SENTENZA N. 123
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 32, 38, commi 1 e 2, 43, comma 2, e 46 della legge della Regione Calabria 26 febbraio 2010, n. 8 (Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2010, art. 3, comma 4, della legge regionale n. 8 del 2002), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 21-26 aprile 2010, depositato in cancelleria il 28 aprile 2010 ed iscritto al n. 65 del registro ricorsi 2010.
Udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
udito l’avvocato dello Stato Pierluigi Di Palma per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 21-26 aprile 2010, depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 28 aprile (ric. n. 65 del 2010), il Presidente del Consiglio dei ministri – nell’ambito di una più ampia impugnativa della legge regionale di seguito indicata – ha promosso questione di legittimità costituzionale, tra gli altri, degli articoli 32, 38, commi 1 e 2, 43, comma 2, e 46 della legge della Regione Calabria 26 febbraio 2010, n. 8 (Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2010, art. 3, comma 4, della legge regionale n. 8 del 2002), per violazione, nel complesso, degli articoli 3, 97 e 117, commi primo, secondo, lettera e), e terzo, della Costituzione.
1.1.— Quanto, in particolare, alla dedotta illegittimità costituzionale degli impugnati artt. 32 e 38, il ricorrente premette che – ai sensi dell’art. 22, comma 4, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 – si è fatto carico alla Regione Calabria, ravvisata la «straordinaria necessità ed urgenza di tutelare l’erogazione delle prestazioni sanitarie comprese nei LEA e di assicurare il risanamento, il riequilibrio economico-finanziario e la riorganizzazione del servizio sanitario regionale», di predisporre un piano di rientro dal deficit sanitario, piano «definitivamente approvato con la sottoscrizione dell’Accordo tra il Presidente della Regione e i Ministri della salute e dell’economia e delle finanze, in data 17 dicembre 2009», che contempla «le azioni che la Regione deve attuare per rendere efficienti i diversi fattori produttivi».
1.1.1.— Tanto premesso, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che l’impugnato art. 32 – ai commi 1 e 2 – ha modificato, rispettivamente, gli artt. 17 e 18 della legge regionale 5 ottobre 2007, n. 22 (Ulteriori disposizioni di carattere ordinamentale e finanziario collegate alla manovra di assestamento del bilancio di previsione per l’anno 2007 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8), salvo poi abrogare, a partire dall’anno 2010, i predetti artt. 17 e 18 (in tal senso ha disposto il comma 3 del medesimo art. 32).
In particolare, il comma 1 del suddetto art. 32 – nel modificare, come detto, l’art. 17 della legge regionale n. 22 del 2007, che a propria volta aveva integrato il testo dell’art. 7, comma 2, lettera g), della legge regionale 5 dicembre 2003, n. 23, recante «Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali nella Regione Calabria (in attuazione della legge n. 328 del 2000)», norma che individua i livelli essenziali delle prestazioni sociali previste a favore di anziani e disabili – ha posto integralmente a carico del fondo sanitario regionale (e dunque nella misura del 100 per cento, anziché in quella del 70 per cento inizialmente prevista), i costi relativi alle prestazioni di riabilitazione a ciclo diurno destinate a tali soggetti.
Analogamente, il successivo comma 2 dello stesso art. 32 – intervenendo sul testo dell’art. 18 della legge regionale n. 22 del 2007, che aveva parzialmente sostituito il punto 6, lettera c), dell’allegato alla legge regionale 19 marzo 2004, n. 11 (Piano regionale per la salute 2004/2006), relativo all’assistenza sanitaria residenziale – ha posto, anch’esso, interamente a carico del fondo sanitario regionale (in luogo della misura del 70 per cento in origine prevista) i costi per gli interventi di riabilitazione a ciclo diurno e di riabilitazione residenziale.
Orbene, così disponendo, il legislatore regionale – a dire del ricorrente – avrebbe disatteso gli impegni assunti dalla Regione in sede di accordo concluso con il Presidente del Consiglio dei ministri per il rientro dal disavanzo sanitario, violando i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nonché l’art. 117, terzo comma, della Costituzione in materia di coordinamento di finanza pubblica.
