SENTENZA N. 244
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON
”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 35 del decreto-legge
12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la
semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa
delle attività produttive), e dell’art. 35, commi da 1 a 9 e 11, dello stesso
decreto-legge, convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 2014, n. 164,
promossi dalla Regione Lombardia con due ricorsi notificati il 6 novembre 2014
e il 9 gennaio 2015, e dalla Regione Veneto con un ricorso notificato il 9 - 14
gennaio 2015, depositati in cancelleria il 12 novembre 2014, il 15 ed il 16
gennaio 2015 e rispettivamente iscritti al n. 87 del
registro ricorsi 2014 e al n. 7 e
n. 10
del registro ricorsi 2015.
Visti
gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2016
il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi gli avvocati Giovanni Guzzetta per la Regione Lombardia, Luca Antonini per la
Regione Veneto e l’Avvocato dello Stato Paolo Grasso per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1.– Con ricorso notificato il 6 novembre 2014 e
depositato il 12 novembre 2014 (reg. ric. n. 87 del 2014), la Regione Lombardia
ha impugnato l’art. 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure
urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del
dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), per
violazione degli artt.
3, secondo comma, 77,
secondo comma, 81,
117, primo comma,
della Costituzione, in riferimento alla direttiva
2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001,
concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi
sull’ambiente; nonché per violazione dell’art. 117, secondo comma,
117, terzo comma,
119 e 120 Cost.
L’art. 35 prevede che «1. Entro novanta giorni dalla
data di entrata in vigore del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei
ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio
e del mare, individua, con proprio decreto, gli impianti di recupero di energia
e di smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, esistenti o da realizzare per
attuare un sistema integrato e moderno di gestione di tali rifiuti atto a
conseguire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza e superare le procedure
di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore. Tali
impianti, individuati con finalità di progressivo riequilibrio socio economico
fra le aree del territorio nazionale concorrono allo sviluppo della raccolta
differenziata e al riciclaggio mentre deprimono il fabbisogno di discariche.
Tali impianti di termotrattamento costituiscono
infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai
fini della tutela della salute e dell’ambiente.
2. Tutti gli impianti, sia esistenti che da
realizzare, devono essere autorizzati a saturazione del carico termico, come
previsto dall’articolo 15 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 46. Entro 60
giorni dalla entrata in vigore del presente decreto, per gli impianti
esistenti, le Autorità competenti provvedono ad adeguare le autorizzazioni
integrate ambientali.
3. Tutti gli impianti di nuova realizzazione
dovranno essere realizzati conformemente alla classificazione di impianti di
recupero energetico di cui al punto R1 (nota 4), allegato C, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
4. Entro 60 giorni dalla entrata in vigore del
presente decreto, per gli impianti esistenti, le Autorità competenti provvedono
a verificare la sussistenza dei requisiti per la loro qualifica di impianti di
recupero energetico R1, revisionando in tal senso e nello stesso termine,
quando ne ricorrono le condizioni, le autorizzazioni integrate ambientali.
5. Ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006
e successive modificazioni non sussistendo vincoli di bacino per gli impianti
di recupero, negli stessi deve essere data priorità al trattamento dei rifiuti
urbani prodotti nel territorio nazionale e a saturazione del carico termico,
devono essere trattati rifiuti speciali non pericolosi o pericolosi a solo
rischio sanitario, adeguando coerentemente le autorizzazioni integrate
ambientali alle presenti disposizioni nei termini sopra stabiliti.
6. I termini previsti per l’espletamento delle
procedure di espropriazione per pubblica utilità, di valutazione di impatto
ambientale e di autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al
comma 1, sono ridotti alla metà. Se tali procedimenti sono in corso alla data
di entrata in vigore del presente decreto, sono ridotti della metà i termini
residui.
7. In caso di mancato rispetto dei termini di cui ai
commi 2, 4, 5 e 6 si applica il potere sostitutivo previsto dall’articolo 8
della legge 5 giugno 2003, n. 131».
2.– Secondo la ricorrente, tale disposizione violerebbe
l’art. 77 Cost., in primo luogo perché la necessità
di interventi strutturali sul sistema della gestione dei rifiuti non sarebbe
affatto una circostanza accidentale e eccezionale, suscettibile di essere
disciplinata in via d’urgenza.
Non si tratterebbe di una soluzione di natura
emergenziale, ma di un vero e proprio intervento di riassetto ordinamentale,
che sarebbe del tutto estraneo alla natura del decreto-legge; né le misure da
esso introdotte potrebbero considerarsi di immediata applicazione, comportando
tempi rilevanti ed accertamenti in via amministrativa complessi.
2.1.1.– In secondo luogo, la difesa regionale deduce il
difetto di omogeneità del decreto-legge, che sarebbe ravvisabile sia
dall’epigrafe del provvedimento, sia dall’ampio preambolo, dove si attesterebbe
la straordinaria necessità ed urgenza di provvedere con misure eterogenee.
Tale difetto riguarderebbe anche l’impugnato art.
35, le cui disposizioni imporrebbero alle competenti autorità regionali e
locali il rispetto di scansioni temporali non coordinate e in potenziale
conflitto fra loro.
2.1.2.– Quanto alla ridondanza di tali vizi sulla lesione
delle proprie attribuzioni costituzionali, la disciplina introdotta dal Governo
inciderebbe, ad avviso della Regione, sulle proprie competenze in materia di
governo del territorio, pianificazione territoriale ed urbanistica, tutela
della salute, produzione dell’energia, coordinamento della finanza regionale e
del sistema tributario, servizi pubblici locali.
Le norme contestate avrebbero ripercussioni sulla
programmazione regionale di recente approvazione, in particolare sull’autosufficienza
nello smaltimento mediante recupero energetico dei rifiuti indifferenziati.
Peraltro, la ricorrente deduce che, nel quadro degli
obiettivi della nuova pianificazione, essa ha avviato dei tavoli di lavoro con
operatori e amministratori locali per la gestione delle istruttorie di
rispettiva competenza, anche al fine di sperimentare la cosiddetta decommissioning
di alcuni impianti.
Ad avviso della Regione, l’autorizzazione generalizzata
degli impianti con saturazione del carico termico, con le conseguenti
ripercussioni in termini di emissioni, potrebbe risultare penalizzante rispetto
alle specifiche condizioni sanitarie delle aree interessate dalla presenza di
questi impianti, specie nel territorio del bacino padano, caratterizzato da
condizioni climatiche favorevoli all’accumulo degli inquinanti.
Tale misura, dunque, inciderebbe sulla competenza
regionale in materia di tutela della salute, vanificando gli accertamenti istruttori
già compiuti dalle competenti autorità al momento dell’autorizzazione integrata
degli impianti.
Infine, secondo la difesa regionale, l’ingresso nel
mercato di ulteriori rifiuti a costi nuovamente negoziabili, potrebbe
comportare l’aggravio della tariffa di smaltimento per i cittadini lombardi,
con conseguente compressione dell’autonomia finanziaria della Regione.
Di qui, secondo la Regione, l’ammissibilità della
censura relativa alla violazione dell’art. 77, secondo comma, in combinato
disposto con l’art. 117, secondo e terzo comma, Cost.
2.2.– Sarebbe altresì violato l’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento alla direttiva 2001/42/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, in quanto la
disposizione impugnata adotterebbe un vero e proprio programma nazionale in
materia di gestione integrata dei rifiuti, in assenza della necessaria analisi
di valutazione ambientale strategica (VAS).
Neppure si potrebbe ritenere, secondo la Regione,
che le norme della direttiva non riguardino l’attività legislativa degli Stati
membri. L’art. 2, lettera a),
infatti, stabilisce che per «piani e programmi» debbano intendersi anche quelli
«che sono previsti da disposizioni legislative»; l’art. 4, poi, stabilisce che
la procedura di VAS debba essere avviata «anteriormente alla sua adozione e
all’avvio della relativa procedura legislativa» di adozione del piano o
programma.
Diversamente opinando, gli obblighi imposti a
livello europeo sarebbero facilmente eludibili dallo Stato, che potrebbe
occultare sotto il nomen iuris
dell’atto normativo un provvedimento avente i connotati essenziali di un atto
di programmazione generale, che dovrebbe essere obbligatoriamente sottoposto
alla prescritta valutazione di impatto.
Secondo la Regione, inoltre, una diversa interpretazione
della direttiva, che fosse in contrasto con il suo tenore letterale,
richiederebbe a questa Corte di investire la Corte di Giustizia dell’Unione
europea mediante rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul
Funzionamento dell’Unione europea.
Ad ogni modo, anche a voler ritenere che il
legislatore statale non si sia sottratto alle procedure in materia di VAS, in
quanto queste ultime sarebbero esperibili al momento dell’attuazione della
legge, l’art. 35 sarebbe comunque illegittimo, perché non contemplerebbe
affatto l’esperimento di siffatte procedure, nemmeno per l’adozione del decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri chiamato ad individuare gli impianti.
Sarebbe evidente, infatti, come la scelta degli
impianti da considerare quali infrastrutture di preminente interesse nazionale,
con le conseguenze delineate dal legislatore in termini di operatività al
massimo del carico termico e di trattamento dei rifiuti provenienti da tutto il
territorio nazionale al fine di garantire l’autosufficienza, costituisca
un’operazione di rilevantissimo impatto ambientale.
Ad avviso della ricorrente, la circostanza, che
nell’esercizio della propria discrezionalità amministrativa, l’autorità
competente a rilasciare l’autorizzazione abbia stabilito un vincolo per un
livello di carico sub-massimo, richiederebbe di verificare se un’utilizzazione
a pieno regime non abbia ricadute ambientali nocive.
