SENTENZA N. 38
ANNO 2016
Commento alla decisione di
Giorgio Cataldo
per g.c. della Rivista AIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo GROSSI Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera c), della legge della Regione Puglia 5 dicembre 2014, n. 48, recante «Modifiche all’articolo 24 della legge regionale 7 marzo 2003, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2003 e bilancio pluriennale 2003-2005), in materia di utilizzo dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 6-10 febbraio 2015, depositato in cancelleria il 10 febbraio 2015 ed iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2015.
Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;
udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2016 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Puglia.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 6 febbraio 2015, ricevuto il 10 febbraio 2015 e depositato lo stesso giorno nella cancelleria della Corte, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 1, comma 1, lettera c), della legge della Regione Puglia 5 dicembre 2014, n. 48, recante «Modifiche all’articolo 24 della legge regionale 7 marzo 2003, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2003 e bilancio pluriennale 2003-2005), in materia di utilizzo dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica», in riferimento agli artt. 47 e 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, della Costituzione.
La norma impugnata aggiunge all’art. 24 della legge della Regione Puglia 7 marzo 2003, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2003 e bilancio pluriennale 2003-2005) il comma 1-bis, del seguente tenore: «Gli enti gestori che non versano in stato di dissesto finanziario possono, in deroga alla legge 24 dicembre 1993, n. 560 (Norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica), destinare una quota dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica al pagamento di imposte gravanti sugli immobili di loro proprietà, al fine di rispettare il vincolo del pareggio di bilancio».
Il ricorrente premette che l’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80, ha sostituito il comma 1 dell’art. 13 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, stabilendo, tra l’altro, che «[l]e risorse derivanti dalle alienazioni devono essere destinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente».
Ad avviso del ricorrente, l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014, nell’imporre la destinazione esclusiva dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica al potenziamento o alla manutenzione straordinaria del patrimonio esistente, inciderebbe sulla determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati ai ceti meno abbienti e costituirebbe, pertanto, espressione della potestà legislativa esclusiva dello Stato di determinare i livelli essenziali delle prestazioni in materia di edilizia residenziale pubblica, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
La norma regionale impugnata, che consente agli enti gestori che non versano in stato di dissesto finanziario di destinare una quota dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica al pagamento di imposte gravanti sugli immobili di loro proprietà, contrasterebbe con la norma statale assunta a parametro di riferimento, invadendo la competenza esclusiva dello Stato in tema di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e violando, altresì, l’art. 47 Cost. Inoltre, intervenendo nelle materie «governo del territorio» e «coordinamento della finanza pubblica», essa violerebbe anche l’art. 117, terzo comma, Cost., espressamente richiamato dal legislatore quale presupposto della citata disciplina dell’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014.
2.– Con memoria depositata il 23 marzo 2015 si è costituita in giudizio la Regione Puglia, eccependo preliminarmente l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal ricorrente e chiedendo nel merito che la Corte ne dichiari comunque l’infondatezza.
Secondo la Regione sarebbe manifestamente inammissibile, in primo luogo, la censura riferita alla violazione dell’art. 47 Cost., sia perché il ricorrente non ha indicato con quale comma o con quale parte della disposizione costituzionale contrasterebbe la norma regionale, sia perché, anche a volere individuare il parametro violato nel secondo comma dell’art. 47 Cost., là dove prevede che la Repubblica «[f]avorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione», nessuna ragione è enunciata a sostegno dell’impugnazione in parte qua, sia ancora perché l’eventuale lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., congiuntamente evocato, non comporterebbe automaticamente quella dell’art. 47 Cost.
Sarebbe inammissibile anche la questione sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., giacché il ricorrente, ad avviso della Regione, si limita ad affermare in modo apodittico e meramente assertivo che l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014, assunto a parametro interposto, incide sulla determinazione dell’offerta di alloggi destinati ai ceti meno abbienti e, di conseguenza, sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni nella materia dell’edilizia residenziale pubblica, riservata alla competenza esclusiva dello Stato.
