatto delle disposizioni contenute nell’art. 1
in termini finanziari, in specie sugli oneri indicati al comma 6. I minori
oneri correlati alla mancata abolizione del trattenimento in servizio dei
magistrati, i cui provvedimenti di mantenimento in servizio con riferimento
allo stesso periodo non si erano ancora perfezionati, sarebbero idonei a
compensare i maggiori oneri discendenti dalle modifiche che hanno interessato
gli avvocati dello Stato, la cui consistenza numerica è assai contenuta
nell’ambito del comparto di riferimento.
A ciò si aggiungerebbe la considerazione
che l’anticipazione della cessazione per mancato trattenimento in servizio del
personale appartenente al settore scolastico dal 31 ottobre 2014 al 31 agosto
2014 sarebbe priva di effetti finanziari. L’ipotesi avanzata dal Servizio del
bilancio del Senato, secondo cui con l’originario termine del 31 ottobre 2014
il personale in questione sarebbe restato in servizio sino al 31 agosto 2015,
non sarebbe sostenuta né dal carattere perentorio della disposizione di legge,
né dalla considerazione che, nel comparto scuola, é notoriamente possibile
ricorrere a personale con contratti di natura temporanea per garantire la
continuità didattica in caso di assenza del titolare.
Quanto, poi, ai richiami in servizio
previsti dagli artt. 922 e 923 del d.lgs. n. 66 del 2010, essi si riferirebbero
a personale già collocato in quiescenza e transitato nella posizione
ausiliaria, per cui l’abolizione di siffatti richiami non determinerebbe alcun
incremento di spesa previdenziale, né a titolo di pensione, né a titolo di
trattamenti di fine servizio.
La circostanza che la quantificazione
della spesa conseguente all’abrogazione dell’istituto del trattenimento in
servizio sia stata effettuata su dati desunti dal conto annuale del 2012 e
quindi non aggiornati risulterebbe irrilevante, considerato che nel predisporre
la relazione tecnica di accompagnamento ad un provvedimento di legge, la
quantificazione degli effetti finanziari si baserebbe inevitabilmente su
processi di stima. Nella specie, le unità di personale interessate dal
provvedimento che abroga l’istituto del trattenimento in servizio sono state
desunte dal conto annuale di cui al d.lgs. n. 165 del 2001. Nel periodo in cui
il d.l. n. 90 del 2014 è stato predisposto, il conto annuale più aggiornato era
quello del 2012. Né vi sarebbero elementi per sostenere che, trattandosi di dati
relativi al 2012 e non al 2014, la quantificazione degli oneri sia
sottostimata, ben potendo essersi verificata la condizione opposta e cioè che
il personale interessato dal provvedimento sia stato inferiore a quello
presente in servizio nel 2012.
Né risulterebbe violato l’obbligo di
inserire nella relazione tecnica un quadro analitico di proiezioni finanziarie
almeno decennali, prescritto dall’art. 17 della legge n. 196 del 2009, in
quanto, a margine della tabella relativa agli anni 2014-2018, sarebbe chiaramente
indicato che dopo l’anno 2018 gli oneri mostrano un andamento decrescente in
particolare per il progressivo venir meno dell’impatto in termini di maggiori
erogazioni per anticipo delle liquidazioni per trattamenti di fine servizio.
Pertanto, l’indicazione degli oneri e la relativa copertura si proietterebbero
ben oltre il decennio.
Quanto alla censura di violazione del
principio di economicità di cui all’art. 97 Cost., la difesa statale ritiene
che la norma censurata operi nel pieno rispetto delle esigenze di buon
andamento, efficienza ed economicità di gestione proprio perché finalizzata a
porre le condizioni per l’immissione di risorse giovani e al contenimento della
spesa pubblica, senza per questo comprimere altri valori tutelati dalla Costituzione,
in primis il diritto al lavoro.
Quanto, poi, alla censura attinente alla
pretesa "drasticità” della riduzione del periodo di trattenimento in servizio,
che sarebbe secondo il giudice rimettente lesiva dell’affidamento dei
dipendenti nella sicurezza giuridica, la difesa statale osserva che il rilievo
non sarebbe pertinente rispetto al caso sottoposto al vaglio del giudice a quo,
in quanto all’epoca dell’entrata in vigore della disposizione abrogativa del
trattenimento in servizio (25 giugno 2014), il ricorrente avvocato dello Stato
(che avrebbe compiuto il 14 marzo 2015 il settantesimo anno di età) aveva
chiesto, ma non ancora ottenuto il provvedimento di trattenimento in servizio,
tant’è che oggetto del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica era
proprio la comunicazione dell’Avvocatura generale dello Stato circa l’insuscettibilità di valutazione della sua domanda di
trattenimento in servizio per effetto della sopravvenuta abrogazione
dell’istituto.
Posto che rientra nella discrezionalità
del legislatore determinare le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro
pubblico, e che nei rapporti di durata il mutamento delle circostanze di fatto
può indurre legittimamente il legislatore a modificarne in modo sfavorevole la
disciplina, senza per questo violare l’affidamento nella sicurezza giuridica,
nel caso di specie il legislatore avrebbe valutato in modo non irragionevole le
esigenze organizzative e funzionali dell’amministrazione, considerata la
necessità di realizzare il preminente e urgente obiettivo di contenimento della
spesa pubblica unitamente al ricambio e al ringiovanimento del personale.
Con riguardo, infine, alle censure
proposte in riferimento all’art. 3 Cost., la difesa statale rileva anzitutto
che non vi sarebbe alcuna contraddizione tra la finalità di promuovere il
ricambio generazionale che è alla base dell’abrogazione dell’istituto del
trattenimento in servizio e l’esigenza di salvaguardare gli equilibri della
finanza pubblica sottesa al permanere della normativa limitativa del turn over. La ratio dell’art. 1 del
d.l. n. 90 del 2014 sarebbe proprio quella di favorire politiche di ricambio
generazionale in un momento di crisi del sistema economico nel suo complesso e
di limitare le facoltà di assunzione.
Peraltro, proprio nella prospettiva di
perseguire nel modo più efficace siffatta finalità di aumentare le unità di
personale assumibili – ricorda l’Avvocatura generale dello Stato – il
legislatore, con l’art. 3, comma 1, del medesimo d.l. n. 90 del 2014, ha
modificato, a decorrere dall’anno 2014, il previgente regime del turn over basato sul doppio vincolo relativo alla percentuale
delle unità cessate nell’anno precedente (cosiddetto limite capitario)
e alla percentuale di risparmi da cessazione (cosiddetto limite finanziario),
mantenendo solo quest’ultimo, seppure nel rispetto dei saldi tendenziali di
finanza pubblica.
