SENTENZA
N. 192
ANNO
2017
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi da 524 a 529, da 531 a 536, 553, 555 e 568,
della legge
28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promosso dalla Regione Veneto, con ricorso
notificato il 29 febbraio 2016, depositato in cancelleria l’8 marzo 2016 ed
iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2016.
Visto
l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 20 giugno 2017 il Giudice
relatore Marta Cartabia;
uditi
gli avvocati Luca Antonini e
Andrea Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 29 febbraio 2016 e depositato
l’8 marzo 2016 (r.r. n. 17 del 2016), la Regione Veneto ha impugnato diversi
commi dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2016)».
Sono oggetto di censura, tra gli altri, i
commi da 524 a 529 e da 531 a 536, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 123 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.; i commi 553 e 555, per violazione degli artt. 3, 32, 97,
117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., del principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., nonché dell’art. 5, comma 1,
lettera g), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del
principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e dell’art.
11 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per
l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81,
sesto comma, della Costituzione); il comma 568, per violazione degli artt. 3, 32 e 97, 117,
terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., del principio di leale collaborazione di
cui agli artt. 5 e 120 Cost., nonché dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012 e
dell’art. 11 della legge n. 243 del 2012.
1.1.– I commi da 524 a 529 e da 531 a 536
riguardano l’individuazione degli enti sanitari inefficienti e l’adozione e
attuazione dei relativi piani di rientro.
1.1.1.– Nella sintesi esposta dalla
ricorrente, a norma del censurato comma 524, entro il 30 giugno di ciascun anno
le Regioni, con provvedimento della Giunta, devono individuare le aziende
ospedaliere, le aziende universitarie, gli istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico pubblici, nonché gli altri enti pubblici che erogano
prestazioni di ricovero e cura (ad eccezione di quelli di cui ai commi 535 e
536), per i quali ricorra almeno una delle seguenti condizioni (di cui alle
lettere a e b del citato comma 524): uno scostamento tra costi e ricavi non
inferiore al 10 per cento dei ricavi o, in valore assoluto, a 10 milioni di
euro; il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti
delle cure. Per il solo anno 2016, in sede di prima applicazione, è previsto il
termine del 31 marzo al fine di provvedere a quanto sopra, con specificazione
dei dati da utilizzare (comma 525).
La metodologia di valutazione dello
scostamento tra costi e ricavi, gli ambiti assistenziali e i parametri di
riferimento per volumi, qualità ed esiti delle cure, nonché le linee guida per
la predisposizione dei piani di rientro sono definiti (comma 526) con decreto
del Ministro della salute, da emanare di concerto con il Ministro dell’economia
e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (di seguito,
Conferenza Stato-Regioni). A un distinto decreto del Ministro della salute,
emanato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con
la Conferenza Stato-Regioni, è demandato (comma 527) il compito di apportare i
necessari aggiornamenti, ai sensi dell’art. 34 del decreto legislativo 23
giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi
contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei
loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42),
agli schemi di contabilità allegati allo stesso decreto legislativo.
Gli enti che le Regioni hanno
individuato, entro 90 giorni dal relativo provvedimento, devono presentare un
piano di rientro, di durata non superiore al triennio, che definisca «le misure
atte al raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario e patrimoniale e
al miglioramento della qualità delle cure o all’adeguamento dell’offerta»
(comma 528). Nelle Regioni non in piano di rientro, la Giunta valuta
l’adeguatezza delle misure proposte e la loro coerenza con la programmazione
regionale e approva i piani entro 30 giorni, rendendoli così efficaci ed
esecutivi (comma 529). Se la Regione non si è già avvalsa della facoltà di
istituire una gestione sanitaria accentrata (ai sensi dell’art. 19, comma 2,
lettera b, del d.lgs. n. 118 del
2011), deve farlo in seguito all’approvazione dei piani di rientro; la stessa
Regione deve comunicare l’approvazione dei piani di rientro ai «tavoli tecnici
di cui agli articoli 9 e 12 dell’Intesa sancita in sede di Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano in data 23 marzo 2005»; la gestione iscrive nel proprio
bilancio una quota del Fondo sanitario regionale corrispondente alla somma degli
eventuali scostamenti negativi di cui ai piani di rientro (comma 531).
Gli interventi previsti nei piani sono
vincolanti per gli enti interessati e possono comportare variazioni dei
provvedimenti già adottati, anche in materia di programmazione e pianificazione
aziendale (comma 532). La Regione verifica trimestralmente l’adozione e la
realizzazione delle misure previste: in caso di esito positivo, può erogare a
titolo di anticipazione all’ente una quota parte delle risorse iscritte nel
bilancio della gestione accentrata; in caso di esito negativo, adotta misure
per la riconduzione in equilibrio della gestione; comunque, al termine di ogni
esercizio, la Regione pubblica nel proprio sito internet i risultati economici dei singoli enti, raffrontati agli
obiettivi del piano di rientro (comma 533).
«[T]utti i
contratti dei direttori generali, ivi inclusi quelli in essere, prevedono la
decadenza automatica del direttore generale» degli enti interessati, se i
direttori generali non adempiono all’obbligo di trasmettere il piano di
rientro, oppure se ha esito negativo la verifica annuale dell’attuazione (comma
534).
Dal 2017, la disciplina illustrata
dovrebbe trovare applicazione anche «alle aziende sanitarie locali e ai
relativi presìdi a gestione diretta, ovvero ad altri
enti pubblici che erogano prestazioni di ricovero e cura, individuati da leggi
regionali, che presentano un significativo scostamento tra costi e ricavi
ovvero il mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti
delle cure» (comma 535). La definizione dei parametri e degli altri elementi
necessari allo scopo sono demandate a un decreto del Ministro della salute,
emanato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la
Conferenza Stato-Regioni, da adottare entro il 30 giugno 2016 (comma 536, primo
periodo). A un successivo decreto del Ministro della salute, di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza
Stato-Regioni, da adottare entro il 31 dicembre 2016, è affidato il compito di
apportare i necessari aggiornamenti ai modelli di rilevazione dei costi dei
presidi ospedalieri gestiti direttamente dalle aziende sanitarie (comma 536,
secondo periodo).
1.1.2.– Ad avviso della ricorrente, la
normativa così riassunta, «mentre non presenta profili di criticità
costituzionale in relazione alle Regioni assoggettate a piani di rientro», è
lesiva dell’autonomia regionale «nella misura in cui pretende di applicarsi
anche alle Regioni in equilibrio finanziario».
Nella legislazione statale precedente, a
partire dall’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.
Legge finanziaria 2005), il presupposto dell’applicazione dei piani di rientro
è sempre stato una situazione di grave disavanzo dell’intero comparto della
spesa sanitaria di una Regione, tale da rendere necessario un accordo per
vincolare la stessa Regione sia al rientro del disavanzo, sia alla garanzia dei
livelli essenziali di assistenza. Solo in presenza di questo presupposto la
giurisprudenza costituzionale ha legittimato la compressione dell’autonomia
regionale che deriva dai piani di rientro, «le cui disposizioni spesso
risultano molto più dettagliate di quanto dovrebbe essere proprio delle norme
di principio».
In assenza di una siffatta situazione di
disavanzo, o addirittura in presenza di una situazione di equilibrio
certificato (come sarebbe per il Veneto, selezionato tra le Regioni di
riferimento per il calcolo dei costi standard nella sanità), non
sussisterebbero i presupposti per la denunciata ingerenza dello Stato, che
comporta l’imposizione di piani di rientro, nonché l’arbitraria specificazione
dei parametri vincolanti per gli enti del Servizio sanitario regionale. Sarebbe
altrimenti destabilizzato l’equilibrio complessivamente assicurato dalla
Regione, nell’ambito del quale il disavanzo di un ente può risultare non
inefficiente ma, al contrario, giustificato da specifiche decisioni politiche.
La ricorrente fa l’esempio dell’Azienda ospedaliera di Padova, strutturalmente
in disavanzo perché rappresenta, in determinati settori (come quello dei
trapianti), un’eccellenza a livello europeo, «cui fa fronte con D.r.g. [Diagnosis related group] fissati dal
Ministero in misura notoriamente sottostimata». Imporre a questo ente un piano
di rientro produrrebbe un grave danno al sistema sanitario regionale e alla sua
capacità di cura; sinora, invece, la Regione «ha potuto identificare un punto
di equilibrio nella programmazione e gestione della spesa sanitaria, che
consente di fare fronte al deficit non inefficiente» dell’azienda citata.
Pertanto, il meccanismo delineato dalle
norme impugnate, «in quanto applicabili anche alle Regioni non sottoposte a
piano di rientro», sarebbe in contrasto con il principio di proporzionalità:
non è legittimo lo scopo perseguito, in assenza del presupposto che in passato
ha legittimato l’imposizione dei piani di rientro; né sussistono la connessione
razionale e la necessità rispetto a obiettivi di efficienza qualitativa e
quantitativa della spesa, essendo al contrario probabili (o, in alcuni casi,
certi) risultati opposti.
Mancherebbero poi, ad avviso della
ricorrente, gli «standard minimi» per la legittimità costituzionale delle norme
statali in materia di «coordinamento della finanza pubblica»: segnatamente,
l’attitudine di tali norme a porre un limite complessivo alla spesa delle
Regioni, lasciando a queste ultime ampia libertà di allocazione fra i diversi
ambiti e obiettivi di spesa; nonché il rispetto di canoni di ragionevolezza e
proporzionalità rispetto agli obiettivi prefissati. Nel caso, non residua uno
spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale, indispensabile affinché
il coordinamento della finanza pubblica non si traduca in menomazione
irragionevole e sproporzionata dell’autonomia e della capacità di
programmazione della Regione.
1.1.3.– Sarebbe altresì violato il
principio di leale collaborazione. Infatti, è previsto che sia solo sentita la
Conferenza Stato-Regioni, e non che sia raggiunta in seno ad essa un’intesa,
per l’emanazione del decreto che definisce la valutazione dello scostamento tra
costi e ricavi, i parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure,
nonché le linee guida per la predisposizione dei piani di rientro (comma 526).
Lo stesso è previsto per i decreti relativi alle aziende sanitarie locali e ai
presidi da esse direttamente gestiti, per cui, inoltre, la legge menziona con
formula generica un «significativo scostamento tra costi e ricavi» (comma 535).
1.1.4.– È infine denunciata la violazione
di quanto statuito dalla Corte costituzionale in merito agli ambiti riservati
all’organizzazione interna della Regione, in riferimento all’obbligo che sia un
provvedimento della Giunta regionale a individuare gli enti inefficienti (commi
524 e 525) e ad approvarne i piani di rientro (comma 529). L’individuazione
dell’organo titolare di una determinata funzione amministrativa rientrerebbe
nella normativa di dettaglio attinente all’organizzazione interna della
Regione.