Anche la questione riferita all’art. 117, terzo comma, Cost. sarebbe manifestamente inammissibile, sotto un duplice profilo. In un primo senso, il ricorrente si limiterebbe ad aggiungere ai rilievi fondati sul secondo comma, lettera m), dell’art. 117 Cost., la considerazione che il riferimento al terzo comma dello stesso art. 117, è espressamente operato dal legislatore quale presupposto della disciplina di cui all’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014, con la quale, a suo avviso, contrasta la norma impugnata. Tuttavia, poiché i due parametri costituzionali invocati ineriscono, secondo la Regione, ad ambiti materiali nettamente distinti, la norma statale assunta a riferimento andrebbe ricondotta o al primo o al secondo, ma non ad entrambi, e sarebbe quindi inammissibile in assenza di coordinamento o di spiegazione sul rapporto intercorrente tra le censure. Inoltre, la questione sarebbe del tutto carente nella motivazione, in quanto non sarebbero esposte le ragioni per le quali la citata norma statale andrebbe ascritta alle materie «governo del territorio» e «coordinamento della finanza pubblica» e avrebbe, altresì, in esse natura di principio fondamentale (natura neppure affermata dal ricorrente), a nulla valendo il richiamo all’incipit della disposizione, insufficiente a ricondurre una determinata disciplina, per «autoqualificazione legislativa», nella sfera di competenza del legislatore statale.
2.1.– Nel merito, la Regione Puglia sostiene, in primo luogo, che la norma impugnata non è necessariamente in contrasto con quella statale, assunta dal ricorrente a parametro di riferimento. Essa si limiterebbe infatti a contemperare la regola della destinazione esclusiva dei proventi delle alienazioni degli alloggi con l’osservanza del principio costituzionale del pareggio di bilancio, imposto non solo allo Stato ai sensi dell’art. 81 Cost., ma anche a tutte le pubbliche amministrazioni e a tutti gli enti pubblici, compresi quelli territoriali, dagli artt. 97 e 119, primo e sesto comma, Cost. Dal principio potrebbe discendere, per gli enti di gestione, la necessità di utilizzare una parte dei proventi per il pagamento di imposte gravanti sugli immobili di loro proprietà al fine di conservare tale patrimonio, soggetto altrimenti al rischio di procedure esecutive per la soddisfazione dei debiti tributari, e, pertanto, al fine di creare le condizioni perché sia messo in atto proprio quel «programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente» che la norma statale contempla.
In secondo luogo, la norma impugnata detterebbe una disciplina di copertura finanziaria delle imposte relative agli immobili di edilizia residenziale pubblica, riguardante la «gestione» di tale patrimonio immobiliare, profilo della materia che – alla luce della suddivisione in tre «livelli» legislativi della disciplina relativa all’edilizia residenziale pubblica, operata dalla giurisprudenza costituzionale – è riservato alla competenza residuale delle regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. Non sussisterebbe dunque alcuna invasione della competenza legislativa dello Stato nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni. Né la norma impugnata, che consente la parziale destinazione dei proventi della vendita di alloggi di edilizia residenziale pubblica al ripianamento dei debiti tributari gravanti sugli immobili degli enti di gestione, parrebbe idonea a interferire con la determinazione dell’offerta minima di alloggi da destinare ai ceti meno abbienti, come sostiene il ricorrente.
Quanto alla lamentata interferenza con la materia «coordinamento della finanza pubblica», la Regione osserva che la norma impugnata, nel consentire che una quota dei proventi sia destinata dagli enti di gestione al pagamento dei debiti con l’erario, sembra rispettosa, al contrario, di una delle esigenze a cui quella materia si deve conformare, consistente nel rispetto dell’equilibrio di bilancio.
Quanto al «governo del territorio» – materia alla quale, secondo la giurisprudenza costituzionale, è riconducibile la «programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica», attinente al secondo «livello» legislativo in cui si articola la disciplina relativa all’edilizia residenziale pubblica –, la Regione osserva che la norma impugnata non incide sulla programmazione di interventi nel settore in esame, ponendosi semmai su un piano che funge da presupposto logico e cronologico di tale attività, giacché l’individuazione delle risorse necessarie per ripianare i debiti tributari concorre a realizzare le condizioni economico-finanziarie della programmazione. Neppure sarebbe ravvisabile, nella disciplina dell’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014, un principio fondamentale della materia. In ogni caso, alla luce della giurisprudenza costituzionale, il principio dovrebbe essere circoscritto all’obbligo di reinvestimento dei proventi nello stesso settore – al quale la norma impugnata si conforma –, senza vulnerare le competenze delle regioni nella «gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica».
