SENTENZA N. 32
ANNO 2014
Commenti alla decisione di
I. Angela
Della Bella e Francesco Viganò, Sulle
ricadute della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale sull’art. 73 t.u. stup, per g.c. di Diritto
Penale Contemporaneo
II. Vittorio Manes e Luisa Romano, L’illegittimità
costituzionale della legge c.d. "Fini-Giovanardi”: gli orizzonti attuali della
democrazia penale, per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo
III. Franco
Modugno, Decretazione
d’urgenza e giurisprudenza costituzionale. una
riflessione a ridosso della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale,
per g. c. di Federalismi.it
IV. Paolo
Carnevale, Giuridificare un concetto: la strana storia della
‘omogeneità normativa’, per g. c. di Federalismi.it
IV.
Giovanni Maria Flick, Decreto
legge e legge di conversione nella più recente giurisprudenza costituzionale,
per g. c. di Federalismi.it
V. Alfonso Celotto, Uso
e abuso della conversione in legge, per g. c. di Federalismi.it
VI. Amedeo
Franco La
evidente disomogeneità tra decreto-legge e legge di conversione nella recente
giurisprudenza della Corte costituzionale (a margine di Corte cost. n. 32 del
2014), per g. c. di Federalismi.it
VII.
Giuseppe Filippetta, La
sentenza n. 32 del 2014 della Corte Costituzionale, ovvero dell’irresistibile
necessità e dell’inevitabile difficoltà di riscrivere l’art. 77 Cost., per g. c. di Federalismi.it
VIII.
Daniele Chinni, La
limitata emendabilità della legge di conversione del decreto-legge tra
interventi del Presidente della Repubblica e decisioni della Corte
Costituzionale, per g. c. di Federalismi.it
IX.
Giuliano Serges, Per
un superamento delle ‘decisioni rinneganti’ in materia di decretazione
d’urgenza. Spunti di riflessione a partire dalla più recente giurisprudenza
costituzionale, per g. c. di Federalismi.it
X.
Elisabetta Frontoni, Sono
ancora legittime disposizioni di delega inserite in sede di conversione?
per g. c. di Federalismi.it
XI.
Giuseppe Riccardi, Giudicato
penale e "incostituzionalità” della pena, per g.c.
di Diritto Penale Contemporaneo
XII. Antonio Chiusolo, La
"storia infinita” della sentenza costituzionale n. 32/2014, per g.c. del Forum di
Quaderni Costituzionali
XIII.
Roberto Carbone, La riparazione
per ingiusta detenzione e gli effetti derivanti dalla sentenza n. 32 del 2014
della Corte costituzionale: verso una possibile convivenza, per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio
di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis
e 4-vicies ter, commi 2, lettera a), e 3, lettera a), numero 6), del decreto-legge
30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i
finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità
dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
21 febbraio 2006, n. 49, promosso dalla Corte di cassazione, sezione terza
penale, con ordinanza
dell’11 giugno 2013, iscritta al n. 227 del registro ordinanze 2013 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie
speciale, dell’anno 2013.
Visti l’atto di
costituzione di M.V., nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 febbraio
2014 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi gli avvocati Michela Porcile e
Giovanni Maria Flick per M.V. e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza depositata in data 11 giugno 2013 (r.o.
n. 227 del 2013), la Corte di cassazione, terza sezione penale, ha sollevato questioni
di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis
e 4-vicies ter, commi 2, lettera a), e 3, lettera a), numero 6), del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure
urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi
invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno.
Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche
al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
21 febbraio 2006, n. 49, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della
Costituzione.
Più
precisamente, la rimettente ha dubitato della legittimità costituzionale del
citato art. 4-bis «nella parte in cui
ha modificato l’art. 73 del testo unico sulle sostanze stupefacenti di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e segnatamente nella parte
in cui, sostituendo i commi 1 e 4 dell’art. 73, parifica ai fini sanzionatori
le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dal
previgente art. 14 a quelle di cui alle tabelle I e III, e conseguentemente
eleva le sanzioni per le prime della pena della reclusione da due a sei anni e
della multa da euro 5.164 ad euro 77.468 a quella della reclusione da sei a
venti anni e della multa da euro 26.000 ad euro 260.000». Parimenti, la Corte
di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-vicies ter, commi 2, lettera a), e 3, lettera a), numero 6) «nella parte in cui sostituisce gli artt. 13 e 14 del
d.P.R. 309 del 1990, unificando le tabelle che
identificano le sostanze stupefacenti, ed in particolare includendo la cannabis e i suoi prodotti nella prima
di tali tabelle».
1.1.– La
Corte di cassazione ha premesso di essere investita del ricorso proposto
dall’imputato avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Trento ha
confermato la sentenza del Tribunale di Trento, che aveva dichiarato V.M.
colpevole del reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza), in relazione alla ricezione e al
trasporto di kg 3,860 di sostanza stupefacente di tipo hashish, condannando l’imputato, previa concessione delle
attenuanti generiche, alla pena di quattro anni di reclusione ed euro
ventiseimila di multa. Ritenuti infondati i motivi di ricorso concernenti la
prova della colpevolezza e la concessione dell’attenuante speciale del fatto di
lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R.
n. 309 del 1990, la Corte riteneva rilevante il dubbio di legittimità
costituzionale sollevato dalla difesa in relazione ai citati artt. 4-bis e 4-vicies ter, avuto riguardo al motivo di ricorso con il quale è
stata chiesta la riduzione della pena in modo da ottenere il beneficio della
relativa sospensione condizionale. A tale proposito, il giudice di legittimità
ha rimarcato che, dovendosi ritenere plausibile la fissazione della pena in
misura prossima al minimo edittale, l’accoglimento della questione di
legittimità costituzionale avrebbe effettivamente consentito di ridurre la pena
nei limiti previsti per la concessione dell’invocata sospensione condizionale.