1.1.2.— L’impugnativa statale investe anche l’art. 38 della medesima legge regionale n. 8 del 2010.
Detta norma stabilisce al comma 1 – nel modificare l’art. 6 della legge regionale 15 gennaio 2009, n. 1 (Ulteriori disposizioni in materia sanitaria) – che le ASL, previo superamento da parte degli interessati di apposita procedura selettiva, procedono ad assunzione a tempo indeterminato del personale attualmente in servizio e che abbia stipulato contratti di lavoro, anche con tipologia di collaborazione coordinata e continuativa, in data anteriore al 28 settembre 2007. Il successivo comma 2 dispone, testualmente, che la Regione «riconosce l’esercizio professionale dei laureati in scienze delle attività motorie e sportive nelle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, sia ai fini del mantenimento della migliore efficienza fisica nelle differenti fasce d’età e nei confronti delle diverse abilità, sia ai fini di socializzazione e di prevenzione».
Tale articolo, secondo il ricorrente, oltre a contrastare con il piano di rientro, sarebbe in contraddizione anche con i principi generali della materia, recati dall’art. 1, commi da 513 a 543 e comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), nonché dall’art. 3, comma 94, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), «che hanno escluso dalle procedure di stabilizzazione il personale co.co.co. e dirigente».
Nella stessa prospettiva, si deduce che l’art. 2, comma 74, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), nel richiamare le previsioni di cui ai commi 10 e 13 dell’art. 17 del già citato decreto-legge n. 78 del 2009, stabilisce nuove modalità di valorizzazione dell’esperienza professionale acquisita dal personale non dirigente attraverso l’espletamento di concorsi pubblici con parziale riserva dei posti. Dette norme – nota sempre il ricorrente – fanno esclusivo riferimento al personale precario non dirigenziale delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), tra cui sono ricompresi anche gli enti del Servizio sanitario nazionale.
Su tali basi si assume la violazione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nonché dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione in materia di coordinamento di finanza pubblica.
1.2.— È dedotta l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 43, comma 2, che dispone la proroga dei contratti di servizio pubblico, relativi ai servizi di trasporto pubblico locale, al 31 dicembre 2010, con eventuali rinnovi annuali entro il termine finale previsto dal Regolamento CE del 23 ottobre 2007, n. 1370/2007 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio CEE n. 1191/69 e CEE n. 1107/70), articolo 8, comma 2, ovvero il 3 dicembre 2019.
Sarebbe, in questo modo, disatteso l’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, il quale prevede le modalità ordinarie di affidamento dei servizi pubblici locali (compresi i servizi di trasporto pubblico locale) e, in ogni caso, un regime transitorio per l’affidamento, difforme da quello previsto della normativa regionale in questione.
Sussisterebbe, inoltre, un contrasto con l’art. 18 del decreto legislativo del 19 novembre 1997, n. 422 (Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59) che, nell’individuare il termine ultimo entro cui le Regioni possono mantenere gli affidamenti agli attuali concessionari di servizi di trasporto pubblico locale, pone tuttavia «l’obbligo», per tale periodo transitorio, «di affidamento di quote di servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali», procedure da utilizzare in via esclusiva alla scadenza del periodo transitorio.
Su tali basi, quindi, viene ipotizzata la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, avendo la giurisprudenza costituzionale più volte affermato che la «configurazione della tutela della concorrenza ha una portata così ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere, sia a proteggere l’assetto concorrenziale del mercato» (sentenze n. 320 del 2008, n. 80 del 2006, n. 272 del 2004).
Inoltre, il medesimo art. 42, comma 2, «alterando il regime del libero mercato delle prestazioni e dei servizi, in violazione degli obblighi comunitari in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici, derivanti dal Regolamento CEE n.1370/2007 nonché degli artt. 49 e seguenti del Trattato CEE» (recte: artt. 56 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), si pone in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost.
1.3.— Infine, l’impugnativa statale investe l’art. 46 della legge regionale n. 8 del 2010, secondo cui i componenti del CORECOM Calabria sono rieleggibili per una sola volta.