Da ultimo, la Regione richiama la giurisprudenza costituzionale secondo la quale l’intervento della disciplina statale in materia di alienazione degli immobili di edilizia residenziale pubblica si traduce in un’invasione della competenza regionale nella gestione degli stessi immobili, e osserva che, già prima della riforma del Titolo V della Costituzione, la Corte aveva riconosciuto la più ampia competenza legislativa regionale nella materia dell’edilizia residenziale pubblica, sino ad affermare, in un caso analogo a quello di specie, che correttamente una legge regionale aveva dettato norme sulla destinazione dei fondi ricavati dalla vendita degli immobili di alcuni Istituti autonomi per le case popolari. Con la conseguenza che la medesima materia, nella parte in cui ha ad oggetto la destinazione dei proventi ricavati dall’alienazione degli immobili di edilizia residenziale pubblica, non potrebbe rientrare nella competenza legislativa statale dopo la riforma del Titolo V, che ha ampliato le competenze regionali rispetto al passato.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 1, comma 1, lettera c), della legge della Regione Puglia 5 dicembre 2014, n. 48, recante «Modifiche all’articolo 24 della legge regionale 7 marzo 2003, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2003 e bilancio pluriennale 2003-2005), in materia di utilizzo dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica», in riferimento agli artt. 47 e 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, della Costituzione.
La norma impugnata aggiunge all’art. 24 della legge della Regione Puglia 7 marzo 2003, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2003 e bilancio pluriennale 2003-2005) il comma 1-bis, del seguente tenore: «Gli enti gestori che non versano in stato di dissesto finanziario possono, in deroga alla legge 24 dicembre 1993, n. 560 (Norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica), destinare una quota dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica al pagamento di imposte gravanti sugli immobili di loro proprietà, al fine di rispettare il vincolo del pareggio di bilancio».
Il ricorrente assume quale norma di riferimento l’art. 3, comma 1, lettera a), del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80, che ha sostituito il comma 1 dell’art. 13 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, con il seguente: «1. In attuazione degli articoli 47 e 117, commi secondo, lettera m), e terzo della Costituzione, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, i livelli essenziali delle prestazioni e favorire l’accesso alla proprietà dell’abitazione, entro il 30 giugno 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa della Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, approvano con decreto le procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici anche territoriali, nonché degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, anche in deroga alle disposizioni procedurali previste dalla legge 24 dicembre 1993, n. 560. Il suddetto decreto dovrà tenere conto anche della possibilità di favorire la dismissione degli alloggi nei condomini misti nei quali la proprietà pubblica è inferiore al 50 per cento oltre che in quelli inseriti in situazioni abitative estranee all’edilizia residenziale pubblica, al fine di conseguire una razionalizzazione del patrimonio e una riduzione degli oneri a carico della finanza locale. Le risorse derivanti dalle alienazioni devono essere destinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente.».
Ad avviso del ricorrente, il citato art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014, nell’imporre la destinazione esclusiva dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica al potenziamento o alla manutenzione straordinaria del patrimonio esistente, inciderebbe sulla determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati ai ceti meno abbienti e costituirebbe pertanto espressione dell’esclusiva potestà legislativa dello Stato nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di edilizia residenziale pubblica, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
La norma regionale impugnata, consentendo agli enti gestori che non versano in stato di dissesto finanziario di destinare una quota dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica al pagamento di imposte gravanti sugli immobili di loro proprietà, contrasterebbe con la norma statale assunta a parametro di riferimento e invaderebbe in tal modo la competenza esclusiva dello Stato, violando altresì l’art. 47 Cost.
Richiamando la stessa norma statale interposta, il ricorrente lamenta inoltre la violazione, da parte della norma regionale impugnata, dell’art. 117, terzo comma, Cost., e segnatamente della competenza legislativa statale nelle materie del «governo del territorio» e del «coordinamento della finanza pubblica», entrambe espressamente menzionate dal legislatore statale quali presupposti della disciplina dell’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014.
2.– La Regione Puglia si è costituita in giudizio eccependo in via preliminare, sotto diversi profili, l’inammissibilità delle questioni.
L’eccezione è solo parzialmente fondata.
