SENTENZA N. 154
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 27, 28, 29, 30 e 47, comma 4, della legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 4 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2015), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 1°-3 aprile 2015, depositato in cancelleria il 10 aprile 2015 ed iscritto al n. 49 del registro ricorsi 2015.
Visto l’atto di costituzione della Regione Basilicata;
udito nell’udienza pubblica del 31 maggio 2016 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi l’avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Basilicata.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 1° aprile 2015, ricevuto il 3 aprile 2015 e depositato il successivo 10 aprile (reg. ric. n. 49 del 2015), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 27, 28, 29 e 30 della legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 4 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2015).
L’art. 27 prevede che «1. Nell’ambito delle materie di legislazione di interesse dei territori e della popolazione appartenente alle comunità locali, il presente Capo disciplina il procedimento di codecisione per il rilascio, ovvero il diniego, dell’atto di intesa, da parte della Regione Basilicata, previsto dal vigente ordinamento giuridico.
2. In armonia con le previsioni dell’art. 5 della Costituzione, dell’art. 54 dello Statuto regionale ed in coerenza con il disposto dell’art. 4, comma 6, della legge 30 dicembre 1989, n. 439 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea relativa alla Carta europea dell’autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985”, la Regione Basilicata, ai fini del rilascio, ovvero del diniego dell’intesa, di cui alla presente legge, promuove e tiene conto del confronto con le comunità locali, secondo quanto previsto dal successivo art. 29».
L’art. 28 stabilisce che «1. L’atto di intesa, ovvero il diniego dell’intesa, è un provvedimento esplicito e motivato della Giunta regionale, avente natura di atto di alta amministrazione».
L’art. 29 dispone che «1. Il procedimento per il rilascio ovvero per il diniego dell’intesa si conclude nel termine di novanta giorni decorrenti della richiesta dell’intesa alla Regione Basilicata.
2. Il Presidente della Giunta regionale, ricevuta la richiesta di intesa, promuove il coinvolgimento delle comunità locali e convoca la Conferenza permanente delle autonomie di cui all’art. 2 della legge regionale 28 marzo 1996, n. 17, integrata dai Sindaci dei Comuni interessati, al fine di acquisire, entro il termine di sessanta giorni, il motivato parere ai fini del rilascio ovvero del diniego dell’intesa».
L’art. 30, a sua volta, prevede che «1. In ragione delle particolari specificità afferenti le materie, la presente legge non si applica ai procedimenti relativi alle intese in materia di protezione civile e sanità, per le quali restano ferme le vigenti disposizioni legislative».
2.– Premette il ricorrente che gli articoli da 27 a 30 fanno parte del Capo IV della legge regionale n. 4 del 2015, che disciplina le modalità di consultazione dei territori nei procedimenti in cui l’amministrazione regionale è chiamata ad esprimere la propria intesa o il diniego della stessa.
A suo avviso, l’ambito di applicazione dell’art. 27 avrebbe una portata generale e ricomprenderebbe anche le opere energetiche soggette ad intesa regionale, tra cui i gasdotti di competenza di un’apposita Direzione generale del Ministero dello sviluppo economico.
Tale disposizione, pertanto, sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto disciplina le forme e le modalità di codecisione all’interno del territorio regionale per raggiungere o negare l’intesa con lo Stato nelle materie di legislazione concorrente.
L’Avvocatura generale dello Stato richiama, in proposito, la sentenza n. 331 del 2010, nella quale la Corte costituzionale avrebbe chiarito a quali titoli di competenza vadano ascritte le disposizioni normative concernenti la disciplina dell’intesa.
Richiama, altresì, la legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), ed in particolare l’art. 1, commi 1, 7, lettera h), e 8, lettera b), numero 2), osservando come la Corte costituzionale abbia qualificato tali norme come principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
Viene invocato anche l’art. 29, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), che riserva allo Stato le funzioni amministrative e autorizzatorie in materia di impianti appartenenti alla rete energetica nazionale.