Il Governo, dunque, avrebbe dovuto necessariamente
prevedere che la stessa venisse assoggettata a VAS, anche alla luce della
necessità di definire criteri univoci per la distribuzione territoriale degli
impianti e per la valutazione degli impatti discendenti dalle scelte in ordine
alla loro localizzazione.
Anche in questo caso, ad avviso della Regione, i
vizi denunciati arrecherebbero un vulnus
alle proprie competenze; né si potrebbe obiettare che tale vulnus sia giustificato dalla finalità di tutela ambientale e,
quindi, dal carattere trasversale della relativa competenza statale.
Infatti, osserva la ricorrente, da una parte la
finalità ambientale non è l’unica perseguita dall’intervento normativo statale;
dall’altra, per le modalità con le quali viene perseguita, risulta strettamente
intrecciata con la materia della «produzione di energia». In ogni caso, alla
luce della giurisprudenza costituzionale, alle Regioni residua la potestà di
assicurare livelli di tutela maggiori di quelli previsti dallo Stato.
2.3.– Secondo la Regione, inoltre, l’impugnato art. 35
violerebbe i principi costituzionali in materia di riparto delle competenze
sanciti dall’art. 117, commi secondo e terzo, Cost.,
perché introdurrebbe misure in materia di gestione dei rifiuti che
comprometterebbero oltre il limite dell’adeguatezza le competenze regionali e
locali coinvolte.
Tale disposizione, infatti, inciderebbe sulla
programmazione regionale di recente approvazione, in particolare
sull’autosufficienza nello smaltimento tramite recupero energetico dei rifiuti
indifferenziati.
La Giunta regionale, infatti, ha adottato specifiche
misure per evitare un sovradimensionamento di impianti di trattamento dei
rifiuti urbani indifferenziati ed ha attivato tavoli di lavoro con operatori e
amministratori locali per la valutazione dell’eventuale disattivazione di
alcuni impianti.
Questa attività di pianificazione ha portato alla
diminuzione della produzione di rifiuti urbani pro-capite, stimabile intorno al -2 per cento, e alla definizione
di nuovi obiettivi per incrementare la raccolta differenziata e prevenire la
produzione del rifiuto. Secondo la Regione, invece, l’impugnato art. 35
vanificherebbe questi risultati e avrebbe ricadute nel suo territorio, che
conta ben 11 impianti di incenerimento.
2.3.1.– Quanto all’impatto sulla tutela della salute, la
Regione osserva come i propri impianti abbiano ottimizzato il processo in
relazione alle tipologie di rifiuti raccolti e alle caratteristiche di questi
ultimi.
Invece, la variazione della qualità del rifiuto
conseguente alla normativa introdotta dal Governo, ridurrebbe l’efficienza dei
processi e aggraverebbe i relativi impatti ambientali e sanitari.
Inoltre, ad avviso della Regione, l’autorizzazione
ad operare con saturazione del carico termico potrebbe risultare penalizzante
per le condizioni sanitarie delle aree interessate dalla presenza di tali
impianti, specie nel bacino padano.
2.4.– La disciplina contestata, inoltre, non prevederebbe alcuna forma di collaborazione con le Regioni
e con gli altri enti territoriali interessati, violando gli artt. 118 e 120 Cost.
In particolare, l’art. 35, comma 1, incarica il
Presidente del Consiglio dei ministri di individuare con suo decreto quali
saranno gli impianti di trattamento già esistenti o da costruire, da
qualificare come infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale,
senza prevedere alcun coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali, né in
forma individuale, né attraverso il sistema delle conferenze.
Le altre disposizioni dell’art. 35 imporrebbero alle
autorità competenti al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA)
di adeguarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge;
viene inoltre imposto a tali autorità e a quelle competenti per le procedure di
espropriazione, il dimezzamento dei termini dei procedimenti eventualmente già
in corso e di quelli futuri.
In caso di mancato rispetto dei termini, si applica
il potere sostitutivo di cui all’art. 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131
(Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
Tali norme, dunque, prevedendo l’intervento
sostitutivo dello Stato nel caso in cui le autorità competenti non realizzino
gli interventi previsti, configurerebbe un’ipotesi di sostituzione statale
attivata direttamente in caso di inerzia degli enti locali, in riferimento ad
ambiti di competenza regionale, senza consentire alle Regioni di esercitare il
proprio potere sostitutivo, con conseguente lesione delle relative
attribuzioni.
2.5.– Secondo la Regione, le proprie sfere di competenza
sarebbero, altresì, menomate dalla manifesta irragionevolezza e dalla
intrinseca contraddittorietà delle disposizioni contenute nell’art. 35, che non
sarebbero coordinate e sarebbero in potenziale conflitto tra loro.
In particolare, i commi secondo e terzo dell’art. 35
imporrebbero alle competenti autorità di adeguare le autorizzazioni integrate
ambientali degli impianti di recupero e smaltimento entro 60 giorni dalla data
di entrata in vigore del decreto-legge.
Il primo comma dell’art. 35, invece, stabilisce che
il d.P.C.m. di individuazione degli impianti da
qualificarsi come infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale,
sia adottato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge.
Secondo la Regione, tale discrasia temporale
imporrebbe alle autorità competenti di operare in un contesto giuridico
incerto, cioè prima della definitiva individuazione degli impianti da parte
dello Stato, sebbene le attività di revisione delle AIA comportino incisivi
impatti sulle competenze pianificatorie di Regioni e
Province in materia di rifiuti, nonché sulle posizioni giuridiche consolidate
dei soggetti gestori degli impianti interessati.
Inoltre, l’autorizzazione degli impianti a
saturazione del carico termico, con il conseguente aumento delle emissioni, potrebbe
risultare penalizzante per le condizioni sanitarie delle aree interessate dalla
presenza di tali impianti, e ciò prima che essi vengano inseriti nel d.P.C.m.
Ad avviso della Regione, poi, l’irragionevolezza
sarebbe ancor più accentuata dal fatto che i termini per l’attuazione della
norma da parte delle autorità competenti sono equivalenti a quelli per la
conversione in legge del decreto.
Sarebbe, altresì, irragionevole la previsione di cui
al sesto comma dell’art. 35, che prevede il dimezzamento dei termini per le
procedure di espropriazione per pubblica utilità, di valutazione di impatto
ambientale e di autorizzazione integrata ambientale degli impianti individuati
con d.P.C.m., anche con riferimento ad impianti che
non vi risultino ancora inseriti.
2.6.– Infine, ad avviso della Regione, l’art. 35
violerebbe la sua autonomia di entrata e di spesa, nonché i vincoli inerenti il
proprio bilancio, previsti rispettivamente dagli artt. 119 e 81 Cost.
A fronte delle priorità di smaltimento stabilite dal
comma 5 dell’art. 35, infatti, verrebbe azzerato l’attuale surplus di
potenzialità di incenerimento degli impianti lombardi, che ad oggi soddisfano
il fabbisogno di incenerimento degli altri rifiuti speciali non ritenuti
prioritari dal decreto-legge in questione. Questi ultimi, dunque, dovranno
trovare altra destinazione, probabilmente all’estero, con relative conseguenze
di natura ambientale ed economica.
Inoltre, la significativa alterazione dei flussi di
rifiuti in ingresso nella Regione, metterà in crisi il sistema di mutuo
soccorso tra gli impianti della rete regionale, previsto per i casi di
manutenzione straordinaria e per quelli di manutenzione occasionale ed
emergenziale, con evidenti ripercussioni sui bilanci della Regione.
Infine, poiché il sistema di smaltimento regionale è
attualmente gestito in modo tale da creare condizioni concorrenziali che hanno
ottimizzato la tariffa, le misure introdotte dal Governo ed il conseguente
ingresso nel mercato di ulteriore rifiuto, a costi nuovamente negoziabili, altererà
l’equilibrio economico raggiunto, con potenziale aggravio della tariffa per i
cittadini.
3.– Con atto depositato il 15 dicembre 2014 si è
costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o infondato, anche alla luce delle modifiche
introdotte in sede di conversione.
3.1.– In via preliminare, l’Avvocatura generale dello
Stato eccepisce l’inammissibilità del ricorso perché l’insussistenza dei
presupposti per l’esercizio del potere di decretazione d’urgenza sarebbe
sindacabile solo ove ridondi nella lesione di competenze regionali.
Ad avviso della difesa statale, invece, l’impugnato
art. 35, concernendo il sistema di gestione dei rifiuti, rientrerebbe nella
competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente», di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost.
3.2.– Nel merito, ad avviso dell’Avvocatura generale
dello Stato, la disposizione impugnata è stata incisivamente modificata in sede
di conversione, garantendo alla Regione un pieno coinvolgimento nell’attuazione
del sistema di gestione dei rifiuti, così da escludere ogni menomazione delle
sue attribuzioni costituzionali.
Alla luce della nuova formulazione dell’art. 35,
comma 7, inoltre, non sarebbe neppure ravvisabile alcuna violazione degli artt.
119 e 81 Cost.
Pertanto, ad avviso della difesa statale, l’assenza
di menomazioni di attribuzioni regionali costituzionalmente garantite
renderebbe inammissibile il motivo di ricorso teso a far valere l’insussistenza
dei requisiti per la decretazione d’urgenza, prescritti dall’art. 77, secondo
comma, Cost.