La norma in esame violerebbe i principi fondamentali di cui alla legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo) e l’art. 1, paragrafo A, numero 5), della delibera di tale Autorità, che dispongono il divieto assoluto di rieleggibilità del CORECOM.
Di qui l’ipotizzato contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di ordinamento delle comunicazioni.
2.— Con memoria il 1° marzo 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri insiste per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme impugnate.
Preliminarmente, peraltro, il ricorrente sottolinea la natura provvedimentale della legge della Regione Calabria n. 8 del 2010, giacché la lettura di alcune delle sue norme – quali, ad esempio, gli artt. 13 e 17 – rivelerebbe la volontà del legislatore di «disciplinare e regolare casi specifici e concreti riguardanti un numero determinato di soggetti ovvero determinati enti o istituzioni», nonché quella «di attribuire a ben precisi soggetti collettivi sovvenzioni in danaro per iniziative e progetti».
Ribadisce, per il resto, le censure già proposte avverso gli artt. 32 e 38, commi 1 e 2, della legge impugnata, sottolineando come gli stessi – oltre a contrastare con gli artt. 3 e 97 Cost. – violino la competenza statale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, da intendere, più che come una materia in senso stretto, come «una funzione che, a livello nazionale e quanto alla finanza pubblica spetta allo Stato» (sono citate le sentenze della Corte costituzionale n. 17 e n. 4 del 2004).
Quanto, invece, all’art. 43, comma 2, il ricorrente – nel confermare che esso si pone in contrasto con l’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 – insiste nel sottolinearne la illegittimità rispetto all’art. 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost.
Atteso, infatti, che la potestà esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza sarebbe da intendere, secondo la giurisprudenza costituzionale, «in senso finalistico» (sono richiamate, sul punto, le sentenze n. 320 del 2008, n. 80 del 2006 e nn. 272 e 14 del 2004), il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea come tale esclusività si traduca «nella legittima adozione, da parte del legislatore statale, di una disciplina integrale e dettagliata» mediante disposizioni, non solo «idonee ad incidere, nei limiti della loro specificità e dei contenuti normativi che di esse sono propri, sulla totalità degli ambiti materiali entro i quali si applicano» (sono citate le sentenze n. 430 e n. 401 del 2007), ma anche in grado di assurgere al rango di norme parametro negli eventuali giudizi di legittimità costituzionale di leggi regionali invasive delle competenze statali.
Considerato in diritto
1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri – nell’ambito di una più ampia impugnativa della legge regionale di seguito indicata – ha promosso questione di legittimità costituzionale, tra gli altri, degli articoli 32, 38, commi 1 e 2, 43, comma 2, e 46 della legge della Regione Calabria 26 febbraio 2010, n. 8 (Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2010, art. 3, comma 4, della legge regionale n. 8 del 2002), per violazione, nel complesso, degli articoli 3, 97 e 117, commi primo, secondo, lettera e), e terzo, della Costituzione.
1.1.— Rinviata a separata pronuncia la trattazione delle altre questioni di legittimità costituzionale prospettate con il ricorso introduttivo, si deve osservare che l’impugnazione delle disposizioni contenute negli artt. 32, 38, commi 1 e 2, e 46 della citata legge regionale poggia essenzialmente sulla deduzione della violazione, da parte della Regione, di principi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica (nonché dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione, almeno per quanto concerne i primi due articoli), mentre per l’art. 43, comma 2, viene dedotta la violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza.
2.— Non si è costituita in giudizio la Regione Calabria.
3.— Deve essere preliminarmente chiarito che i commi 1 e 2 dell’art. 32 della legge regionale n. 8 del 2010, oggetto di impugnazione da parte dello Stato, hanno disposto la modificazione degli articoli 17 e 18 della legge regionale 5 ottobre 2007, n. 22 (Ulteriori disposizioni di carattere ordinamentale e finanziario collegate alla manovra di assestamento del bilancio di previsione per l’anno 2007 ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge regionale 4 febbraio 2002, n. 8), elevando dal 70 al 100 per cento il costo, a carico del «Fondo sanitario regionale», delle prestazioni riabilitative a favore di anziani e disabili. Contestualmente, il comma 3 del medesimo art. 32 ha abrogato, a decorrere dal 2010, gli stessi articoli 17 e 18 della citata legge regionale n. 22 del 2007.