2.1. – Con la prima censura, il ricorrente espone che l’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014, nella parte in cui stabilisce che «[l]e risorse derivanti dalle alienazioni devono essere destinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente», inciderebbe sulla determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati ai ceti meno abbienti e rientrerebbe quindi nell’esclusiva potestà legislativa dello Stato di determinare i livelli essenziali delle prestazioni in materia di edilizia residenziale pubblica. Sicché la norma regionale impugnata, consentendo invece agli enti gestori che non versano in stato di dissesto finanziario di destinare una quota di quei proventi al pagamento di imposte gravanti sugli immobili di loro proprietà, violerebbe gli artt. 47 e 117, secondo comma, lettera m), Cost., espressamente enunciati dal legislatore statale quale presupposto della disciplina contenuta nella norma assunta a parametro di riferimento.
Questa Corte ha più volte affermato che «il ricorso in via principale non solo deve identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità (ex plurimis, sentenze n. 40 del 2007, n. 139 del 2006, n. 450 e n. 360 del 2005, n. 213 del 2003, n. 384 del 1999), ma deve, altresì, contenere una argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale della legge (si vedano, oltre alle pronunce già citate, anche le sentenze n. 261 del 1995 e n. 85 del 1990), tenendo conto che l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali (sentenze n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005)» (sentenza n. 259 del 2014; nello stesso senso, anche sentenze n. 233, n. 218, n. 153, n. 142 e 82 del 2015, n. 36 del 2014 e n. 41 del 2013). La genericità e l’assertività delle censure implicano, di conseguenza, l’inammissibilità della questione (ex plurimis, sentenze n. 184 del 2012, n. 185, n. 129, n. 114 e n. 68 del 2011, n. 278 e n. 45 del 2010).
L’affermata lesione dell’art. 47 Cost. non è in alcun modo spiegata nel ricorso, nel quale non solo il parametro costituzionale è evocato in maniera generica ma non sono offerti argomenti di sorta idonei a far comprendere le ragioni per le quali la previsione costituzionale sarebbe violata. Anche volendo ritenere la censura riferita al secondo comma dell’art. 47 Cost., nella parte in cui prevede che la Repubblica «[f]avorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione», la mancanza assoluta di motivazione sul punto impedisce comunque di comprendere il percorso logico attraverso il quale si potrebbe sostenere che la norma impugnata – che consente agli enti gestori di utilizzare una parte dei proventi derivanti dalla vendita degli alloggi di edilizia residenziale pubblica per pagare i tributi gravanti sugli immobili di loro proprietà – lede il fondamentale diritto sociale all’abitazione che la disposizione costituzionale mira a realizzare.
2.2.– Il ricorso non è sorretto da una motivazione idonea a fare comprendere il significato della censura proposta neppure nella parte in cui lamenta la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Anche in questo caso il ricorrente si limita ad affermare che la norma statale interposta, incidendo sull’offerta minima degli alloggi destinati ai ceti meno abbienti, interviene sui livelli essenziali delle prestazioni nella materia dell’edilizia residenziale pubblica, ma non offre alcun argomento, né generale né specifico, a supporto della sua affermazione e, di conseguenza, delle ragioni per le quali la norma regionale, nel prevedere la possibilità di una diversa destinazione dei proventi derivanti dalla vendita degli alloggi, interferirebbe con una competenza statale esclusiva.
Non contribuisce a offrire una motivazione minimamente adeguata a sorreggere la censura nemmeno il richiamo all’incipit del citato art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014, ove è precisato che la norma costituisce «attuazione degli articoli 47 e 117, commi secondo, lettera m), e terzo della Costituzione, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, i livelli essenziali delle prestazioni e favorire l’accesso alla proprietà dell’abitazione». La qualificazione legislativa della materia di afferenza di una determinata previsione, così come non assume rilievo, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, per individuare l’effettivo ambito materiale al quale vanno ascritte le disposizioni oggetto di censura – la cui natura va desunta dalla loro oggettiva sostanza e non dalla qualificazione che ne dà il testo nel quale sono inserite (ex plurimis, sentenze n. 203 del 2012, n. 207 del 2010, n. 1 del 2008, n. 169 del 2007, n. 447 del 2006, n. 406 e n. 29 del 1995) –, alla stessa maniera non può offrire, in quanto priva di carattere precettivo e vincolante, e in assenza di altri profili di contesto concorrenti, elementi argomentativi rilevanti, idonei a compensare l’assenza di una pur minima motivazione del vizio contestato.