Ad avviso del ricorrente, le suindicate disposizioni, alla luce della sentenza n. 303 del 2003, avrebbero l’effetto di attrarre allo Stato la competenza legislativa per la disciplina delle funzioni “chiamate in sussidiarietà”; le norme impugnate, pertanto, violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., perché regolerebbero illegittimamente principi fondamentali riservati alla competenza dello Stato.
2.1.– Sarebbe, altresì, violato l’art. 118, primo comma, Cost., in ragione della stretta connessione tra l’esercizio del potere legislativo e l’allocazione delle funzioni amministrative secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Secondo il ricorrente, la legge n. 239 del 2004 e le altre discipline specifiche in materia di energia (il decreto legislativo 27 dicembre 2004, n. 330, recante «Integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, in materia di espropriazione per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche», nonché il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, recante «Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 64), avrebbero ridefinito in modo unitario, a livello nazionale, i procedimenti di autorizzazione delle maggiori infrastrutture lineari energetiche, riconoscendo agli organi statali un ruolo fondamentale nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative.
La richiamata normativa, pertanto, pur non contenendo principi fondamentali volti a guidare il legislatore regionale nell’esercizio delle proprie attribuzioni, costituirebbe norma di dettaglio auto-applicativa, non suscettibile di essere sostituita da singole Regioni.
Se così non fosse – deduce il ricorrente – si potrebbe giungere a una procedura «per il rilascio, ovvero il diniego, dell’atto di intesa [...]» diversa per ogni Regione.
2.2.– Osserva inoltre l’Avvocatura generale dello Stato che l’art. 37 del d.l. n. 133 del 2014, nella parte in cui ha modificato l’art. 52-quinquies, comma 5, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), in riferimento alle infrastrutture lineari energetiche, stabilisce il termine di trenta giorni per il procedimento di rilascio dell’intesa, decorso il quale il parere si intende acquisito.
L’impugnato art. 29 della legge regionale lucana, invece, prevede un notevole allungamento dei termini, che vengono portati a novanta giorni, vanificando così totalmente l’intento acceleratorio delle procedure voluto dal legislatore statale.
2.3.– Inoltre, con specifico riferimento ai procedimenti di autorizzazione di infrastrutture lineari energetiche, le norme impugnate violerebbero anche l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto ridonderebbero in ambiti materiali espressamente riservati alla competenza legislativa esclusiva dello Stato concernente la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali».
Ritiene in proposito il ricorrente che il procedimento unico di autorizzazione, attuandosi mediante la convocazione della conferenza dei servizi, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), imporrebbe il superamento del diniego dell’intesa attraverso la procedura aggravata di cui all’art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990.
La norma regionale impugnata, invece, introdurrebbe un’alterazione nel procedimento di composizione d’interessi confliggenti, disciplinato dal richiamato art. 14-quater, il quale, ai sensi dell’art. 29, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990, deve ritenersi norma afferente ai livelli essenziali delle prestazioni, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., suscettibile di essere modificata solo ad opera del legislatore statale.
2.4.– Secondo la difesa statale, inoltre, una simile alterazione del quadro normativo, imponendo ulteriori oneri procedimentali e tempi ingiustificatamente prolungati, violerebbe il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97, secondo comma, Cost.
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, inoltre, l’art. 47, comma 4, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2015, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Tale disposizione prevede che «4. In applicazione dei principi di precauzione, sostenibilità, efficienza ed economicità, fissati dall’art. 178 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il Piano regionale di gestione dei rifiuti dovrà prevedere, tra gli obiettivi prioritari, la progressiva eliminazione della presenza di inceneritori sul territorio della regione Basilicata e la contestuale adozione di soluzioni tecnologiche e gestionali destinate esclusivamente alla riduzione, riciclo, recupero e valorizzazione dei rifiuti. A tal fine il Piano regionale di gestione dei rifiuti dovrà definire modalità e tempi di dismissione degli impianti di incenerimento esistenti. Il Piano regionale di gestione dei rifiuti attua i principi indicati alle lettere “c” e “d” dell’art. 179 del D.Lgs. n. 152/2006 e prevede meccanismi stabili di premialità a beneficio delle comunità locali, dando priorità a quelle che erogano servizi di gestione dei rifiuti in forma associata.