Egualmente infondata sarebbe la censura
relativa alla pretesa disparità di trattamento degli avvocati dello Stato
rispetto ai magistrati, per i quali è prevista una differente disciplina del
periodo transitorio (art. 1, comma 3, del d.l. n. 90 del 2014). Quest’ultima,
infatti, troverebbe giustificazione in necessità del tutto peculiari dei
rispettivi uffici giudiziari ed in particolare nell’esigenza di consentire agli
organi di autogoverno delle magistrature di disporre del tempo necessario per
far fronte alle ricadute della nuova disciplina sul buon andamento degli uffici
medesimi. Tali necessità sarebbero alla base dell’ulteriore proroga degli
effetti del trattenimento in servizio prevista per i magistrati ordinari e
contabili dal d.l. n. 83 del 2015, come convertito.
5.– Il TAR Lazio premette di essere
chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di annullamento del provvedimento di
collocamento a riposo e sulla connessa comunicazione di insuscettibilità
di valutazione della domanda di trattenimento in servizio fino al 75° anno di
età per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 1 del d.l. n. 90 del 2014,
come modificato dall’art. 1, comma 1, della legge di conversione n. 114 del
2014, a seguito della trasposizione davanti a se medesimo del giudizio
originariamente oggetto di ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica, in conseguenza dell’opposizione, proposta ai sensi dell’art. 10,
primo comma, del d.P.R. n. 1199 del 1971 e dell’art. 48, comma 1, del decreto
legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18
giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo
amministrativo), dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dal Ministro per
la semplificazione e la pubblica amministrazione e dall’Avvocatura dello Stato.
Il rimettente precisa di aver
dichiarato, con separata sentenza parziale, l’ammissibilità dell’atto di
opposizione al ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e della
conseguente trasposizione dinanzi a sé del relativo giudizio, in considerazione
dell’alternatività piena operante tra ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica e ricorso giurisdizionale e della
prevalenza della disciplina dell’art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971 nel testo
ora in vigore, prevalenza dovuta sia al carattere di specialità della norma
sull’opposizione, sia alla circostanza che essa è norma fondante del rapporto
fra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale. Egli rileva che il
rapporto di alternatività postula che qualsiasi
parte, diversa dal ricorrente, possa optare per il rimedio giurisdizionale, che
offre maggiori garanzie rispetto al ricorso straordinario e che, pertanto,
anche la fase cautelare deve essere rimessa alla valutazione del giudice.
Spetta al medesimo giudice amministrativo, pertanto, valutare il rilievo delle
eccezioni di costituzionalità proposte.
Poste tali premesse il TAR rileva che,
nella presente fattispecie, la sospensione del procedimento disposta in sede
straordinaria riguardava solo quel procedimento e non poteva incidere sulla
legittimazione a proporre l’autonomo giudizio avanti al giudice, mediante atto
di opposizione e relativa costituzione. Pertanto, il TAR ritiene, in quanto
investito della piena potestas iudicandi,
di dover esaminare ex novo la questione di costituzionalità come dedotta dal
ricorrente.
In punto di rilevanza, il rimettente
segnala che i provvedimenti impugnati si fondano sostanzialmente
sull’applicazione della normativa sopravvenuta di cui all’art. 1 del d.l. n. 90
del 2014, come convertito, per cui anche sotto tale aspetto sarebbe evidente la
rilevanza della questione in esame che, se fondata, porterebbe a una pronuncia
direttamente incidente sui provvedimenti impugnati.
Quanto alla non manifesta infondatezza
delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 2 e 3, del
d.l. n. 90 del 2014, come convertito, il rimettente afferma di condividere gli
argomenti della prima sezione del Consiglio di Stato che si era espressa in
sede consultiva, e solleva le questioni negli identici termini.
5.1.– Nel giudizio innanzi alla Corte
costituzionale si è costituito il ricorrente nel giudizio principale, chiedendo
che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt.
3, 81 e 97 Cost., dell’art. 1, commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 90 del 2014,
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 114 del
2014, nella parte in cui dispone al 31 ottobre 2014 la cessazione del
trattenimento in servizio oltre il limite di età degli avvocati dello Stato e,
subordinatamente, non fissa al 31 dicembre 2015 la data del trattenimento in
servizio per gli avvocati dello Stato così come previsto, per i magistrati
della stessa età del ricorrente, dall’art. 18 del d.l. n. 83 del 2015, nel
testo della legge di conversione n. 135 del 2015.
5.2.– È intervenuto nel giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari inammissibile e/o comunque
infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 2 e
3, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito dalla legge n. 114 del 2014, sulla
base dei medesimi argomenti svolti in relazione al giudizio di cui
all’ordinanza n. 144 del 2015.
5.3.– Nell’imminenza dell’udienza
pubblica il ricorrente nel giudizio principale (che è il medesimo del giudizio
di cui all’ordinanza di rimessione n. 144 del 2015), ha depositato memoria,
confermando le conclusioni già esposte nell’atto di costituzione, sulla base di
argomenti analoghi a quelli svolti nelle ordinanze di rimessione.
6.– All’udienza pubblica le parti hanno
insistito chiedendo l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle memorie
scritte.
Considerato in diritto
1.– Con quattro distinte ordinanze, il
Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione terza (r.o. n. 30 del 2015), il Tribunale amministrativo regionale
dell’Emilia-Romagna, sezione prima (r.o. n. 61 del
2015), il Consiglio di Stato, sezione prima (r.o. n.
144 del 2015) ed il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima
(r.o. n. 19 del 2016), dubitano della legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 24 giugno 2014,
n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e
per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114, nella parte in cui
dispone l’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio dei
dipendenti civili dello Stato, disciplinato dall’art. 16 del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema
previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’articolo 3 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), come successivamente modificato (comma 1), e
detta la disciplina transitoria (commi 2 e 3).
Le disposizioni richiamate sono
censurate per violazione degli artt. 33, sesto comma, e 77, secondo comma,
della Costituzione (censura sollevata solo nell’ordinanza n. 30 del 2015 con
riferimento al comma 1), all’art. 117, primo comma, Cost. (censura sollevata
solo nell’ordinanza iscritta al r.o. n. 60 del 2015
in riferimento al comma 2), agli artt. 81, terzo comma, e 97, primo comma,
Cost. (censura riferita a tutti e tre i commi dell’art. 1 nelle ordinanze
iscritte al r.o. n. 144 del 2015 e al r.o. n. 19 del 2016) ed infine agli artt. 3 e 97, secondo
comma, Cost. (censure proposte, con diversa formulazione, in tutte le ordinanze
di rimessione).
1.1.– La comunanza delle disposizioni
censurate, nonché l’identità di alcuni dei parametri costituzionali invocati e
dei profili e delle argomentazioni utilizzate comporta che i giudizi vengano
riuniti e decisi con unica pronuncia.
2.– Preliminarmente, occorre dichiarare
l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal
TAR Lombardia (r.o. n. 30 del 2015), nei confronti
dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 90 del 2014, in riferimento all’art. 33,
sesto comma, Cost., per mancanza di un’adeguata motivazione sulla non manifesta
infondatezza (da ultimo, ordinanza n. 93 del
2016; anche ordinanze n. 112 e n. 52 del 2015).