Infatti, secondo la rimettente, la dichiarazione di illegittimità
costituzionale delle disposizioni che hanno sostituito, in tutto o in parte, e
(a suo avviso) conseguentemente abrogato le corrispondenti disposizioni e norme
del d.P.R. n. 309 del 1990, determinerebbe la
reviviscenza del più favorevole trattamento sanzionatorio previgente, che
stabiliva la pena edittale della reclusione da due a sei anni e della multa da
euro 5.164 a euro 77.468 per i fatti di cui l’imputato è chiamato a rispondere,
anziché quella attuale della reclusione da sei a venti anni e della multa da
euro ventiseimila a euro duecentosessantamila. In particolare, la Corte di
cassazione si è richiamata alla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 314 del 2009
e n. 108 del
1986), secondo cui l’accertamento della invalidità di una norma abrogatrice e la sua dichiarazione di illegittimità da
parte della Corte costituzionale, specialmente se per vizi di forma o
procedurali, comporta la caducazione dell’effetto abrogativo e il conseguente
ripristino della norma abrogata.
Ha
precisato, inoltre, il Collegio rimettente che il deteriore trattamento
sanzionatorio quale stabilito dal citato art. 4-bis, sospettato di illegittimità costituzionale, trova il suo
presupposto nell’unificazione delle tabelle che identificano le sostanze
stupefacenti, con inclusione della cannabis
nella prima di esse, insieme alle cosiddette "droghe pesanti”: ciò
determinerebbe, pertanto, la rilevanza della questione di legittimità
costituzionale anche dell’art. 4-vicies
ter, commi 2, lettera a), e 3,
lettera a), numero 6), del citato
d.l. n. 272 del 2005, che tale unificazione ha operato sostituendo il
previgente testo degli artt. 13 e 14 del d.P.R. n.
309 del 1990.
1.2.– La Corte di cassazione ha ritenuto non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dei predetti artt. 4-bis e 4-vicies ter in relazione all’art. 77, secondo comma,
Cost., in quanto mancherebbe il requisito della omogeneità tra le norme
originarie del decreto-legge e quelle introdotte nella legge di conversione. In
proposito, i rimettenti hanno rammentato la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 22 del
2012), secondo cui sussiste nel nostro ordinamento detto principio
costituzionale di necessaria omogeneità, in quanto l’art. 77, secondo comma,
Cost. istituisce un nesso di interrelazione funzionale
tra decreto-legge, formato dal Governo, e legge di conversione, caratterizzata
da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario, anche
sotto il profilo della particolare rapidità e accelerazione dei tempi. La
sussistenza del predetto principio risulterebbe poi confermata dal regolamento
del Senato della Repubblica e dai messaggi e dalle lettere del Presidente della
Repubblica, da questi inviate alle Camere. Quando venga spezzato il legame
essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione, non sussisterebbe
una illegittimità delle disposizioni introdotte nella legge di conversione per
mancanza dei presupposti di necessità e urgenza delle norme eterogenee, ma una
illegittimità per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la
Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo
tipico di convertire un decreto-legge (sentenza n. 355 del
2010). Sarebbe, quindi, preclusa la possibilità di inserire, nella legge di
conversione, emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del
testo originario, in quanto si tratta di una legge «funzionalizzata e
specializzata» che non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore anche nel
caso di provvedimenti governativi ab
origine eterogenei: in tale ultimo caso il limite all’introduzione di
ulteriori disposizioni in sede di conversione è rappresentato dal rispetto
della ratio del decreto-legge (ordinanza n. 34 del
2013).
L’applicazione
di tali principi al caso di specie deve, secondo i rimettenti, portare a
ritenere insussistente il requisito dell’omogeneità dei censurati artt. 4-bis e 4-vicies ter rispetto alle norme originarie contenute nel decreto-legge.
Le finalità di quest’ultimo, infatti, sarebbero state quelle di: rafforzare le
forze di polizia e la funzionalità del Ministero dell’interno per prevenire e
combattere la criminalità organizzata e il terrorismo nazionale e
internazionale; garantire il finanziamento per le olimpiadi invernali; favorire
il recupero dei tossicodipendenti detenuti; assicurare il diritto di voto degli
italiani residenti all’estero. Pur nella pluralità degli scopi si sarebbe
potuta ravvisare una sostanziale omogeneità finalistica del decreto-legge,
ravvisabile nella comunanza di ratio
delle disposizioni, quella di garantire l’effettivo e sicuro svolgimento delle
olimpiadi invernali.
In ogni
caso, le norme originarie riguardavano non la disciplina delle sostanze stupefacenti,
ma lo specifico e circoscritto tema dell’esecuzione delle pene detentive nei confronti dei
tossicodipendenti recidivi con un programma terapeutico in corso. Nei confronti
di questi ultimi, infatti, l’allora recentissima legge 5 dicembre 2005, n. 251
(Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio
1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), cosiddetta "legge ex
Cirielli”, con il suo art. 8 aveva aggiunto l’art. 94-bis al d.P.R.
n. 309 del 1990 – riducendo da quattro a tre anni la pena massima che, per i
recidivi, consentiva l’affidamento in prova per l’attuazione di un programma
terapeutico di recupero dalla tossicodipendenza – e con l’art. 9 aveva aggiunto
la lettera c) al comma 9 dell’art.
656 del codice di procedura penale, escludendo la sospensione della esecuzione
della pena per i recidivi, compresi i tossicodipendenti con in corso un
programma terapeutico di recupero dalla tossicodipendenza o alcooldipendenza.
Il Governo, ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di garantire
l’efficacia dei citati programmi di recupero anche in caso di recidivi, con
l’art. 4 del d.l. n. 272 del 2005 aveva perciò abrogato il predetto art. 94-bis e aveva modificato l’art. 656, comma
9, lettera c), cod. proc. pen., ripristinando la sospensione dell’esecuzione della pena
nei confronti dei tossicodipendenti con un programma terapeutico in atto, anche
se recidivi.
La
rimettente ha quindi rimarcato la profonda distonia di contenuto, finalità e ratio del decreto-legge rispetto alle
nuove norme introdotte in sede di conversione, ciò non solo in riferimento alla
ratio complessiva dell’intervento
governativo – che era quella di garantire sotto l’aspetto finanziario e di
polizia l’effettivo e sicuro svolgimento delle olimpiadi invernali, ma anche
rispetto alle specifiche previsioni normative contenute nell’art. 4 citato.
