SENTENZA N. 131
ANNO 2016
Commento alla decisione di
Giorgio Cataldo
per g.c. della Rivista AIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 4 della legge della Regione Abruzzo 12 novembre 2014, n. 40 (Modifiche ed integrazioni all’art. 2 della L.R. 28 aprile 2014, n. 26, all’art. 14 della L.R. 25 ottobre 1996, n. 96, alla L.R. 10 marzo 2008, n. 2 e ulteriori norme in materia di edilizia residenziale pubblica), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26-28 gennaio 2015, depositato in cancelleria il 29 gennaio 2015 ed iscritto al n. 18 del registro ricorsi 2015.
Visto l’atto di costituzione della Regione Abruzzo;
udito nell’udienza pubblica del 17 maggio 2016 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Federico Cappella per la Regione Abruzzo.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso, depositato il 29 gennaio 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale, della legge della Regione Abruzzo 12 novembre 2014, n. 40 (Modifiche ed integrazioni all’art. 2 della L.R. 28 aprile 2014, n. 26, all’art. 14 della L.R. 25 ottobre 1996, n. 96, alla L.R. 10 marzo 2008, n. 2 e ulteriori norme in materia di edilizia residenziale pubblica), nella sua interezza e, in particolare, in relazione agli artt. 3 e 4, in riferimento agli artt. 81, terzo comma, 97, primo comma, 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione.
1.1.– In particolare, la difesa statale impugna l’art. 3 della citata legge regionale n. 40 del 2014, nella parte in cui dispone la riduzione dei canoni delle locazioni relative al patrimonio di edilizia residenziale pubblica in regime di canone concordato, con contratto non ancora stipulato alla data del 30 settembre 2014. Più precisamente, per i canoni superiori a 250 euro, è stabilita una riduzione percentuale pari al cinquanta per cento sull’importo eccedente detto limite. Tale previsione, determinando una riduzione delle entrate delle Aziende territoriali per l’edilizia residenziale (ATER), comporterebbe minori entrate a carico del bilancio regionale, non quantificate e a fronte delle quali non sarebbe indicata la relativa fonte di finanziamento, con conseguente violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.
1.2.– È, poi, impugnato l’art. 4 della medesima legge regionale n. 40 del 2014, nella parte in cui introduce l’art. 1.1 nella legge regionale 10 marzo 2008, n. 2 (Provvedimenti urgenti a tutela del territorio regionale), che dispone che «[s]ulle opere per le quali è stata negata l’intesa, la soluzione per la quale è stata data la negazione sarà valutata e comparata entro sei mesi, di concerto con gli organi statali competenti e in ottemperanza al principio di leale collaborazione, con le soluzioni alternative elaborate dalla Regione al fine di scegliere la proposta che accolga nel modo più completo possibile le ragioni alla base della negazione e che abbia minore impatto ambientale e il più basso impatto sismico».
La difesa statale osserva che il generico riferimento alle «opere per le quali è stata negata l’intesa» potrebbe essere inteso come il seguito di quanto disposto nell’art. 1 della legge regionale n. 2 del 2008, che detta disposizioni programmatiche per il rilascio dell’intesa prevista dall’art. 1, comma 7, lettera n), della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), e cioè quella relativa alle determinazioni inerenti alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, adottate per la terraferma. Il predetto riferimento, tuttavia, potrebbe essere interpretato anche in senso ampio, in modo da considerare la norma come volta a disciplinare, in via generale, le modalità di risoluzione del dissenso tra Regione e amministrazioni statali in tutti quei procedimenti nei quali l’amministrazione regionale è chiamata ad esprimere la propria intesa “forte”, la cui negazione impone l’avvio di idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze. La difesa statale osserva che questa seconda interpretazione sarebbe avvalorata, oltre che dall’ampiezza della dizione utilizzata dal legislatore regionale, dalla collocazione sistematica della norma in un articolo a sé stante, e dall’assenza di riferimento alle opere di coltivazione e ricerca di idrocarburi disciplinate dall’art. 1 della legge regionale n. 2 del 2008. Secondo tale interpretazione, nell’ambito delle «opere per le quali è stata negata l’intesa», dovrebbero essere comprese tutte le opere energetiche soggette ad intesa regionale, ovunque localizzate, tra cui i gasdotti e le centrali di spinta.