3.2.1.– In ogni caso, osserva l’Avvocatura generale dello
Stato, tale motivo di ricorso sarebbe comunque infondato, in quanto l’art. 35
sarebbe coerente con le finalità esplicitate nel decreto-legge. Viene
richiamata, a questo riguardo, la giurisprudenza costituzionale che collega
l’esistenza dei presupposti per la decretazione d’urgenza ad un’intrinseca coerenza
delle norme contenute nel decreto-legge, non solo dal punto di vista oggettivo
e materiale, ma anche dal punto di vista funzionale e finalistico.
3.2.2.– Quanto al difetto di omogeneità che
deriverebbe dalla previsione di diversi termini gravanti rispettivamente sulle
competenti autorità regionali e locali, da un lato, e sul Governo, dall’altro,
per l’adempimento degli obblighi sanciti dall’art. 35, la difesa statale
osserva che tra l’individuazione degli impianti tramite d.P.C.m.
e l’adeguamento delle AIA non vi sarebbe alcuna pregiudizialità logica o
giuridica, trattandosi di attività che possono essere espletate autonomamente e
che non risultano reciprocamente condizionate.
3.2.3.– Del pari non fondata sarebbe la censura di
irragionevolezza della disposizione impugnata perché il termine di 60 giorni
entro il quale le autorità competenti sono chiamate ad adeguare le
autorizzazioni integrate è pari a quello per la conversione del decreto-legge e
dunque esporrebbe tali autorità ad una situazione di totale incertezza.
La difesa statale, infatti, osserva come in sede di
conversione questo termine sia stato modificato, portandolo a 90 giorni
decorrenti dall’entrata in vigore della stessa legge di conversione.
3.2.4.– In ordine alla sussistenza dei presupposti di
necessità ed urgenza, l’Avvocatura generale dello Stato rileva altresì che il
decreto-legge risponderebbe all’obiettivo di superare le eccezionali situazioni
di crisi connesse alla gestione dei rifiuti, che hanno provocato nei confronti
dell’Italia l’apertura di procedure d’infrazione tuttora pendenti da parte
dell’Unione europea.
Tale intervento normativo, pertanto, sarebbe volto
ad evitare il protrarsi di una situazione che espone lo Stato italiano alla
violazione della normativa europea.
3.2.5.– Inoltre, l’art. 35 introdurrebbe misure di
immediata applicazione, poiché, da un lato, pone obblighi puntuali in capo alle
autorità amministrative competenti, ai quali va prestato adempimento entro
termini perentori e con specifiche procedure; dall’altro, esso contiene
previsioni, come quella di cui al comma 4, che prescindono da ogni
coinvolgimento delle autorità amministrative.
3.3.– Quanto all’asserita violazione della direttiva
2001/42/CE, la difesa statale ritiene che la norma impugnata non configuri un
nuovo piano di gestione dei rifiuti determinato in ogni suo dettaglio, poiché
ad un simile risultato si arriverebbe solo all’esito di una serie di attività
rimesse alle competenti autorità regionali e locali, le quali, prima di
definire i contenuti del piano, saranno chiamate ad effettuare valutazioni e
verifiche pienamente rispondenti alla ratio
della procedura di VAS prescritta dalla direttiva.
Alla luce delle modifiche introdotte in sede di
conversione, infatti, la procedura di VAS risulterebbe pienamente esperibile,
nel suo contenuto sostanziale, in sede di attuazione del dettato legislativo,
dovendosi pertanto escludere ogni intento elusivo delle finalità della
direttiva.
3.4.– Neppure vi sarebbe alcuna compromissione delle
sfere di competenza regionale, in quanto l’art. 35 sarebbe espressione della
competenza legislativa esclusiva della Stato in materia di «tutela
dell’ambiente».
D’altra parte, le modifiche introdotte in sede di
conversione hanno delineato una disciplina da cui si ricaverebbe, ad avviso
dell’Avvocatura generale dello Stato, la garanzia di un pieno coinvolgimento
della Regione nell’attuazione del sistema di gestione dei rifiuti, tale da
escludere qualsiasi menomazione delle sue competenze costituzionalmente
garantite e assicurerebbe il rispetto del principio di leale collaborazione.
3.5.– La difesa statale deduce, infine, l’infondatezza
delle censure relative alla violazione degli artt. 81 e 119 Cost.,
in quanto la nuova formulazione dell’art. 35, comma 7, configurerebbe un
sistema compensativo che consente alle Regioni di determinare il contributo per
lo smaltimento dei rifiuti di provenienza extra-regionale.
4.– La Regione Lombardia ha presentato una successiva memoria
in data 13 settembre 2016, nella quale ha replicato alle deduzioni della difesa
statale.
5.– Con ricorso notificato il 9 gennaio 2015 e
depositato il 15 gennaio 2015 (reg. ric. n. 7 del 2015), la Regione Lombardia
ha impugnato l’art. 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, per
violazione degli artt.
3, secondo comma, 11,
77, secondo comma,
81, 117, primo comma, Cost., in riferimento alla direttiva
2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001,
concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi
sull’ambiente; nonché per violazione degli artt. 117, secondo comma
e terzo comma, 118,
119 e 120 Cost.
La disposizione impugnata prevede che «1. Entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la
capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli
impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con
l’indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di
incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da
realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di
progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e
nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio,
tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono
infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale,
attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e
assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell’autosufficienza,
consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per
mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di
rifiuti in discarica.
2. Ai medesimi fini di cui al comma 1, entro
centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione
del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, effettua la
ricognizione dell’offerta esistente e individua, con proprio decreto, il
fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti
urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni; sino alla
definitiva realizzazione degli impianti necessari per l’integrale copertura del
fabbisogno residuo così determinato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano possono autorizzare, ove tecnicamente possibile, un
incremento fino al 10 per cento della capacità degli impianti di trattamento
dei rifiuti organici per favorire il recupero di tali rifiuti raccolti nel
proprio territorio e la produzione di compost di qualità.
3. Tutti gli impianti di recupero energetico da
rifiuti sia esistenti sia da realizzare sono autorizzati a saturazione del
carico termico, come previsto dall’articolo 237-sexies del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152, qualora sia stata valutata positivamente la
compatibilità ambientale dell’impianto in tale assetto operativo, incluso il
rispetto delle disposizioni sullo stato della qualità dell’aria di cui al
decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155. Entro novanta giorni dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le autorità
competenti provvedono ad adeguare le autorizzazioni integrate ambientali degli
impianti esistenti, qualora la valutazione di impatto ambientale sia stata
autorizzata a saturazione del carico termico, tenendo in considerazione lo
stato della qualità dell’aria come previsto dal citato decreto legislativo n.
155 del 2010.
4. Gli impianti di nuova realizzazione devono essere
realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero
energetico di cui alla nota 4 del punto R1 dell’allegato C alla parte quarta
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.
5. Entro novanta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto, per gli impianti
esistenti, le autorità competenti provvedono a verificare la sussistenza dei
requisiti per la loro qualifica di impianti di recupero energetico R1 e, quando
ne ricorrono le condizioni e nel medesimo termine, adeguano in tal senso le
autorizzazioni integrate ambientali.
6. Ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152, non sussistendo vincoli di bacino al trattamento dei rifiuti urbani in
impianti di recupero energetico, nei suddetti impianti deve comunque essere
assicurata priorità di accesso ai rifiuti urbani prodotti nel territorio
regionale fino al soddisfacimento del relativo fabbisogno e, solo per la
disponibilità residua autorizzata, al trattamento di rifiuti urbani prodotti in
altre regioni. Sono altresì ammessi, in via complementare, rifiuti speciali
pericolosi a solo rischio infettivo nel pieno rispetto del principio di
prossimità sancito dall’articolo 182-bis, comma 1, lettera b), del citato
decreto legislativo n. 152 del 2006 e delle norme generali che disciplinano la
materia, a condizione che l’impianto sia dotato di sistema di caricamento
dedicato a bocca di forno che escluda anche ogni contatto tra il personale
addetto e il rifiuto; a tale fine le autorizzazioni integrate ambientali sono
adeguate ai sensi del presente comma.
7. Nel caso in cui in impianti di recupero
energetico di rifiuti urbani localizzati in una regione siano smaltiti rifiuti
urbani prodotti in altre regioni, i gestori degli impianti sono tenuti a
versare alla regione un contributo, determinato dalla medesima, nella misura
massima di 20 euro per ogni tonnellata di rifiuto urbano indifferenziato di
provenienza extraregionale. Il contributo, incassato e versato a cura del
gestore in un apposito fondo regionale, è destinato alla prevenzione della
produzione dei rifiuti, all’incentivazione della raccolta differenziata, a
interventi di bonifica ambientale e al contenimento delle tariffe di gestione
dei rifiuti urbani. Il contributo è corrisposto annualmente dai gestori degli
impianti localizzati nel territorio della regione che riceve i rifiuti a valere
sulla quota incrementale dei ricavi derivanti dallo smaltimento dei rifiuti di
provenienza extraregionale e i relativi oneri comunque non possono essere
traslati sulle tariffe poste a carico dei cittadini.
8. I termini per le procedure di espropriazione per
pubblica utilità degli impianti di cui al comma 1 sono ridotti della metà. Nel
caso tali procedimenti siano in corso alla data di entrata in vigore del
presente decreto, sono ridotti di un quarto i termini residui. I termini
previsti dalla legislazione vigente per le procedure di valutazione di impatto
ambientale e di autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al
comma 1 si considerano perentori.
9. In caso di mancato rispetto dei termini di cui ai
commi 3, 5 e 8 si applica il potere sostitutivo previsto dall’articolo 8 della
legge 5 giugno 2003, n. 131.
10. Al comma 9-bis dell’articolo 11 del
decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 ottobre 2013, n. 125, dopo le parole: "il Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare” sono inserite le seguenti: ", anche
avvalendosi della società Consip Spa, per lo
svolgimento delle relative procedure, previa stipula di convenzione per la
disciplina dei relativi rapporti,”.