Alla luce delle suindicate disposizioni, questa Corte è chiamata, innanzitutto, a valutare le possibili conseguenze destinate ad interessare il thema decidendum, derivanti, in primo luogo, dalla intervenuta abrogazione dei suindicati articoli 17 e 18 (cioè proprio i due articoli contestualmente modificati), nonché, in secondo luogo, dalle ulteriori sopravvenienze normative che hanno investito sia l’art. 32, sia il successivo articolo 38 della medesima legge regionale n. 8 del 2010.
3.1.— Quanto alla suddetta abrogazione, si deve osservare che essa non assume rilievo con riferimento alla questione di legittimità costituzionale delle norme sottoposte allo scrutinio di questa Corte.
L’abrogazione – operata dall’art. 32, comma 3, della legge regionale impugnata – delle disposizioni contenute nei citati articoli 17 e 18 trova la sua spiegazione, sul piano logico, nella circostanza che il legislatore regionale ha evidentemente inteso dare copertura normativa alla nuova ripartizione dei costi delle prestazioni riabilitative effettuate, a favore degli anziani e dei disabili per il periodo intercorrente tra le due leggi del 2007 e del 2010, in modo non conforme a quanto stabilito dagli stessi articoli 17 e 18 nel loro testo originario.
Solo così si comprende il motivo per il quale il legislatore regionale ha modificato il criterio di riparto di tali costi, incidendo sulle disposizioni prima citate, e contestualmente le ha abrogate a decorrere dall’anno 2010, dopo averle modificate nel senso dell’aumento del costo, a carico del fondo sanitario regionale, delle prestazioni riabilitative in questione.
Sotto un secondo aspetto, deve osservarsi che l’abrogazione di tali articoli non dà luogo ad alcun vuoto normativo, dal momento che il predetto comma 3 – nello stabilire, contestualmente alla eliminazione dei suddetti articoli, che (tutti) gli «oneri per le strutture socio-sanitarie, a partire dall’anno corrente (2010), sono interamente a carico del fondo sanitario regionale» – deve essere interpretato nel senso che esso mira a conferire, pro futuro, portata generale a quella scelta che, con riferimento agli esercizi pregressi, i riformulati artt. 17 e 18 della legge regionale n. 22 del 2007 hanno dettato unicamente per i costi relativi a tutte le prestazioni di riabilitazione a ciclo diurno destinate a favore di anziani e disabili.
3.2.— Del pari, anche se per ragioni differenti, risultano prive di influenza, rispetto all’oggetto del presente giudizio, tanto la ulteriore abrogazione degli articoli 32 e 38 della legge regionale n. 8 del 2010, disposta dall’art. 3 del decreto del Presidente della Giunta regionale 24 agosto 2010, n. 4, recante «Disposizioni in materia sanitaria relative alla delibera del Consiglio dei Ministri del 30 luglio 2010 di cui al comma a) punto 9 e comma b)», quanto la successiva sospensione dei loro effetti ad opera dell’art. 3, comma 1, terzo alinea, del decreto del Presidente della Giunta regionale 9 settembre 2010, n. 9, recante «Disposizioni in materia sanitaria relative alla delibera del Consiglio dei Ministri del 30 luglio 2010 di cui al comma a) punto 4 e comma b) – Parziale rettifica».
Entrambi i citati decreti debbono, infatti, ritenersi, per la parte qui in esame, tamquam non essent, dal momento che sono stati adottati dal Presidente della Giunta regionale nella qualità di commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario. Sul punto, è sufficiente richiamare quanto di recente affermato da questa Corte, con la sentenza n. 361 del 2010, secondo cui «la disciplina contenuta nel secondo comma dell’art. 120 Cost. non può essere interpretata come implicitamente legittimante il conferimento di poteri di tipo legislativo ad un soggetto che sia stato nominato Commissario del Governo». Da ciò consegue la inesistenza, per la parte in cui incidono su atti legislativi, dei suddetti decreti adottati dal Presidente della Regione Calabria in veste di commissario ad acta.