In questo ambito sono finanziati i progetti di investimento, i nuovi impianti, la riconversione di impianti esistenti, le innovazioni tecnologiche, le innovazioni di processi e le azioni immateriali, finalizzate:
a) al riuso, al riciclaggio, al recupero di materia, al compostaggio aerobico e alla digestione anaerobica, compresi i centri per il riuso e i centri di raccolta, gli impianti che recuperano, ai fini del riciclaggio, parte del rifiuto residuale nonché gli scarti delle frazioni differenziate;
b) alla riconversione dagli attuali sistemi verso la raccolta differenziata, con preferenza per il sistema di raccolta domiciliare;
c) alla minimizzazione della quantità di rifiuti inviati a smaltimento o a recupero diverso dal riciclaggio;
d) ad introdurre innovazioni dei processi industriali che comportino la riduzione dei rifiuti e/o la crescita dei materiali riciclabili;
e) a sostenere progetti industriali che utilizzano come materia prima principale i materiali derivanti dal ciclo dei rifiuti urbani e industriali».
3.1.– Secondo il ricorrente, la norma impugnata, perseguendo tra i suoi «obiettivi prioritari» la progressiva eliminazione degli inceneritori dal territorio regionale, sarebbe in contrasto con l’art. 35 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, che prevede un sistema integrato di gestione dei rifiuti urbani a livello nazionale, in grado di garantire il principio di autosufficienza nello smaltimento degli stessi.
4.– Con atto depositato il 14 maggio 2015, si è costituita in giudizio la Regione Basilicata, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato. Con una memoria depositata in prossimità dell’udienza, la Regione ha articolato le sue difese.
4.1.– Secondo la resistente, l’art. 29, comma 1, della legge regionale n. 4 del 2015, nel prevedere il termine di novanta giorni per il procedimento di codecisione in materie di interesse delle comunità locali, non contrasterebbe con l’art. 52-quinquies, comma 5, del d.P.R. n. 327 del 2001, come modificato dall’art. 37, comma 2, lettera c-bis), del d.l. n. 133 del 2014, in quanto tale termine atterrebbe esclusivamente al rilascio o al diniego dell’intesa, rispetto alla quale la normativa statale non prevede alcun termine.
Ad avviso della Regione, infatti, il termine di novanta giorni concernerebbe una fase non espressamente contingentata nei tempi dalla normativa statale, la quale non indica il termine entro il quale la Regione debba pronunciarsi sull’intesa, ma individua un solo termine vincolante, per tutti i soggetti coinvolti nel procedimento amministrativo, di sei o nove mesi dalla presentazione della richiesta di autorizzazione delle infrastrutture in questione.
Ciò si evincerebbe dal comma 2 dell’art. 52-quinquies, ai sensi del quale il procedimento di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio delle infrastrutture lineari energetiche deve concludersi «in ogni caso, entro il termine di nove mesi dalla data di presentazione della richiesta, o di sei mesi dalla stessa data ove non sia prescritta la procedura di valutazione di impatto ambientale».
Secondo la Regione, dunque, il termine ultimo entro il quale deve necessariamente raggiungersi anche l’intesa con le Regioni, è di sei o nove mesi dalla data di presentazione della richiesta. Tale termine non sarebbe posto in discussione dalla scansione temporale prevista dalla normativa regionale censurata.
Pertanto, la Regione, lungi dal violare la disciplina statale di riferimento, si sarebbe virtuosamente autovincolata, imponendosi, pur non essendole richiesto, di concludere il procedimento relativo all’accordo con le amministrazioni centrali entro e non oltre novanta giorni dalla richiesta da parte dello Stato.
4.1.1.– Neppure potrebbe sostenersi che il contrasto evidenziato dalla difesa erariale si concentri sul comma 2 dell’art. 29, che prevede che l’acquisizione del parere degli enti locali interessati debba avvenire entro sessanta giorni.