Il rimettente si limita, infatti, a
denunciare la lesione dell’autonomia universitaria garantita dall’art. 33 Cost.
ad opera dell’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio, in
maniera apodittica, senza fornire alcuna motivazione sul modo in cui siffatta
lesione si sarebbe determinata.
3.– Con la sola eccezione di quanto
dichiarato al punto precedente, con riguardo alle censure svolte in riferimento
all’art. 33 Cost., non sussistono ulteriori profili di inammissibilità che
impediscano a questa Corte l’esame nel merito delle altre questioni sollevate
con le citate quattro ordinanze.
3.1.– Quanto alla rilevanza delle
questioni sollevate con l’ordinanza iscritta al r.o.
n. 30 del 2015 nei confronti dell’art. 1, comma 1, del citato d.l. n. 90 del
2014, il TAR Lombardia la motiva, in maniera non implausibile. Il rimettente
richiama all’attenzione la circostanza che il trattenimento in servizio non era
stato ancora disposto, poiché la domanda del docente universitario ricorrente
era stata respinta. Pertanto, per pronunciarsi sulla legittimità del
provvedimento, con cui il Consiglio di amministrazione dell’Università degli
studi di Milano ha respinto la richiesta del ricorrente di rimanere in
servizio, non avrebbe potuto far altro che applicare proprio la disposizione
che elimina l’istituto del trattenimento in servizio.
3.2.– Nessun profilo di inammissibilità
per difetto di motivazione sulla rilevanza si prospetta con riguardo alle
questioni sollevate nelle altre tre ordinanze (iscritte al r.o.
n. 60 e n. 144 del 2015 e r.o. n. 19 del 2016). In
tutte si afferma – con argomentazioni non implausibili
- che i provvedimenti impugnati (di collocamento a riposo) si fondano, o sono
direttamente incisi, dalle disposizioni censurate, che devono essere applicate
nei rispettivi giudizi, cosicché l’eventuale dichiarazione di illegittimità
costituzionale delle medesime ridonderebbe sulla legittimità dei predetti
provvedimenti.
Anche in relazione ai giudizi
nell’ambito dei quali sono state adottate le ordinanze di rimessione n. 144 del
2015 e n. 19 del 2016, la rilevanza delle questioni sollevate nei confronti dei
commi 2 e 3 dell’art. 1 del d.l. n. 90 del 2014 risulta motivata in maniera
sufficiente e plausibile.
Chiamati a pronunciarsi sulla
legittimità di un provvedimento di collocamento a riposo di un avvocato dello
Stato, adottato a seguito della conversione in legge del d.l. n. 90 del 2014, i
rimettenti ragionevolmente assumono di dover applicare la nuova disciplina del
trattenimento in servizio nel suo complesso, considerato che muovono le loro
censure alla disciplina, come modificata dalla legge di conversione, proprio
nella parte in cui accomuna la sorte degli avvocati dello Stato alla generalità
dei pubblici dipendenti (comma 2) e non estende anche agli avvocati dello
Stato, come invece accadeva nel testo originario del decreto-legge, la
disciplina transitoria "derogatoria” per i magistrati, di cui al comma 3.
Sulla scorta dei medesimi argomenti si
superano i profili di inammissibilità, inerenti alla pretesa inapplicabilità
delle disposizioni censurate, recanti la disciplina transitoria, profili
eccepiti dall’Avvocatura generale dello Stato con specifico riferimento alla
censura (prospettata nelle richiamate ordinanze iscritte al r.o.
n. 144 del 2015 e al r.o. n. 19 del 2016) di
violazione dell’art. 97, secondo comma, Cost., relativa alla "drasticità” della
riduzione del periodo di trattenimento in servizio, operata solo in sede di
conversione del d.l. n. 90 del 2014, rispetto al testo originario del medesimo
d.l. n. 90 del 2014, in particolare per la categoria degli avvocati dello Stato.
3.3.– Nessun ostacolo si pone
all’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale proposte con le
ordinanze iscritte al r.o n. 61 e n. 144 del 2015 e
al r.o. n. 19 del 2016 per il fatto che nei tre
giudizi, nell’ambito dei quali le stesse ordinanze sono state adottate, le
questioni sono sollevate nella fase cautelare. Questa Corte ha costantemente
sostenuto che la potestas iudicandi
del giudice a quo non può ritenersi esaurita quando la concessione della misura
cautelare sia fondata, quanto al fumus boni iuris, sulla non manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale. In tal caso, si
deve ritenere provvisoria e temporanea la sospensione dell’efficacia del
provvedimento impugnato, fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo
l’incidente di legittimità costituzionale (sentenza n. 83 del
2013; nello stesso senso, di recente, sentenza n. 200 del
2014).
3.4.– Anche con riguardo alle questioni
sollevate con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 144 del
2015 dal Consiglio di Stato, adito in sede consultiva in relazione a un ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica, non si profilano ragioni di
inammissibilità.
3.4.1.– Dopo le significative modifiche
apportate a questo istituto dall’art. 69, comma 1, della legge 18 giugno 2009,
n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività nonché in materia di processo civile), è acclarata la
legittimazione del Consiglio di Stato a sollevare questioni di legittimità
costituzionale in sede di parere sul ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica (sentenza
n. 73 del 2014).
3.4.2.– Né l’ammissibilità delle
questioni proposte dal Consiglio di Stato con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 144 del 2015, nell’ambito del giudizio inerente al
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, è inficiata dalla
circostanza che il giudizio, a seguito dell’opposizione delle amministrazioni
interessate, è stato trasposto dinanzi al TAR Lazio, ai sensi dell’art. 48 del
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del
processo amministrativo). Sebbene, a seguito della trasposizione,
l’amministrazione e il Consiglio di Stato si vedano spogliati di ogni potere
decisionale e il relativo giudizio divenga improcedibile, ciò non incide in
alcun modo sull’ordinanza con cui lo stesso Consiglio di Stato ha sollevato
questione di legittimità costituzionale, prima della trasposizione del giudizio
nella sede giurisdizionale. Prevale, in questo caso, il principio
dell’ininfluenza delle vicende relative al giudizio principale (ivi compresa
l’improcedibilità, così come l’estinzione dello stesso) sul giudizio di
legittimità costituzionale, che sia stato – come nella specie – ritualmente
promosso, principio espresso dall’art. 18 delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale, nel testo approvato il 7 ottobre 2008. In
virtù di tale principio, il giudizio di legittimità costituzionale, «una volta
iniziato in seguito ad ordinanza di rinvio del giudice rimettente non è
suscettibile di essere influenzato da successive vicende di fatto concernenti
il rapporto dedotto nel processo che lo ha occasionato» (sentenza n. 274 del
2011), neppure ove il giudizio principale, nell’ambito del quale sia stato
promosso il giudizio di legittimità costituzionale, sia estinto (da ultimo, sentenza n. 236 del
2015).