4.— Tanto premesso, ancora in via preliminare, occorre prendere atto della rinuncia all’impugnazione effettuata dal Presidente del Consiglio dei ministri, nella parte in cui essa investe l’art. 46 della medesima legge regionale.
Detta rinuncia, unitamente alla mancata costituzione della Regione Calabria, comporta l’estinzione parziale del giudizio.
5.— Così delimitato il thema decidendum, devono essere, innanzi tutto, esaminate nel merito le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 32 e 38, commi 1 e 2, per violazione di un principio fondamentale della legislazione statale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica ex art. 117, terzo comma, Cost.
6.— La questione avente ad oggetto l’art. 32 è fondata.
6.1.— La scelta compiuta da tale norma – nel modificare gli artt. 17 e 18 della legge regionale n. 22 del 2007 – di porre integralmente a carico del «Fondo sanitario regionale» (in luogo della misura del 70 per cento originariamente prevista) i costi relativi tanto alle prestazioni di riabilitazione a ciclo diurno destinate a favore di anziani e disabili, quanto alle prestazioni di riabilitazione a ciclo diurno e di riabilitazione residenziale, si pone in contrasto con la necessità di contenere le spese sanitarie, nella prospettiva della riduzione del disavanzo da cui anche la Regione Calabria risulta gravata.
Sotto questo profilo, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., risulta evidente, avendo la Regione contravvenuto all’accordo assunto – in persona del suo Presidente – con il Governo, in ordine all’individuazione delle misure più opportune per conseguire l’obiettivo della riduzione del disavanzo sanitario.
In questa prospettiva, deve osservarsi che la norma di cui all’art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007» considera espressamente vincolanti, per le Regioni che li abbiano sottoscritti, «gli interventi individuati dai programmi operativi di riorganizzazione, qualificazione o potenziamento del servizio sanitario regionale, necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico» oggetto degli accordi per la riduzione dei disavanzi. Essa, pertanto, secondo un’ormai costante giurisprudenza di questa Corte, «può essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica» (sentenza n. 141 del 2010; analogamente, già la sentenza n. 2 del 2010, nonché, da ultimo, la sentenza n. 77 del 2011).
Ricorre, dunque, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con assorbimento delle altre censure formulate.
7. — Del pari è fondata la questione – prospettata con riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost. – avente ad oggetto l’art. 38 della medesima legge n. 8 del 2010.
7.1.— Quest’ultimo, infatti, stabilisce, al comma 1, che le aziende sanitarie locali della Regione Calabria, previo superamento da parte degli interessati di apposita procedura selettiva, provvedono alla «assunzione a tempo indeterminato del personale attualmente in servizio e che abbia stipulato contratti di lavoro, anche con tipologia di collaborazione coordinata e continuativa, in data anteriore al 28 settembre 2007».
La più recente giurisprudenza di questa Corte, nel vagliare la legittimità costituzionale di norme di leggi regionali che, al pari di quella in esame, hanno disposto la stabilizzazione di personale precario, ha ripetutamente affermato che «la natura comparativa e aperta della procedura è elemento essenziale del concorso pubblico, sicché procedure selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno, violano il carattere pubblico del concorso». Da ciò consegue che, «quando, come nell’ipotesi in esame, sia riscontrabile una riserva integrale di posti al personale interno, deve ritenersi violata quella natura “aperta” della procedura, che costituisce elemento essenziale del concorso pubblico» (da ultimo, sentenza n. 7 del 2011).