Ad avviso della Regione, infatti, sarebbe evidente che il diverso termine di trenta giorni previsto dalla disciplina statale per il rilascio del parere, avrebbe carattere “ordinatorio”, fornendo cioè un’indicazione di massima alle Regioni, le quali hanno quale unico vincolo il rispetto della durata complessiva della procedura imposta dalla legge.
D’altra parte, sarebbe fuor di dubbio che la disciplina del coinvolgimento dei propri enti locali nelle procedure di codecisione con lo Stato debba essere rimessa alle Regioni, le quali la potranno modulare, nel rispetto dei termini procedurali generali eventualmente imposti dalle previsioni statali, in base all’effettiva incidenza in ambito locale degli interventi statali rispetto ai quali è richiesto il rilascio dell’intesa.
Peraltro, osserva la Regione, il termine di sessanta giorni previsto dalla normativa regionale appare anche più ragionevole di quello di cui alla disciplina statale, dal momento che un termine di trenta giorni sarebbe talmente esiguo da non consentire un’adeguata consultazione pubblica, soprattutto rispetto a temi e politiche che, per la loro diretta rilevanza territoriale, richiederebbero il raggiungimento di un ampio e consolidato consenso.
La difesa regionale richiama, in proposito, quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 179 del 2012, a proposito del termine di trenta giorni per lo svolgimento di trattative nell’ambito della disciplina per il superamento del dissenso, di cui all’art. 14-quater, della legge n. 241 del 1990.
Ad avviso della resistente, inoltre, l’attitudine della normativa statale a comprimere gli spazi di coinvolgimento delle comunità più vicine alla cittadinanza, striderebbe con la generale tendenza, riscontrata nell’Unione europea, alla più ampia espansione di procedure aperte, rispetto alle quali i termini procedimentali sono generalmente ben più razionali.
A titolo di esempio, vengono richiamati i procedimenti di consultazione di cittadini o autorità locali avviati dalla Commissione europea ai fini dell’elaborazione di politiche e legislazioni comuni, i quali di norma si protraggono per diversi mesi e non scendono mai sotto i sessanta giorni.
4.2.– Secondo la Regione, tali argomentazioni sarebbero idonee a superare anche la censura statale relativa all’asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
In primo luogo, la difesa regionale richiama la sentenza n. 179 del 2012, secondo la quale l’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990 «lungi dal determinare uno standard strutturale o qualitativo di prestazioni determinate, attinenti a questo o a quel diritto civile o sociale, in linea con il secondo comma, lettera m), dell’art. 117 Cost. […], assolve al ben diverso fine di regolare l’attività amministrativa, in settori vastissimi ed indeterminati, molti dei quali di competenza regionale, (quali il governo del territorio, la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo, il commercio), in modo da soddisfare l’esigenza, diffusa nell’intero territorio nazionale, di uno svolgimento della stessa il più possibile semplice e celere».
Neppure assumerebbe rilievo l’auto-qualificazione che delle norme abbia dato il legislatore, occorrendo invece far riferimento all’oggetto e alla disciplina delle medesime.
Inoltre, la previsione di un termine stringente per le procedure di rilascio o diniego dell’intesa, nel quadro della disciplina del processo interno di coinvolgimento degli enti locali nelle stesse, non altererebbe il procedimento di cui al menzionato art. 14-quater.
La Regione, infatti, si limiterebbe a prevedere un termine interno, entro il quale le comunità locali devono esprimere la propria posizione rispetto ad alcune tipologie di procedimenti amministrativi, e ciò nel pieno rispetto del termine finale fissato dalla normativa statale.
Di conseguenza, non vi sarebbe alcuna ingerenza nella procedura di composizione degli interessi confliggenti di cui alla legge n. 241 del 1990, la quale si riferisce al caso in cui «venga espresso motivato dissenso da parte di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità» (art. 14-quater, comma 3).