Questa, infatti, è l’unica disposizione che presenta un labile riferimento al
tema degli stupefacenti, ma riguarda esclusivamente l’esecuzione della pena dei
recidivi già condannati, come può desumersi dal titolo della disposizione e dal
preambolo del provvedimento d’urgenza, in cui si dichiara espressamente che la ratio e la finalità dell’intervento sono
quelle di «garantire l’efficacia dei programmi terapeutici di recupero per le
tossicodipendenze anche in caso di recidiva». Con la legge di conversione,
invece, all’art. 4 sono stati fatti seguire ben ventitre
articoli aggiuntivi, composti da numerosissimi commi con relativi allegati, che
non hanno apportato modifiche funzionalmente interrelate con le previsioni
originarie, ma hanno piuttosto completamente ridisegnato l’apparato repressivo
in materia di stupefacenti, sostituendo l’art. 73 del d.P.R.
n. 309 del 1990 e incidendo in modo pervasivo sul sistema classificatorio delle
sostanze psicotrope, così da pervenire alla equiparazione tra cosiddette
"droghe leggere” e "droghe pesanti”.
Secondo la
Corte di cassazione non potrebbe, quindi, ravvisarsi alcuna omogeneità
materiale o teleologica tra la disposizione abrogatrice
di cui all’art. 4 del decreto d’urgenza e la riforma organica del testo unico
sugli stupefacenti realizzata con la legge di conversione. Né, ad avviso del
giudice di legittimità, la mera circostanza che l’art. 4, comma 1, del decreto
d’urgenza richiami il d.P.R. n. 309 del 1990, per
sopprimere la disposizione di cui all’art. 94-bis, potrebbe legittimare l’intera riscrittura del testo unico
sugli stupefacenti, posto che, altrimenti, si sarebbe potuto riscrivere, con
apposito "maxi-emendamento” d’aula, (saltando, quindi, l’esame in sede
referente), tutta la disciplina dell’esecuzione penale, posto che veniva
richiamato anche l’art. 656 cod. proc. pen. In tal modo, ad avviso dei
rimettenti, si finirebbe per consentire ad ogni Governo, e alla sua
maggioranza, di approfittare di qualsiasi effimera emergenza per riformare
interi settori dell’ordinamento, strumentalizzando la speciale procedura
privilegiata prevista per la legge di conversione, che costituisce, invece, una
fonte funzionale e specializzata.
Ad avviso
del Collegio rimettente, pertanto, il legislatore, con l’introduzione delle
nuove norme e, in particolare, di quelle, poste dagli artt. 4-bis e 4-vicies ter, commi 2, lettera a),
e 3, lettera a), numero 6), avrebbe travalicato i limiti della potestà
emendativa del Parlamento, quali tracciati dalle citate sentenze della Corte
costituzionale.
A riprova
della disomogeneità delle norme impugnate, la Corte di cassazione ha citato il
parere espresso dal Comitato per la legislazione della Camera nella seduta del
1° febbraio 2006, come pure le opinioni manifestate da diversi parlamentari
della minoranza in sede di dibattito sulla legge di conversione, sia al Senato
sia alla Camera. Del resto, hanno rimarcato i giudici rimettenti, la
disomogeneità delle nuove norme deve ritenersi ammessa ed enunciata dalla
stessa legge di conversione, che ha dovuto modificare il titolo del
decreto-legge per rendere conto del nuovo contenuto ivi introdotto: sono state
aggiunte, infatti, le parole «e modifiche al testo unico delle leggi in materia
di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309».
La Corte
rimettente ha poi evidenziato che, pur essendo prospettata una violazione
procedurale ai sensi dell’art. 77, secondo comma, Cost.,
ciò nondimeno una eventuale pronuncia di accoglimento potrebbe incidere non sulle
disposizioni, ma sulle singole norme introdotte dalla legge di conversione che,
da un lato, sono totalmente estranee all’oggetto e alla ratio del decreto-legge e, dall’altro, assumono rilevanza nel
giudizio a quo. Si tratterebbe,
segnatamente, delle norme che – sostituendo i commi 1 e 4 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 e unificando le tabelle che
identificano le sostanze stupefacenti – parificano ai fini sanzionatori le
sostanze di cui alle tabelle II e IV (tra le quali l’hashish), previste dal previgente art. 14 dello stesso d.P.R., a quelle di cui alle precedenti tabelle I e III e,
conseguentemente, elevano le sanzioni per le prime.
1.3.– In via subordinata, la Corte di cassazione ha poi sollevato questione di
legittimità costituzionale dei medesimi artt. 4-bis e 4-vicies ter negli
stessi limiti di cui sopra, per difetto del requisito della necessità ed
urgenza ai sensi dell’art. 77, secondo comma, Cost.
Secondo la
rimettente, qualora la Corte costituzionale dovesse disattendere le conclusioni
in punto di disomogeneità delle norme impugnate, rispetto al contenuto e alla ratio del decreto-legge, e si dovessero
ritenere le medesime non del tutto eterogenee rispetto al decreto-legge,
dovrebbe allora sindacarsi la sussistenza, per le nuove norme introdotte, dei
citati requisiti di necessità ed urgenza, ritenuti in tal caso necessari dalla sentenza n. 355 del
2010 di questa Corte. Del resto, il Collegio rimettente evidenzia come altra
giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 128 del 2008
e n. 171 del
2007) abbia osservato che la legge di conversione non sana i vizi del
decreto d’urgenza, in sede di sua conversione, di tal che non possano
introdursi disposizioni che non abbiano collegamento con le ragioni di
necessità ed urgenza legittimanti l’intervento governativo.
1.4.– Il Collegio rimettente ha ritenuto, viceversa, assorbita la terza
eccezione di legittimità costituzionale sollevata dalla difesa, per contrasto
delle medesime norme di cui sopra con l’art. 117, primo comma,
Cost. in relazione alla decisione quadro n. 2004/757/GAI del Consiglio
dell’Unione europea del 25 ottobre 2004 (Decisione quadro del Consiglio
riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi
dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di
stupefacenti) – che esigerebbe una disciplina differenziata in ragione della
diversa pericolosità delle tipologie di sostanze stupefacenti e psicotrope – e
con il principio di proporzionalità delle pene di cui all’art. 49, paragrafo 3,
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
2.– Con atto depositato in data 19 novembre 2013, il Presidente del Consiglio
dei ministri è intervenuto nel giudizio, chiedendo che le questioni vengano
dichiarate inammissibili o infondate.