1.1.5.– Per i motivi anzidetti, conclude
la ricorrente, le disposizioni censurate violano gli artt. 3, 32 e 97 Cost.,
con ridondanza sull’autonomia amministrativa, legislativa, finanziaria e programmatoria della Regione, e violano pure gli artt. 117,
terzo e quarto comma, 118, 119 e 123 Cost., nonché il principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
1.2.– La ricorrente censura altresì i
commi 553 e 555 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, che dispongono in
merito all’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza sanitaria e al
relativo finanziamento.
1.2.1.– Il comma 553 prevede, entro 60
giorni dall’entrata in vigore della legge n. 208 del 2015, l’aggiornamento
degli anzidetti livelli essenziali, di cui al decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, «in misura non superiore a 800 milioni
di euro annui». Ai sensi del successivo comma 555, per l’anno 2016 «è
finalizzato» all’attuazione del comma 553 l’importo di 800 milioni di euro, a
valere sulla quota indistinta del fabbisogno sanitario standard nazionale.
1.2.2.– La Regione Veneto lamenta che
questa quantificazione finanziaria è avvenuta in difetto di una preventiva
intesa, in contrasto con quanto previsto dall’art. 10, comma 7, del Patto per
la salute 2014-2016 («Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5
giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano concernente il nuovo Patto per la salute per gli anni
2014-2016», sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano nella seduta del 10 luglio
2014) e che la relativa istruttoria è stata contraddittoria e inadeguata.
In data 2 ottobre 2015, in un’audizione
presso la XII Commissione permanente del Senato della Repubblica, il Ministro
della salute aveva stimato adeguato un importo di 900 milioni di euro. Alle
Regioni è stato sottoposto uno schema di decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri, in data 2 febbraio 2015, integralmente sostitutivo del precedente
decreto 29 novembre 2011, ma non era sopraggiunta un’intesa sulla
quantificazione finanziaria e, in seguito, non è stata sottoposta alcuna
ulteriore versione del decreto.
Pertanto, la determinazione dell’importo
di 800 milioni è arbitraria e contraddittoria, a maggior ragione perché questo
finanziamento non è aggiuntivo, ma consiste in risorse già ricomprese nel
finanziamento predeterminato. Benché un’intesa sia richiesta dall’art. 1, comma
554, della legge n. 208 del 2015 (ai fini della definizione e
dell’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza sanitaria), l’intesa
stessa è assoggettata al limite massimo stabilito dal censurato comma 553,
sottostimato, ad avviso della ricorrente.
Ciò sarebbe conforme all’art. 1, comma 3,
del Patto per la salute 2014-2016, il quale prevede che i livelli essenziali di
assistenza siano aggiornati nell’ambito delle complessive disponibilità.
Tuttavia, considerata la riduzione di cui al successivo comma 568 dell’art. 1
della legge n. 208 del 2015, alla ricorrente pare evidente la sostanziale
violazione del Patto: esso prevedeva per il 2016 un finanziamento pari a
115.444 milioni di euro; invece, a questo valore è stata applicata una
significativa riduzione, senza seguire le procedure di concertazione stabilite
nel Patto stesso in caso di variazione degli importi. Dunque, paradossalmente,
l’aggiornamento dei livelli essenziali sarebbe divenuto l’occasione per un
ulteriore contenimento della spesa, capace di compromettere quegli stessi
livelli. A titolo di esempio, la ricorrente riferisce che il già citato schema
di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri «stimava in 1 mln di euro l’importo per la fecondazione eterologa, quando
la sola regione Sicilia aveva stanziato 3,8 mln al
riguardo» (come risulta da un decreto del competente Assessore).
1.2.3.– Ciò sarebbe in contraddizione con
quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 10 del 2016 («la
quantificazione delle risorse in modo funzionale e proporzionato alla
realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente diventa
fondamentale canone e presupposto del buon andamento dell’amministrazione, cui
lo stesso legislatore si deve attenere puntualmente») e determinerebbe, per
irragionevolezza e difetto di istruttoria e proporzionalità, violazione degli
artt. 3, 32 e 97 Cost., con ridondanza sulle competenze legislative,
amministrative e finanziaria regionali, nonché degli artt. 117, secondo, terzo
e quarto comma, 118 e 119 Cost., e infine del principio di leale collaborazione
di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
1.2.4.– Sarebbero altresì violati l’art.
5, comma 1, lettera g), della legge
cost. n. 1 del 2012 e l’art. 11 della legge n. 243 del 2012. Sia pure in linea
di principio e nella dinamica dell’equilibrio di bilancio, queste disposizioni
rafforzano l’impegno della Repubblica nella garanzia dei livelli essenziali,
imprescindibili nella prospettiva dei principi fondamentali di eguaglianza e
solidarietà. Invece, le disposizioni censurate contrastano con i presupposti che
la dinamica dell’equilibrio di bilancio deve rispettare, definanziando
l’autonomia regionale senza che, in nessuna sede, siano state minimamente
considerate le ipotesi previste nelle disposizioni di cui è denunciata la
violazione.
1.3.– È pure oggetto di censura il comma
568, il quale fissa il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario
nazionale standard cui concorre lo Stato.
1.3.1.– La disposizione censurata
ridetermina in 111.000 milioni di euro, per l’anno 2016, la misura
dell’anzidetto finanziamento, in precedenza determinata dall’art. 1, commi 167
e 556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità
2015)», e dall’art. 9-septies, comma
1, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante «Disposizioni urgenti in
materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei
dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle
spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di
emissioni industriali», convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto
2015, n. 125.
1.3.2.– La ricorrente precisa che il
fabbisogno sanitario nazionale standard, in passato, era sempre stato definito
con accordi tra Regioni e Stato, da quest’ultimo annualmente recepiti con
legge. Il già citato Patto per la salute ha definito il relativo quadro
finanziario per il triennio 2014-2016 e ha specificato (art. 30, comma 2) che,
in caso di modifiche agli importi, la stessa intesa sul Patto per la salute
avrebbe dovuto essere oggetto di revisione. In particolare, erano previsti i
seguenti importi: per il 2014, 109.928 milioni di euro; per il 2015, 112.062
milioni di euro; per il 2016, 115.444 milioni di euro.
Gli importi per gli anni 2015 e 2016
erano stati, poi, confermati dall’art. 1 della legge n. 190 del 2014 (comma
556), la quale ne aveva però contestualmente prefigurato una rideterminazione,
in ragione del contributo aggiuntivo alla finanza pubblica richiesto alle
Regioni per gli anni 2015-2018, prevedendo altresì (comma 398)
l’individuazione, con intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, degli ambiti
di spesa cui attingere le risorse necessarie all’anzidetto maggiore contributo.
In data 26 febbraio 2015, è stata raggiunta un’intesa, intitolata «Intesa tra
Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano in merito
all’attuazione della legge 23 dicembre 2014, n. 190[,] recante: "Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2015)[”] (articolo 1, commi 398, 465 e 484)», che riduceva le risorse
destinate al servizio sanitario nazionale, mentre la successiva intesa in data
2 luglio 2015 («Intesa ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno
2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano concernente la manovra sul settore sanitario») ha individuato gli
ambiti su cui operare un «efficientamento» della
spesa sanitaria: ma ciò solo con riguardo all’anno 2015. Per il 2016, il
finanziamento avrebbe dovuto assestarsi nell’importo di 113.097 milioni di
euro.
1.3.3.– Richiamando decisioni della Corte
costituzionale, e anche deduzioni svolte in altri ricorsi, la Regione Veneto
lamenta che il censurato art. 1, comma 568, della legge n. 208 del 2015 riduce
l’importo predetto in via permanente e non transitoria; opera in difetto del
raggiungimento di un’intesa ai sensi dell’art. 30, comma 2, del Patto per la
salute; realizza un taglio di tipo puramente lineare, senza alcun riguardo ai
costi standard (di cui agli artt. 25-32 del decreto legislativo 6 maggio 2011,
n. 68, recante «Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a
statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei
fabbisogni standard nel settore sanitario») o ai volumi di spesa delle Regioni
che abbiano già raggiunto un’elevata efficienza nella gestione sanitaria.
Pertanto, la disposizione censurata non
sarebbe assistita da un’adeguata istruttoria sulla sostenibilità del definanziamento. Anzi, prosegue la ricorrente,
contraddittoriamente, nello stesso momento in cui aumentano le esigenze di
servizio (in relazione all’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza),
la disposizione determina una riduzione (sia in termini assoluti, sia in
termini di previsioni tendenziali) del finanziamento della principale spesa
regionale, così compromettendo l’inviolabile diritto alla salute, che quella
spesa è diretta a tutelare. Inoltre, la riduzione inciderebbe allo stesso modo
sia sulle realtà inefficienti, sia su quelle efficienti, in cui nessuna
ulteriore razionalizzazione delle spese è possibile, senza mettere a
repentaglio la garanzia del diritto alla salute.
In proposito, la Regione Veneto cita
nuovamente la sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2016, laddove
osserva che «[i]n assenza di adeguate fonti di finanziamento a cui attingere
per soddisfare i bisogni della collettività di riferimento in un quadro
organico e complessivo, è arduo rispondere alla primaria e fondamentale
esigenza di preordinare, organizzare e qualificare la gestione dei servizi a
rilevanza sociale da rendere alle popolazioni interessate»; che «la
quantificazione delle risorse in modo funzionale e proporzionato alla
realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente» è
«fondamentale canone e presupposto del buon andamento dell’amministrazione, cui
lo stesso legislatore si deve attenere puntualmente»; e che, altrimenti, l’art.
3 Cost. risulta violato anche «sotto il principio dell’eguaglianza sostanziale
a causa dell’evidente pregiudizio al godimento dei diritti conseguente al
mancato finanziamento dei relativi servizi» e, dunque, in relazione a un
profilo di garanzia che «presenta un carattere fondante nella tavola dei valori
costituzionali».
1.3.4.– Sarebbero dunque violati, per
irragionevolezza e difetto di proporzionalità, gli artt. 3, 32 e 97 Cost., con
ridondanza sulle competenze regionali di cui agli artt. 117, terzo e quarto
comma, 118 e 119 Cost., i quali risultano anche autonomamente violati, come
pure il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
1.3.5.– La ricorrente denuncia, inoltre,
la violazione dell’art. 5, comma 1, lettera g),
della legge cost. n. 1 del 2012 e dell’art. 11 della legge n. 243 del 2012, i
quali affermano la necessità dello Stato di concorrere al finanziamento dei
livelli essenziali nelle fasi avverse del ciclo economico, mentre il censurato
comma 568 determina uno scollamento tra il finanziamento statale, che viene
ridotto, e la necessità di garantire i livelli essenziali, peraltro anch’essi
quantificati inadeguatamente, come già dedotto. Osserva la Regione Veneto che,
se sussistono fasi avverse del ciclo economico (le quali comunque non
giustificherebbero tagli non proporzionati, né preceduti da intesa), sarebbe
almeno necessario attivare il meccanismo di cui ai parametri ora in esame.