Tale disposizione, dunque, atterrebbe ad una fase successiva a quella presa in considerazione dalla norma regionale, nella quale il parere è già stato chiesto e reso, e si è manifestato un conflitto tra gli interessi rilevanti; e nulla stabilirebbe in merito al termine entro il quale l’eventuale motivato dissenso debba essere reso.
D’altra parte, secondo la resistente, la ratio del titolo di competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., dovrebbe rinvenirsi, alla luce della costante giurisprudenza costituzionale, nella garanzia dell’uniformità di trattamento, pur in un sistema caratterizzato da sfere di autonomia regionale e locale.
Pertanto, la previsione di un termine procedimentale nell’ambito di una scansione temporale già prevista dalla normativa statale, e rispetto alla quale la Regione non ha previsto nulla di diverso, non pregiudicherebbe il trattamento uniforme dei diritti civili e sociali dei consociati.
Secondo la Regione Basilicata, infine, la difesa statale, nell’incentrare la propria impugnativa esclusivamente sul contrasto dei summenzionati articoli con la normativa statale in materia di energia, non considererebbe che la legge regionale n. 4 del 2015 non esaurisce il proprio ambito di applicazione con riguardo ai procedimenti relativi alle opere energetiche soggette ad intesa.
Le disposizioni impugnate, infatti, hanno una valenza generale, concernendo tutti i casi, di interesse delle comunità locali, in cui la Regione debba esprimere o negare l’intesa, e dunque anche in materie di propria esclusiva competenza.
4.3.– Quanto alla censura relativa all’art. 47, comma 4, della legge regionale n. 4 del 2015, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la Regione sottolinea come l’intervento legislativo, inserendosi all’interno di una strategia di lungo periodo, volta a minimizzare la quantità di rifiuti prodotti nel territorio regionale entro l’anno 2020, abbia natura principalmente politica e risponda a finalità di natura meramente programmatica.
La progressiva eliminazione degli inceneritori dal territorio lucano, infatti, costituisce un obiettivo politico strategico del governo regionale, la cui realizzazione non è affidata alla legge regionale impugnata.
Al contrario, tale determinazione verrebbe realizzata in un arco di tempo sufficientemente lungo da garantire, eventualmente, un’adeguata concertazione con l’amministrazione centrale competente in materia, in modo da raggiungere una soddisfacente composizione degli interessi centrali e locali coinvolti.
La Regione, inoltre, deduce di essersi legittimamente mossa nel solco di competenze ad essa affidate dalle norme costituzionali e statali di riferimento.
Infatti, se è vero che la «tutela dell’ambiente» è affidata alla competenza esclusiva dello Stato, alle Regioni spetta la competenza concorrente in materia di «tutela della salute» e «governo del territorio».
In tale ottica, la Regione ha ritenuto che le emissioni di combustione dei rifiuti e loro derivati, pur non potendosi trasformare direttamente in energia elettrica e dunque produrre un’utilità limitata per la collettività, consistano in sostanze dannose per la salute pubblica e inquinanti persistenti, quali diossine, metalli pesanti, polveri sottili ed ultrasottili.
Pertanto, la progressiva dismissione degli inceneritori risponderebbe ad esigenze di tutela della salute pubblica, rispetto alla quale la Regione ben potrebbe dettare criteri maggiormente restrittivi di quelli previsti a livello statale.
D’altra parte, tale misura si porrebbe in diretta esecuzione di quanto richiesto alle Regioni, in generale, dal d.lgs. n. 152 del 2006, il quale incentiva iniziative dirette a favorire prioritariamente la prevenzione e il calo della produzione e della nocività dei rifiuti; in particolare, dall’art. 196, comma 1, lettera o).
Secondo la Regione, dunque, risponderebbe a basilari canoni di logica interpretativa ritenere che, se lo Stato attribuisce alle Regioni la competenza ad individuare i luoghi idonei allo smaltimento dei rifiuti, specularmente la Regione potrà decidere di dismettere gli impianti qualora dovesse ritenere, in virtù del mutamento delle circostanze oggetto di precedenti valutazioni, che le aeree presso le quali sorgono non risultino più idonee ad ospitarli, in un’ottica di salute pubblica e tutela dell’interesse generale.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita in primo luogo della legittimità costituzionale degli artt. 27, 28, 29 e 30 della legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 4 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2015), in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione.