2.1.– In primo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito
l’inammissibilità delle questioni, in quanto la rimettente avrebbe omesso di
considerare la possibilità di adeguare il trattamento sanzionatorio alla
fattispecie concreta mediante l’applicazione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990.
2.2.– Nel
merito la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri ha ritenuto
palesemente infondate la questioni sollevate, in quanto l’originario
decreto-legge avrebbe già contenuto disposizioni in materia di
tossicodipendenza, di tal che le norme introdotte in sede di conversione si
sarebbero dovute considerare in linea con la ratio e con la finalità dell’intervento governativo, rispondendo
anche ad una esigenza di straordinaria urgenza e necessità nel disciplinare una
materia di fondamentale importanza ai fini della tutela della salute
individuale e collettiva, nonché ai fini della salvaguardia della sicurezza
pubblica, attraverso il rigoroso e fermo contrasto al traffico e allo spaccio
degli stupefacenti e del recupero dei tossicodipendenti, anche in caso di
recidiva.
3.– Con
memoria depositata in data 18 novembre 2013, V.M., imputato nel procedimento
penale pendente in Cassazione, si è costituito in giudizio, insistendo perché
vengano accolte le sollevate questioni di legittimità costituzionale degli
artt. 4-bis
e 4-vicies ter del d.l. n. 272 del 2005,
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 49 del
2006, ulteriormente illustrando i motivi già esposti dalla Corte di cassazione,
in relazione alla violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., sia per
difetto di omogeneità materiale e teleologica rispetto a contenuto, finalità e ratio dell’originario testo del
decreto-legge, sia, in via subordinata, per difetto dei requisiti di necessità
e urgenza. In ultimo, la parte ha rimarcato che l’impugnato art. 4-bis si pone inoltre in duplice contrasto
con il diritto dell’Unione europea, in quanto violerebbe sia l’art. 4 della
citata decisione quadro n. 2004/757/GAI sia l’art. 49 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea.
4.– In data
10 febbraio 2014, la difesa dell’imputato ha depositato note di discussione,
con le quali ha rimarcato che l’Avvocatura generale dello Stato, nel ritenere
sussistente un nesso tra l’art. 4 originariamente contenuto nel decreto
governativo e le disposizioni oggi impugnate, avrebbe confuso l’oggetto di
diritto sostanziale (la disciplina che individua e punisce le violazioni alla
disciplina sugli stupefacenti) con il soggetto (cioè il condannato
tossicodipendente): l’art. 4, infatti, avrebbe riguardato quest’ultimo, vale a
dire il soggetto, mentre le norme introdotte dalla legge di conversione
avrebbero inciso sul primo, id est
l’oggetto. Nel ribadire e richiamare le argomentazioni già esposte in punto di
fondatezza della questione di legittimità costituzionale, la difesa ha altresì
evidenziato che l’eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza,
proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri, si è basata sull’erroneo
presupposto che la Corte di cassazione potesse applicare nella specie la
disposizione di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R.
n. 309 del 1990: il giudice di legittimità, invece, ha espressamente ritenuto
infondati i motivi di ricorso relativi al riconoscimento del fatto di lieve
entità, contestualmente considerando congrua, specifica e adeguata la
motivazione della sentenza impugnata che lo escludeva.
Considerato in diritto
1.– La Corte di cassazione, terza sezione penale, ha sollevato questioni di
legittimità costituzionale degli articoli 4-bis
e 4-vicies ter, commi 2, lettera a), e 3, lettera a), numero 6), del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure
urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi
invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno.
Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche
al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
21 febbraio 2006, n. 49, in riferimento all’art. 77, secondo comma, della
Costituzione.
Ad avviso
del Collegio rimettente, le disposizioni impugnate, introdotte dalla legge di
conversione, mancherebbero del requisito di omogeneità con quelle originarie
del decreto-legge. Detto requisito, infatti, è richiesto dall’art. 77, secondo
comma, Cost. che, secondo la giurisprudenza
costituzionale (sentenza
n. 22 del 2012), istituisce un nesso di interrelazione funzionale tra
decreto-legge, formato dal Governo, e legge di conversione, caratterizzata da
un procedimento di approvazione peculiare e semplificato rispetto a quello
ordinario. La legge di conversione, pertanto, rappresenta una legge
«funzionalizzata e specializzata» che non può aprirsi a qualsiasi contenuto
ulteriore, anche nel caso di provvedimenti governativi ab origine eterogenei (ordinanza n. 34 del
2013), ma ammette soltanto disposizioni che siano coerenti con quelle originarie
o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e
finalistico.
Nella
specie, ha osservato il Collegio rimettente, le disposizioni originariamente
contenute nel decreto-legge riguardavano la sicurezza e i finanziamenti per le
Olimpiadi invernali (che di lì a poco si sarebbero svolte a Torino), la
funzionalità dell’Amministrazione dell’interno e il recupero di
tossicodipendenti recidivi. Invece, le disposizioni impugnate, introdotte con
la sola legge di conversione, non avrebbero nessuna correlazione con le prime,
in quanto volte ad attuare una radicale e complessiva riforma del testo unico
sugli stupefacenti e del trattamento sanzionatorio dei reati ivi contenuti.
In
particolare, ha osservato la Corte di cassazione, il citato artt. 4-bis – modificando l’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in
materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) – ha previsto una
medesima cornice edittale per le violazioni concernenti tutte le sostanze
stupefacenti, unificando il trattamento sanzionatorio che, in precedenza, era
differenziato a seconda che i reati avessero per oggetto le sostanze
stupefacenti o psicotrope incluse nelle tabelle II e IV (cosiddette "droghe
leggere”) ovvero quelle incluse nelle tabelle I e III (cosiddette "droghe
pesanti”): la legge di conversione, infatti, con l’art. 4-vicies ter ha parallelamente modificato il precedente sistema
tabellare stabilito dagli artt. 13 e 14 dello stesso d.P.R.
n. 309 del 1990, includendo nella nuova tabella I gli stupefacenti che prima
erano distinti in differenti gruppi.
Per effetto
di tali modifiche le sanzioni per i reati concernenti le cosiddette "droghe
leggere” e, in particolare, i derivati dalla cannabis, precedentemente stabilite nell’intervallo edittale della
pena della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 5.164 ad euro
77.468, sono state elevate, prevedendosi la pena della reclusione da sei a
venti anni e della multa da euro 26.000 ad euro 260.000.