In ogni caso, in entrambe le interpretazioni, le intese disciplinate dalla disposizione censurata sarebbero inerenti a materia di competenza legislativa statale.
La difesa statale ricorda, infatti, che la giurisprudenza costituzionale ha affermato che varie disposizioni riferite a attività connesse alla realizzazione di opere energetiche (fra cui proprio quelle contenute nell’art. 1, comma 7, lettera n, e quelle di cui all’art. 1, comma 8, lettera b, numero 2, della legge n. 239 del 2004), costituiscono principi fondamentali nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di competenza legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. (sentenze n. 124 del 2010, n. 282 del 2009, n. 383 del 2005). Tali disposizioni hanno ridefinito in modo unitario i procedimenti di autorizzazione delle maggiori infrastrutture lineari energetiche, tenuto conto della necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative, mediante la cosiddetta “chiamata in sussidiarietà”. Quest’ultima consente di spogliare la legislazione regionale della propria capacità di disciplinare la funzione amministrativa attratta in sussidiarietà, a condizione che si raggiunga un’intesa con la Regione, in sede di esercizio della funzione (sentenze n. 278 del 2010, n. 383 e n. 62 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003). A tal proposito – sottolinea ancora l’Avvocatura generale dello Stato – la Corte ha anche precisato che rientra nella competenza statale dettare i principi fondamentali della disciplina dell’intesa, così come di tutte le forme di collaborazione e coordinamento tra apparati statali, regionali e di enti locali, che coinvolgano compiti e attribuzioni dello Stato, ivi comprese le procedure volte a superare il dissenso regionale nella conclusione dell’intesa, pur dovendo queste ultime ottemperare a talune indicazioni, per esempio non attribuire a alcuna delle parti un ruolo preminente (sentenza n. 121 del 2010). Simili compiti non potrebbero essere disciplinati unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa, ma dovrebbero trovare il loro fondamento o presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati (sentenze n. 104 del 2010 e n. 322 del 2006).
Questa conclusione sarebbe valida anche nel caso in cui nella normativa statale manchino i principi fondamentali volti a guidare il legislatore regionale per superare il dissenso della Regione nella conclusione dell’intesa. Anche in tal caso, infatti, la procedura per il raggiungimento dell’intesa non potrebbe essere determinata unilateralmente dal legislatore regionale, senza violare i principi di sussidiarietà e di leale collaborazione. Ove ciò fosse possibile, si potrebbe giungere a procedure di superamento del dissenso diverse per ciascuna Regione, con conseguente vulnus non solo del principio di buon andamento dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97, primo comma, Cost., ma anche dell’esigenza di unitarietà che, in quanto espressione dell’art. 118, primo comma, Cost., è fondamento della “chiamata in sussidiarietà” e, conseguentemente, dell’intesa stessa.
Alla luce di quanto detto, la difesa statale ritiene che sia evidente che la disposizione regionale impugnata, in qualunque modo interpretata, sia affetta dai denunciati profili di illegittimità costituzionale. Interferendo indebitamente con la competenza legislativa statale, essa disciplina in modo unilaterale forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono anche attribuzioni e compiti dello Stato in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
Inoltre, se riferita in generale a tutte le opere energetiche soggette ad intesa regionale, ovunque localizzate, essa violerebbe anche la competenza statale a definire i livelli essenziali delle prestazioni. L’art. 4 in esame, infatti, disegnerebbe un meccanismo alternativo e quindi contrastante con quello disciplinato dall’art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), che costituisce, ai sensi dell’art. 29, comma 2-ter, della citata legge n. 241 del 1990, norma afferente ai livelli essenziali delle prestazioni, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. L’art. 14-quater, comma 3, prevede un apposito procedimento di composizione degli interessi confliggenti in sede di conferenza di servizi, che dovrebbe essere seguito anche nelle ipotesi di diniego dell’intesa inerente al rilascio dell’autorizzazione di infrastrutture lineari energetiche, in virtù del rinvio operato dal d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A), come modificato dal decreto legislativo 27 dicembre 2004, n. 330 (Integrazioni al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, in materia di espropriazione per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche).
2.– Nel giudizio si è costituita la Regione Abruzzo, in persona del Presidente pro tempore, e ha chiesto, nell’atto di costituzione e nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica, che la Corte dichiari inammissibili o comunque infondate le censure promosse con il ricorso introduttivo.