1.3.6.– La violazione del principio di
leale collaborazione e il difetto di istruttoria sarebbero altresì comprovati
dal mancato coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento
della finanza pubblica, di cui all’art. 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42
(Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo
119 della Costituzione): coinvolgimento invece necessario in virtù delle
competenze di tale organo di cui al comma 1, lettera a), dell’art. 5 appena citato, nonché all’art. 33 del d.lgs. n. 68
del 2011.
2.– Con atto depositato il 7 aprile 2016,
si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che siano dichiarate
inammissibili o infondate le censure addotte dalla Regione Veneto nei confronti
dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015.
2.1.– La difesa statale si sofferma, tra
l’altro, sul contenuto dei commi da 524 a 536 e sulle relative censure.
2.1.1.– Secondo la difesa, tali
disposizioni rappresentano la trasposizione in legge di misure condivise
nell’intesa del 2 luglio 2015. Ivi, nel punto «J» e in particolare alla lettera
a), Stato e Regioni concordano
sull’opportunità di «misure di governance», da sviluppare nell’ambito dei «lavori per la spending review», che
concorrano all’«efficientamento del sistema», tra
l’altro, sotto il seguente profilo: «riorganizzazione e ripensamento del
sistema aziendale pubblico in una logica di valutazione e miglioramento della
produttività, intesa quale rapporto tra il valore prodotto (in termini
quantitativi e economici) ed i fattori produttivi utilizzati (in termini
quantitativi e economici)».
A propria volta, questo indirizzo sarebbe
volto a garantire la piena applicazione di quanto previsto nel decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia
sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421),
all’art. 4, comma 8, in merito all’obbligo del pareggio di bilancio per le
aziende ospedaliere, nel rispetto del principio della remunerazione a
prestazione, di cui all’art. 8-sexies.
I principi di efficacia, efficienza ed economicità, nonché di rispetto dei
vincoli di bilancio attraverso l’equilibrio tra costi e ricavi, sarebbero
altresì ripresi dal decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 (Riordino della
disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma
dell’articolo 42, comma 1, della L. 16 gennaio 2003, n. 3).
La disposizione censurata avrebbe dunque
l’obiettivo di far rispettare un principio sancito sin dal 1992 nella
legislazione sanitaria nazionale, ma disatteso da alcune aziende sanitarie, le
quali avrebbero ricevuto quote di finanziamento regionale «"svincolate” dalla
remunerazione in senso lato (tariffe e funzioni, come definite e quantificate
ai sensi dell’art. 8-sexies del
decreto legislativo 502/92 e successive modificazioni)», al solo scopo di dare
copertura agli squilibri gestionali, ex
ante oppure ex post, «per portare
il bilancio in pareggio, in misura contabile». Può accadere, esemplifica la
difesa statale, che una Regione abbia un bilancio sanitario consolidato in
equilibrio, ma che non in tutte le sue aziende sanitarie la produzione resa e i
finanziamenti a funzione equivalgano ai costi. Sovente, l’equilibrio è
garantito non tramite un efficace ed efficiente governo delle risorse da parte
dei singoli enti, ma attraverso gli utili generati dalla Gestione sanitaria
accentrata della Regione: proprio questo sarebbe accaduto in Veneto, nel
periodo 2013-2015. Lo scopo della normativa in questione, dunque, sarebbe
quello di fornire alle Regioni gli strumenti per ricondurre i propri enti a una
corretta gestione dei fattori produttivi, nella prospettiva del riequilibrio
costi-ricavi e nel rispetto della programmazione regionale.
Inoltre, le norme censurate hanno
riguardo alle cure prestate e ai loro volumi, qualità ed esiti, e dunque mirano
a garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di
efficacia, efficienza, appropriatezza e qualità, sicché risultano «anche, e
soprattutto», espressione della competenza legislativa statale esclusiva di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost.
2.1.2.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri svolge poi alcune deduzioni sulla specifica situazione dell’Azienda
ospedaliera di Padova, richiamata dalla difesa regionale. Tale situazione,
diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, non sarebbe imputabile
«alle tariffe nazionali che remunerano i DRG dei trapianti trattati in misura
non adeguata». L’azienda sarebbe attualmente remunerata in base a tariffe
regionali, più alte di quelle massime nazionali, e ciononostante registrerebbe
comunque un «disavanzo strutturale» di 25 milioni di euro all’anno. Qualora,
come previsto nella metodologia ministeriale (di cui oltre), fossero applicate
le tariffe massime nazionali e, inoltre, il valore massimo consentito per la
remunerazione delle funzioni (a norma dell’art. 8-sexies, comma 1-bis, del
d.lgs. n. 502 del 1992), in luogo dell’attuale contributo della Regione in
conto di esercizio (iscritto nel conto economico tra i ricavi), il disavanzo da
ripianare (da intendere come «disavanzo gestionale» e non civilistico) sarebbe
pari a 15 milioni di euro all’anno.
2.1.3.– La difesa statale prosegue con
alcuni rilievi circa lo schema di decreto ministeriale, attuativo del censurato
art. 1, comma 526, della legge n. 208 del 2015, che riferisce essere in corso
di esame.
Lo schema prevede la possibilità di piani
di rientro con durata più che triennale (salva in tal caso l’evidenziazione dei
finanziamenti regionali aggiuntivi per la copertura della perdita non ripianata),
nonché obiettivi «consigliati» e articolati per scaglioni, in base
all’incidenza percentuale dello scostamento dei costi rispetto ai ricavi. I
conseguenti risparmi, a norma dell’art. 30 del d.lgs. n. 118 del 2011,
resteranno nell’ambito del Servizio sanitario regionale. Ben lungi dall’essere
arbitraria, la metodologia di valutazione dei costi e dei ricavi si basa su
evidenze quantitative derivanti dai flussi nazionali di informazioni gestionali
ed economico-finanziarie e provvede ad omogeneizzare i sistemi di remunerazione
adottati, sterilizzando le differenze dipendenti dalle politiche regionali e
prendendo a riferimento le tariffe nazionali (di cui al decreto ministeriale 18
ottobre 2012, «Remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera per
acuti, assistenza ospedaliera di riabilitazione e di lungodegenza post acuzie e
di assistenza specialistica ambulatoriale»), nonché la già citata percentuale
massima di finanziamento a funzione.
Intanto, la «Commissione permanente
tariffe» (costituita con decreto del Ministero della salute 18 gennaio 2016)
prosegue, a norma dell’art. 9 del Patto per la salute 2014-2016, i propri
lavori in merito ai criteri per l’individuazione della remunerazione delle
funzioni assistenziali e delle classi tariffarie. Inoltre, attraverso la futura
revisione dei modelli economici vigenti, si darà evidenza alle diversità delle
forme di finanziamento (da produzione, da finanziamento a funzione, da entrate
proprie, da finanziamento aggiuntivi regionali per la copertura programmata del
disavanzo), aggiornando gli schemi di bilancio civilistico e i modelli di
rilevazione dei costi.
L’emanando decreto prevede la possibilità
per le Regioni di sottoporre al Ministero della salute documentazione, ed
eventualmente provvedimenti, che consentano di tenere conto di specificità
regionali nella remunerazione di alcune prestazioni, nonché delle eventuali
modifiche ai sistemi di remunerazione avvenute nel 2015. Solo dopo la chiusura
del confronto tecnico e dell’istruttoria, potranno considerarsi definiti i
criteri per l’individuazione delle singole aziende da sottoporre a piani di
rientro.
2.1.4.– Con riguardo alla doglianza (che
la difesa statale ritiene riferita in particolare al comma 536) relativa alla
previsione del solo parere da parte della Conferenza Stato-Regioni, in luogo
dell’intesa, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che, benché sia
quasi sistematica la previsione, nella legislazione statale, di «intese
"deboli”», anche i riferimenti ai pareri sono numerosi, e ne fa alcuni esempi.
La giurisprudenza costituzionale, dal
canto proprio, avrebbe affermato che l’esercizio dell’attività legislativa
sfugge alle procedure di leale collaborazione, quando non è la stessa
Costituzione a imporne, direttamente o indirettamente, l’osservanza; e, dunque,
avrebbe ricollegato alla volontà della legge statale la previsione di eventuali
forme di cooperazione, per l’approvazione di atti amministrativi. Il principio
di leale collaborazione non richiederebbe specifici strumenti, costituzionalmente
vincolati, di concretizzazione, per cui è rimessa alla discrezionalità del
legislatore la scelta delle regole di coinvolgimento delle Regioni. Nella
materia sanitaria, con precipuo riguardo alla remunerazione per l’erogazione di
farmaci, rientrante nei livelli essenziali di assistenza, la Corte ha altresì
rilevato intrecci con le materie dell’«ordinamento civile» (art. 117, secondo
comma, lettera l, Cost.), della
«tutela della salute» e del «coordinamento della finanza pubblica» (art. 117,
terzo comma, Cost.) e, pertanto, ha ritenuto necessario il coinvolgimento delle
Regioni.
A questi fini, prosegue il Presidente del
Consiglio dei ministri, spesso sono state ritenute adeguate «forme "deboli” di
negoziazione, in specie di pareri o intese da raggiungere in Conferenza Stato-regioni, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 281 del
1997»: sono citate, al riguardo, la sentenza n. 31 del 2005, nonché la sentenza n. 278 del 2010, nella quale
il parere è stato giudicato sufficiente per l’elevato coefficiente tecnico che
caratterizzava la funzione amministrativa allora in questione.
Nel caso odierno, la metodologia di cui
all’adottando decreto ministeriale si fonda sull’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992 e sul decreto ministeriale 2
aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi,
strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera),
concordato con le Regioni; mentre i parametri di riferimento per volumi,
qualità ed esiti sono già indicati nell’ambito del «Programma Nazionale Esiti»,
elaborato dall’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (organo
tecnico che opera sulla base degli indirizzi della Conferenza unificata, ai
sensi dell’art. 9, comma 2, lettera g,
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, «Definizione ed ampliamento
delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le
materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei
comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie
locali», e al quale sono stati conferiti compiti di supporto tecnico-operativo
delle politiche sanitarie condivise tra Stato e Regioni).
Né sarebbe generico il concetto di
«significativo scostamento tra costi e ricavi», enunciato nel censurato comma
535 con riguardo alle aziende sanitarie locali e ai presidi da esse
direttamente gestiti: l’emanando decreto ministeriale avrà la funzione di
rendere applicabili anche a questi enti le previsioni dei commi 524 e 525,
sicché vi è un’evidente correlazione con i parametri previsti nelle
disposizioni testé citate.