3.5.– A ciò si lega la considerazione
che neppure per le questioni sollevate con l’ordinanza iscritta al r.o. n. 19 del 2016 dal TAR Lazio, a seguito della
trasposizione del giudizio originariamente promosso con ricorso straordinario
al Presidente della Repubblica, si profilano problemi di inammissibilità.
L’autonomia e l’indipendenza dei due
rimedi (quello straordinario e quello giurisdizionale) e l’alternatività
fra i medesimi sono circostanze tali da consentire a qualsiasi parte, diversa
dal ricorrente, di optare per il rimedio giurisdizionale. Il TAR ritiene,
pertanto, con motivazione puntuale e non implausibile, di essere investito
della piena potestas iudicandi
e di poter sollevare ex novo questione di legittimità costituzionale delle
eccezioni dedotte dal ricorrente, sulla base di una sua autonoma valutazione.
4.– Sgombrato il campo da ogni profilo
di inammissibilità, si può procedere all’esame nel merito delle questioni
sollevate con le quattro ordinanze indicate in epigrafe.
4.1.– Il TAR Lombardia (r.o. n. 30 del 2015) censura, preliminarmente, l’art. 1,
comma 1, del d.l. n. 90 del 2014, nella parte in cui abolisce l’istituto del
trattenimento in servizio, anche per i docenti e i ricercatori universitari,
per violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., per carenza dei presupposti
di necessità e di urgenza. Il preambolo del d.l. n. 90 del 2014 farebbe riferimento
a finalità e ambiti privi di ogni attinenza con la materia disciplinata, e non
darebbe conto dei presupposti di necessità e di urgenza che imponevano
l’adozione della disciplina impugnata con lo strumento del decreto-legge.
4.1.1.– La questione non è fondata.
L’eliminazione del trattenimento in
servizio disposta dalla norma censurata si inserisce nel quadro delle misure
volte a «favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici»,
finalità richiamata espressamente nel preambolo del decreto-legge in esame,
dunque non estranea al contenuto e alla materia del medesimo decreto (sentenza n. 171 del
2007; da ultimo, ordinanza n. 72 del
2015). Essa costituisce un primo intervento, peraltro puntuale e
circoscritto, di un processo laborioso, destinato a dipanarsi in un arco
temporale più lungo, volto a realizzare il ricambio generazionale nel settore.
Come tale, essa è strumentale a una «più razionale utilizzazione dei dipendenti
pubblici» e non contraddice la «straordinaria necessità ed urgenza» di
provvedere sul punto, posta a fondamento dell’adozione del decreto-legge in
esame (sentenza
n. 313 del 2010). Tali indicazioni sono sufficienti per escludere l’ipotesi
– alla quale è limitato il sindacato sulla legittimità dell’adozione di un
decreto-legge da parte del Governo – di «evidente carenza del requisito della
straordinarietà del caso di necessità ed urgenza di provvedere» (sentenza n. 93 del
2011).
4.2.– Il TAR Emilia-Romagna (r.o. n. 61 del 2015) censura, poi, in particolare, l’art.
1, comma 2, del decreto-legge in esame, nel testo modificato dalla legge di
conversione 11 agosto 2014, n. 114, nella parte in cui, per effetto della
modifica introdotta con la medesima, fissa «soltanto fino al 31 ottobre 2014
per gli avvocati dello Stato il trattenimento in servizio degli stessi già
disposto con formale provvedimento», con un "preavviso” di poco più di due
mesi. Questa disposizione, cancellando ogni riferimento agli avvocati dello
Stato dal novero dei soggetti beneficiari della disciplina transitoria
"derogatoria”, contenuta nel comma 3, del testo originario del d.l. n. 90 del
2014, si porrebbe in contrasto con il principio di proporzionalità e lederebbe
l’affidamento che il dipendente ripone nell’efficacia dei provvedimenti
amministrativi già adottati nei suoi confronti, in violazione degli artt. 1, 2
e 6, paragrafo 1, della direttiva 27 novembre 2000, n. 2000/78/CE (Direttiva
del Consiglio che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in
materia di occupazione e di condizioni di lavoro), come interpretati dalla
Corte di giustizia con sentenza
6 novembre 2012, in causa C-286/12, Commissione contro Ungheria, e quindi
in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.
4.2.1.– La questione non è fondata.
La sentenza
della Corte di giustizia, richiamata dal rimettente, non è rilevante ai
fini dello scrutinio di costituzionalità della normativa censurata. In tale
pronuncia, resa riguardo a disposizioni di legge adottate dall’Ungheria che
avevano anticipato bruscamente e considerevolmente (da 70 a 62 anni) i limiti
di età per il pensionamento di giudici, procuratori e notai, senza prevedere
misure transitorie idonee a tutelare il legittimo affidamento delle persone
interessate, la Corte di giustizia ne ha ravvisato il contrasto con la
direttiva n. 2000/78/CE, che vieta le discriminazioni basate sull’età (art. 6,
paragrafo 1), in assenza di un principio di proporzionalità.
L’ambito di operatività della normativa
denunciata non è sovrapponibile a quello della normativa ungherese, visto che
la norma censurata non incide sui limiti dell’età pensionabile, ma
sull’istituto del trattenimento in servizio.
Quest’ultimo, originariamente
disciplinato dall’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992, che riconosceva ai
dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici un vero e
proprio diritto potestativo a permanere in servizio per il periodo indicato, è
stato profondamente modificato già dal comma 7 dell’art. 72 del decreto-legge
25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 6 agosto 2008, n. 135, che l’ha completamente rimodellato e
configurato come mero interesse da far valere mediante apposita istanza
all’amministrazione, libera, «in base alle proprie esigenze organizzative e
funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza
professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in
funzione dell’efficiente andamento dei servizi» (Consiglio di Stato, sezione
sesta, sentenze 30 maggio 2014, n. 2816 e 24 ottobre 2013, n. 5147).
Circoscritto da limiti sempre più rigorosi (in base anche all’art. 9, comma 31,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122),
questo istituto emerge anche dalla giurisprudenza amministrativa come eccezione
rispetto alla regola del collocamento a riposo, in considerazione delle
generali esigenze di contenimento della spesa (Consiglio Stato, sezione sesta,
sentenza 6 agosto 2013, n. 4104).
L’abrogazione del trattenimento in
servizio appare dunque come l’ultimo tassello di un disegno legislativo volto a
ridimensionarne l’ambito di operatività.
Le finalità di ricambio generazionale,
insite nella normativa in esame, rientrano nell’ambito delle «legittime
finalità di politica del lavoro», che non danno seguito a discriminazioni sulla
base dell’età, secondo la citata direttiva (paragrafo 1 dell’art. 6). In questa
direzione si è coerentemente orientata la Corte di giustizia dell’Unione
europea, che ha riconosciuto ampi margini alla discrezionalità dei legislatori
nazionali (ex plurimis,
Corte
di giustizia, sentenza 21 luglio 2010, in cause C-159/10 e C-160/10, Fuchs e Köhler).