La Regione ritiene, in primo luogo, che il ricorso, notificato in data 26 gennaio 2015, sia inammissibile per tardività. Esso, infatti, sarebbe stato proposto oltre il termine di sessanta giorni previsti dall’art. 127 Cost.
La resistente ritiene, inoltre, che sia inammissibile la censura proposta avverso l’art. 3 della citata legge regionale n. 40 del 2014, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., per eccesso di genericità. Dalla lettura del ricorso emergerebbe, infatti, una motivazione meramente assertiva in merito alla mancata indicazione della fonte di finanziamento, basata sulla mera supposizione di un’incidenza negativa che la riduzione delle entrate delle ATER avrebbe sul bilancio regionale, senza che di tale effetto sia fornita alcuna dimostrazione o supporto.
Nel merito, la censura sarebbe in ogni caso priva di fondamento. Il ricorrente non avrebbe tenuto conto del fatto che la legge regionale 21 luglio 1999, n. 44 (Norme per il riordino degli Enti di edilizia residenziale pubblica), che contiene la disciplina regionale dell’edilizia residenziale pubblica, qualifica le ATER come enti pubblici economici dotati di personalità giuridica, nonché di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile, le cui fonti di finanziamento non deriverebbero dal bilancio regionale. Pertanto, la diminuzione dell’ammontare dei canoni di locazione inciderebbe solo sul bilancio delle ATER medesime. A conferma di ciò starebbe anche l’art. 24-bis della medesima legge regionale n. 44 del 1999, che contiene una norma di salvaguardia per le ATER, prevedendo che, qualora esse si trovino in condizioni di squilibrio finanziario, possano attingere ai proventi derivanti dalla vendita delle tipologie di immobili ivi indicate, senza incidere sul bilancio regionale.
3.– Nel corso dell’udienza pubblica la difesa statale ha ribadito quanto già affermato nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza in relazione al rigetto delle eccezioni di inammissibilità proposte dalla resistente e ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte. La Regione Abruzzo ha rinunciato all’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, mentre ha confermato gli altri argomenti proposti nelle memorie.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo 12 novembre 2014, n. 40 (Modifiche ed integrazioni all’art. 2 della L.R. 28 aprile 2014, n. 26, all’art. 14 della L.R. 25 ottobre 1996, n. 96, alla L.R. 10 marzo 2008, n. 2 e ulteriori norme in materia di edilizia residenziale pubblica), in riferimento agli artt. 81, terzo comma, 97, primo comma, 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione.
1.1.– In particolare, la difesa statale censura l’art. 3, nella parte in cui dispone la riduzione dei canoni delle locazioni relative al patrimonio di edilizia residenziale pubblica, locazioni in regime di canone concordato con riguardo ai contratti non ancora stipulati alla data del 30 settembre 2014. La difesa statale sostiene che la riduzione delle entrate delle Aziende territoriali per l’edilizia residenziale (ATER), derivante da tale previsione, comporti oneri a carico del bilancio regionale, non quantificati e privi di copertura finanziaria, con conseguente violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.
1.2.– È censurato anche l’art. 4 della medesima legge regionale, nella parte in cui ha introdotto l’art. 1.1 nella legge regionale 10 marzo 2008, n. 2 (Provvedimenti urgenti a tutela del territorio regionale), che ha disciplinato le modalità per il superamento del dissenso espresso dalla Regione in ordine alla realizzazione di opere energetiche per le quali sia prescritto il raggiungimento di un’intesa. L’Avvocatura generale dello Stato ritiene che tale disposizione vìoli la competenza legislativa statale a stabilire i principi fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., sia che si intenda rivolta, specificamente, a disciplinare le modalità per il superamento del dissenso espresso dalla Regione con riferimento all’intesa da raggiungere in relazione alle attività di «prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria» di cui all’art. 1, comma 7, lettera n), della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), oggetto dell’art. 1 della legge regionale n. 2 del 2008, sia che si ritenga volta a disciplinare, in via generale, le modalità di risoluzione del dissenso tra Regione e amministrazioni statali in tutti quei procedimenti nei quali l’amministrazione regionale è chiamata ad esprimere la propria intesa “forte”, con riferimento a tutte le opere energetiche soggette ad intesa regionale, ovunque localizzate.