2.2.– In merito ai commi 553 e 555, la
cifra di 800 milioni di euro, a valere sulla quota indistinta del fabbisogno
sanitario, non sarebbe affatto arbitraria o frutto di un’istruttoria difettosa.
2.2.1.– Al contrario, con riguardo alle
prestazioni specialistiche ambulatoriali, sarebbe stata compiuta una
valutazione dell’impatto sulla base dei dati relativi alle prestazioni incluse
nei nomenclatori regionali, «come risultano dal sistema Tessera Sanitaria anno
2014», previa richiesta alle Regioni per la «transcodifica» delle prestazioni
stesse rispetto agli elenchi di cui al nomenclatore nazionale vigente e allo
schema di quello nuovo (da allegare all’adottando decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza).
Quasi tutte le Regioni hanno fornito i dati necessari. Per contro, dopo
l’emanazione del decreto ministeriale 9 dicembre 2015 (Condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle
prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio
sanitario nazionale) e il susseguente dibattito, non è stato quantificato il
risparmio atteso dall’applicazione delle condizioni di erogabilità
e delle prescrizioni di adeguatezza delle nuove prestazioni inserite nel nuovo
nomenclatore. Questa attività istruttoria e decisoria ha avuto luogo dopo
l’audizione parlamentare menzionata dalla Regione Veneto.
Pure con riguardo all’assistenza
ospedaliera, la valutazione fatta nel febbraio 2015, sui dati del 2013, è stata
in seguito rideterminata in base ai nuovi dati disponibili per il 2014,
frattanto consolidati.
2.2.2.– In ogni caso, a norma dell’art.
1, comma 554, della legge n. 208 del 2015, lo schema di decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei livelli essenziali di
assistenza è adottato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni,
assicurando dunque il pieno coinvolgimento delle autonomie territoriali.
Inoltre, già il Patto per la salute
2014-2016 prevedeva che la revisione dei livelli essenziali avvenisse
nell’ambito della cornice finanziaria programmata. L’importo di 800 milioni di
euro è il limite massimo di spesa derivante dall’aggiornamento dei livelli
essenziali. Il previsto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dovrà
essere adottato previa puntuale verifica dei costi, nonché degli ulteriori
risparmi attesi da interventi di razionalizzazione.
2.3.– Infine, a proposito della
quantificazione del finanziamento del servizio sanitario nazionale per l’anno
2016, fissato in 111.000 milioni di euro, tale valore rappresenterebbe un
incremento di circa l’1,2 per cento rispetto a quello fissato per l’anno
precedente e invertirebbe la tendenza alla riduzione operata nell’anno 2015
rispetto al 2014.
La rideterminazione per il 2016 è
avvenuta in applicazione dell’art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile
2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale),
convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, e dell’art.
1, comma 398, della legge n. 190 del 2014, disposizioni a loro volta poste a
fondamento del Patto per la salute 2014-2016 (artt. 1 e 30) e dell’intesa del 2
luglio 2015 (punto «G»).
Inoltre, soggiunge la difesa statale,
sebbene per la prima volta la legge di stabilità 2016 non quantifichi gli
effetti finanziari delle «misure di governance» introdotte, comunque queste misure concorrono a
rendere sostenibile la rideterminazione del finanziamento (in riduzione
rispetto al Patto per la salute ma in aumento rispetto all’anno precedente),
con l’espressa indicazione che le Regioni possono sostituire le misure stesse
con altre, di impatto finanziario equivalente.
3.– In data 31 maggio 2017, la Regione
Veneto ha depositato una memoria, con allegati, con cui insiste nelle proprie
conclusioni. Insieme alla memoria sono stati depositati, tra l’altro, i
messaggi di posta elettronica con cui la ricorrente ha chiesto alla controparte
l’assenso al deposito tardivo e la difesa statale ha comunicato il proprio
assenso.
4.– Alla pubblica udienza del 20 giugno
2017, anche in risposta a domande del relatore, le parti hanno ribadito le
proprie argomentazioni e fornito informazioni aggiuntive, in particolare in
merito ai piani aziendali di rientro.
4.1.– Questi istituti, secondo la parte
ricorrente, sarebbero frutto di scelte di revisione della spesa orientate
principalmente a conseguire risultati in termini di performance delle singole aziende, ma insensibili alle particolari
esigenze della politica sanitaria, che risponde anche ad ulteriori interessi
pubblici.
Diversamente da quanto dedotto dalla
difesa statale, gli istituti in esame non costituirebbero attuazione del punto
«J», lettera a), dell’intesa del 2
luglio 2015, che si limita a riportare che Stato e Regioni condividono la
necessità di introdurre misure per favorire l’«efficientamento
del sistema», tra cui «riorganizzazione e ripensamento del sistema aziendale
pubblico in una logica di valutazione e miglioramento della produttività,
intesa quale rapporto tra il valore prodotto (in termini quantitativi e
economici) ed i fattori produttivi utilizzati (in termini quantitativi e
economici)». Nulla è previsto specificamente in merito a piani aziendali di
rientro o all’estesa normativa poi approvata dallo Stato e oggetto di censura.
La ricorrente non contesta il principio
(di cui all’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 502 del 1992) secondo cui le aziende
ospedaliere devono evitare «ingiustificati disavanzi di gestione», né mette in
dubbio la legittima applicabilità delle norme in questione alle Regioni
sottoposte a piano di rientro; ma contesta le norme stesse in quanto pretendono
di applicarsi anche a una Regione, come il Veneto, il cui sistema sanitario
assicura sia il rispetto dei livelli essenziali di assistenza, sia il complessivo
equilibrio economico e finanziario.
In merito all’Azienda ospedaliera di
Padova, la Regione riferisce che, dopo l’emanazione del decreto ministeriale 21
giugno 2016, recante «Piani di cui all’articolo 1, comma 528, della legge 28
dicembre 2015, n. 208, per le aziende ospedaliere (AO), le aziende ospedaliere
universitarie (AOU), gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico
pubblici (IRCCS) o gli altri enti pubblici», è stata avviata un’interlocuzione con il Ministero della
salute, in esito alla quale si è acclarato che
l’Azienda non è obbligata a presentare un piano di rientro per l’anno 2016. La
verifica, tuttavia, dovrebbe essere rinnovata in futuro, con esiti incerti.
Parimenti incerti sarebbero gli scenari che deriverebbero dall’applicazione
delle norme in questione (segnatamente, dei censurati commi 535 e 536) alle
aziende sanitarie locali e ai presidi da esse direttamente gestiti. La Regione
Veneto teme di trovarsi costretta ad assoggettare a piano di rientro anche quei
presidi che essendo ubicati in zone montuose, a bassa densità demografica o
insulari, difficilmente rispondono a criteri di efficienza economica, ma sono
necessari per assicurare un servizio capillare sul territorio e che, peraltro,
sono già stati sottoposti a misure di riorganizzazione coerenti con il d.m. n. 70 del 2015. La Regione sottolinea inoltre che,
come riconosciuto dalla stessa Avvocatura generale dello Stato, gli ipotetici
risparmi conseguenti all’applicazione dei piani di rientro resterebbero nella
disponibilità della Regione, ma quest’ultima si troverebbe nella condizione
paradossale di liberare risorse dagli ambiti territoriali di cui si è detto,
senza poterle reinvestire negli stessi presidi.
Da ultimo, la Regione osserva che
l’applicazione delle norme sui piani aziendali di rientro comporta a sua volta
dei costi per l’amministrazione sanitaria: essendo insufficiente la
collaborazione dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali
(AGENAS), potrebbe infatti essere necessario rivolgersi a società di revisione
private.
In merito all’aggiornamento dei livelli
essenziali delle prestazioni, la Regione ribadisce che la dialettica tra Stato
e Regioni non può derogare il censurato limite di 800 milioni di euro, di cui
all’art. 1, comma 553, della legge n. 208 del 2015 e che, comunque, queste non
sono risorse aggiuntive rispetto a quelle stanziate a titolo di concorso dello
Stato al fabbisogno sanitario nazionale standard. A quest’ultimo proposito, la
ricorrente ribadisce che il valore di tale concorso è stato ridotto
unilateralmente dallo Stato, in violazione dell’art. 30 del Patto per la salute
2014-2016.
4.2.– La difesa statale, convenendo con
la controparte sul fatto che la normativa sui piani aziendali di rientro ha
origine negli sforzi di revisione della spesa, riferisce alcuni dati sulla sua
attuazione.
Per quanto riguarda le fattispecie di cui
all’art. 1, comma 524, della legge n. 208 del 2015, nove Regioni hanno
individuato enti da assoggettare a piani di rientro, in un numero totale di 33.
Tre piani aziendali sono stati effettivamente approvati dalle Regioni
Emilia-Romagna, Basilicata e Sardegna, benché queste ultime non siano a propria
volta soggette a piani di rientro o commissariamenti. Lo stesso Veneto ha
provveduto a un’istruttoria, in esito alla quale ha escluso di dover sottoporre
alcuna delle proprie aziende ospedaliere a piano di rientro.
Per quanto riguarda le fattispecie di cui
all’art. 1, comma 535, della legge n. 208 del 2015, l’adozione dei decreti
ministeriali di cui al comma 536 procede più a rilento del previsto: in
particolare, è atteso l’assenso degli uffici del Ministero dell’economia e
delle finanze sugli aggiornamenti ai modelli di rilevazione dei costi dei
presidi ospedalieri a gestione diretta delle aziende sanitarie locali.
L’art. 1, comma 579, della legge n. 208
del 2015 prevede che «[i]l Ministero della salute, di concerto con il Ministero
dell’economia e delle finanze, avvalendosi dell’Agenzia nazionale per i servizi
sanitari regionali (AGENAS), assicura, su richiesta della regione interessata,
senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il necessario
supporto agli enti interessati dai piani di rientro di cui ai commi da 528 a
536 e mette a disposizione, ove necessario, strumenti operativi per la
presentazione del piano ed il perseguimento dei suoi obiettivi, nonché per
l’affiancamento, da parte dell’AGENAS con oneri a carico del bilancio della
medesima Agenzia, degli enti del Servizio sanitario nazionale per tutta la
durata dei piani di rientro […]». Per azioni finalizzate all’avvio delle
attività di affiancamento, l’AGENAS avrebbe già sostenuto spese
complessivamente superiori a 1 milione e 800 mila euro: ciò comprova quanto lo
Stato, lungi dal limitarsi a imposizioni nei confronti delle Regioni, si
impegni ad assisterle nei processi di riorganizzazione.
In merito ai censurati commi 553 e 555,
la difesa statale si è riportata agli argomenti già svolti, mentre in merito al
comma 568 ha rilevato, oltre all’infondatezza, l’inammissibilità dei motivi di
parte ricorrente, per le modalità della loro formulazione.