2.3.– Quanto appena esposto rende evidente la mancanza di una motivazione sufficiente anche a sostegno della censura con la quale il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta l’invasione della competenza concorrente dello Stato nella materia «governo del territorio», con violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.: in assenza di argomenti utili a individuare nel «governo del territorio» la materia pertinente, l’impugnazione risulta fondata, ancora una volta, esclusivamente sulla qualificazione conferita dal legislatore alla norma interposta. L’assenza nel ricorso di indicazioni di sorta sulle ragioni per le quali di questa materia effettivamente si tratterebbe e sul perché la legge impugnata eccederebbe i limiti della potestà concorrente regionale, unitamente all’impossibilità di desumere tali ragioni altrimenti, nel contesto dell’impugnazione, porta anche in questo caso a concludere per l’inammissibilità della censura.
2.4.– L’ulteriore censura, con la quale il ricorrente lamenta che la norma impugnata interferisce con la potestà legislativa concorrente dello Stato in materia di «coordinamento della finanza pubblica» supera invece il vaglio di ammissibilità.
Si deve escludere innanzitutto che la circostanza di avere, il ricorrente, lamentato contestualmente la violazione delle competenze statali in materia di «governo del territorio» e di «coordinamento della finanza pubblica» determini un’inscindibilità delle censure idonea a produrne a sua volta l’inammissibilità. Come la stessa Regione riconosce, le norme costituzionali invocate dallo Stato fanno riferimento ad ambiti materiali nettamente distinti. A questi ambiti possono e devono quindi essere distintamente ricondotte le violazioni lamentate, senza che, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, sia necessario dare conto del rapporto tra le due violazioni, le quali, proprio in quanto distinte, vanno considerate come tali, sia ai fini dell’ammissibilità, che ai fini della fondatezza.
Per quanto riguarda dunque questa residua censura, di violazione delle competenze statali in materia di «coordinamento della finanza pubblica», si deve osservare che il ricorso, oltre a indicare, come visto, la norma interposta in grado di illustrare la pretesa illegittimità della disposizione impugnata (sulla necessità di questa specificazione ai fini dell’ammissibilità della questione, ex plurimis, sentenze n. 312, n. 266 e n. 250 del 2013, n. 365 del 2006), mette in evidenza la natura esclusiva del vincolo di destinazione delle risorse derivanti dalle alienazioni degli alloggi impresso dal legislatore statale e la sua precipua funzionalizzazione alla realizzazione di un programma straordinario di edilizia residenziale pubblica. Questi riferimenti, benché succinti, all’oggetto e alla ratio della norma interposta, considerata nella sua oggettiva sostanza, al di là della autoqualificazione legislativa, risultano di per se stessi evocativi della natura di scelta finanziaria di fondo della previsione statale, senza che a tali fini siano necessarie altre spiegazioni, e sono in grado, in questi stessi termini, di esprimere con sufficiente chiarezza il significato della censura formulata dal ricorrente, che si fonda sulla qualificazione della norma come afferente alla materia «coordinamento della finanza pubblica» e sulla sua violazione da parte della previsione regionale. Sotto questo profilo dunque si possono identificare nel ricorso, per quanto molto conciso, gli elementi sufficienti per ritenere ammissibile la censura, ossia: i termini della questione proposta, la disposizione impugnata, i parametri evocati e le ragioni del dubbio di legittimità (sentenze n. 31 del 2016 e n. 176 del 2015), che sta appunto nel preteso contrasto fra il vincolo di esclusività di destinazione dei proventi fissato nella legge statale e la possibilità di un’eccezione a tale vincolo introdotta dalla legge regionale. Limitatamente al profilo indicato, di conseguenza, l’impugnazione è ammissibile.
3.– Per la parte in cui è ammissibile, la questione è fondata nel merito.