La disposizione impugnata, nella parte in cui disciplina in modo unilaterale il superamento del dissenso regionale per il raggiungimento dell’intesa e individua forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono anche attribuzioni e compiti dello Stato in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», violerebbe inoltre i principi di sussidiarietà e leale collaborazione, di cui all’art. 118, primo comma, Cost. Essa, infatti, si porrebbe in contrasto non solo con il principio di buon andamento dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97, primo comma, Cost., ma anche con l’esigenza di unitarietà che, in quanto espressione dell’art. 118, primo comma, Cost., è fondamento della chiamata in sussidiarietà e, conseguentemente, dell’intesa stessa.
L’art. 4, infine, riferito in generale a tutte le opere energetiche soggette a intesa regionale, ovunque localizzate, violerebbe anche la competenza legislativa statale nel definire i livelli essenziali delle prestazioni. Ad avviso della difesa statale, infatti, si introdurrebbe un meccanismo di superamento del dissenso alternativo e contrastante con quello disciplinato dall’art. 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), che costituisce norma afferente ai livelli essenziali delle prestazioni, da applicare anche nelle ipotesi di diniego dell’intesa inerente al rilascio dell’autorizzazione di infrastrutture lineari energetiche.
2.– In linea preliminare, occorre affermare che il ricorso in esame, notificato il 26-28 gennaio 2015, risulta tempestivamente proposto, come riconosciuto dalla medesima resistente che, nel corso dell’udienza pubblica, ha rinunciato all’eccezione di inammissibilità per tardività, originariamente sollevata.
La legge regionale n. 40 del 2014, nei cui confronti è stato promosso il ricorso, è stata pubblicata nel Bollettino Ufficiale regionale n. 47 del 26 novembre 2014. Il termine di cui all’art. 127 Cost. è rispettato, poiché il 25 gennaio, data di scadenza dei prescritti sessanta giorni, coincidente con una domenica, è slittato, secondo le ordinarie regole, al giorno successivo a quello festivo.
3.– Ancora in via preliminare, si deve dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti della legge regionale n. 40 del 2014 «nella sua interezza», come si legge espressamente nel dispositivo del ricorso.
3.1.– L’impugnazione della legge nel suo complesso non è menzionata nella delibera del Governo di autorizzazione alla proposizione del ricorso e nei relativi allegati, né può ritenersi che le specifiche censure svolte nei confronti degli artt. 3 e 4 siano riferibili all’intero testo della medesima legge, in quanto essa contiene disposizioni eterogenee. Questa Corte ha più volte affermato che la delibera del Consiglio dei ministri, o la relazione ministeriale cui questa rinvii, devono necessariamente indicare le specifiche disposizioni che si intende impugnare (fra le tante, sentenze n. 450 e n. 49 del 2006). È consentita l’impugnativa di intere leggi solo ove esse siano «caratterizzate da norme omogenee, tutte coinvolte dalle censure medesime» (sentenze n. 81 del 2015 e n. 201 del 2008).
4.– Occorre, a questo punto, esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Abruzzo in relazione alla questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti dell’art. 3 della citata legge regionale n. 40 del 2014, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost. Secondo la Regione, il ricorrente avrebbe formulato la censura di violazione dell’obbligo di copertura finanziaria in maniera assertiva, basandosi sulla mera supposizione dell’incidenza negativa che la prevista riduzione delle entrate delle ATER avrebbe sul bilancio regionale, senza che di tale effetto fosse fornita alcuna dimostrazione.
4.1.– L’eccezione è fondata.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che «il ricorso in via principale non solo deve identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2007, n. 139 del 2006, n. 450 e n. 360 del 2005, n. 213 del 2003, n. 384 del 1999), ma deve, altresì, contenere una argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale della legge (si vedano, oltre alle pronunce già citate, anche le sentenze n. 261 del 1995 e n. 85 del 1990)» (sentenza n. 259 del 2014). L’esigenza di una adeguata motivazione a supporto dell’impugnativa «si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali (sentenze n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005)» (sentenza n. 259 del 2014; nello stesso senso, anche sentenze n. 233, n. 218, n. 153, n. 142 e 82 del 2015, n. 36 del 2014 e n. 41 del 2013), con la conseguenza che «[l]a genericità e l’assertività delle censure implicano, di conseguenza, l’inammissibilità della questione (ex plurimis, sentenze n. 184 del 2012, n. 185, n. 129, n. 114 e n. 68 del 2011, n. 278 e n. 45 del 2010)» (sentenza n. 38 del 2016).