11. All’articolo 182 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, dopo il comma 3 è inserito il
seguente:
"3-bis. Il divieto di cui al comma 3 non si applica
ai rifiuti urbani che il Presidente della regione ritiene necessario avviare a
smaltimento, nel rispetto della normativa europea, fuori del territorio della
regione dove sono prodotti per fronteggiare situazioni di emergenza causate da
calamità naturali per le quali è dichiarato lo stato di emergenza di protezione
civile ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225.”.
12. All’articolo 234 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti
modificazioni:
a) il comma 2 è abrogato;
b) al comma 3 è aggiunto, in fine, il seguente
periodo: "In ogni caso, del consiglio di amministrazione del consorzio deve
fare parte un rappresentante indicato da ciascuna associazione maggiormente rappresentativa
a livello nazionale delle categorie produttive interessate, nominato con
decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare,
sentito il Ministro dello sviluppo economico”;
c) al comma 13 sono aggiunti, in fine, i seguenti
periodi: "Il contributo percentuale di riciclaggio è stabilito comunque in
misura variabile, in relazione alla percentuale di polietilene contenuta nel
bene e alla durata temporale del bene stesso. Con il medesimo decreto di cui al
presente comma è stabilita anche l’entità dei contributi di cui al comma 10,
lettera b)”.
13. Fino all’emanazione del decreto di cui al comma
13 dell’articolo 234 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come
modificato dal presente articolo, i contributi previsti dal medesimo articolo
234, commi 10 e 13, sono dovuti nella misura del 30 per cento dei relativi
importi.».
5.1.– La Regione deduce, in primo luogo, l’insussistenza
dei presupposti che giustificano il ricorso alla decretazione d’urgenza, ai
sensi dell’art. 77, secondo comma, Cost. A suo
avviso, infatti, la necessità di interventi strutturali sul sistema della
gestione dei rifiuti non sarebbe affatto una circostanza accidentale e
eccezionale, suscettibile di essere disciplinata in via d’urgenza.
Non si tratterebbe di una soluzione di natura
emergenziale, quanto piuttosto di un vero e proprio intervento di riassetto
ordinamentale, del tutto estraneo alla natura del decreto-legge; né le misure
da esso introdotte potrebbero considerarsi di immediata applicazione,
comportando tempi rilevanti ed accertamenti amministrativi complessi.
5.1.1.– In secondo luogo, la difesa regionale deduce il
difetto di omogeneità del decreto-legge, che sarebbe ravvisabile sia
dall’epigrafe del provvedimento, sia dall’ampio preambolo, dove si attesterebbe
la straordinaria necessità ed urgenza di provvedere con misure eterogenee fra
loro.
5.1.2.– Quanto alla ridondanza di tali vizi sulla lesione
delle proprie attribuzioni costituzionali, la disciplina introdotta dal Governo
inciderebbe, ad avviso della Regione, sulle sue competenze in materia di
governo del territorio, pianificazione territoriale ed urbanistica, tutela
della salute, produzione dell’energia, coordinamento della finanza regionale e
del sistema tributario, servizi pubblici locali.
Le norme contestate avrebbero ripercussioni sulla
programmazione regionale di recente approvazione, in particolare
sull’autosufficienza nello smaltimento mediante recupero energetico dei rifiuti
indifferenziati.
Peraltro, la ricorrente deduce che, nel quadro degli
obiettivi della nuova pianificazione, essa ha avviato dei tavoli di lavoro con
operatori e amministratori locali per la gestione delle istruttorie di
rispettiva competenza, anche al fine di sperimentare la cosiddetta decommissioning
di alcuni impianti.
Ad avviso della Regione, l’autorizzazione
generalizzata degli impianti con saturazione del carico termico, con le
conseguenti ripercussioni in termini di emissioni, potrebbe risultare
penalizzante rispetto alle specifiche condizioni sanitarie delle aree
interessate dalla presenza di questi impianti, specie nel territorio del bacino
padano, caratterizzato da condizioni climatiche favorevoli all’accumulo degli
inquinanti.
Tale misura, dunque, inciderebbe sulla competenza
regionale in materia di tutela della salute, vanificando gli accertamenti
istruttori già compiuti dalle competenti autorità al momento
dell’autorizzazione integrata degli impianti.
Infine, secondo la difesa regionale, l’ingresso nel
mercato di ulteriori rifiuti a costi nuovamente negoziabili, potrebbe
comportare l’aggravio della tariffa di smaltimento per i cittadini lombardi,
con conseguente compressione dell’autonomia finanziaria della Regione.
Di qui, secondo la Regione, l’ammissibilità della
censura relativa alla violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., in
combinato disposto con l’art. 117, secondo e terzo comma, Cost.
5.2.– Sarebbe altresì violato l’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento alla direttiva 2001/42/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, in quanto la
disposizione impugnata adotterebbe un vero e proprio programma nazionale in
materia di gestione integrata dei rifiuti senza aver dato luogo alla necessaria
procedura di VAS. Sul punto la Regione riproduce le argomentazioni già svolte
nel precedente ricorso.
5.2.1.– In via subordinata, la Regione chiede a
questa Corte di effettuare un rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del
Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, per investire la Corte di
Giustizia dell’Unione europea della seguente questione interpretativa della
direttiva 2001/ 42/CE: «se gli artt. l, 3, 4, 8 e 9 direttiva 2001/42/CE, anche
in combinato disposto, ostino all’applicazione di una norma, quale quella
prevista dall’art. 35, comma l, del decreto-legge n. 133 del 2014, come
convertito, la quale prevede che "il Presidente del Consiglio dei Ministri, su
proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, [...] con proprio
decreto individua [...] gli impianti di incenerimento con recupero energetico
di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo,
determinato con finalità di progressivo
riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel
rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio”, senza
prevedere che, all’atto della predisposizione di tale piano, si applichi la
disciplina di valutazione ambientale strategica così come prevista dalla
menzionata direttiva».
5.3.– Secondo la Regione, inoltre, l’impugnato art. 35 violerebbe
l’art. 117, commi secondo e terzo, Cost., perché
introdurrebbe misure in materia di gestione dei rifiuti che comprometterebbero
oltre il limite dell’adeguatezza le competenze regionali e locali coinvolte.
Anche questa censura viene sorretta dalle stesse argomentazioni già svolte nel
precedente ricorso.
5.4.– La disciplina contestata, inoltre, prevederebbe una forma collaborativa con le Regioni e con
gli altri enti territoriali interessati del tutto insufficiente (comma l),
ovvero non ne prevederebbe alcuna (commi 2 e 9).
In particolare, il comma 1, richiedendo che la
Conferenza Stato Regioni sia chiamata ad esprimere un mero parere, sarebbe
disattesa la forma di intesa "forte” richiesta dalla costante giurisprudenza
costituzionale; il comma 2, invece, escluderebbe ogni forma di collaborazione
con la Regione interessata.
Il comma 9 dell’art. 35, inoltre, violerebbe l’art.
120 Cost.,
in quanto esso disciplina una sostituzione non legittimata dai requisiti
costituzionalmente previsti, quali il mancato rispetto di norme di trattati
internazionali o della normativa comunitaria, ovvero la tutela dell’unità
giuridica o economica e la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali.
Tale disposizione violerebbe anche la previsione
dell’art. 120, secondo comma, Cost., non assicurando il coinvolgimento della Regione nel
processo di sostituzione; inoltre, sarebbe realizzata un’ipotesi di
sostituzione statale attivabile in caso di inerzia degli enti locali, in
riferimento ad ambiti di competenza regionale, senza consentire alle Regioni di
esercitare il proprio potere sostitutivo, con conseguente lesione delle
relative attribuzioni.
Anche il comma 11 sarebbe in contrasto con il
principio di leale collaborazione, in quanto la Regione destinataria dei
rifiuti da smaltire non verrebbe in alcun modo messa in grado di interloquire
sul destino degli stessi.
5.5.– Secondo la Regione, le proprie sfere di competenza sarebbero
altresì menomate dalla manifesta irragionevolezza dell’art. 35, comma 8, il
quale, prevedendo la riduzione di un quarto dei termini residui per i
procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, in corso alla data di
entrata in vigore del decreto-legge, sarebbe in contrasto con il principio del
legittimo affidamento dei destinatari dei provvedimenti.
5.6.– Infine, ad avviso della ricorrente, l’art. 35
violerebbe la sua autonomia di entrata e di spesa, nonché i vincoli inerenti il
bilancio, previsti rispettivamente dagli artt. 119 e 81 Cost.
Osserva la difesa della Regione come il sistema
regionale di smaltimento dei rifiuti sia gestito in modo tale da creare
condizioni concorrenziali per ottimizzare la tariffa; con l’ammissione di
rifiuti speciali pericolosi a solo rischio infettivo, prevista dal comma 6
dell’art. 35, tali equilibri verrebbero alterati, con potenziale aggravio della
tariffa per i cittadini.
È bensì vero, secondo la Regione, che il comma 7
prevede la possibilità di utilizzo del fondo per ridurre le tariffe di gestione
dei rifiuti urbani, ma non si avrebbero certezze in ordine alla compensazione
degli eventuali squilibri. In ogni caso, ciò avverrebbe pregiudicando le
finalità di bonifica, cui il fondo è destinato, e che la Regione stessa ritiene
prioritarie.
6.– Con atto depositato il 17 febbraio 2015 si è
costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato infondato.