L’art. 3, comma 1, lettera a), del d.l. n. 47 del 2014, nell’imporre la destinazione esclusiva dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente, esprime una scelta di politica nazionale di potenziamento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, diretta a fronteggiare l’emergenza abitativa e, al tempo stesso, la crisi del mercato delle costruzioni. Si tratta di una scelta che, nell’ambito di un più ampio disegno di politica economica nazionale delineato dal legislatore, mira a finanziare il programma straordinario di edilizia residenziale attraverso piani di alienazioni che privilegiano, come dispone lo stesso art. 3, comma 1, lettera a), la «possibilità di favorire la dismissione degli alloggi nei condomini misti nei quali la proprietà pubblica è inferiore al 50 per cento oltre che in quelli inseriti in situazioni abitative estranee all’edilizia residenziale pubblica, al fine di conseguire una razionalizzazione del patrimonio e una riduzione degli oneri a carico della finanza locale», quindi al fine di conseguire un altro obiettivo generale di finanza pubblica. Il vincolo di destinazione esclusiva stabilito dalla norma va considerato pertanto come l’espressione di un principio fondamentale nella materia del «coordinamento della finanza pubblica», con il quale il legislatore statale ha inteso stabilire una regola generale di uso uniforme delle risorse disponibili provenienti dalle alienazioni immobiliari.
La circostanza che la norma si traduca, per gli enti pubblici ai quali il vincolo è imposto, in una prescrizione puntuale sull’uso delle risorse in oggetto non esclude, di per sé, il carattere di principio della norma stessa. Come questa Corte ha ripetutamente affermato (da ultimo, nella sentenza n. 153 del 2015), possono essere ricondotte nell’ambito dei principi di coordinamento della finanza pubblica anche «norme puntuali adottate dal legislatore per realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali» (sentenza n. 237 del 2009; in precedenza, nello stesso senso, sentenza n. 417 del 2005), giacché «il finalismo» insito in tale genere di disposizioni esclude che possa invocarsi «la logica della norma di dettaglio» (sentenza n. 205 del 2013). Coerentemente con questa ricostruzione finalistica del coordinamento, che può essere perseguito anche tramite norme finanziarie che non si limitino a porre un obiettivo di riequilibrio della finanza pubblica, ma prescrivano le specifiche modalità per il suo perseguimento, questa Corte ha affermato che «la specificità delle prescrizioni, di per sé, neppure può escludere il carattere di principio di una norma, qualora essa risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (sentenze n. 237 del 2009 e n. 430 del 2007)» (sentenza n. 16 del 2010).
Anche nella norma statale in esame è individuabile un rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione tra prescrizione puntuale e principio, giacché, una volta assunto dal legislatore l’obiettivo generale di potenziare il patrimonio di edilizia residenziale pubblica attraverso la vendita di determinati beni, l’imposizione del vincolo di destinazione specifica dei proventi della vendita all’acquisizione di nuovi alloggi o alla manutenzione di quelli esistenti appare mezzo necessario al suo raggiungimento (ex plurimis, sentenze n. 205 e n. 63 del 2013, in fattispecie nelle quali è stato riconosciuto carattere di principio a norme che imprimono vincoli di destinazione alla riduzione del debito pubblico di risorse derivanti da dismissioni patrimoniali).
Riguardata dal punto di vista generale delle regole di finanza e contabilità pubblica, del resto, la previsione statale non è altro che espressione del generale principio secondo cui le dismissioni patrimoniali non possono essere impiegate per spese di natura corrente, fra le quali ricade anche il pagamento di oneri tributari. Infatti, l’impiego dei proventi di alienazioni per spese correnti provoca un pregiudizio all’equilibrio finanziario e patrimoniale dell’ente che lo pratica, pari al valore della dismissione stessa.
Per tutte le ragioni esposte, dunque, la norma regionale impugnata, che consente agli enti di gestione di destinare parte dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica al diverso fine del pagamento di imposte gravanti sugli immobili di loro proprietà, contrasta con il principio dettato dalla norma di riferimento e invade, in questo modo, la competenza concorrente dello Stato nella materia «coordinamento della finanza pubblica», violando l’art. 117, terzo comma, Cost.
4.– Va conseguentemente dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera c), della legge della Regione Puglia 5 dicembre 2014, n. 48, recante «Modifiche all’articolo 24 della legge regionale 7 marzo 2003, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2003 e bilancio pluriennale 2003-2005), in materia di utilizzo dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica».
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera c), della legge della Regione Puglia 5 dicembre 2014, n. 48, recante «Modifiche all’articolo 24 della legge regionale 7 marzo 2003, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2003 e bilancio pluriennale 2003-2005), in materia di utilizzo dei proventi delle alienazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2016.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 febbraio 2016.