I lavori preparatori della legge di
conversione del d.l. n. 90 del 2014 mostrano che l’accesso dei giovani al
lavoro pubblico e il contenimento della spesa si atteggiano quali finalità
legittime, tali da temperare la pretesa eccessiva drasticità delle misure
adottate, senza incrinare la tutela dell’affidamento.
L’assunto del rimettente si fonda sul
presupposto che il testo originario del decreto-legge adottato il 24 giugno
2014 avesse generato un affidamento in ordine al trattenimento in servizio
degli avvocati dello Stato fino al 31 dicembre 2015, poi leso dalla brusca
anticipazione, operata dalla legge di conversione adottata l’11 agosto 2014,
alla data del 31 ottobre 2014.
Sia la circostanza della "degradazione”
del diritto al trattenimento in servizio a mero interesse, dovuta a una
normativa progressivamente restrittiva, confermata dall’applicazione
giurisprudenziale, sia la considerazione che la previsione dell’estensione del
trattenimento fino alla data del 31 dicembre 2015 era contenuta in un
decreto-legge, di per sé, provvedimento, soggetto a modifiche in sede di
conversione, in ordine a casi straordinari di necessità e urgenza, impediscono
di ritenere che un affidamento nella prosecuzione del servizio fino alla data
del 31 dicembre 2015 possa essersi consolidato e che quest’ultimo sia stato
illegittimamente ed eccessivamente compresso dall’anticipazione della
cessazione dal servizio.
4.3.– Il Consiglio di Stato (r.o. n. 144 del 2015) ed il TAR Lazio (r.o.
n. 19 del 2016) sollevano questione di legittimità costituzionale dei primi tre
commi dell’art. 1, anzitutto, per violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.
L’introduzione delle disposizioni di cui
all’art. 1 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, che hanno stabilito
l’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio e, con le modifiche
apportate in sede di conversione, hanno ampliato il novero dei dipendenti
pubblici cui si applica la specifica disciplina, pur attenendo alla materia
pensionistica e del lavoro pubblico, non sarebbe stata corredata dalla
realizzazione di tutti gli adempimenti necessari a garantire l’esatta
quantificazione e la credibile copertura degli oneri finanziari da esse
derivanti, in specie degli adempimenti prescritti dall’art. 17, comma 3, della
legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza).
4.3.1.– La questione non è fondata.
Questa Corte ha avuto occasione, di
recente, di affermare che «il principio di analitica copertura finanziaria –
espresso dall’art. 81, terzo comma, Cost., come formulato dalla legge
costituzionale n. 1 del 2012 e previsto dall’art. 17 della legge n. 196 del
2009 – ha natura di precetto sostanziale, cosicché ogni disposizione che
comporta conseguenze finanziarie di carattere positivo o negativo deve essere
corredata da un’apposita istruttoria e successiva allegazione degli effetti
previsti e della relativa compatibilità con le risorse disponibili» (sentenza n. 224 del
2014). In questa prospettiva la legge n. 196 del 2009, nella parte in cui
prescrive, all’art. 17, quale presupposto per la copertura finanziaria, la
previa quantificazione della spesa o dell’onere, lo fa per «l’evidente motivo
che non può essere assoggettata a copertura un’entità indefinita» (sentenza n. 181 del
2013).
Come risulta sia dai lavori preparatori
della legge di conversione sia dalla Nota di lettura n. 57, redatta dal
Servizio del bilancio del Senato, dedicata all’impugnato art. 1, tali
indicazioni sono state rispettate. L’adozione delle misure contenute nell’art.
1 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, è corredata dalla relazione tecnica
prescritta dall’art. 17 della legge n. 196 del 2009 e contiene anche il quadro
analitico delle proiezioni finanziarie almeno decennali, prescritto dal citato
art. 17. A margine della tabella relativa agli anni 2014-2018, è chiaramente
indicato che, dopo l’anno 2018, gli oneri mostrano un andamento decrescente,
per il progressivo venir meno delle maggiori erogazioni dovute all’anticipo
delle liquidazioni per trattamenti di fine servizio. Inoltre, dalla relazione
tecnica risulta che le modifiche apportate dalla legge di conversione non
incidono sugli oneri indicati dal comma 6 dell’art. 1 del medesimo
decreto-legge. I minori oneri correlati, con riferimento al periodo indicato,
alla mancata abolizione del trattenimento in servizio dei magistrati, i cui
provvedimenti di mantenimento in servizio non risultavano perfezionati, sono
idonei a compensare i maggiori oneri discendenti dalle modifiche che hanno
interessato gli avvocati dello Stato, la cui consistenza numerica è, peraltro,
piuttosto contenuta nell’ambito del comparto di riferimento.
Poiché gli adempimenti prescritti
dall’art. 17 della legge n. 196 del 2009 sono stati soddisfatti, i conteggi
svolti in relazione alla spesa e le previsioni effettuate non appaiono implausibili (sentenza n. 214 del
2012), con conseguente esclusione della violazione dell’obbligo di
copertura finanziaria.
4.4.– Ulteriore profilo di illegittimità
costituzionale denunciato dal Consiglio di Stato e dal TAR Lazio nei confronti
delle disposizioni introdotte dall’art. 1, commi 1, 2 e 3, è costituito dalla
violazione dell’art. 97, primo comma, Cost. e del criterio di economicità ivi
introdotto per effetto della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1
(Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta
costituzionale), criterio già previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove
norme in materia di procedimento ammistrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi), che pone un vincolo
ineludibile sulla capacità e sulla condizione della spesa delle Amministrazioni
pubbliche, per non eccedere le risorse effettivamente disponibili.
La Nota di lettura n. 57 del Servizio
del bilancio del Senato mostrerebbe, tra l’altro, che quel criterio
costituzionalmente rilevante risulterebbe violato, se si raffrontassero i costi
dovuti all’eliminazione del trattenimento in servizio e i risparmi da destinare
alle assunzioni.
4.4.1.– Anche tale questione deve essere
dichiarata non fondata.
L’introduzione del primo comma dell’art.
97 Cost. («Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento
dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del
debito pubblico»), per effetto della legge di revisione costituzionale n. 1 del
2012, ha coinciso con l’inserimento dell’obbligo, per le amministrazioni pubbliche,
di rispettare l’equilibrio di bilancio. Quest’ultimo si risolve nel "criterio
di economicità” secondo cui l’azione delle pubbliche amministrazioni deve
perseguire i propri obiettivi, garantendo il buon andamento e l’imparzialità
con il minimo dispendio di risorse. Tale criterio, come peraltro gli stessi
rimettenti precisano – anche se con riguardo alla censura di violazione
dell’art. 81, terzo comma, Cost. – è simmetrico rispetto all’"equilibrio di
bilancio”, legato all’andamento del ciclo economico. La sua valutazione,
pertanto, non può essere costretta in una dimensione temporale limitata, ma
deve svolgersi in riferimento a un arco temporale sufficientemente ampio, tale
da consentire la realizzazione degli obiettivi in una situazione di debito
sostenibile e di tendenziale "armonia” fra entrate e uscite.