6.1.– Quanto alla mancanza dei presupposti che, ai sensi
dell’art. 77, secondo comma, Cost., giustificano la
decretazione d’urgenza, la difesa statale richiama la giurisprudenza
costituzionale che ricollega l’esistenza dei presupposti all’intrinseca
coerenza delle norme del decreto-legge, anche sotto il profilo finalistico.
Da questo punto di vista, gli interventi previsti
dal decreto-legge, sebbene riguardanti materie diverse, risponderebbero ad un
unico nesso teleologico, volto a garantire "Misure urgenti per l’apertura dei
cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del
Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e
per la ripresa delle attività produttive”, al fine di dare sviluppo al Paese e
fronteggiare situazioni ritenute straordinarie.
L’Avvocatura generale dello Stato osserva, altresì,
come dalla lettura della relazione di accompagnamento al disegno di legge di
conversione, si ricaverebbe un’adeguata esposizione delle ragioni che hanno
portato ad utilizzare lo strumento della decretazione d’urgenza e che informano
anche la disciplina di cui all’articolo 35.
Tale disposizione, pertanto, sarebbe pienamente
coerente con le finalità esplicitate nel decreto-legge; essa, infatti, avrebbe
lo scopo di razionalizzare la gestione dei rifiuti su tutto il territorio
nazionale, autorizzando gli impianti alla "saturazione del carico termico” e
prevedendo un censimento di quelli esistenti, nonché la possibilità di smaltire
i rifiuti anche fuori dai confini regionali, nei casi di emergenza.
L’art. 35, inoltre, risponderebbe a criteri di
straordinaria necessità e urgenza, in quanto finalizzato ad interrompere le
numerose procedure di infrazione avviate dalla Commissione europea, riportando
sotto controllo situazioni che hanno superato la soglia critica.
La difesa statale ritiene che si tratti di misure di
immediata applicazione, perché la disciplina introdotta dall’art. 35
novellerebbe radicalmente le procedure autorizzative, senza che occorra un
ulteriore intervento normativo di tipo regolamentare per attuarle.
Neppure si tratterebbe di un piano complessivo per
la gestione dei rifiuti, perché la disposizione impugnata sarebbe piuttosto
finalizzata a risolvere una strutturale situazione di emergenza, connessa ad un
utilizzo non ottimale degli impianti sul territorio nazionale.
6.2.– L’Avvocatura generale dello Stato, inoltre, deduce
l’inammissibilità della questione relativa alla violazione dell’art. 117, primo
comma, Cost., in relazione agli obblighi in materia
di VAS imposti dalla direttiva 2001/42/ CE.
Ad avviso della difesa statale, infatti, la Regione
non avrebbe specificato come la mancata previsione dell’obbligo della VAS nella
procedura di adozione dei piani in questione leda le sue competenze.
6.3.– Non fondata sarebbe anche la censura relativa alla
lesione delle competenze regionali in materia di governo del territorio,
pianificazione urbanistica ed edilizia, di produzione di energia, gestione dei
servizi pubblici locali e tutela della salute, perché gli impianti di
incenerimento dei rifiuti, qualificati come infrastrutture e insediamenti
strategici di preminente interesse nazionale, garantirebbero la sicurezza
nazionale, che è materia di competenza esclusiva dello Stato.
La difesa statale osserva, inoltre, come sia
riservato allo Stato anche il potere di fissare livelli di tutela uniforme
sull’intero territorio nazionale; e come lo Stato, nell’esercizio di tale
competenza, abbia regolato il potere di localizzare gli impianti di recupero e
smaltimento di preminente interesse nazionale, già disciplinato dall’articolo
195, comma 1, lettera f), del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
6.4.– Quanto al coinvolgimento delle Regioni nel sistema
di gestione dei rifiuti, la difesa statale rileva che l’art. 35 prevede, ai
fini dell’individuazione degli impianti di recupero e di smaltimento di
preminente interesse nazionale, che sia sentita la Conferenza unificata, e che
la ricognizione dell’offerta esistente e la ricognizione del fabbisogno residuo
di impianti di recupero avvenga tramite d.P.C.m.
articolato per Regioni.
6.5.– Infine, ad avviso dell’Avvocatura generale dello
Stato, l’art. 35, comma 9, non sarebbe in contrasto con gli artt. 118 e 120 Cost., in quanto il potere d’intervento statale in caso di
mancato rispetto dei termini sarebbe ricondotto nell’ambito del potere
sostitutivo ordinario dello Stato, che ha il suo fondamento implicito negli
artt. 117 e 118 Cost.
6.6.– Non sussisterebbe neppure la lamentata lesione del
principio di leale collaborazione, atteso che le norme impugnate sono state
adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato,
rispetto alla quale la Costituzione non imporrebbe alcun coinvolgimento delle
Regioni; in ogni caso, l’esercizio dell’attività legislativa sfuggirebbe alle
procedure di leale collaborazione.
7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
presentato una successiva memoria in data 6 settembre 2016, nella quale ha
insistito perché il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.
8.– Con ricorso spedito per la notifica il 9 gennaio
2015, ricevuto il 14 gennaio 2015 e depositato il successivo 16 gennaio 2015
(reg. ric. n. 10 del 2015), la Regione Veneto ha impugnato, fra gli altri,
l’art. 35, commi 1, 2, 3, 4, 5, 8 e 9, del decreto-legge n. 133 del 2014, come
convertito, per violazione degli artt. 3, secondo comma,
11, 117, primo comma, in
riferimento alla direttiva
2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001,
concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi
sull’ambiente; nonché per violazione degli artt. 117, terzo e
quarto comma, 118,
119 e 120 della Costituzione.
8.1.– Osserva la ricorrente come l’art. 35, comma 1,
riprodurrebbe solo parzialmente la disciplina di cui all’art. 195 del d.lgs. n.
152 del 2006. Esso, infatti, non conterrebbe più la clausola di salvezza delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni, prevista dal richiamato art. 195,
con la conseguenza che un’ampia gamma di poteri regionali, anche potenzialmente
rivolti a stabilire criteri di tutela dell’ambiente più rigorosi di quelli
statali, risulterebbe travolta dalla costituzione di un sistema nazionale di
impianti di incenerimento.
Tale disposizione, dunque, sarebbe in contrasto con
l’art. 3 Cost., perché favorirebbe irragionevolmente la prospettiva
dell’incenerimento a discapito dell’economia del riciclo. Questa violazione
ridonderebbe nella lesione delle competenze regionali in materia di tutela
della salute, governo del territorio, valorizzazione dei beni ambientali e
turismo.
8.2.– Sarebbe altresì violato l’art. 120 Cost., perché la previsione che la Conferenza Stato Regioni
sia solo «sentita» rappresenterebbe una forma di coinvolgimento del tutto
inadeguata rispetto alla significativa incidenza della norma sulle competenze
regionali. A questo riguardo, viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 383 del
2005.
8.3.– L’art. 35, comma 1, inoltre, pur configurando un
vero e proprio atto di pianificazione in materia di gestione dei rifiuti, non
ne prevederebbe l’assoggettamento ad autorizzazione
ambientale strategica, in violazione della direttiva 2001/42/CE. Esso,
pertanto, sarebbe in contrasto con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., e
anche tale vizio ridonderebbe nella lesione delle suindicate competenze
regionali.
8.4.– Del pari lesivo dell’art. 120 Cost.,
sarebbe anche il comma 2 dell’art. 35, perché non prevederebbe
alcuna forma di coinvolgimento delle Regioni rispetto alla definizione
dell’offerta esistente su tutto il territorio nazionale.
8.5.– La Regione lamenta, inoltre, che i commi 3, 5
e 9 dell’art. 35, nell’imporre unilateralmente che tutti gli impianti di recupero
energetico da rifiuti siano autorizzati alla saturazione del carico termico,
con conseguente adeguamento delle autorizzazioni integrate ambientali; nonché
nel prevedere, in caso di mancato rispetto dei termini, l’intervento del potere
sostitutivo statale, violerebbero «per i motivi sopra indicati» le competenze
regionali in materia di tutela della salute, governo del territorio,
valorizzazione dei beni ambientali e turismo, di cui agli artt. 117, terzo e
quarto comma, e 118 Cost., nonché il principio di
leale collaborazione, di cui all’art. 120 Cost.
8.6.– Anche il comma 4 dell’art. 35 sarebbe in contrasto
con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., dal
momento che, a fronte dell’obbligo che viene imposto, non sarebbero previste
garanzie finanziarie a favore delle Regioni.
8.7.– Infine, viene denunciato il contrasto dell’art. 35,
comma 8, con gli artt. 3 e 117, terzo comma, Cost. in quanto esso, da un lato, avrebbe un effetto generalizzato
tale da travolgere tutte le diverse previsioni adottate nei vari settori dalla
legislazione regionale; dall’altro, facendo riferimento ai procedimenti in
corso, determinerebbe un’irragionevole violazione del principio di legittimo
affidamento.
9.– Con atto depositato il 23 febbraio 2015 si è
costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato infondato.
9.1.– Ad avviso della difesa statale, per verificare se
il piano previsto dall’art. 35 sia effettivamente ascrivibile alla categoria
dei piani e programmi da assoggettare a VAS, sarebbe necessario esaminarne le
specifiche caratteristiche alla luce delle definizioni e delle finalità della
VAS che si ricavano dalla disciplina vigente.
A questo riguardo, si osserva che il d.lgs. n. 152
del 2006 non definirebbe esplicitamente cosa siano i "piani e programmi” ai
quali si applica la VAS; né sarebbe possibile rinvenire maggiori indicazioni
nella stessa direttiva VAS, che all’art. 2, lettera a), utilizzerebbe una formula trascritta quasi alla lettera
nell’ordinamento italiano.