Del resto, questa stessa Corte, in un caso sostanzialmente analogo, ha già dichiarato costituzionalmente illegittima – ritenendo «violato il principio del buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall’art. 97 della Costituzione» – una precedente norma di legge della Regione Calabria, la quale aveva stabilito «l’indiscriminata trasformazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa in rapporti di lavoro a tempo determinato». Al riguardo, con la sentenza n. 179 del 2010, si è precisato che la scelta in tal senso operata dal legislatore regionale non risulta conforme all’art. 97 Cost., giacché «non richiede che sussistano esigenze organizzative e di fabbisogno di personale, né fissa alcun limite numerico ai contratti da trasformare, né infine, prevede alcuna forma di selezione», omettendo, così, le indicazioni necessarie «a cagione della differente natura giuridica delle prestazioni lavorative rese in regime di contratti di collaborazione coordinata e continuativa (aventi natura autonoma) e di quelle eseguite in virtù di contratti di lavoro a termine (aventi natura subordinata)». Né, d’altra parte, la previsione di non meglio precisate “procedure selettive” (contenuta nella norma oggetto del presente scrutinio) può ritenersi sufficiente a superare i dubbi di legittimità costituzionale prospettati ai sensi dell’art. 97 Cost., giacché esso impone il ricorso a procedure comparative che siano aperte, cioè pubbliche.
Infine, la norma impugnata, nel porsi in controtendenza rispetto all’obiettivo del contenimento della spesa sanitaria regionale, viola anche – per le ragioni già sopra evidenziate – l’art. 117, terzo comma, Cost.
7.2.— Anche il comma 2 del medesimo art. 38 partecipa degli stessi vizi che inficiano il comma precedente.
Tale disposizione – secondo cui la Regione «riconosce l’esercizio professionale dei laureati in scienze delle attività motorie e sportive nelle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, sia ai fini del mantenimento della migliore efficienza fisica nelle differenti fasce d’età e nei confronti delle diverse abilità, sia ai fini di socializzazione e di prevenzione» – deve essere interpretata, anche in ragione della sua collocazione sistematica, in stretta correlazione con quanto stabilito al comma precedente. Essa, in altri termini, è finalizzata ad attribuire rilievo a pregresse esperienze lavorative, maturate a titolo precario presso strutture sanitarie (sia pubbliche che private), da soggetti laureati in scienze delle attività motorie e sportive, sempre nella prospettiva della stabilizzazione del loro rapporto di lavoro presso le Aziende sanitarie locali della Regione Calabria.
8.— È fondata anche la questione che investe – in riferimento all’art. 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost. – l’art. 43, comma 2.
8.1.— Tale comma – nel disporre la proroga dei contratti di servizio pubblico, relativi ai servizi di trasporto pubblico locale, al 31 dicembre 2010, con eventuali rinnovi annuali entro il termine finale previsto dal Regolamento CE del 23 ottobre 2007, n. 1370/2007 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio CEE n. 1191/69 e CEE n. 1107/70), all’articolo 8, comma 2 (ovvero il 3 dicembre 2019) – si pone in contrasto con quanto stabilito dall’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che delinea un regime transitorio per l’affidamento del servizio difforme da quello previsto dalla disposizione impugnata.
Sul punto, deve essere richiamato quanto di recente affermato da questa Corte, la quale – nel ribadire come la disciplina concernente le modalità dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica debba essere ricondotta alla materia, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, della tutela della concorrenza, tenuto conto della sua diretta incidenza sul mercato – ha ravvisato una violazione dell’art. 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost., proprio in presenza di una norma di legge regionale che, in materia di servizi pubblici locali, «determina un regime transitorio per la cessazione degli affidamenti diretti già in essere», che «si pone in evidente contrasto con il regime transitorio disciplinato dall’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008» (sentenza n. 325 del 2010).
Nella specie, ricorrendo un’evenienza analoga, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma impugnata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separati giudizi la decisione delle questioni di legittimità costituzionale delle altre norme della legge regionale impugnata,
dichiara estinto il giudizio, limitatamente all’impugnazione dell’articolo 46 della legge della Regione Calabria 26 febbraio 2010, n. 8 (Provvedimento generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario – collegato alla manovra di finanza regionale per l’anno 2010, art. 3, comma 4, della legge regionale n. 8 del 2002), proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 32, 38, commi 1 e 2, e 43, comma 2, della medesima legge della Regione Calabria n. 8 del 2010.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 aprile 2011.