Considerata
la profonda distonia di contenuto, finalità e ratio del decreto-legge rispetto alle citate nuove norme introdotte
in sede di conversione, i rimettenti reputano che sia stato violato l’art. 77,
secondo comma, Cost. sotto il profilo del difetto del
requisito di omogeneità ovvero del nesso di interrelazione funzionale richiesto
dalla citata disposizione costituzionale.
In via
subordinata, tuttavia, la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dei medesimi artt. 4-bis
e 4-vicies ter, per difetto del
requisito della necessità ed urgenza, richiesto dal medesimo art. 77, secondo
comma, Cost. Secondo i rimettenti, infatti, qualora la Corte costituzionale
dovesse disattendere le conclusioni in punto di disomogeneità delle norme
impugnate, rispetto al contenuto e alla ratio
del decreto-legge, e dovesse ritenere le medesime non del tutto eterogenee
rispetto a questo, allora, poiché la legge di conversione non sana i vizi del decreto
(sentenze n. 128
del 2008 e n.
171 del 2007), non potrebbe considerarsi legittima l’introduzione, in sede
di conversione, di disposizioni che non abbiano collegamento con le ragioni di
necessità ed urgenza legittimanti l’intervento governativo, ragioni
evidentemente insussistenti nella specie.
2.– In via
preliminare, in ordine alle deduzioni della parte privata, deve osservarsi che
– ferma l’ammissibilità del suo intervento, in quanto persona imputata nel
procedimento a quo e, quindi, parte
del giudizio (ex plurimis,
sentenze n. 304
del 2011, n.
138 del 2010 e n. 263 del 2009)
– esse introducono profili di illegittimità costituzionale non prospettati
nell’ordinanza di rimessione, in vista di un ampliamento del thema decidendum.
Nella memoria di costituzione, infatti, viene dedotta anche una duplice
violazione della normativa dell’Unione europea, in relazione sia alla decisione
quadro n. 2004/757/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 25 ottobre 2004
(Decisione quadro del Consiglio riguardante la fissazione di norme minime
relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in
materia di traffico illecito di stupefacenti), sia all’art. 49, paragrafo 3,
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Va
rilevato, invero, che si tratta di un percorso argomentativo e di una eccezione
difensiva già ritenuti manifestamente infondati dalla Corte di cassazione e che
la disamina di tale profilo non può ritenersi ammissibile nel presente giudizio
incidentale, in quanto la parte privata costituita non può estendere i limiti
della questione, quali precisati nell’ordinanza di rimessione dal giudice a quo (ex plurimis, sentenze n. 56 del 2009,
n. 86 del 2008,
n. 174 del 2003).
Ciò a prescindere dalla carente indicazione delle disposizioni costituzionali
rispetto alle quali la normativa dell’Unione europea assumerebbe rilevanza nel
presente giudizio.
3.– In punto di ammissibilità delle questioni sollevate dalla Corte di
cassazione, deve osservarsi che l’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito
il difetto di rilevanza delle medesime, in quanto il giudice a quo avrebbe omesso di sperimentare la
possibilità di adeguare il trattamento sanzionatorio alle differenti tipologie
di stupefacenti, attraverso l’applicazione dell’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, che prevede pene più miti per i
fatti di lieve entità.
L’eccezione
non è fondata, in quanto la Corte di cassazione ha espressamente precisato, nel
corpo stesso della sua ordinanza, che la Corte d’appello di Trento ha fornito
congrua, specifica e adeguata motivazione delle ragioni per le quali non è
riconoscibile nella specie il fatto di lieve entità, ai sensi del citato art.
73, comma 5.
È appena il
caso di aggiungere che, alla luce delle considerazioni sopra svolte, risulta
evidente che nessuna incidenza sulle questioni sollevate possono esplicare le
modifiche apportate all’art. 73, comma 5, del d.P.R.
n. 309 del 1990 dall’art. 2 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti
fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione
carceraria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 21 febbraio 2014, n.10. Trattandosi di ius superveniens che riguarda disposizioni
non applicabili nel giudizio a quo,
non si ravvisa la necessità di una restituzione degli atti al giudice
rimettente, dal momento che le modifiche, intervenute medio tempore, concernono una disposizione di cui è già stata
esclusa l’applicazione nella specie, e sono tali da non influire sullo
specifico vizio procedurale lamentato dal giudice rimettente in ordine alla
formazione della legge di conversione n. 49 del 2006, con riguardo a
disposizioni differenti. Inoltre, gli effetti del presente giudizio di
legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta
con il decreto-legge n. 146 del 2013, sopra citato, in quanto stabilita con
disposizione successiva a quella qui censurata e indipendente da quest’ultima.
4.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. n. 272 del 2005, come
convertito dall’art. 1, comma 1, della legge n. 49 del 2006, è fondata in
riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost. per
difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni del
decreto-legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione.
4.1.– In proposito va richiamata la giurisprudenza di questa Corte, con
particolare riguardo alla sentenza n. 22 del
2012 e alla successiva ordinanza n. 34 del
2013, nella quale si è chiarito che la legge di conversione deve avere un contenuto
omogeneo a quello del decreto-legge. Ciò in ossequio, prima ancora che a regole
di buona tecnica normativa, allo stesso art. 77, secondo comma, Cost., il quale presuppone «un nesso di interrelazione
funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente
della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di
approvazione peculiare rispetto a quello ordinario» (sentenza n. 22 del
2012).
La legge di
conversione – per l’approvazione della quale le Camere, anche se sciolte, si
riuniscono entro cinque giorni dalla presentazione del relativo disegno di
legge (art. 77, secondo comma, Cost.) – segue un iter parlamentare semplificato e caratterizzato dal rispetto di
tempi particolarmente rapidi, che si giustificano alla luce della sua natura di
legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di
legge, emanato provvisoriamente dal Governo e valido per un lasso temporale breve
e circoscritto.