L’obiettivo perseguito mediante
l’abolizione dell’istituto del trattenimento in servizio, come risulta dai
lavori preparatori, è quello di «promuovere il ricambio generazionale nel
settore di lavoro pubblico, nonché di favorire risparmi di spesa con
l’abbattimento del monte stipendiale derivante dalla sostituzione di lavoratori
più anziani, cui normalmente spettano livelli retributivi più elevati, con
personale di nuova assunzione e quindi meno costoso». Tale risultato è atteso
nel lungo periodo, nonostante la prima applicazione delle misure mostri un
difficile bilanciamento fra maggiori spese per anticipo dell’erogazione delle
pensioni e dei trattamenti di fine servizio e corrispondenti risparmi derivanti
dalle cessazioni dal servizio. Come indicato nella relazione tecnica, che fa
partire dal 2018 il progressivo calo degli oneri connessi alla nuova
disciplina, l’attuazione delle misure in esame appare idonea a agevolare
risparmi da cessazione capaci di liberare risorse nuove spendibili per
l’auspicato ricambio generazionale in un lasso temporale più ampio.
4.5.– Tutti i rimettenti deducono la
violazione dell’ art. 97, secondo comma, Cost.
Il TAR Lombardia censura il comma 1
dell’art. 1 del decreto-legge in esame, nella parte in cui abolisce l’istituto
del trattenimento in servizio anche per i docenti e i ricercatori universitari.
Sostiene che l’esigenza di attuare il
ricambio generazionale non sarebbe bilanciata con quella, riconducibile al buon
andamento dell’amministrazione, di mantenere in servizio, peraltro per un arco
di tempo limitato, docenti in grado di dare un positivo contributo per la
particolare esperienza acquisita, secondo le enunciazioni di principio della sentenza n. 83 del
2013.
Il TAR Emilia-Romagna assume che la
scelta operata dal legislatore con il comma 2 dell’art. 1 del medesimo
decreto-legge, nel testo modificato dalla legge di conversione, «nella parte in
cui riduce soltanto fino al 31 ottobre 2014, per gli avvocati dello Stato, il trattenimento
in servizio già disposto con formale provvedimento», sarebbe sbilanciata e
sproporzionata. Senza che sia possibile effettuare alcun ricambio
generazionale, non si farebbe carico delle ripercussioni negative che
potrebbero derivarne sul principio di buon andamento della pubblica
amministrazione, considerato che la drastica riduzione del periodo di
permanenza in servizio, fino al 31 ottobre 2014, avvenuta in agosto e solo in
sede di conversione del d.l. n. 90 del 2014, non avrebbe consentito di avviare
la procedura concorsuale di reclutamento dei nuovi avvocati dello Stato, nel
rispetto dei tempi tecnici necessari.
Infine, il Consiglio di Stato e il TAR
Lazio censurano per violazione dell’art. 97, secondo comma, Cost., l’art. 1,
commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, nella parte in cui,
abrogando l’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992, dispone al 31 ottobre 2014 la
cessazione dal trattenimento in servizio oltre il limite di età degli avvocati
dello Stato e, in subordine, non fissa la data di cessazione del trattenimento
in servizio per gli avvocati dello Stato al 31 dicembre 2015.
La drastica riduzione del periodo di
trattenimento in servizio, operata solo in sede di conversione del d.l. n. 90
del 2014, rispetto al testo originario, in particolare per la categoria degli
avvocati dello Stato, per i quali la durata del trattenimento in servizio era
di cinque anni, inciderebbe negativamente sull’efficiente andamento dei servizi
dell’Avvocatura dello Stato e si porrebbe in contrasto con le esigenze
organizzative e funzionali della stessa. Con questa misura si priverebbe
l’amministrazione di risorse umane peculiari non facilmente rinvenibili nei
tempi immediati, si cancellerebbe l’affidamento dei dipendenti nella sicurezza
giuridica, poiché si interverrebbe su situazioni sostanziali, fondate su leggi
precedenti e provvedimenti già emanati e efficaci.
4.5.1.– Le richiamate questioni sono
prive di fondamento.
L’evoluzione normativa riguardo al
trattenimento in servizio ha riconosciuto – come si è già rilevato – la
«facoltà all’amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e
funzionali, di accogliere la richiesta [di trattenimento in servizio] in
relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in
determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei
servizi» (art. 72, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008. Tale facoltà è stata
progressivamente circoscritta da limiti sempre più rigorosi, per esigenze di
contenimento di spesa (art. 9, comma 31, del d.l. n. 78 del 2010), in vista
della riduzione del numero dei beneficiari del trattenimento (sentenza n. 83 del
2013), in linea peraltro con l’orientamento della giustizia amministrativa,
che ha ritenuto non configurabile un diritto soggettivo alla permanenza in
servizio, quanto piuttosto un mero interesse, soggetto alla valutazione
discrezionale dell’amministrazione (di recente, Consiglio Stato, sezione sesta,
sentenza 22 gennaio 2015, n. 239).
Questa Corte, già da tempo ha precisato che
la disposizione che prevedeva il trattenimento in servizio oltre l’età
pensionabile (art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992), «è di carattere eccezionale»
(ordinanza n.
195 del 2000) anche perché comporta «il carico del trattamento di servizio
attivo e degli oneri riflessi, in genere complessivamente maggiori […] rispetto
a quelli connessi a nuove assunzioni» (ancora ordinanza n. 195
del 2000). Inoltre, «il buon andamento dell’amministrazione non può
dipendere affatto dal mantenimento in servizio di personale che ha raggiunto i
limiti di età, subordinato esclusivamente alla domanda del dipendente, come
diritto potestativo assoluto», posto che «il prolungarsi del servizio oltre i
limiti non è sempre indice di accrescimento dell’efficienza organizzativa» (così
ancora ordinanza
n. 195 del 2000).
Sulla base degli orientamenti espressi
da questa Corte, si deve affermare la non fondatezza di tutte le censure
proposte in riferimento al secondo comma dell’art. 97 Cost., sia con riguardo
alla disciplina "a regime” (comma 1), sia in relazione alla disciplina
transitoria (commi 2 e 3).
L’eliminazione del trattenimento in
servizio ha portato a compimento un percorso già avviato, per agevolare, nel
tempo, il ricambio generazionale e consentire un risparmio di spesa, anche con
riguardo all’amministrazione universitaria, in attuazione dei principi di buon
andamento e efficienza dell’amministrazione, senza alcuna lesione
dell’affidamento, in linea con l’evoluzione normativa e con la giurisprudenza
della Corte di giustizia (ex plurimis, sentenza
7 giugno 2005, in causa C-17/03, VEMW e altri contro Directeur
van de Dienst uitvoering en toezicht energiea.).