Nel caso in esame la censura è priva di un’adeguata motivazione.
L’impugnato art. 3 della legge regionale n. 40 del 2014 statuisce che «[a]l fine di incentivare il mercato delle locazioni relativo al patrimonio abitativo di edilizia residenziale pubblica in regime di canone concordato, i canoni determinati in applicazione della vigente normativa, superiori a 250,00 euro mensili, fruiscono di una riduzione percentuale pari al cinquanta per cento sull’importo eccedente detto limite. La presente norma si applica alle locazioni a canone concordato con contratto non ancora stipulato alla data del 30 settembre 2014».
Tale articolo è censurato nella parte in cui, «determinando una riduzione delle entrate delle A.T.E.R., comport[erebbe] minori entrate a carico del bilancio regionale, non quantificate e a fronte delle quali non [sarebbe] indicata la relativa fonte di finanziamento, con conseguente violazione dell’art. 81, comma 3, Cost.» (pag. 2 del ricorso introduttivo).
A sostegno di questo assunto non è fornita alcuna motivazione in ordine all’incidenza della riduzione dei canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica «a canone concordato con contratto non ancora stipulato alla data del 30 settembre 2014» sul bilancio delle ATER. Non si spende alcun argomento sulla natura di queste ultime, che l’art. 4, comma 1 della legge regionale 21 luglio 1999, n. 44, recante «Norme per il riordino degli Enti di edilizia residenziale pubblica», qualifica enti pubblici economici, dotati di personalità giuridica e di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile. Le fonti di finanziamento di tali enti sono individuate all’art. 23 della medesima legge regionale, senza che da esse si evinca in maniera evidente l’incidenza sul bilancio regionale, né sul loro collegamento con la Regione. Ciò che più conta evidenziare è che non è presentata alcuna ragione per cui la misura della riduzione dei canoni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, corrisposti alle ATER, dovrebbe tradursi automaticamente in un onere a carico del bilancio regionale, con conseguente onere di copertura. Non è rilevante, a questo riguardo, l’argomento, svolto dalla difesa statale, secondo cui anche le minori entrate comporterebbero un onere finanziario, da calcolare ai fini della salvaguardia del principio dell’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio, principio che, a seguito della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), compare al primo comma dell’art. 81 Cost. È implicito e non dimostrato l’assunto secondo cui le minori entrate delle ATER creano un onere a carico del bilancio regionale.
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge regionale n. 40 del 2014, promossa in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., è pertanto inammissibile.
5.– Nel merito, viene all’esame la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, promossa in riferimento agli artt. 97, primo comma, 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. La difesa statale sostiene che tale disposizione sia costituzionalmente illegittima in quanto, interferendo indebitamente con la competenza legislativa statale a dettare principi fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», disciplinerebbe in modo unilaterale forme di collaborazione e di coordinamento che coinvolgono anche attribuzioni e compiti dello Stato, in violazione peraltro dei principi di buon andamento dell’azione amministrativa, di sussidiarietà e di leale collaborazione, nonché dell’esigenza di unitarietà che è fondamento della “chiamata in sussidiarietà” e, conseguentemente, dell’intesa stessa.
5.1.– La questione è fondata.