Dalla sua
connotazione di legge a competenza tipica derivano i limiti alla emendabilità
del decreto-legge. La legge di conversione non può, quindi, aprirsi a qualsiasi
contenuto ulteriore, come del resto prescrivono anche i regolamenti
parlamentari (art. 96-bis del
Regolamento della Camera dei Deputati e art. 97 del Regolamento del Senato
della Repubblica, come interpretato dalla Giunta per il regolamento con il
parere dell’8 novembre 1984). Diversamente, l’iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi estranei a
quelli che giustificano l’atto con forza di legge, a detrimento delle ordinarie
dinamiche di confronto parlamentare. Pertanto, l’inclusione di emendamenti e
articoli aggiuntivi che non siano attinenti alla materia oggetto del
decreto-legge, o alle finalità di quest’ultimo, determina un vizio della legge
di conversione in parte qua.
È bene
sottolineare che la richiesta coerenza tra il decreto-legge e la legge di
conversione non esclude, in linea generale, che le Camere possano apportare
emendamenti al testo del decreto-legge, per modificare la normativa in esso
contenuta, in base alle valutazioni emerse nel dibattito parlamentare; essa
vale soltanto a scongiurare l’uso improprio di tale potere, che si verifica
ogniqualvolta sotto la veste formale di un emendamento si introduca un disegno
di legge che tenda a immettere nell’ordinamento una disciplina estranea,
interrompendo il legame essenziale tra decreto-legge e legge di conversione,
presupposto dalla sequenza delineata dall’art. 77, secondo comma, Cost.
Ciò vale
anche nel caso di provvedimenti governativi ab
origine a contenuto plurimo, come quello di specie. In relazione a questa
tipologia di atti – che di per sé non sono esenti da problemi rispetto al
requisito dell’omogeneità (sentenza n. 22 del
2012) – ogni ulteriore disposizione introdotta in sede di conversione deve
essere strettamente collegata ad uno dei contenuti già disciplinati dal
decreto-legge ovvero alla ratio dominante
del provvedimento originario considerato nel suo complesso.
Nell’ipotesi in cui la legge di conversione spezzi la
suddetta connessione, si determina un vizio di procedura, mentre resta
ovviamente salva la possibilità che la materia regolata dagli emendamenti
estranei al decreto-legge formi oggetto di un separato disegno di legge, da
discutersi secondo le ordinarie modalità previste dall’art. 72 Cost.
L’eterogeneità delle disposizioni aggiunte in sede di
conversione determina, dunque, un vizio procedurale delle stesse, che come ogni
altro vizio della legge spetta solo a questa Corte accertare. Si tratta di un
vizio procedurale peculiare, che per sua stessa natura può essere evidenziato
solamente attraverso un esame del contenuto sostanziale delle singole
disposizioni aggiunte in sede parlamentare, posto a raffronto con l’originario
decreto-legge. All’esito di tale esame, le eventuali disposizioni intruse
risulteranno affette da vizio di formazione, per violazione dell’art. 77 Cost., mentre saranno fatte salve tutte le componenti
dell’atto che si pongano in linea di continuità sostanziale, per materia o per
finalità, con l’originario decreto-legge.
4.2.– Nel caso di specie, dunque, la Corte è chiamata a
verificare se il contenuto delle disposizioni impugnate, introdotte in fase di
conversione, sia funzionalmente correlato al decreto-legge n. 272 del 2005, al
fine di giudicare il corretto uso del potere di conversione ex art. 77, secondo comma, Cost. da parte delle Camere.
A tal fine
va osservato che le norme originarie contenute nel decreto-legge riguardano
l’assunzione di personale della Polizia di Stato (art. 1), misure per
assicurare la funzionalità all’Amministrazione civile dell’interno (art. 2),
finanziamenti per le olimpiadi invernali (art. 3), il recupero dei
tossicodipendenti detenuti (art. 4) e il diritto di voto degli italiani
residenti all’estero (art. 5).
Come può
facilmente rilevarsi, e come del resto ha osservato l’Avvocatura dello Stato,
l’unica previsione alla quale, in ipotesi, potrebbero riferirsi le disposizioni
impugnate introdotte dalla legge di conversione, è l’art. 4, la cui
connotazione finalistica era ed è quella di impedire l’interruzione del programma
di recupero di determinate categorie di tossicodipendenti recidivi.
Nei
confronti di questi ultimi era, infatti, intervenuta l’allora recentissima
legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice
penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche,
di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i
recidivi, di usura e di prescrizione), cosiddetta "legge ex Cirielli”, che con il suo art. 8
aveva aggiunto l’art. 94-bis
al d.P.R. n. 309 del 1990, riducendo così da quattro
a tre anni la pena massima che, per i recidivi, consentiva l’affidamento in
prova per l’attuazione di un programma terapeutico di recupero dalla
tossicodipendenza; inoltre, l’art. 9 della medesima legge aveva aggiunto la
lettera c) al comma 9 dell’art. 656
del codice di procedura penale, escludendo la sospensione della esecuzione
della pena per i recidivi, anche se tossicodipendenti inseriti in un programma
terapeutico di recupero.
Il Governo,
ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di garantire l’efficacia dei
citati programmi di recupero anche in caso di recidivi, con l’art. 4 del d.l.
n. 272 del 2005 aveva perciò abrogato il predetto art. 94-bis e aveva modificato l’art. 656, comma 9, lettera c), cod. proc.
pen.,
ripristinando la sospensione dell’esecuzione della pena nei confronti dei
tossicodipendenti con un programma terapeutico in atto alle condizioni
precedentemente previste.
L’art. 4
contiene, pertanto, norme di natura processuale, attinenti alle modalità di
esecuzione della pena, il cui fine è quello di impedire l’interruzione dei
programmi di recupero dalla tossicodipendenza. Esse riguardano, cioè, la
persona del tossicodipendente e perseguono una finalità specifica e ben
determinata: il suo recupero dall’uso di droghe, qualunque reato egli abbia
commesso, sia esso in materia di stupefacenti o non.
Non così le
impugnate disposizioni di cui agli artt. 4-bis
e 4-vicies ter, introdotte dalla
legge di conversione, le quali invece riguardano gli stupefacenti e non la persona
del tossicodipendente. Inoltre, esse sono norme a connotazione sostanziale, e
non processuale, perché dettano la disciplina dei reati in materia di
stupefacenti.
Si tratta,
dunque, di fattispecie diverse per materia e per finalità, che denotano la evidente
estraneità delle disposizioni censurate, aggiunte in sede di conversione,
rispetto ai contenuti e alle finalità del decreto-legge in cui sono state
inserite.