Ritiene, dunque, la difesa statale che, in base
all’art. 12 delle preleggi, si debba assoggettare a VAS il piano che presenti
potenziali effetti significativi sull’ambiente, secondo quanto stabilito
dall’art. 4, comma 4, lettera a), del
d.lgs. n. 152 del 2006.
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato,
tuttavia, la finalità enunciata dalla quest’ultima disposizione non sarebbe
compatibile con i contenuti del piano previsto dall’art. 35, il quale sarebbe
diretto a stabilire, con riferimento al trattamento dei rifiuti urbani e
assimilati, la capacità complessiva degli impianti di recupero energetico
esistenti, nonché quella necessaria per coprire il fabbisogno residuo, al fine
di effettuare una ricognizione unitaria e affidabile della situazione del
settore.
Si tratterebbe, dunque, di un piano che, per la sua
funzione meramente ricognitiva, sarebbe incompatibile con le stesse finalità
della VAS. Di qui, la non fondatezza della censura relativa alla violazione
dell’art. 117, primo comma, Cost. in
relazione alla direttiva 2001/ 42/CE.
9.2.– Del pari non fondata sarebbe la censura relativa
alla violazione dell’art. 117, secondo e terzo comma, Cost.,
in quanto la disposizione impugnata sarebbe riconducibile a materie di
competenza legislativa concorrente, quali la produzione dell’energia, il
governo del territorio, la pianificazione territoriale e urbanistica, la tutela
della salute.
Ad avviso della difesa statale, infatti, l’art. 35
sarebbe espressione della competenza esclusiva dello Stato in materia di
«tutela dell’ambiente», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nel cui ambito
rientra la disciplina dei rifiuti ed è riconosciuto allo Stato il potere di
fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale.
Tale disciplina, peraltro, sarebbe giustificata
dall’esistenza di una situazione di emergenza, relativa alla gestione dei
rifiuti urbani e assimilati, la quale presenterebbe una rilevanza
sovraregionale e dunque richiederebbe che le scelte di fondo siano adottate a
livello centrale e siano applicate uniformemente sull’intero territorio
nazionale.
A tale necessità risponderebbe l’allocazione a
livello statale, ai sensi dell’art. 118, comma primo, Cost., di nuove funzioni
amministrative con l’obiettivo di potenziare il recupero a fini energetici,
realizzando una rete nazionale di impianti basata innanzitutto sulla maggiore
efficienza di quelli esistenti; da questo punto di vista, dunque, le previsioni
di cui ai commi 3, 4, e 5 dell’art. 35, troverebbero piena giustificazione.
Secondo la difesa statale, l’art. 35 prevederebbe anche idonee garanzie procedimentali per
quanto riguarda la valutazione dei possibili interessi regionali coinvolti.
Esso, infatti, stabilisce che la ricognizione della capacità complessiva di
trattamento degli impianti esistenti, nonché l’individuazione del fabbisogno
residuo, debba essere effettuata con d.P.C.m., previo
parere della Conferenza Stato Regioni; e che l’individuazione delle aree nelle
quali realizzare gli impianti occorrenti a coprire tale fabbisogno debba
comunque tenere conto della pianificazione regionale.
Inoltre, il comma 3 stabilisce che l’adeguamento
delle autorizzazioni integrate ambientali da parte delle autorità competenti
regionali, ai fini dell’operatività degli impianti a saturazione del carico
termico, presupponga la valutazione positiva della compatibilità ambientale in
tale assetto di esercizio e debba in ogni caso tenere conto degli obiettivi di
qualità dell’aria vigenti nel territorio; il comma 5, poi, prevede che
l’adeguamento delle autorizzazioni, ai fini della qualifica degli impianti come
impianti di recupero energetico Rl, sia effettuato a
condizione che ne sussistano i requisiti e le condizioni.
Dunque, ad avviso della difesa statale, le
disposizioni impugnate farebbero salve le prerogative delle Regioni, per quanto
riguarda sia il loro coinvolgimento nelle scelte di fondo, sia lo svolgimento
delle valutazioni circa le possibili prestazioni degli impianti.
9.3.– Quanto, infine, alle censure concernenti il
potere sostitutivo statale, nel caso di mancato rispetto dei termini di cui ai
commi 3, 5 e 8, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che tale misura non
solo sarebbe proporzionata in relazione alle esigenze di celerità che sono alla
base dell’intera disciplina, ma offrirebbe anche le garanzie procedimentali
invocate dalla ricorrente, in ragione del richiamo all’art. 8 della legge 5
giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
Pertanto, il potere sostitutivo di cui al comma 9
dell’art. 35, sarebbe pienamente conforme all’art. 120 Cost.
e alla relativa normativa di attuazione.
10.– Con due successive memorie depositate in prossimità
dell’udienza, sia il Presidente del Consiglio dei ministri, sia la Regione
Veneto, hanno insistito nelle conclusioni già rassegnate.
Considerato
in diritto
1.– Con i ricorsi indicati in epigrafe, la Regione Lombardia
(reg. ric. n. 87 del 2014 e n. 7 del 2015) e la Regione Veneto (reg. ric. n. 10
del 2015) hanno promosso questioni di legittimità costituzionale, fra gli
altri, dell’art. 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti
per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la
digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del
dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164.
La disposizione impugnata detta una serie di disposizioni volte alla
realizzazione su scala nazionale di un sistema di gestione dei rifiuti.
1.1.– I parametri invocati nei ricorsi sono gli artt. 3,
11, 77, secondo comma, 81, 117, primo comma, della Costituzione, in riferimento
alla direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno
2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi
sull’ambiente; nonché gli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118, 119,
primo comma, e 120 Cost. Sarebbero altresì violati il
principio di leale collaborazione e quello di ragionevolezza.
1.2.– In particolare, la Regione Lombardia ha impugnato
il solo art. 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, sia nel testo originario,
sia nel testo risultante dalle modifiche apportate, in sede di conversione,
dalla legge n. 164 del 2014; la Regione Veneto, invece, ha censurato anche
altre disposizioni del decreto-legge n. 133 del 2014, come convertito.
1.3.– Riservata a separate pronunce la decisione
dell’impugnazione delle altre disposizioni del decreto-legge n. 133 del 2014,
come convertito, vengono in esame, in questa sede, le sole questioni relative
all’art. 35 del medesimo decreto-legge.
In considerazione della parziale identità delle
norme denunciate e delle censure proposte, i tre giudizi, come sopra
delimitati, devono essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi
con un’unica pronuncia.
2.– Va inoltre richiamata per i due ricorsi della
Regione Lombardia la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, «[i]n
relazione a fattispecie […] in cui vi è una sostanziale identità tra il testo
del decreto-legge originario e quello risultante dalla legge di conversione,
[…] le censure al testo originario sono assorbite in quelle rivolte alle
corrispondenti disposizioni della legge di conversione (sentenze n. 443 del 2007;
n. 417 del 2005).
Da ciò deriva, nella specie, che: […] le questioni promosse nei confronti del
testo originario del decreto-legge […] si trasferiscono sul corrispondente
testo risultante dalla legge di conversione e sono, perciò, assorbite in
queste» (sentenza
n. 298 del 2009).
Pertanto, l’oggetto del giudizio è limitato alle
questioni concernenti l’art. 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, come risultante
dalla legge di conversione, e in particolare a quelle relative ai commi 1, 2,
3, 4, 6, 8, 9 e 11, per la Regione Lombardia, nonché ai commi 1, 2, 3, 4, 5, 8
e 9, per la Regione Veneto.
3.– La Regione Lombardia lamenta, in primo luogo, che
l’art. 35 violi l’art. 77, secondo comma, Cost.,
sotto il duplice profilo della insussistenza dei presupposti per la
decretazione d’urgenza e del difetto di omogeneità; ad avviso della ricorrente,
inoltre, il difetto di omogeneità riguarderebbe anche il decreto-legge nel suo
complesso.
3.1.– Va preliminarmente esaminata al riguardo
l’eccezione sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale il
ricorso sarebbe inammissibile in quanto la denunciata carenza dei presupposti
per l’adozione del decreto-legge non ridonderebbe nella lesione di competenze
regionali.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, «le
questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle Regioni in riferimento
a parametri non attinenti al riparto delle competenze statali e regionali sono
ammissibili al ricorrere di due concomitanti condizioni: in primo luogo, la
ricorrente deve individuare gli ambiti di competenza regionale – legislativa,
amministrativa o finanziaria – incisi dalla disciplina statale, indicando le
disposizioni costituzionali nelle quali – appunto – trovano fondamento le
proprie competenze in tesi indirettamente lese (ex plurimis, sentenze n. 83 e n. 65 del 2016,
n. 251 e n. 89 del 2015);
e, in secondo luogo, questa Corte deve ritenere che sussistano competenze
regionali suscettibili di essere indirettamente lese dalla disciplina impugnata
(ex plurimis,
sentenze n. 68
del 2016, n.
220 e n. 219
del 2013). Ciò si verifica quando la disposizione statale, pur conforme al
riparto costituzionale delle competenze, obbliga le Regioni – nell’esercizio di
altre loro attribuzioni normative, amministrative o finanziarie – a conformarsi
ad una disciplina legislativa asseritamente
incostituzionale, per contrasto con parametri, appunto, estranei a tale
riparto» (sentenza
n. 145 del 2016).
Nel caso di specie, la pretesa violazione dell’art.