Non risultano pertinenti i riferimenti
alla sentenza n.
83 del 2013, richiamata dal TAR Lombardia nell’ordinanza iscritta al r.o. n. 30 del 2015, in cui questa Corte aveva accolto la
questione di costituzionalità proposta sotto il profilo della disparità di
trattamento tra universitari e altri dipendenti pubblici e della lesione del
buon andamento della pubblica amministrazione. In quel caso si inibiva solo
all’università ogni margine di autonomo apprezzamento delle esigenze
organizzative e funzionali. Nel giudizio di cui qui si discute, oggetto dello
scrutinio, è una disciplina di carattere generale, che non discrimina tra amministrazioni
pubbliche quanto alla normativa a regime e che elimina del tutto i margini di
operatività, già angusti, del trattenimento in servizio.
Quanto, poi, alla disciplina transitoria
(commi 2 e 3), relativa agli avvocati dello Stato, si richiamano le
osservazioni svolte in relazione alla denunciata violazione dell’art. 117,
primo comma, Cost. (si veda, supra, punto 4.2.1.). La
realizzazione dell’obiettivo del ricambio generazionale non è immediata, poiché
presuppone atti preparatori all’espletamento dei concorsi. Queste procedure non
avrebbero potuto trovare attuazione nel breve tempo intercorso fra
l’anticipazione della cessazione dal servizio degli avvocati dello Stato (dal
31 dicembre 2015 al 31 ottobre 2014) e l’effettiva cessazione dei medesimi (agosto
2014 - ottobre 2014).
Si deve anche escludere la pretesa
lesione dell’affidamento connessa alla drastica anticipazione della cessazione
dal servizio per le ragioni già in precedenza esposte (si veda pag. 25 righe
8-16).
4.6.– Anche in riferimento all’art. 3
Cost. tutti i rimettenti svolgono specifiche censure, sotto il profilo della
irragionevolezza della disciplina.
Il TAR Lombardia censura l’art. 1, comma
1, in quanto detterebbe una disciplina irragionevole, lesiva dell’affidamento
dei consociati nella sicurezza giuridica, considerato che l’esigenza di attuare
il ricambio generazionale non può essere addotta come unica ratio
di una disciplina che preclude all’amministrazione la valutazione discrezionale
dei presupposti del trattenimento in servizio, anche in relazione alle proprie
esigenze organizzative e funzionali, e tenuto conto che l’eliminazione
improvvisa e arbitraria dell’istituto del trattenimento in servizio vanifica il
legittimo affidamento riposto dai dipendenti pubblici nel protrarsi della
permanenza in servizio.
Il TAR Emilia-Romagna assume invece che
la disciplina transitoria prevista dal comma 2 dell’art. 1 a seguito della
conversione in legge del d.l. n. 90 del 2014 violerebbe il principio del
legittimo affidamento sotto il profilo del difetto di ragionevolezza e di
eguaglianza con particolare riferimento agli avvocati dello Stato.
L’affidamento in un congruo termine del periodo di trattenimento in servizio
dei predetti, già consolidatosi con i provvedimenti di permanenza in servizio e
garantito fino al 31 dicembre 2015 anche nell’ambito della nuova disciplina di
cui al d.l. n. 90 del 2014, sarebbe stato totalmente frustrato dal collocamento
a riposo a decorrere dal 31 ottobre 2014, disposto soltanto nel mese di agosto
in sede di conversione del predetto decreto-legge ad opera della legge dell’11
agosto 2014, n. 114.
Il Consiglio di Stato e il TAR Lazio,
infine, denunciano i primi tre commi dell’art. 1 per difetto di ragionevolezza
della disciplina in essi contenuta. Quest’ultima, sebbene sia dichiaratamente
volta a favorire il ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni, si
porrebbe in contrasto con la previsione, contenuta nell’art. 3 del medesimo
d.l. n. 90 del 2014, del blocco delle assunzioni, della necessità dell’autorizzazione
per le assunzioni di cui all’art. 35, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001,
nonché con la disciplina del turn over ivi stabilita.
4.6.1.– Le questioni non sono fondate.
Quanto alle censure di irragionevolezza
della disciplina a regime e di quella transitoria, ritenute lesive
dell’affidamento dei consociati nella sicurezza giuridica, devono essere qui
richiamate le osservazioni appena svolte a proposito della denunciata
violazione dell’art. 97, secondo comma, Cost. (si veda al punto 4.5.1.).
Quanto alla pretesa contraddittorietà
della normativa censurata, rispetto a altre norme contenute nel medesimo
decreto-legge (l’art. 3, in materia di blocco delle assunzioni, contraddirebbe
il preteso perseguimento del ricambio generazionale mediante l’abolizione del
trattenimento in servizio), occorre anzitutto soffermarsi sull’effettivo
contenuto di tale articolo.
Intitolato «Semplificazione e
flessibilità nel turn over», esso provvede a
"contingentare” le assunzioni del personale con riguardo agli anni 2014-2018.
Nel 2014 la facoltà di assumere è limitata alla circostanza che la spesa sia
pari al 20 per cento di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno
precedente. Negli anni successivi tale limitazione si riduce fino a consentire
il completo "sblocco” delle assunzioni alla data del 2018.
Questa disciplina risulta, pertanto,
coerente con l’obiettivo del ricambio generazionale sotteso all’abolizione del
trattenimento in servizio, all’interno di una programmazione articolata nel
tempo.
La ratio
dell’art. 1 del d.l. n. 90 del 2014 è quella di favorire politiche di ricambio
generazionale a fronte della crisi economica. Gli effetti positivi attesi
dall’abrogazione del trattenimento in servizio sono connessi alla necessità di
realizzare progressivi risparmi da cessazione che, in relazione al regime del
turn over, alimenterebbero le risorse utilizzabili
per le nuove assunzioni.
Il collocamento a riposo del personale
già beneficiario del trattenimento in servizio consentirebbe l’immediata
disponibilità di risorse per l’indizione di nuove procedure concorsuali e per
il successivo reclutamento di nuovo personale.
4.7.– Ulteriori censure sono svolte in
riferimento all’art. 3 Cost. per irragionevole disparità di trattamento di
fattispecie omogenee e irragionevole eguaglianza di trattamento di fattispecie
diverse.
In particolare, il TAR Emilia-Romagna,
il Consiglio di Stato e il TAR Lazio censurano i commi 1, 2 e 3 dell’art. 1 per
l’irragionevole disparità di trattamento fra gli avvocati dello Stato e i magistrati,
ordinari, amministrativi, contabili e militari, in possesso alla data di
entrata in vigore del d.l. n. 90 del 2014 dei requisiti di cui all’art. 16 del
d.lgs. n. 503 del 1992, per i quali il trattenimento in servizio è garantito
fino alla data del 31 dicembre 2015.