4.3.– Tra
gli elementi sintomatici che confermano tale conclusione, si può richiamare la circostanza
che lo stesso Parlamento ha dovuto modificare, in sede di conversione, il
titolo originario del decreto-legge, ampliandolo con l’aggiunta delle parole «e
modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli
stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309», per includervi la materia disciplinata
dalle disposizioni introdotte solo con la legge di conversione. Ciò è indice
del fatto che lo stesso legislatore ha ritenuto che le innovazioni introdotte
con la legge di conversione non potevano essere ricomprese nelle materie già
disciplinate dal decreto-legge medesimo e risultanti dal titolo originario di
quest’ultimo.
D’altra
parte, non meno significativo è il parere espresso dal Comitato per la
legislazione della Camera dei deputati (nella seduta del 1° febbraio 2006) sul
disegno di legge C. 6297 di conversione in legge del decreto-legge n. 272 del
2005. In tale parere si rileva che il disegno di legge «reca un contenuto i cui
elementi di eterogeneità – peraltro già originariamente presenti nella
originaria formulazione di 5 articoli […] – sono stati notevolmente accentuati
a seguito dell’inserimento, durante il procedimento di conversione presso il
Senato, di una vasta mole di ulteriori disposizioni (recate in 25 nuovi
articoli) riguardanti principalmente, ma non esclusivamente, misure di
contrasto alla diffusione degli stupefacenti, mutuate da un disegno di legge da
tempo all’esame del Senato (S. 2953)».
4.4.– Del resto, la disomogeneità delle disposizioni impugnate rispetto al
decreto-legge da convertire assume caratteri di assoluta evidenza, anche alla
luce della portata della riforma recata dagli impugnati artt. 4-bis e 4-vicies ter e della delicatezza e complessità della materia incisa
dagli stessi.
Infatti,
benché contenute in due soli articoli, le modifiche introdotte nell’ordinamento
apportano una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in materia di
stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello
sanzionatorio, il fulcro della quale è costituito dalla parificazione dei
delitti riguardanti le droghe cosiddette "pesanti” e di quelli aventi ad
oggetto le droghe cosiddette "leggere”, fattispecie differenziate invece dalla
precedente disciplina.
Una tale
penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica,
giuridica e scientifica, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare,
possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della
legge, ex art. 72 Cost.
Si aggiunga
che un intervento normativo di simile rilievo – che, non a caso, faceva parte
di un autonomo disegno di legge S. 2953 giacente da tre anni in Senato in attesa
dell’approvazione – ha finito, invece, per essere frettolosamente inserito in
un "maxi-emendamento” del Governo, interamente sostitutivo del testo del
disegno di legge di conversione, presentato direttamente nell’Assemblea del
Senato e su cui il Governo medesimo ha posto la questione di fiducia (nella
seduta del 25 gennaio 2006), così precludendo una discussione specifica e una
congrua deliberazione sui singoli aspetti della disciplina in tal modo
introdotta.
Inoltre,
per effetto del "voto bloccato” che la questione di fiducia determina ai sensi
delle vigenti procedure parlamentari, è stato anche impedito ogni possibile
intervento sul testo presentato dal Governo, dal momento che all’oggetto della
questione di fiducia, non possono essere riferiti emendamenti, sub-emendamenti
o articoli aggiuntivi e che su tale oggetto è altresì vietata la votazione per
parti separate.
Né la
seconda e definitiva lettura presso l’altro ramo del Parlamento ha consentito
successivamente di rimediare a questa mancanza, visto che anche in quel caso il
Governo ha posto, nella seduta del 6 febbraio 2006, la questione di fiducia sul
testo approvato dal Senato, obbligando così l’Assemblea della Camera a votarlo
"in blocco”.
Va inoltre
osservato che la presentazione in aula da parte del
Governo di un maxi-emendamento al disegno di legge di conversione non ha
consentito alle Commissioni di svolgere in Senato l’esame referente richiesto
dal primo comma dell’art. 72 Cost.
Per di più,
l’imminente fine della legislatura (intervenuta con il d.P.R.
11 febbraio 2006, n. 32, recante «Scioglimento del Senato della Repubblica e
della Camera dei deputati») e l’assoluta urgenza di convertire alcune delle
disposizioni contenute nel decreto-legge originario, tra cui quelle riguardanti
la sicurezza e il finanziamento delle Olimpiadi invernali di Torino 2006,
impedivano di fatto allo stesso Presidente della Repubblica di fare uso della
facoltà di rinvio delle leggi ex art.
74 Cost., non disponendo, tra l’altro, di un potere di rinvio parziale.
In questo senso sono, infatti, i rilievi contenuti nei
ripetuti interventi da parte del Presidente della Repubblica – lettera inviata il 27
dicembre 2013 ai Presidenti del Senato e della Camera, sulle modalità di
svolgimento dell’iter parlamentare di conversione in legge del
decreto-legge c.d. "salva Roma” (decreto-legge 31 ottobre 2013, n. 126);
lettera inviata il 23 febbraio 2012 ai Presidenti del Senato e della Camera;
lettera inviata il 22 febbraio 2011 ai Presidenti del Senato e della Camera;
messaggio inviato alle Camere il 29 marzo 2002) – e, recentemente, anche da
parte del Presidente del Senato (comunicato del Presidente del Senato inviato
il 28 dicembre 2013), interventi tutti volti a segnalare l’abuso dell’istituto
del decreto-legge e, in particolare, l’uso improprio dello strumento della
legge di conversione, in violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost.
Ben si comprende, pertanto, proprio alla luce di quanto
accaduto nel caso di specie, come il rispetto del requisito dell’omogeneità e
della interrelazione funzionale tra disposizioni del decreto-legge e quelle
della legge di conversione ex art.
77, secondo comma, Cost. sia di fondamentale
importanza per mantenere entro la cornice costituzionale i rapporti
istituzionali tra Governo, Parlamento e Presidente della Repubblica nello
svolgimento della funzione legislativa.
4.5.– Conclusivamente sul punto, deve osservarsi che, nel caso sottoposto
all’esame della Corte, risultano contestualmente presenti plurimi indici che
rendono manifesta l’assenza di ogni nesso di interrelazione funzionale tra le
disposizioni impugnate e le originarie disposizioni del decreto-legge.