77, secondo comma, Cost., presenta profili di ridondanza sulla sfera di competenza
costituzionalmente attribuita alla Regione. Infatti, non solo esistono
competenze regionali suscettibili di essere indirettamente lese dal
decreto-legge, ma la Regione le ha espressamente individuate ed ha anche
adeguatamente motivato in ordine a tale ridondanza, diffondendosi in
particolare sul pregiudizio che l’impugnato art. 35 recherebbe alla propria
programmazione in materia di rifiuti.
L’eccezione, pertanto, non può essere accolta.
3.2.– Nel merito, la questione non
è fondata.
3.2.1.– Quanto al difetto di omogeneità dell’art. 35 e
all’inesistenza della urgente necessità di adottarne le disposizioni, va
richiamata la giurisprudenza di questa Corte che «collega il riconoscimento
dell’esistenza dei presupposti fattuali, di cui all’art. 77, secondo comma, Cost., ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in
un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di
vista funzionale e finalistico. La urgente necessità del provvedere può
riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle
fattispecie disciplinate, ovvero anche dall’intento di fronteggiare situazioni
straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente
eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all’unico scopo
di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare»
(sentenza n. 22 del 2012).
Ebbene, confrontando la rubrica del decreto-legge
con il testo della disposizione impugnata questa coerenza sussiste. La prima,
infatti, reca, tra le altre, «Misure urgenti per […] la realizzazione delle
opere pubbliche»; il secondo concerne «Misure urgenti per la realizzazione su
scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti
urbani […]», anche attraverso l’individuazione di nuovi impianti di
incenerimento, i quali altro non sono che una species del più ampio genus delle opere
pubbliche.
Dal tenore letterale dell’art. 35, comma 1, si
evince, altresì, come l’urgente necessità di provvedere sia connessa
all’esigenza di «superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per
mancata attuazione delle norme europee di settore».
3.2.2.– Quanto al difetto di omogeneità del provvedimento
nella sua interezza, è bensì vero che il decreto-legge n. 133 del 2014 è
riconducibile alla categoria dei «provvedimenti governativi ab origine a contenuto plurimo»,
annoverati dalla Corte tra gli «atti [...] che di per sé non sono esenti da
problemi rispetto al requisito dell’omogeneità» (sent. n. 32 del
2014); nondimeno, le molteplici disposizioni che lo compongono,
ancorché eterogenee dal punto di vista materiale, presentano una sostanziale
omogeneità di scopo, essendo tutte preordinate all’unitario obiettivo di
accelerare e semplificare la realizzazione e la conclusione di opere infrastrutturali
strategiche, nel più ampio quadro della promozione dello sviluppo economico e
del rilancio delle attività produttive. Il decreto-legge in esame, dunque,
ancorché articolato e differenziato al proprio interno, appare fornito di una
sua intrinseca coerenza.
4.– La Regione Veneto, inoltre, deduce che l’art. 35,
comma 1, violerebbe l’art. 3 Cost., in collegamento
con gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118, e 119 Cost.,
in quanto favorirebbe irragionevolmente la prospettiva dell’incenerimento a discapito
dell’economia del riciclo; tale violazione, ad avviso della ricorrente,
ridonderebbe nella compressione delle proprie competenze.
4.1.– Alla luce della giurisprudenza costituzionale sopra
richiamata, la questione è ammissibile, in quanto la Regione ha
sufficientemente motivato la ridondanza della lamentata violazione sulla sfera
delle proprie competenze.
4.2.– Nel merito, tuttavia, la questione non è fondata.
La scelta delle politiche da perseguire e degli
strumenti da utilizzare in concreto per superare il ciclico riproporsi
dell’emergenza rifiuti, infatti, è necessariamente rimessa allo Stato
nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di «tutela
dell’ambiente».
Lo Stato, peraltro, ai sensi del comma 1, agisce
«nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio,
tenendo conto della pianificazione regionale». Ciò vale ad escludere il
pregiudizio temuto dalla Regione.
5.– Entrambe le ricorrenti lamentano, poi, la
violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,
in riferimento alla direttiva 2001/42/CE, in materia di VAS, in quanto il primo
comma dell’art. 35 adotterebbe un vero e proprio programma nazionale in materia
di gestione integrata dei rifiuti, senza averne espressamente previsto la
sottoposizione alla procedura di VAS. In questo atto di pianificazione, secondo
la Regione Lombardia, rientrerebbero anche le previsioni di cui ai commi 3 e 4
del richiamato art. 35.
5.1.– In via preliminare, la difesa statale ha eccepito
l’inammissibilità della questione promossa dalla Regione Lombardia, in quanto
la ricorrente non avrebbe specificato come la mancata previsione della VAS
nella procedura di adozione di tale piano lederebbe la propria sfera di
competenza costituzionalmente garantita.
5.1.1.– L’eccezione non può essere accolta perché la
Regione, ancorché in modo sintetico, deduce che tale vizio arreccherebbe
un vulnus alle sue specifiche
competenze in materia di «produzione di energia» e di «tutela dell’ambiente»,
in particolare sottolineando come, in tale ultimo ambito, competa ad essa
assicurare livelli di tutela più elevati di quelli fissati dallo Stato.
5.2.– Nel merito, la questione non è fondata.
Deve anzitutto rilevarsi come il comma 1 dell’art.
35 preveda l’adozione del d.P.C.m., sia per
individuare la capacità complessiva di trattamento degli impianti esistenti,
sia per individuare gli impianti di incenerimento da realizzare per coprire il
fabbisogno residuo.
In riferimento agli impianti esistenti, il carattere
ricognitivo della disposizione impugnata la rende inidonea ad arrecare
qualsivoglia pregiudizio, trattandosi di infrastrutture in essere, per le
quali, dunque, le procedure di VAS devono ritenersi già esperite.
Quanto agli impianti di nuova realizzazione, questi
– al pari degli impianti esistenti – vengono qualificati come «infrastrutture e
insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela
della salute e dell’ambiente» (art. 35, comma 1).
Ebbene, in riferimento all’analogo «carattere di
interesse strategico» che l’art. 37 del medesimo decreto-legge n. 133 del 2014
attribuisce alle specifiche infrastrutture ivi indicate, questa Corte ha
chiarito che «la disposizione impugnata non modifica – né espressamente, né
implicitamente – le singole discipline di settore, dettate per la
localizzazione, la realizzazione ovvero l’autorizzazione all’esercizio di
ciascuna delle categorie di infrastrutture in essa elencate» (sentenza n. 110 del
2016).
Anche per gli impianti di incenerimento di cui
all’art. 35 esiste una specifica disciplina di settore, concernente la
localizzazione, la realizzazione e l’autorizzazione all’esercizio
dell’impianto. Tale disciplina ne contempla, evidentemente, anche la sottoposizione
a VAS, la quale, dunque, deve ritenersi impregiudicata dalla qualificazione
dell’impianto come infrastruttura strategica di preminente interesse nazionale.
Peraltro, le modifiche introdotte in sede di conversione, con particolare
riguardo ai termini, facilitano l’espletamento delle relative procedure.
Di qui la non fondatezza della questione.
Ne consegue che la richiesta avanzata in via
subordinata dalla Regione Lombardia, affinché questa Corte effettui un rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, non può essere
accolta.
6.– La Regione Lombardia lamenta che l’art. 35
comprometterebbe «oltre il limite dell’adeguatezza le […] sfere di competenza
regionale»; esso violerebbe anche il principio di leale collaborazione prevedendo
un coinvolgimento regionale insufficiente (comma 1), ovvero del tutto assente
(commi 2 e 9). Analoga censura, in riferimento ai commi 1 e 2, è mossa dalla
Regione Veneto.
6.1.– Neanche tali censure sono fondate.
6.1.1– Quanto alla prima, va richiamata la costante
giurisprudenza costituzionale secondo la quale «la disciplina della gestione
dei rifiuti rientra nella materia "tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”
riservata, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
alla competenza esclusiva dello Stato (ex
multis, sentenze n. 54 del 2012,
n. 244 e n. 33 del 2011,
n. 331 e n. 278 del 2010,
n. 61 e n. 10 del 2009)»
(sentenza n. 154
del 2016); in questa materia, inoltre, «lo Stato conserva il potere di dettare
standard di protezione uniformi
validi in tutte le Regioni e non derogabili da queste» (sentenza n. 307 del
2003).
L’art. 35, a ben vedere, persegue un livello
uniforme di tutela ambientale su tutto il territorio nazionale e, pertanto,
risulta legittimamente adottato dallo Stato nell’esercizio di tale sua
competenza.
6.1.2– Del pari non fondata è la censura relativa
alla violazione del principio di leale collaborazione.
Questa Corte, in riferimento all’art. 195, comma 1,
lettera f), del d.lgs. 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), il quale prevedeva che «l’individuazione
degli impianti di recupero e smaltimento di preminente interesse nazionale da
realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese» fosse operata
«sentita la Conferenza unificata», ha ritenuto non fondata un’analoga censura
di violazione del principio di leale collaborazione, sul presupposto che «tale
forma di coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali si rivela adeguata,
incidendo la predetta attività su competenze regionali (governo del territorio,
tutela della salute) concorrenti, in ordine alle quali spetta comunque allo
Stato dettare i principi fondamentali» (sent. n. 249 del
2009).
È bensì vero che il richiamato art. 195, comma 1,
lettera f), conteneva una clausola
che faceva espressamente salve le prerogative regionali, prevedendo
l’individuazione degli impianti «nel rispetto delle attribuzioni costituzionali
delle Regioni»; ciò nondimeno, l’assenza di un’analoga clausola nella
disposizione impugnata non può far presumere che il legislatore statale intenda
operare in violazione di quanto è costituzionalmente stabilito.