Considerato in diritto
1.– La Regione Veneto ha impugnato diverse parti dell’art. 1
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2016)», tra cui i commi da 524 a 529 e da 531 a 536, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, terzo e quarto
comma, 118, 119 e 123 della Costituzione, nonché del principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.; i commi 553 e 555, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, secondo, terzo e
quarto comma, 118, 119 Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli
artt. 5 e 120 Cost., nonché dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione
del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e dell’art.
11 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del
principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma,
della Costituzione); il comma 568, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119
Cost., del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.,
nonché dell’art. 5, comma 1, lettera g),
della legge cost. n. 1 del 2012 e dell’art. 11 della legge n. 243 del 2012.
1.1.– Preliminarmente, riservate a separate trattazioni le
questioni promosse in riferimento ad altri commi della legge n. 208 del 2015,
occorre rilevare la tardività della memoria depositata dalla ricorrente il 31
maggio 2017. Il termine previsto nell’art. 10 delle norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale (sia nella versione originaria, sia
in quella attualmente in vigore, approvata il 7 ottobre 2008) è posto a
presidio non solo del contraddittorio, ma anche dell’ordinato lavoro della
Corte. Pertanto, esso ha carattere perentorio e non è nella disponibilità delle
parti, come è comprovato dal controllo che sul suo rispetto viene svolto,
d’ufficio, dalla Cancelleria (art. 10, comma 2, delle norme integrative
vigenti).
2.– I commi da 524 a 529 e da 531 a 536 della legge n. 208 del
2015 introducono nell’ordinamento l’istituto dei piani di rientro per le
singole aziende sanitarie che si trovino in determinate condizioni.
Nella
versione originaria, vigente al momento del ricorso, le disposizioni in esame
riguardano, in prima battuta, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliero-universitarie, gli istituti di ricovero e cura
a carattere scientifico pubblici e tutti gli altri enti pubblici che eseguono
prestazioni di ricovero e cura (tranne le aziende sanitarie locali e i presidi
da esse gestiti): ogni anno le Regioni (attraverso le Giunte) individuano, tra
questi enti, quelli per i quali ricorre uno scostamento tra costi e ricavi
superiore al 10 per cento o a 10 milioni di euro, oppure il mancato rispetto
dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure (comma 524). Un
decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e
delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
Regioni e le Province autonome (di seguito, Conferenza Stato-Regioni),
definisce la metodologia per la determinazione dello scostamento tra costi e
ricavi, i parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, nonché le
linee guida per la redazione dei piani di rientro (comma 526).
Gli enti
sanitari così individuati propongono entro 90 giorni, e le Regioni approvano
(con provvedimento della Giunta) entro 30 giorni, un piano di rientro di durata
non superiore a tre anni, che definisca le misure per il raggiungimento
dell’equilibrio, il miglioramento della qualità delle cure o l’adeguamento
dell’offerta (commi 528 e 529). I piani sono vincolanti per gli enti
interessati e possono comportare variazioni di atti già adottati dagli stessi
enti, compresi gli atti di programmazione e pianificazione aziendale (comma
532).
Ai sensi del
comma 533, la Regione verifica trimestralmente l’adozione e la realizzazione
delle misure previste nel piano e, in caso di esito positivo, può anticipare
all’ente una quota parte delle risorse appositamente iscritte nel bilancio
della Gestione sanitaria accentrata (che la Regione, se non aveva già scelto di
farlo, è obbligata a istituire, ai sensi del comma 531), mentre, in caso di
esito negativo, deve adottare misure per la riconduzione in equilibrio della
gestione. La Regione verifica altresì alla fine di ciascun esercizio, e rende
pubblici, i risultati dei singoli enti raffrontati agli obiettivi del piano di
rientro (ancora comma 533).
I contratti
dei direttori generali, anche in essere, prevedono la decadenza automatica se i
direttori generali non adempiono all’obbligo di presentare il piano di rientro,
oppure se ha esito negativo la verifica annuale (comma 534).
Il comma 525
detta norme transitorie, in materia di termini e dati utilizzabili, volte a
consentire l’applicazione di questa disciplina già nell’anno 2016.
Il comma 535
prevede che, dal 2017, la stessa disciplina si applichi alle aziende sanitarie
locali e ai presidi da esse gestiti (nonché ad altri enti pubblici che eroghino
prestazioni di ricovero e cura, individuati da leggi regionali) i quali
presentino un significativo scostamento tra costi e ricoveri o il mancato
rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti: criteri, dati
rilevanti, modalità di calcolo e parametri di riferimento a tal fine sono
definiti con un ulteriore decreto emanato dal Ministro della salute, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza
Stato-Regioni (comma 536, primo periodo).
È altresì
previsto (comma 527) un aggiornamento degli schemi di bilancio (di cui all’art.
34 del decreto
legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante «Disposizioni in materia di
armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni,
degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della
legge 5 maggio 2009, n. 42») e dei modelli di rilevazione dei costi dei presidi
gestiti direttamente dalle Aziende sanitarie locali (comma 536, secondo
periodo) per dare evidenza ai risultati di gestione rilevanti ai fini della
normativa in questione. A ciò si provvede con ulteriori decreti emanati dal
Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni.
3.– Avverso queste disposizioni, la Regione Veneto solleva tre
ordini di questioni, differenti sia per l’oggetto, sia per i parametri evocati.
3.1.– Prima di esaminare le singole questioni, tuttavia, occorre
rilevare come, nel formularle, la ricorrente – terminata l’esposizione dei
motivi di censura – evochi in modo cumulativo una pluralità di norme
costituzionali, senza motivare esplicitamente le ragioni di asserito contrasto
tra le disposizioni impugnate e ciascuno dei singoli parametri (sentenze n. 244 del
2016 e n. 251 del 2015), alcuni dei quali dotati di particolare ampiezza
espressiva (sentenza n. 239 del
2016). Uno stile
siffatto, al contempo pletorico e contratto nell’evocazione dei parametri,
richiede a questa Corte di ricostruire analiticamente gli esatti lineamenti giuridici
di ciascuna delle questioni promosse. Nondimeno, poiché in questo caso tali
lineamenti sono comunque evincibili, nei termini esposti di seguito, questa
modalità espositiva, seppure non del tutto perspicua, non causa di per sé
l’inammissibilità delle questioni.
3.2.– Venendo ora alle singole censure, i commi da 524 a 529 e
da 531 a 536, nell’insieme, in quanto si applicano anche alle Regioni non
soggette a piano di rientro, violerebbero gli artt. 3, 32 e 97 della
Costituzione per difetto di proporzionalità – con ridondanza sulle attribuzioni
regionali in materia sanitaria – e gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e
119 Cost., in quanto non sarebbe legittimo lo scopo perseguito, per l’assenza
dei presupposti che in passato hanno giustificato l’imposizione dei piani di
rientro alle Regioni; non sussisterebbe alcuna connessione razionale, o
necessità, rispetto a obiettivi di efficienza della spesa; difetterebbero i
requisiti costituzionalmente necessari per le norme statali di coordinamento
della finanza pubblica e, in particolare, l’attitudine di esse a porre un
limite complessivo alla spesa delle Regioni, lasciando a queste ultime libertà
di allocazione fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
3.3.– I commi 526 e 536 violerebbero il principio di leale
collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., nella parte in cui prevedono
che i decreti ministeriali di attuazione sono adottati sentita la Conferenza
Stato-Regioni, anziché previa intesa in seno alla stessa.
3.4.– I commi 524, 525 e 529 violerebbero gli artt. 117, quarto
comma, e 123 Cost., nella parte in cui prevedono che un provvedimento della
Giunta regionale individui gli enti da sottoporre a piani di rientro e approvi
i piani stessi, in quanto l’individuazione dell’organo titolare di una determinata
funzione amministrativa rientrerebbe nella normativa di dettaglio attinente
all’organizzazione interna della Regione.
4.– Le questioni sollevate in relazione agli artt. 3, 32 e 97
Cost., sull’art. 1, commi da 524 a 529 e da 531 a 536, della legge n. 208 del
2015 sono inammissibili per insufficienza e genericità della motivazione.
La Regione
non adduce argomenti sufficienti a illustrare perché gli eventuali processi di
riorganizzazione (oltre che imposti alla Regione, e non da questa autonomamente
determinati) sarebbero altresì irrazionali o tali da compromettere il buon
andamento dei servizi sanitari e la loro capacità di tutelare la salute. Non
bastano, allo scopo, né il riferimento ai risultati già raggiunti dal Servizio
sanitario regionale nel complesso, che non escludono di per sé la persistenza
di margini di ulteriore miglioramento dell’efficienza; né deduzioni del tutto
aneddotiche ed esplorative su singole strutture, che la stessa ricorrente
ignora se e come potrebbero essere interessate, in futuro, da riorganizzazioni.
Sotto questo profilo, il ricorso si presenta lacunoso e generico: dunque,
carente di quelle argomentazioni sul merito delle censure, le quali sono
necessarie, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, in
termini ancora più stringenti che nei giudizi in via incidentale (fra le tante,
vedi sentenze n. 273 del
2016, n. 233, n. 218, n. 153 e n. 142 del 2015), a maggior ragione quando si denunci la violazione di
parametri costituzionali estranei al Titolo V della Parte seconda della
Costituzione, della quale occorre che la parte ricorrente dimostri, e questa
Corte verifichi, la ridondanza sulle attribuzioni regionali.
5.– Prima di esaminare nel merito le altre censure, occorre
illustrare alcune vicende normative, riguardanti le norme in questione,
intervenute dopo il ricorso.
5.1.– Le norme sono state modificate dall’art. 1, commi 390 e
391, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato
per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).
Il comma
390, «[a]l fine di migliorare le performance e di perseguire l’efficienza dei
fattori produttivi e dell’allocazione delle risorse delle aziende ospedaliere,
delle aziende ospedaliere universitarie, degli Istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico pubblici o degli altri enti pubblici che erogano
prestazioni di ricovero e cura», ha sostituito, nell’art. 1, comma 524, lettera
a), della legge n. 208 del 2015, alle
parole «pari o superiore al 10 per cento dei suddetti ricavi, o, in valore
assoluto, pari ad almeno 10 milioni di euro», le parole «pari o superiore al 7
per cento dei suddetti ricavi, o, in valore assoluto, pari ad almeno 7 milioni
di euro».
Il comma 391
ha previsto che «[l]e disposizioni di cui ai commi da 524 a 536 dell’articolo 1
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, si applicano alle regioni a statuto
speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, che provvedono al
finanziamento del servizio sanitario esclusivamente con risorse dei propri
bilanci, compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e delle
conseguenti norme di attuazione».