Solo il Consiglio di Stato e il TAR
Lazio contestano che l’art. 1, commi 1, 2 e 3, tratti irragionevolmente allo
stesso modo gli avvocati dello Stato, il cui trattenimento in servizio era
previsto per cinque anni oltre il limite di età per il collocamento a riposo, e
la generalità dei dipendenti pubblici, per i quali il trattenimento era
previsto per due anni, in vista dell’obiettivo di garantire il buon andamento e
l’efficienza dell’amministrazione, tenuto conto della circostanza che in
percentuale il numero dei dipendenti che cessano dal servizio varia in modo
notevole fra le generalità dei dipendenti e gli avvocati dello Stato.
4.7.1.– Le questioni sono manifestamente
infondate.
Occorre premettere che il comma 3, nel
testo originariamente contenuto nel d.l. n. 90 del 2014, disponeva che «[a]l
fine di salvaguardare la funzionalità degli uffici giudiziari, i trattenimenti
in servizio dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari nonché
degli avvocati dello Stato, sono fatti salvi sino al 31 dicembre 2015 o fino
alla loro scadenza se prevista in data anteriore». In sede di approvazione
della legge di conversione del d.l. n. 90 del 2014, è caduta la previsione,
volta a salvaguardare i trattenimenti in servizio, anche se non ancora
disposti, degli avvocati dello Stato, fino al 31 dicembre 2015, mentre è
rimasta per i magistrati. Per gli avvocati dello Stato, in forza delle
modificazioni recate in sede di conversione, l’efficacia del trattenimento in
servizio è pertanto cessata anticipatamente, il 31 ottobre 2014, al pari della
generalità dei dipendenti pubblici.
4.7.1.1.– Dai lavori preparatori della
legge di conversione del d.l. n. 90 del 2014 emerge chiaramente che la
disciplina transitoria derogatoria, contenuta nel comma 3, è stata dettata in
vista della necessità di ovviare alle «conseguenti possibili criticità per il
funzionamento regolare degli uffici giudiziari», derivanti dall’improvvisa
cessazione dal servizio di un numero rilevante di dipendenti. La ratio sottesa a tale deroga è dunque inerente
esclusivamente all’organizzazione degli uffici e non attiene allo status dei
magistrati. Pertanto, la ritenuta equiparazione fra avvocati e magistrati in
ordine al trattamento giuridico non rileva in questa sede. Né la moltiplicazione
dei compiti affidati agli avvocati dello Stato (media-conciliazione ex art. 5
del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante l’«Attuazione
dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione
finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali»;
trasferimento dei giudizi in sede arbitrale ex art. 1 del decreto-legge 12
settembre 2014, n. 132, recante «Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione
ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo
civile», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n.
162 del 2014; negoziazione assistita ex art. 2 del citato d.l. n. 132 del 2014)
è riconducibile alle esigenze di «funzionalità degli uffici giudiziari» che hanno
giustificato l’introduzione della disciplina transitoria derogatoria con
riguardo ai magistrati (ulteriormente prorogata con riguardo a categorie
specifiche).
La censura di irragionevole disparità di
trattamento è palesemente priva di fondamento, considerata l’indiscutibile
eterogeneità delle situazioni poste a raffronto, in linea con la costante
giurisprudenza costituzionale (fra le tante, sentenze n. 178 del
2015, n. 215
del 2014, n.
340 del 2004).
4.7.1.2.– Anche la denunciata
irragionevole eguaglianza di trattamento – quanto alla disciplina transitoria
del trattenimento in servizio – degli avvocati dello Stato e della generalità
dei dipendenti pubblici si rivela manifestamente infondata.
I rimettenti (Consiglio di Stato e TAR
Lazio) assumono che la differenza di trattamento originariamente contemplata
dal d.l. n. 90 del 2014 fra avvocati dello Stato e tutti gli altri dipendenti
pubblici avrebbe dovuto essere mantenuta, «in vista dell’obiettivo di garantire
il buon andamento e l’efficienza dell’amministrazione, tenuto conto della
circostanza che in percentuale il numero dei dipendenti che cessano dal
servizio varia in modo notevole fra le generalità dei dipendenti e gli avvocati
dello Stato». Tale argomento, assertivamente
formulato, non consente a questa Corte di individuare alcun profilo di
irragionevolezza dell’eguale trattamento previsto per gli avvocati dello Stato
e «la generalità dei pubblici dipendenti», in ordine alla disciplina
transitoria del trattenimento in servizio. La circostanza che il numero degli
avvocati dello Stato, che cessano dal servizio, sia diverso da quello della
«generalità dei dipendenti pubblici», che egualmente cessano dal servizio, non
costituisce indizio di palese eterogeneità delle situazioni poste a raffronto,
poiché la categoria dei pubblici dipendenti è genericamente indicata, senza
alcuna illustrazione delle ragionevoli giustificazioni poste a fondamento della
pretesa diversità di trattamento.
per questi motivi
riuniti i giudizi,
1) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione
e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto
2014, n. 114, sollevata, in riferimento all’art. 33, sesto comma, della
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con
ordinanza iscritta al r.o. n. 30 del 2015;
2) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
1, del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge n. 114 del 2014, sollevate, in riferimento agli artt. 3, sotto
il profilo della irragionevolezza della disciplina, 77, secondo comma, e 97,
secondo comma, Cost., dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia,
con ordinanza iscritta al r.o. n. 30 del 2015;
3) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
2, del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge n. 114 del 2014, sollevate, in riferimento agli artt. 3, sotto
il profilo della irragionevolezza della disciplina, 97, secondo comma, e 117,
primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 1, 2 e 6, paragrafo 1,
della direttiva 27 novembre 2000, n. 2000/78/CE (Direttiva del Consiglio che
stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro), dal Tribunale amministrativo regionale
dell’Emilia-Romagna, con l’ordinanza iscritta al r.o.
n. 61 del 2015;
4) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi
1, 2 e 3, del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge n. 114 del 2014, sollevate, in riferimento agli artt. 3,
sotto il profilo della irragionevolezza della disciplina, 81, terzo comma, e
97, primo e secondo comma, Cost., dal Consiglio di Stato e dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, con ordinanze iscritte al r.o.
n. 144 del 2015 e al r.o. n. 19 del 2016;
5) dichiara
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 2, del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge n. 114 del 2014, sollevata, in riferimento all’art. 3
Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento, dal
Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna, con ordinanza iscritta
al r.o. n. 61 del 2015;
6) dichiara
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, commi 1, 2 e 3, del d.l. n. 90 del 2014 convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 114 del 2014, sollevata, in
riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole eguaglianza
di trattamento, dal Consiglio di Stato e dal Tribunale amministrativo regionale
del Lazio, con ordinanze iscritte al r.o. n. 144 del
2015 e al r.o. n. 19 del 2016.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 aprile 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 giugno
2016.