Le disposizioni impugnate disciplinano le modalità di consultazione delle comunità locali nei procedimenti in cui la Regione è chiamata ad esprimere o a negare la propria intesa. In particolare, esse indicano le finalità dell’intervento normativo (art. 27); definiscono l’atto di intesa o di diniego della stessa (art. 28); regolano il procedimento per il rilascio dell’intesa o per il suo diniego, stabilendo che la Regione debba concluderlo nel termine di novanta giorni dalla richiesta dell’intesa e che, entro sessanta giorni, debba ottenere il parere degli enti locali (art. 29); escludono, infine, alcuni procedimenti dall’ambito di applicazione della legge (art. 30).
2.– Secondo la difesa statale, tali norme avrebbero una portata generale e si applicherebbero anche alle opere energetiche soggette ad intesa regionale. Esse, pertanto, violerebbero gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., in quanto sarebbero in contrasto con principi fondamentali nella materia di potestà concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» ed avocherebbero alla Regione funzioni amministrative riservate allo Stato.
Sarebbe inoltre violato l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., per la previsione di un meccanismo alternativo di composizione degli interessi confliggenti nelle ipotesi di diniego dell’intesa, in contrasto con l’art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), che sarebbe norma afferente ai livelli essenziali delle prestazioni.
Viene infine denunciata la violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97, secondo comma, Cost., in conseguenza dell’introduzione di ulteriori oneri procedimentali.
3.– La questione è fondata nei termini di seguito precisati.
Nell’escludere dall’ambito di applicazione della legge regionale n. 4 del 2015 solo i procedimenti relativi alle intese in materia di sanità e protezione civile, l’art. 30 conferma implicitamente che le disposizioni impugnate si applicano alle intese in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
In tal modo, però, l’impugnato art. 29 interferisce, in questo specifico ambito, con le norme interposte invocate nel presente giudizio, ed in particolare con l’art. 52-quinquies del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), che questa Corte ha già qualificato come principio fondamentale della materia (sentenza n. 182 del 2013).
Infatti, il termine di sessanta giorni previsto dalla norma regionale, ai fini dell’acquisizione del parere degli enti locali per il rilascio o il diniego dell’intesa, è in contrasto con il diverso termine di trenta giorni richiesto dall’art. 52-quinquies, comma 5; né, d’altra parte, ha rilievo che non sia lamentata la violazione di un termine statale per il rilascio o il diniego dell’intesa da parte della Regione. Quel che è certo, infatti, è che il termine di nove o sei mesi di cui all’art. 52-quinquies, comma 2, riguarda non la procedura dell’intesa, ma la conclusione del procedimento per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio degli impianti di energia.
Come ribadito di recente da questa Corte «La disciplina normativa di tutte le forme collaborative e dell’intesa stessa spetta al legislatore statale anche quando “la legge nazionale si debba limitare ai principi fondamentali, con riferimento all’energia (sentenza n. 331 del 2010)» (sentenza n. 131 del 2016).
L’art. 29, invece, nel fissare il termine di sessanta giorni per l’acquisizione del parere degli enti locali, diverso da quello di cui al richiamato art. 52-quinquies, comma 5, e nel fissare, altresì, il termine per il rilascio o il diniego dell’intesa che è di esclusiva competenza dello Stato, determina unilateralmente le forme e i modi della collaborazione, violando i principi fondamentali della materia.
Esso, pertanto, va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui stabilisce il termine di novanta giorni per il rilascio o il diniego dell’intesa da parte della Regione e quello di sessanta giorni per l’acquisizione del parere degli enti locali, limitatamente alle intese in materia di energia.
Restano assorbiti gli altri profili di censura.