Nessuna di
queste modifiche incide sull’oggetto del giudizio. In particolare, è da
escludere, in conformità a principi pacifici (sentenze n. 141, n. 65 e n. 40 del 2016, nonché n. 239 del 2015), che l’esame di questa Corte possa essere esteso al comma
524, lettera a), della legge n. 208
del 2015 nel testo modificato dall’art. 1, comma 390, della legge n. 232 del
2006, in quanto il citato art. 1, comma 390, è stato oggetto di specifica
impugnazione da parte della stessa Regione Veneto con distinto ricorso (r.r. n. 19 del 2017).
5.2.– Inoltre, è stato emanato dal Ministro della salute, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto in data 21
giugno 2016, recante «Piani di cui all’articolo 1, comma 528, della legge 28
dicembre 2015, n. 208, per le aziende ospedaliere (AO), le aziende ospedaliere
universitarie (AOU), gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico
pubblici (IRCCS) o gli altri enti pubblici», previo parere favorevole della
Conferenza Stato-Regioni in data 21 aprile 2016. Come risulta dalle premesse
del parere, in precedenza erano state diramate altre versioni dello schema di
decreto ministeriale, oggetto di richieste di modifica da parte delle Regioni.
Il decreto,
articolato in tre parti, stabilisce le metodologie per individuare i costi e i
ricavi di ciascuna azienda ospedaliera (anche universitaria) o IRCCS, al fine
di verificare l’esistenza di uno scostamento rilevante, ai sensi dell’art. 1,
comma 524, lettera a), della legge n.
208 del 2015; determina gli ambiti e i parametri per la valutazione di volumi,
esiti e qualità delle cure, ai sensi della lettera b) dello stesso comma 524; definisce le linee guida per
l’elaborazione dei piani di rientro per ciascuna delle due situazioni.
6.– Nel merito, occorre considerare congiuntamente le censure
aventi ad oggetto l’art. 1, commi da 524 a 529 e da 531 a 536.
Sono fondate
le questioni aventi ad oggetto l’art. 1, commi 526 e 536, nella parte in cui
prevedono che i decreti ministeriali ivi contemplati siano emanati «sentita la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano», anziché d’intesa con la stessa Conferenza.
Viceversa,
non sono fondate le questioni sollevate in relazione alle ulteriori parti dei
commi da 524 a 529 e da 531 a 536.
La normativa
in questione si pone al crocevia di una pluralità di competenze, ciascuna, a
sua volta, connotata da autonomi profili di complessità.
6.1.– Viene in rilievo, anzitutto, l’organizzazione sanitaria
come componente fondamentale della «tutela della salute» (sentenza n. 54 del
2015), in quanto la
relativa normativa traccia la cornice funzionale ed operativa che garantisce la
qualità e l’adeguatezza delle prestazioni erogate (sentenza n. 207 del
2010). In particolare,
questa Corte (sentenza n. 124 del
2015) ha già ricondotto
ai principi fondamentali in materia di «tutela della salute», tra l’altro,
l’art. 8-sexies del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia
sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), il
quale dispone in merito al finanziamento delle strutture che erogano assistenza
ospedaliera e ambulatoriale a carico del Servizio sanitario nazionale, secondo
un ammontare determinato in base alle funzioni assistenziali e alle attività
svolte. Al citato art. 8-sexies la
normativa in questione fa riferimento sia letteralmente, in più punti, sia teleologicamente, come è comprovato, del resto, dal d.m. 21 giugno 2016.
In questa
materia, la legislazione dello Stato deve esprimersi attraverso norme di
principio, sicché sono censurabili le norme statali che non lasciano «alcuno
spazio di intervento alla Regione non solo per un’ipotetica legiferazione
ulteriore, ma persino per una normazione secondaria di mera esecuzione» (sentenza n. 207 del
2010). Tuttavia, in
questa stessa materia ha anche trovato applicazione il canone generale, secondo
cui è vincolante per le Regioni ogni previsione che, sebbene a contenuto
specifico e dettagliato, per la finalità perseguita si pone in rapporto di coessenzialità e necessaria integrazione con le
norme-principio che connotano il settore (sentenze n. 301 del
2013, n. 79 del 2012 e n. 108 del 2010).
6.2.– In secondo luogo, con precipuo riferimento all’equilibrio
tra costi e ricavi dell’attività sanitaria, viene in rilievo la competenza
legislativa dello Stato in materia di principi fondamentali per il
«coordinamento della finanza pubblica». In più occasioni, misure riguardanti la
spesa sanitaria e la sua razionalizzazione sono state ricondotte all’ambito del
«coordinamento della finanza pubblica» (ad esempio, sentenza n. 183 del
2016), singolarmente
individuata o unitamente alla materia della «tutela della salute» (ad esempio, sentenze n. 125 del
2015 e n. 289 del 2010). Ciò è stato riassuntivamente
ricordato ancora di recente (nella sentenza n. 203 del
2016) ed è confermato
dalla costante giurisprudenza in materia di piani di rientro per le Regioni in
disavanzo (ad esempio, sentenze n. 266 del
2016 e n. 278 del 2014), benché, come correttamente rilevato dalla parte
ricorrente, sussistano differenze significative tra quei piani di rientro e
quelli oggi in esame.
La
pertinenza del «coordinamento della finanza pubblica» non è esclusa dal rilievo
che il meccanismo complessivamente delineato dalle norme in questione ha come
obiettivo principale non tanto il contenimento della spesa di per sé, ma
piuttosto l’incremento della sua efficienza, definita e valutata secondo
parametri uniformi, con riguardo alle singole strutture. Infatti, la materia
del «coordinamento della finanza pubblica» non è limitata alle norme aventi lo
scopo di limitare la spesa pubblica, ma comprende anche quelle aventi la
funzione di orientarla verso una complessiva maggiore efficienza (sentenza n. 272 del
2015): obiettivo che può
legittimamente essere perseguito anche stabilendo indirizzi di
razionalizzazione rivolti ai singoli enti sanitari, non soltanto ai sistemi
regionali nel complesso.
I vincoli di
coordinamento finanziario imposti dallo Stato possono considerarsi rispettosi
dell’autonomia regionale quando stabiliscono un limite complessivo che lasci
agli enti stessi una sufficiente libertà di allocazione delle risorse fra i
diversi ambiti e obiettivi di spesa, sempre purché conforme a canoni di
ragionevolezza e proporzionalità (fra le molte, sentenze n. 64 del
2016, n. 250 del 2015, n. 22 del 2014). Nondimeno, la competenza statale può comprendere anche
l’esercizio di poteri puntuali, necessari perché la finalità che essa persegue
venga concretamente realizzata, anche con misure di ordine amministrativo,
specie nell’ambito della regolazione tecnica (sentenze n. 229 e n. 112 del 2011, n. 57 del 2010, n. 190 e n. 159 del 2008, n. 376 del 2003).
Conviene
aggiungere che proprio alle due competenze sin qui considerate («tutela della
salute» e «coordinamento della finanza pubblica») sono state ricondotte norme
dello Stato che prevedevano la decadenza degli organi amministrativi di vertice
di aziende e amministrazioni sanitarie (sentenze n. 124 del
2015 e n. 219 del 2013), in particolare come conseguenza di gravi inadempienze
regionali.
6.3.– Inoltre, laddove considerano «volumi, qualità ed esiti
delle cure», le norme in questione sono riconducibili ai livelli essenziali
delle prestazioni, di competenza statale (art. 117, secondo comma, lettera m). Le norme impugnate, infatti,
contengono un riferimento implicito, ma trasparente, a quanto previsto a tale
riguardo dal decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante
definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi
relativi all’assistenza ospedaliera), adottato a norma dell’art. 1, comma 169,
della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2005), che questa
Corte, con la sentenza n. 134 del
2006, ha già ricollegato
alla competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Il collegamento con gli
standard dell’assistenza ospedaliera è ancor più evidente dalla lettura del d.m. 21 giugno 2016: in particolare dell’allegato tecnico b), che definisce la metodologia per
l’individuazione degli ambiti assistenziali e la definizione dei parametri di
riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure.
Anche dopo
la sentenza n. 134 del
2006, si è ribadito che
questa competenza si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e
qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti
civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti
gli aventi diritto; e che essa, avendo carattere trasversale, è idonea ad
investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore statale deve
poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio
nazionale, il godimento di determinate prestazioni, senza che la legislazione
regionale possa limitarle o condizionarle (sentenze n. 125 del
2015, n. 111 del 2014, n. 207, n. 203 e n. 164 del 2012).
La
competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in linea di massima, concerne
la fissazione del livello strutturale e qualitativo delle prestazioni; solo in
circostanze eccezionali, segnatamente quando ricorrano imperiose necessità
sociali, può spingersi oltre, ad esempio legittimando l’erogazione di
provvidenze ai cittadini o la gestione di sovvenzioni direttamente da parte
dello Stato (sentenze n. 273 e n. 62 del 2013, n. 203 del 2012, n. 121 e n. 10 del 2010). Dunque, la deroga alla competenza legislativa delle
Regioni, in favore di quella dello Stato, è ammessa nei limiti necessari ad
evitare che, in parti del territorio nazionale, gli utenti debbano
assoggettarsi ad un regime di assistenza sanitaria inferiore, per quantità e
qualità, a quello ritenuto intangibile dallo Stato (sentenza n. 125 del
2015). In questa
prospettiva, le norme oggi in esame prevedono la fissazione di parametri
relativi a volumi, esiti e qualità delle cure e ne prescrivono il monitoraggio,
intervenendo poi a imporre e disciplinare gli interventi necessari qualora, in
determinate strutture, si registrassero scostamenti significativi.
6.4.– Infine, le censure investono anche i commi 527 e 536
dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, i quali (il comma 536, in particolare,
al secondo periodo), saldandosi al resto della normativa qui in esame,
prevedono che siano apportati i «necessari aggiornamenti» ai modelli per la
contabilità delle strutture sanitarie, al fine di dare evidenza a determinati
dati, in coerenza con quanto previsto dall’art. 4, commi 8 e 9, e dall’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992. Viene
dunque in rilievo la competenza esclusiva statale in materia di «armonizzazione
contabile» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.): essa è connotata da un peculiare carattere
polifunzionale, che risulta del tutto coerente con la rilevata pluralità degli
interessi e delle competenze coinvolte, ed esprime particolari esigenze di
omogeneità nei confronti di tutte le Regioni (sentenze n. 80 e n. 6 del 2017, n. 184 del 2016).
6.5.– In conclusione, la normativa in questione tesse in una
trama unitaria competenze statali e regionali eterogenee; norme di principio,
da un lato, e, dall’altro, previsioni e poteri strumentali; la determinazione
di standard di assistenza e la disciplina degli interventi per i casi in cui
gli standard siano sensibilmente disattesi; valutazioni politiche e profili
tecnici.
In presenza
di un intreccio così fitto e complesso, devono ritenersi fondate le sole
censure rivolte specificamente nei confronti dei commi 526 e 536, nella parte
in cui stabiliscono che i decreti ministeriali ivi previsti siano adottati
«sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano», anziché previa intesa con la stessa
Conferenza.