La non fondatezza della questione riguarda,
pertanto, sia il comma 1, sia il comma 2 dell’art. 35, con specifico
riferimento al quale il rispetto delle attribuzioni costituzionali delle
Regioni comporta l’intesa con la Regione interessata ai fini della localizzazione
dell’impianto.
7.– La Regione Veneto deduce che i commi 3, 5 e 9
dell’art. 35 sarebbero lesivi delle proprie competenze, in relazione agli artt.
117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 Cost., «per
i motivi sopra indicati».
7.1.– La questione è inammissibile.
Questa Corte ha più volte chiarito che «l’esigenza
di una adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di
illegittimità costituzionale si pone in termini perfino più pregnanti nei
giudizi diretti rispetto a quelli incidentali» (ex multis, sentenza n. 3 del
2016).
Nel rinviare genericamente ai «motivi sopra
indicati», pertanto, la ricorrente non ha assolto adeguatamente al proprio
onere motivazionale nel giudizio in via principale, avendo cumulativamente
indicato le norme impugnate e i parametri violati, senza aver fornito alcuna
indicazione delle specifiche ragioni di contrasto fra ciascuna norma e ciascun
singolo parametro.
8.– La Regione Veneto impugna, altresì, il comma 4 dell’art. 35, il quale prevede che
i nuovi impianti siano realizzati conformemente alla classificazione di
impianti di recupero energetico di cui al d. lgs. n.
152 del 2006.
Ad avviso della Regione, tale disposizione sarebbe
in contrasto con gli artt. 117, terzo comma e 119, Cost., perché, stante la
competenza regionale in materia di produzione di energia, essa imporrebbe
illegittimamente un obbligo che non sarebbe neppure accompagnato da adeguate
garanzie finanziarie a favore delle Regioni.
8.1.– Neanche tale questione è fondata.
La ricorrente, infatti, muove dall’erroneo
presupposto interpretativo che tale obbligo sia stato illegittimamente posto.
Al contrario, si tratta di una prescrizione legittimamente adottata dallo Stato
nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia di «tutela
dell’ambiente», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
9.– La Regione Lombardia censura il comma 6 dell’art.
35, in riferimento agli artt. 81 e 119 Cost., in
quanto l’ammissione di rifiuti speciali pericolosi a solo rischio infettivo
provenienti da altre Regioni altererebbe gli equilibri finanziari raggiunti
dalla Regione, con potenziale aggravio della tariffa per i cittadini.
9.1.– La questione non è fondata.
Ai sensi del successivo comma 7, infatti, nel caso
in cui rifiuti urbani provenienti da altre Regioni vengano smaltiti negli
impianti della Regione, i gestori di tali impianti devono versare ad essa un
contributo che confluisce in un apposito fondo destinato, fra l’altro, «al
contenimento delle tariffe di gestione dei rifiuti urbani»; inoltre, è
espressamente previsto che gli oneri derivanti dallo smaltimento di rifiuti
extra-regionali «non possono essere traslati sulle tariffe poste a carico dei
cittadini».
10.– Entrambe le ricorrenti deducono, poi, che il
comma 8 dell’art. 35 violerebbe l’art. 117, secondo e terzo comma, Cost., in combinato disposto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, perché,
prevedendo la riduzione dei termini residui per i procedimenti di
espropriazione per pubblica utilità degli impianti di cui al comma 1, in corso
alla data di entrata in vigore del decreto-legge, sarebbe in contrasto con il
principio del legittimo affidamento dei destinatari dei provvedimenti.
In particolare, ad avviso della Regione Veneto,
l’effetto generalizzato di tale previsione, coinvolgendo tutte le fasi del
procedimento espropriativo, travolgerebbe le diverse previsioni adottate, nei
vari settori, dalla legislazione regionale.
10.1.– La questione è inammissibile.
In riferimento a tale censura la Regione Lombardia
non ha adeguatamente argomentato la ridondanza della violazione sulla sfera
delle proprie competenze regionali, mentre la doglianza della Regione Veneto è
supportata da uno sforzo argomentativo maggiore. Ciò non vale, tuttavia, a
dimostrare che la riduzione dei termini di espropriazione, oltre a riguardare i
privati interessati, leda anche attribuzioni regionali.
11.– La Regione Lombardia censura, inoltre, il comma 9
dell’art. 35, che disciplina l’applicazione del potere sostitutivo in caso di
mancato rispetto dei termini di cui ai commi 3, 5 e 8.
Secondo la ricorrente, tale disposizione violerebbe
l’art. 120 Cost., sotto il duplice profilo della mancanza dei requisiti
costituzionalmente previsti per la sostituzione e del mancato coinvolgimento
regionale.
11.1.– La questione non è fondata.
La disposizione impugnata, infatti, richiama, ai
fini dell’esercizio del potere sostitutivo, l’art. 8 della legge 5 giugno 2003,
n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale rinvia ai casi e alle
finalità previsti dall’articolo 120, secondo comma, Cost.;
assegna, inoltre, all’ente inadempiente un congruo termine per provvedere; prevede,
infine, l’audizione dell’ente inadempiente da parte del Consiglio dei ministri,
nonché la partecipazione del Presidente della Regione interessata alla riunione
del Consiglio dei ministri che adotta i provvedimenti necessari.
D’altra parte, è bensì vero che «[l]’articolo 120,
secondo comma, non preclude […] in via di principio, la possibilità che la
legge regionale, intervenendo in materie di propria competenza, e nel
disciplinare, ai sensi dell’articolo 117, terzo e quarto comma, e dell’articolo
118, primo e secondo comma, della Costituzione, l’esercizio di funzioni
amministrative di competenza dei Comuni, preveda anche poteri sostitutivi in
capo ad organi regionali […]» (sentenza n. 43 del
2004); nel caso di specie, tuttavia, la disposizione impugnata è
espressione della competenza legislativa dello Stato in materia di «tutela
dell’ambiente» e spetta, dunque, al legislatore statale anche la disciplina di
eventuali ipotesi di sostituzione di organi locali.
12.– La Regione Lombardia impugna, infine, l’art. 35,
comma 11, che inserisce nell’art. 182 del d. lgs. n.
152 del 2006 il comma 3 bis, ai sensi
del quale il divieto di smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in Regioni
diverse da quelle dove sono prodotti «non si applica ai rifiuti urbani che il
Presidente della Regione ritiene necessario avviare a smaltimento, nel rispetto
della normativa europea, fuori del territorio della Regione dove sono prodotti
per fronteggiare situazioni di emergenza causate da calamità naturali per le
quali è dichiarato lo stato di emergenza di protezione civile ai sensi della
legge 24 febbraio 1992, n. 225».
Secondo la ricorrente, tale disposizione violerebbe
il principio di leale collaborazione, in quanto la Regione destinataria dei
rifiuti non verrebbe messa in condizione di interloquire sulla loro
destinazione.
12.1.– La questione non è fondata.
Il principio di leale collaborazione attiene ai
rapporti – verticali – tra lo Stato e le Regioni. La norma in esame si limita a
rendere legittima per lo Stato una decisione presa da una Regione diversa da
quella in cui potrà avvenire lo smaltimento. In tal modo, tuttavia, l’impugnato
comma 11 non esclude affatto che tale decisione – nell’ambito dei rapporti orizzontali
fra Regioni – possa essere oggetto di accordi o intese interregionali, da
concludersi in ogni caso in seno alla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e
non in sede di Conferenza Stato Regioni.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle
altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Veneto con
il ricorso indicato in epigrafe;
riuniti i giudizi;
1) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 8,
del decreto-legge 12 settembre 2014, n.
133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere
pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica,
l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività
produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
11 novembre 2014, n. 164, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 117, secondo
e terzo comma, Cost., dalla Regione Lombardia e dalla
Regione Veneto, con i ricorsi indicati in epigrafe;
2) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35,
commi 3, 5 e 9, del decreto-legge n.
133 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo e
quarto comma, 118, 119, e 120 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in
epigrafe;
3) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale del decreto-legge n. 133 del 2014, come convertito, nella sua
interezza e limitatamente all’art. 35, promossa, in riferimento all’art. 77,
secondo comma, Cost., dalla Regione Lombardia, con il ricorso indicato in
epigrafe;
4) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 1,
del decreto-legge n. 133 del 2014, come
convertito, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo e quarto comma,
118, e 119 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in
epigrafe;
5) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, commi 1, 3
e 4, del decreto-legge n. 133 del 2014,
come convertito, promossa dalla Regione Lombardia e dalla Regione Veneto, con i
ricorsi indicati in epigrafe, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma,
in relazione alla direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati
piani e programmi sull’ambiente;
6) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35 del
decreto-legge n. 133 del 2014, come
convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, secondo e terzo comma, Cost.,
dalla Regione Lombardia, con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, commi 1, 2
e 9, del decreto-legge n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento all’art. 120 Cost., e al principio di
leale collaborazione, dalla Regione Lombardia e dalla Regione Veneto, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
8) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 4,
del decreto-legge n. 133 del 2014, come
convertito, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.,
dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;
9) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 6,
del decreto-legge n. 133 del 2014, come
convertito, promossa, in riferimento agli artt. 81 e 119 Cost., dalla Regione
Lombardia, con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma
9, del decreto-legge n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento all’art. 120 Cost., dalla Regione
Lombardia, con il ricorso indicato in epigrafe;
11) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma
11, del decreto-legge n. 133 del 2014,
come convertito, promossa, in riferimento all’art. 120 Cost., e al principio di
leale collaborazione, dalla Regione Lombardia, con il ricorso indicato in
epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 5 ottobre 2016.
F.to:
Paolo
GROSSI, Presidente
Giuliano
AMATO, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 22 novembre 2016.