L’art. 4 inserisce l’art. 1.1 nella legge regionale 10 marzo 2008, n. 2, recante «Provvedimenti urgenti a tutela del territorio regionale». L’art. 1 della legge regionale ora citata, «nell’ottica generale di promuovere, attraverso un’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, uno sviluppo sostenibile nel rispetto dell’ambiente e nella salvaguardia della sua qualità», interviene a dettare «disposizioni programmatiche per il rilascio dell’Intesa prevista dall’art. 1, comma 7, lettera n), della legge 23 agosto 2004, n. 239». Quest’ultima norma attribuisce allo Stato le «determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni interessate». L’art. 1.1, introdotto dal censurato art. 4, dispone che «[s]ulle opere per le quali è stata negata l’intesa, la soluzione per la quale è stata data la negazione sarà valutata e comparata entro sei mesi, di concerto con gli organi statali competenti e in ottemperanza al principio di leale collaborazione, con le soluzioni alternative elaborate dalla Regione al fine di scegliere la proposta che accolga nel modo più completo possibile le ragioni alla base della negazione e che abbia minore impatto ambientale e il più basso impatto sismico». Tale disposizione, di certo riferibile alla fattispecie di cui all’art. 1 (attività connesse alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi), anche se interpretata in senso più ampio, con riferimento alla realizzazione, soggetta ad intesa regionale, di infrastrutture energetiche, ovunque localizzate, come i gasdotti e le centrali di spinta, deve essere ricondotta all’ambito materiale relativo alla competenza legislativa concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
Questa Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi su norme statali che disciplinano la realizzazione di infrastrutture energetiche, subordinandole all’intesa con le Regioni (fra esse lo stesso art. 1, comma 7, lettera n della legge n. 239 del 2004 su cui si è pronunciata la sentenza n. 117 del 2013), e le ha qualificate come norme recanti principi fondamentali della materia (con riguardo agli artt. 1, commi 7, lettera g, e 8, lettera b, numero 2, della medesima legge n. 239 del 2004 e all’art. 52-quinquies del d.P.R. n. 327 del 2001 il riferimento è alla sentenza n. 182 del 2013). Si tratta di norme che ridefiniscono, «in modo unitario ed a livello nazionale, i procedimenti di localizzazione e realizzazione» delle opere, «in base all’evidente presupposto della necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative, a fronte di esigenze di carattere unitario» (sentenza n. 119 del 2014), ma anche in relazione «ai criteri indicati dall’art. 118 Cost. per la allocazione e la disciplina delle funzioni amministrative, nonché al principio di leale collaborazione (ex plurimis, sentenze n. 331 del 2010, n. 383 del 2005 e n. 6 del 2004)» (sentenza n. 182 del 2013). Il legislatore statale ha dunque preso atto dell’interferenza, negli ambiti considerati, di competenze dello Stato e delle Regioni e ha individuato «lo strumento per risolvere i possibili conflitti nell’atto maggiormente espressivo del principio di leale collaborazione» (sentenza n. 117 del 2013). Tale è l’intesa, costruita in modo da evitare, per quanto possibile, che la decisione sia adottata unilateralmente da una delle parti. La disciplina normativa di tutte le forme collaborative e dell’intesa stessa spetta al legislatore statale anche quando «la legge nazionale si debba limitare ai principi fondamentali, con riferimento all’energia» (sentenza n. 331 del 2010). A tal proposito questa Corte ha precisato che «determinare le forme ed i modi della collaborazione, nonché le vie per superare l’eventuale stallo ingenerato dal perdurante dissenso tra le parti, caratterizza, quale principio fondamentale, l’assetto normativo vigente e le stesse opportunità di efficace conseguimento degli obiettivi prioritari, affidati dalla Costituzione alle cure del legislatore statale» (sentenza n. 331 del 2010).
Alla luce di quanto detto, la disposizione regionale impugnata, nella parte in cui definisce unilateralmente le modalità di superamento del dissenso regionale in ordine al raggiungimento dell’intesa necessaria allo svolgimento di attività inerenti alla realizzazione delle infrastrutture energetiche, vìola la competenza legislativa statale a stabilire i principi fondamentali nella materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., e contrasta con le esigenze unitarie, di cui all’art. 118, primo comma, Cost., sottese alla definizione dei procedimenti di localizzazione e realizzazione delle infrastrutture energetiche, con la conseguente compromissione del principio di buon andamento dell’amministrazione.
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2014, nella parte in cui ha introdotto l’art. 1.1 nella legge regionale n. 2 del 2008.
6.– Resta assorbita la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti del medesimo art. 4, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge della Regione Abruzzo 12 novembre 2014, n. 40 (Modifiche ed integrazioni all’art. 2 della L.R. 28 aprile 2014, n. 26, all’art. 14 della L.R. 25 ottobre 1996, n. 96, alla L.R. 10 marzo 2008, n. 2 e ulteriori norme in materia di edilizia residenziale pubblica), nella parte in cui ha inserito l’art. 1.1 nella legge della Regione Abruzzo 10 marzo 2008, n. 2 (Provvedimenti urgenti a tutela del territorio regionale);
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2014, promossa, in riferimento agli artt. 81, terzo comma, 97, primo comma, 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Abruzzo n. 40 del 2014, promossa, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 maggio 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2016.