Infatti, in
questi casi, il legislatore statale deve predisporre adeguati strumenti di
coinvolgimento e garanzia delle Regioni, tra i quali – tenuto conto anche della
tipologia delle funzioni in esame – può ritenersi sicuramente congruo quello
dell’intesa in seno alla Conferenza Stato-Regioni (da ultimo, sentenze n. 251, n. 21, n. 7 e n. 1 del 2016).
7.– Sono altresì fondate le censure, per violazione degli
artt. 117, quarto comma (in relazione alla materia dell’organizzazione
amministrativa regionale) e 123 Cost., rivolte nei confronti dei commi 524, 525
e 529, in quanto fanno riferimento alla Giunta regionale come organo competente
a individuare gli enti da sottoporre a piani di rientro e ad approvare i piani
stessi.
Questa Corte
ha ripetutamente affermato che sono costituzionalmente illegittime le norme
statali che indichino specificamente l’organo regionale titolare di una
funzione amministrativa, trattandosi di normativa attinente all’organizzazione
interna della Regione (sentenze n. 293 e n. 22 del 2012, n. 95 del 2008 e n. 387 del 2007). Né si ravvisano (per la verità, nemmeno sono allegate
dall’Avvocatura generale dello Stato) ragioni specifiche che giustifichino la
decisione del legislatore statale di selezionare l’organo regionale deputato a
provvedere all’adempimento degli obblighi che lo Stato pone a carico della
Regione.
I censurati
commi devono pertanto dichiararsi costituzionalmente illegittimi, nella parte
in cui stabiliscono che i provvedimenti ivi previsti siano adottati dalla
Giunta regionale; troverà applicazione, di conseguenza, la ripartizione di
competenze stabilita autonomamente da ciascuna Regione tra i propri organi, in
base alle proprie norme statutarie e legislative.
8.– Non sono fondate le questioni aventi ad oggetto l’art. 1,
commi 553 e 555, della legge n. 208 del 2015.
8.1.– Le disposizioni censurate rientrano nelle previsioni che
l’art. 1 della legge n. 208 del 2015 dedica all’aggiornamento del decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001 (Definizione dei livelli
essenziali di assistenza).
8.2.– In attuazione dell’art. 1, comma 3, del Patto per la
salute 2010-2014 («Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5
giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano concernente il nuovo Patto per la salute per gli anni
2014-2016», sancita dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 10 luglio
2014) e nel rispetto dei vincoli finanziari posti nella precedente manovra
finanziaria e nelle relative intese attuative, il censurato comma 553 prevede
l’aggiornamento dei livelli essenziali dell’assistenza sanitaria «in misura non
superiore a 800 milioni di euro annui». Ai sensi del comma 555, pure censurato,
per l’anno 2016 un importo di 800 milioni di euro è «finalizzato»
all’attuazione del comma 553, «a valere sulla quota indistinta del fabbisogno
sanitario standard nazionale, di cui all’articolo 26 del decreto legislativo 6
maggio 2011, n. 68»; l’erogazione di questa quota è condizionata all’adozione
del provvedimento di aggiornamento dei livelli essenziali. La relazione tecnica
all’originario disegno di legge (XVII Legislatura, A.S. n. 2111) esplicita
(pag. 161) che la funzione di questo meccanismo è di «rendere stringente»
l’esigenza di aggiornamento.
Nello stesso
art. 1 della legge n. 208 del 2015, il comma 554 disciplina la procedura per
l’aggiornamento dei livelli essenziali dell’assistenza sanitaria, richiedendo,
tra l’altro, una previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni; mentre i commi
556 e seguenti dettano norme ulteriori sui futuri aggiornamenti.
In
applicazione dei predetti commi 553 e 554, è stato, in effetti, adottato il
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione
e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1,
comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), previa intesa
«sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 7 settembre 2016».
8.3.– Avverso i censurati commi 553 e 555, la ricorrente deduce
due ordini di censure.
8.3.1.– In primo luogo, sarebbero violati gli artt. 3, 32 e 97
Cost. per irragionevolezza e difetto di istruttoria e proporzionalità – con
ridondanza sulle competenze legislative, amministrative e finanziaria regionali
– nonché gli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., e il
principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Tali
violazioni sono denunciate sotto i seguenti profili: innanzitutto, sarebbe
mancata una preventiva intesa, in contrasto con quanto previsto all’art. 10,
comma 7, dell’intesa sul richiamato Patto per la salute 2014-2016; in secondo
luogo, il valore di 800 milioni di euro sarebbe inferiore a quello, pari a 900
milioni di euro, dichiarato congruo dal Ministro della salute in un’audizione
parlamentare in data 2 ottobre 2015; infine, l’importo sarebbe sottostimato,
dovendo valere sulla quota indistinta del finanziamento sanitario statale,
anch’essa contestualmente ridotta senza seguire le procedure di concertazione
previste nel Patto per la salute 2014-2016 in caso di variazione degli importi
finanziari programmati.
In estrema
sintesi, si contesta la mancanza di una previa intesa tra Stato e Regioni sul
predetto limite di 800 milioni di euro, nonché la congruità di esso:
l’imposizione di un limite finanziario al confronto sull’aggiornamento dei
livelli essenziali, e alle determinazioni conseguenti, influirebbe non solo
sulle attribuzioni regionali, ma anche sulla sostenibilità dei servizi
sanitari.
8.3.1.1.– In merito alla denunciata violazione del principio di
leale collaborazione, occorre anzitutto osservare che tale principio non si
impone nel procedimento mediante il quale il Parlamento, attraverso le due
Camere, approva le leggi (fra le molte, sentenze n. 280, n. 251 e n. 65 del 2016, n. 63 del 2013, n. 79 del 2011).
Inoltre, la
fissazione, da parte del censurato art. 1, comma 553, della legge n. 208 del
2015, del detto limite, nel momento in cui si dà impulso con apposite
previsioni all’aggiornamento dei livelli essenziali, non è incompatibile con la
logica di leale collaborazione tra Stato e Regioni, che, a norma della stessa
legge n. 208 del 2015, presiede alla procedura di aggiornamento, conformemente
a un indirizzo già presente nella legislazione e più volte riscontrato dalla
giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 98 del
2007 e n. 134 del 2006, nonché, mutatis mutandis, sentenza n. 297 del
2012). Infatti, il
principio di leale collaborazione, per la sua elasticità, consente di aver
riguardo alle peculiarità delle singole situazioni, sicché il confronto tra
Stato e Regioni è suscettibile di essere organizzato in modi diversi, per forme
e intensità (sentenze n. 83 del
2016, n. 50 del 2005, n. 308 del 2003). Il limite finanziario massimo globale all’aggiornamento
dei livelli essenziali pone senz’altro un parametro di riferimento per le
scelte entro cui può svilupparsi la dialettica tra Stato e Regioni; ma è ben
lungi dall’esaurire tale dialettica, per la quale restano spazi estremamente
ampi, pure sui profili economici e finanziari.
Per quanto
riguarda specificamente gli obblighi di cooperazione che si assumono derivare
dal Patto per la salute 2014-2016, è inconferente il
riferimento all’art. 10, comma 7, del Patto, riguardante l’aggiornamento del
monitoraggio sull’assistenza sanitaria, non dei livelli essenziali. Qualora poi
il riferimento fosse da intendere al più pertinente art. 1, comma 3 (anch’esso
menzionato nelle argomentazioni di parte ricorrente), si dovrebbe rilevare che
il requisito dell’intesa ai fini dell’aggiornamento dei livelli essenziali di
assistenza, ivi previsto, ha riscontro nell’art. 1, comma 554, della legge n.
208 del 2015, come già rilevato; per di più, anche il citato art. 1, comma 3,
fa salvo il «rispetto degli equilibri programmati della finanza pubblica».
8.3.1.2.– Destituite di fondamento sono altresì le ulteriori questioni,
con le quali la parte ricorrente afferma l’incongruità del valore di 800
milioni di euro, anche in collegamento con il complessivo concorso dello Stato
al fabbisogno sanitario nazionale standard.
La
ricorrente ritiene che sarebbe stato adeguato il diverso valore di 900 milioni
di euro, cui aveva fatto riferimento il Ministro della salute in un’audizione
parlamentare, non molti giorni prima della presentazione del disegno di legge
poi promulgato come legge n. 208 del 2015. Tuttavia questo riferimento non è
sufficiente ad attestare la fondatezza della doglianza: mettere in luce la
richiamata contraddizione tra le dichiarazioni del Ministro e le successive
determinazioni del Governo non equivale affatto, di per sé, a provare
l’incongruità del minore dei due importi. Del tutto frammentario e
inconcludente, invece, è il riferimento alle stime che la sola Regione autonoma
siciliana ha effettuato in merito al costo di una delle prestazioni incluse
nell’aggiornamento. Dunque, la ricorrente non ha assolto all’onere di provare
l’oggettiva impossibilità di esercitare le proprie funzioni in materia,
segnatamente attraverso dati quantitativi concreti, riguardanti, tra l’altro, i
diversi importi in ipotesi necessari (da ultimo, tra le molte, sentenze n. 205, n. 151, n. 127, n. 65, n. 29 del 2016).
La
conclusione di infondatezza si impone a maggior ragione in quanto la stessa
legge n. 208 del 2015 ha predisposto un articolato meccanismo (art. 1, commi
556 e seguenti) per la valutazione sistematica e continuativa degli stessi
livelli essenziali, che dovrebbe altresì facilitarne, qualora occorresse,
l’aggiornamento, finalizzato anche alla corretta determinazione dei fabbisogni
regionali.
8.3.2.– In secondo luogo, i medesimi commi 553 e 555 violerebbero
altresì l’art. 5, comma 1, lettera g),
della legge cost. n. 1 del 2012 e l’art. 11 della legge n. 243 del 2012, in
quanto non sono stati attivati i meccanismi, ivi previsti, che rafforzano il
concorso finanziario dello Stato per la garanzia dei livelli essenziali, con
riguardo alle fasi avverse del ciclo economico.
8.3.2.1.– La questione è inammissibile.
Anche dopo
le modifiche apportate al citato art. 11 dall’art. 3 della legge 12 agosto
2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di
equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali), peraltro anch’esse
già contestate dinanzi a questa Corte, incombe sullo Stato, ai sensi dell’art.
5, comma 1, lettera g), della legge
cost. n. 1 del 2012, il dovere di stabilire le modalità del proprio concorso,
nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali,
al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti
civili e sociali, anche con modalità diverse e aggiuntive rispetto a quelle di
cui all’art. 119, quinto comma, Cost.
Tuttavia, la
ricorrente non spiega né per quale motivo, e in base a quali presupposti
fattuali, lo Stato avrebbe dovuto attivare, in suo favore, il meccanismo
descritto (sentenza n. 154 del
2017); né perché, in
attesa dell’attuazione di tale meccanismo, dovrebbe rimanere addirittura
paralizzato l’aggiornamento dei livelli essenziali dell’assistenza sanitaria
(più volte tentato dopo il 2001, senza successo), il quale oltretutto serve
anche per orientare le scelte di bilancio delle stesse Regioni, in presenza di
interventi statali di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 141 del
2016).
9.– Anche l’art. 1, comma 568, della legge n. 208 del 2015, il
quale fissa in 111 miliardi di euro per l’anno 2016 il concorso dello Stato al
fabbisogno sanitario nazionale standard, è oggetto di due ordini di censure.
9.1.– Secondo la ricorrente, pure il comma 568 violerebbe l’art.
5, comma 1, lettera g), della legge
cost. n. 1 del 2012 e l’art. 11 della legge n. 243 del 2012, in quanto, come
già dedotto a proposito dei commi 553 e 555, non sono stati ancora attivati i
meccanismi, previsti nei parametri evocati, che rafforzano il concorso
finanziario dello Stato alla garanzia dei livelli essenziali durante le fasi
avverse del ciclo economico.
9.1.1.– La questione è inammissibile per ragioni analoghe a quelle
esposte, appena sopra, a proposito delle censure similari rivolte ai commi 553
e 555. Infatti, la ricorrente non spiega perché lo Stato avrebbe dovuto attivare
in suo favore il meccanismo previsto nelle disposizioni evocate come parametro;
né perché la determinazione periodica del concorso dello Stato al fabbisogno
sanitario nazionale standard dovrebbe risultare interdetta, in attesa della
realizzazione di alcuni elementi dell’architettura dei rapporti finanziari con
le Regioni, anch’essi orientati a garantire l’effettività dei livelli
essenziali delle prestazioni stabiliti a norma dell’art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost.
9.2.– Sarebbero violati anche gli artt. 3, 32 e 97 Cost., per
difetto di ragionevolezza e proporzionalità, con ridondanza sulle competenze
regionali di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché
direttamente i citati parametri relativi al riparto delle competenze fra Stato
e Regioni, e altresì il principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5
e 120 Cost., sotto più profili: l’anzidetta riduzione sarebbe permanente e
lineare; essa sarebbe avvenuta in assenza di una previa intesa, in contrasto
con quanto previsto all’art. 30, comma 2, dell’intesa sul Patto per la salute
2014-2016, e senza il coinvolgimento della Conferenza permanente per il
coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 5 della legge 5 maggio
2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione); sarebbe, infine, sganciata da qualsiasi
considerazione dei costi standard o dei livelli di efficienza delle singole
Regioni, carente di adeguata istruttoria e, contraddittoriamente, contemporanea
a un incremento delle esigenze di servizio, causato dell’aggiornamento dei
livelli essenziali di assistenza.
9.2.1.– Nemmeno tali questioni sono fondate.
9.2.2.– La determinazione del concorso dello Stato al fabbisogno
sanitario nazionale standard deve necessariamente avere carattere globale e,
dato il dinamico evolversi delle molteplici esigenze da contemperare, non può
fare a meno di collegarsi a un determinato orizzonte temporale di
programmazione finanziaria: a ciò fa riferimento lo stesso art. 26, comma 1,
del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di
autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché
di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), quando
stabilisce che il fabbisogno sanitario nazionale standard è determinato «in
coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di
finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria».
9.2.3.– Per quanto riguarda l’anno 2016, correttamente la Regione
Veneto deduce che la misura del concorso era stata fissata dall’art. 1, comma
1, del Patto per la salute 2014-2016 in 115.444 milioni di euro, «salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie
in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a
variazioni del quadro macroeconomico, nel qual caso si rimanda a quanto
previsto nell’articolo 30 comma 2».
Quest’ultima
disposizione, a propria volta, prevedeva: «[i]n caso di modifiche normative
sostanziali e/o degli importi di cui all’articolo 1, ove necessarie in
relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni
del quadro macroeconomico, la presente Intesa dovrà essere altresì oggetto di
revisione». In effetti, all’importo di 115.444 milioni di euro fa riferimento
anche l’art. 1, comma 556, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», il quale però fa
salve eventuali rideterminazioni in conseguenza di quanto previsto al
precedente comma 398, in virtù del quale il contributo delle Regioni agli
obiettivi di finanza pubblica è stato incrementato di 3.452 milioni di euro per
ciascuno degli anni dal 2015 al 2018, con rinvio a decisioni in sede di
auto-coordinamento da recepire con intesa. L’intesa richiesta da questa
disposizione è stata sancita il 26 febbraio 2015 e, tra l’altro, ha previsto
che le risorse destinate al finanziamento del fabbisogno sanitario fossero ridotte
di 2.000 milioni di euro, con riferimento alla quota di pertinenza delle
Regioni ordinarie, e di 2.352 milioni di euro, includendo anche le autonomie
speciali. Con successiva intesa del 2 luglio 2015 sono state individuate le
specifiche misure di razionalizzazione necessarie allo scopo. Tenuto conto
altresì che l’art. 1, comma 167, della legge n. 190 del 2014 aveva incrementato
il finanziamento statale del fabbisogno sanitario di 5 milioni annui (per lo screening neonatale di patologie
ereditarie), l’intesa del 2 luglio 2015, al punto «G», numero 1), prefigurava i
seguenti livelli di finanziamento statale: 109.715 milioni di euro per il 2015;
113.097 milioni di euro per il 2016. Alle misure previste nelle due intese del
2015 hanno dato attuazione gli articoli da 9-bis a 9-octies,
introdotti nel decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in
materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei
dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle
spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di
emissioni industriali) dalla legge di conversione 6 agosto 2015, n. 125. In
particolare, l’art. 9-septies
riduceva «il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui
concorre lo Stato, come stabilito dall’articolo 1, comma 556, della legge 23
dicembre 2014, n. 190», dell’importo di 2.352 milioni di euro, con disposizione
destinata a valere (anche) per il 2016 (si veda, al riguardo, la sentenza n. 169 del
2017).
Riassumendo,
in punto di fatto è vero che la misura del concorso statale autorizzato dalla
norma censurata, per l’anno 2016, è inferiore a quella prevista in precedenza,
in una sequenza di atti normativi e convenzionali tra loro concatenati, gli
ultimi dei quali non sono di molto anteriori alla presentazione del disegno di
legge poi approvato come legge n. 208 del 2015.
In punto di
diritto, tuttavia, ciò non comporta di per sé un vizio di legittimità
costituzionale. Nessun accordo può condizionare l’esercizio della funzione
legislativa (fra le molte, sentenze n. 205 del
2016, n. 79 del 2011 e n. 437 del 2001), né, come già osservato, il principio di leale
collaborazione si impone nel procedimento legislativo parlamentare. È ben vero
che, in base al già citato art. 26, comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011, il
fabbisogno sanitario nazionale standard è determinato «tramite intesa», ma
questo principio legislativo non vincola in modo assoluto e inderogabile le
leggi successivamente approvate dalle due Camere.
D’altra
parte, la determinazione del concorso statale al fabbisogno sanitario nazionale
standard lascia ampio spazio, a valle, alle singole Regioni per disciplinare,
programmare e organizzare i servizi sanitari. Perciò, non ha rilievo il mancato
coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica (sentenza n. 141 del
2016): a fronte di
misure statali di coordinamento finanziario che incidono sull’autonomia delle
Regioni, è necessario, ma anche sufficiente, contemperare le ragioni
dell’esercizio unitario delle competenze statali e la garanzia delle funzioni
costituzionalmente attribuite alle autonomie, assicurando il pieno
coinvolgimento di queste ultime (vedi anche sentenza n. 65 del
2016); e ciò può
avvenire anche riconoscendo loro poteri di determinazione in ordine alla
modulazione delle necessarie riduzioni nei diversi ambiti di spesa.
9.2.4.– Pure le censure regionali che riguardano l’asserita
inadeguatezza del concorso statale alla spesa sanitaria non sono fondate: anche
a questo proposito, la ricorrente non ha provato adeguatamente l’oggettiva impossibilità
di esercitare le proprie funzioni in materia, né ha argomentato quale sarebbe
stato il diverso importo allo scopo necessario, limitandosi a rinviare ai
precedenti atti normativi e convenzionali, dei quali si è già detto.
Nondimeno,
occorre confermare che la garanzia di servizi effettivi, che corrispondono a
diritti costituzionali, richiede certezza delle disponibilità finanziarie, nel
quadro dei compositi rapporti tra gli enti coinvolti (sentenza n. 275 del
2016). Anche la tutela
del diritto alla salute non può non subire i condizionamenti che lo stesso
legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie disponibili (da
ultimo, sentenza n. 203 del
2016), senza però che
possa essere compromessa la garanzia del suo nucleo essenziale. A maggior
ragione, tuttavia, la quantificazione delle risorse in modo funzionale alla
realizzazione degli obiettivi previsti dalla legislazione vigente si impone,
anche in questo ambito, come canone fondamentale e presupposto del buon
andamento dell’amministrazione, che deve sempre essere rispettato da parte del
legislatore (sentenza n. 10 del
2016).
Pertanto, le
determinazioni sul fabbisogno sanitario complessivo non dovrebbero discostarsi
in modo rilevante e repentino dai punti di equilibrio trovati in esito al
ponderato confronto tra Stato e Regioni in ordine ai rispettivi rapporti
finanziari, senza che tale scostamento appaia giustificabile alla luce di
condizioni e ragioni sopraggiunte.
riservata a separate pronunce la decisione delle altre
questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso in epigrafe;
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 526 e 536, della legge 28
dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nella parte in
cui prevedono che i decreti ministeriali ivi contemplati siano emanati «sentita
la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano», anziché d’intesa con la stessa Conferenza;
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 524, 525 e 529, della legge
n. 208 del 2015, nella parte in cui prevedono che i provvedimenti ivi
contemplati siano adottati dalla Giunta regionale;
3) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da
524 a 529 e da 531 a 536, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento
agli artt. 3, 32 e 97 della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso
in epigrafe;
4) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 524 a
529 e da 531 a 536, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli
artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., dalla Regione Veneto, con il
ricorso in epigrafe;
5) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 553 e
555, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 3, 32,
97, 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché al principio di
leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., dalla Regione Veneto,
con il ricorso in epigrafe;
6) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 553
e 555, della legge n. 208 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 5, comma
1, lettera g), della legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di
bilancio nella Carta costituzionale), e all’art. 11 della legge 24 dicembre
2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di
bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), dalla
Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe;
8) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 568,
della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 3, 32, 97,
117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché al principio di
leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost., dalla Regione Veneto,
con il ricorso in epigrafe.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il
14 luglio 2017.