4.– Quanto al residuo contenuto normativo dell’art. 29 ed agli artt. 27, 28 e 30, che la Regione, ai soli fini della formazione della sua stessa volontà in vista dell’intesa che deve dare allo Stato, promuova il coinvolgimento delle comunità locali, rientra nella competenza della stessa Regione e non interferisce con la disciplina statale. È pertanto non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 27, 28 e 30, promossa in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, e 118, primo comma, Cost..
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, inoltre, della legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2015, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La disposizione impugnata stabilisce, fra l’altro, che «il Piano regionale di gestione dei rifiuti dovrà prevedere, tra gli obiettivi prioritari, la progressiva eliminazione della presenza di inceneritori sul territorio della regione Basilicata».
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, essa sarebbe in contrasto con l’art. 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164, che prevede un sistema integrato dei rifiuti urbani a livello nazionale.
6.– Anche tale questione è fondata nei termini di seguito precisati.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la disciplina della gestione dei rifiuti rientra nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» riservata, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla competenza esclusiva dello Stato (ex multis, sentenze n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009).
In questa materia la Regione «non può introdurre “limitazioni alla localizzazione”, ben può somministrare “criteri di localizzazione” […] purché ciò non determini l’impossibilità di una localizzazione alternativa (sentenza n. 278 del 2010) […]; pertanto, alla Regione non può essere consentito, anche nelle more della definizione dei criteri statali, di porre limiti assoluti di edificabilità degli impianti (sentenza n. 192 del 2011)» (sentenza n. 285 del 2013).
È bensì vero che la disposizione impugnata nel presente giudizio non pone un divieto immediato di localizzazione di tali impianti. Essa, tuttavia, oltre ad enunciare il proposito di eliminare gli inceneritori dal territorio della Regione, specifica che il Piano regionale dovrà definirne modalità e tempi di dismissione. Così facendo, l’art. 47, comma 4, si pone in contrasto con la legislazione statale in materia.
L’art. 35 del d.l. n. 133 del 2014, infatti, qualifica gli impianti di incenerimento come «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale» (comma 1). Con riguardo alla medesima attribuzione di «carattere di interesse strategico», ancorché riferita alle infrastrutture energetiche di cui all’art. 37, comma 1, del medesimo decreto-legge (i gasdotti di importazione di gas dall’estero, i terminali di rigassificazione di GNL, gli stoccaggi di gas naturale e le infrastrutture della rete nazionale di trasporto del gas naturale), questa Corte ha affermato che essa è «da ritenere espressione normativa di un indirizzo volto a fornire impulso e rilievo allo sviluppo energetico nazionale» (sentenza n. 110 del 2016).
Ne consegue che l’art. 47, comma 4, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente alle parole «il Piano regionale di gestione dei rifiuti dovrà prevedere, tra gli obiettivi prioritari, la progressiva eliminazione della presenza di inceneritori sul territorio della regione Basilicata e la contestuale adozione di soluzioni tecnologiche e gestionali destinate esclusivamente alla riduzione, riciclo, recupero e valorizzazione dei rifiuti. A tal fine il Piano regionale di gestione dei rifiuti dovrà definire modalità e tempi di dismissione degli impianti di incenerimento esistenti.».
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 29 della legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 4 (Collegato alla legge di stabilità regionale 2015), nella parte in cui stabilisce il termine di novanta giorni per il rilascio o il diniego dell’intesa da parte della Regione e quello di sessanta giorni per l’acquisizione del parere degli enti locali, limitatamente alle intese in materia di energia;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2015 limitatamente alle parole «il Piano regionale di gestione dei rifiuti dovrà prevedere, tra gli obiettivi prioritari, la progressiva eliminazione della presenza di inceneritori sul territorio della regione Basilicata e la contestuale adozione di soluzioni tecnologiche e gestionali destinate esclusivamente alla riduzione, riciclo, recupero e valorizzazione dei rifiuti. A tal fine il Piano regionale di gestione dei rifiuti dovrà definire modalità e tempi di dismissione degli impianti di incenerimento esistenti.»;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 27, 28 e 30, della legge reg. Basilicata n. 4 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, e 118, primo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 31 maggio 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2016.