In difetto
del necessario legame logico-giuridico, richiesto dall’art. 77, secondo comma, Cost., i censurati artt. 4-bis e 4-vicies ter devono
ritenersi adottati in carenza dei presupposti per il legittimo esercizio del
potere legislativo di conversione e perciò costituzionalmente illegittimi.
Trattandosi
di un vizio di natura procedurale, che peraltro – come si è detto – si
evidenzia solo ad un’analisi dei contenuti normativi aggiunti in sede di
conversione, la declaratoria di illegittimità costituzionale colpisce per
intero le due disposizioni impugnate e soltanto esse, restando impregiudicata
la valutazione di questa Corte in relazione ad eventuali ulteriori impugnative
aventi ad oggetto altre disposizioni della medesima legge.
5.– In considerazione del
particolare vizio procedurale accertato in questa sede, per carenza dei
presupposti ex art. 77, secondo comma,
Cost., deve ritenersi che, a seguito della caducazione delle disposizioni
impugnate, tornino a ricevere applicazione l’art. 73 del d.P.R.
n. 309 del 1990 e le relative tabelle, in quanto mai validamente abrogati,
nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni
impugnate.
Il potere di conversione non può, infatti, considerarsi
una mera manifestazione dell’ordinaria potestà legislativa delle Camere, in
quanto la legge di conversione ha natura «funzionalizzata e specializzata» (sentenza n. 22 del
2012 e ordinanza
n. 34 del 2013). Essa presuppone un decreto da convertire, al cui contenuto
precettivo deve attenersi, e per questo non è votata articolo per articolo, ma
in genere è composta da un articolo unico, sul quale ha luogo la votazione –
salva la eventuale proposizione di emendamenti, nei limiti sopra ricordati –
nell’ambito di un procedimento ad hoc
(art. 96-bis del Regolamento della
Camera; art. 78 del Regolamento del Senato), che deve necessariamente
concludersi entro sessanta giorni, pena la decadenza ex tunc
del provvedimento governativo. Nella misura in cui le Camere
non rispettano la funzione tipica della legge di conversione, facendo uso della
speciale procedura per essa prevista al fine di perseguire scopi ulteriori
rispetto alla conversione del provvedimento del Governo, esse agiscono in una
situazione di carenza di potere.
In tali casi, in base alla giurisprudenza di questa
Corte, l’atto affetto da vizio radicale nella sua formazione è inidoneo ad
innovare l’ordinamento e, quindi, anche ad abrogare la precedente normativa
(sentenze n. 123
del 2011 e n.
361 del 2010). Sotto questo profilo, la situazione risulta assimilabile a
quella della caducazione di norme legislative emanate in difetto di delega, per
le quali questa Corte ha già riconosciuto, come conseguenza della declaratoria
di illegittimità costituzionale, l’applicazione della normativa precedente
(sentenze n. 5
del 2014 e n.
162 del 2012), in conseguenza dell’inidoneità dell’atto, per il radicale
vizio procedurale che lo inficia, a produrre effetti abrogativi anche per
modifica o sostituzione.
Deve,
dunque, ritenersi che la disciplina dei reati sugli stupefacenti contenuta nel d.P.R. n. 309 del 1990, nella versione precedente alla
novella del 2006, torni ad applicarsi, non essendosi validamente verificato
l’effetto abrogativo.
È appena il
caso di aggiungere che la materia del traffico illecito degli stupefacenti è
oggetto di obblighi di penalizzazione, in virtù di normative dell’Unione
europea. Più precisamente la decisione quadro n. 2004/757/GAI del 2004 fissa
norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni
applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti, richiedendo che in
tutti gli Stati membri siano punite alcune condotte intenzionali, allorché non
autorizzate, fatto salvo il consumo personale, quale definito dalle rispettive
legislazioni nazionali. Pertanto, se non si determinasse la ripresa
dell’applicazione delle norme sanzionatorie contenute nel d.P.R.
n. 309 del 1990, resterebbero non punite alcune tipologie di condotte per le
quali sussiste un obbligo sovranazionale di penalizzazione. Il che
determinerebbe una violazione del diritto dell’Unione europea, che l’Italia è
tenuta a rispettare in virtù degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
6.–
Stabilito, quindi, che una volta dichiarata l’illegittimità costituzionale
delle disposizioni impugnate riprende
applicazione l’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 nel
testo anteriore alle modifiche con queste apportate, resta da osservare che,
mentre esso prevede un trattamento sanzionatorio più mite, rispetto a quello
caducato, per gli illeciti concernenti le cosiddette "droghe leggere” (puniti
con la pena della reclusione da due a sei anni e della multa, anziché con la
pena della reclusione da sei a venti anni e della multa), viceversa stabilisce
sanzioni più severe per i reati concernenti le cosiddette "droghe pesanti”
(puniti con la pena della reclusione da otto a venti anni, anziché con quella
da sei a venti anni).
È bene
ribadire che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sin dalla sentenza n. 148 del
1983, si è ritenuto che gli eventuali effetti in malam partem
di una decisione della Corte non precludono l’esame nel merito della normativa
impugnata, fermo restando il divieto per la Corte (in virtù della riserva di
legge vigente in materia penale, di cui all’art. 25 Cost.) di «configurare
nuove norme penali» (sentenza n. 394 del
2006), siano esse incriminatrici o sanzionatorie, eventualità questa che
non rileva nel presente giudizio, dal momento che la decisione della Corte non
fa altro che rimuovere gli ostacoli all’applicazione di una disciplina
stabilita dal legislatore.
Quanto agli
effetti sui singoli imputati, è compito del giudice comune, quale interprete
delle leggi, impedire che la dichiarazione di illegittimità costituzionale vada
a detrimento della loro posizione giuridica, tenendo conto dei principi in
materia di successione di leggi penali nel tempo ex art. 2 cod. pen., che implica l’applicazione della norma penale più
favorevole al reo.
Analogamente,
rientra nei compiti del giudice comune individuare quali norme, successive a
quelle impugnate, non siano più applicabili perché divenute prive del loro
oggetto (in quanto rinviano a disposizioni caducate) e quali, invece, devono
continuare ad avere applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli
artt. 4-bis e 4-vicies ter, oggetto della presente decisione.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI,
Presidente
Marta CARTABIA,
Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere