Sentenza n. 40 del 2016

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SENTENZA N. 40

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                   Presidente

-           Paolo                          GROSSI                                              Giudice

-           Giorgio                       LATTANZI                                               ”

-           Aldo                           CAROSI                                                    ”

-           Marta                          CARTABIA                                              ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                                 ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                             ”

-           Giuliano                      AMATO                                                    ”

-           Silvana                        SCIARRA                                                 ”

-           Daria                           de PRETIS                                                ”

-           Nicolò                         ZANON                                                    ”

-           Franco                        MODUGNO                                             ”

-           Augusto Antonio      BARBERA                                               ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                                         ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 46, commi 1, 2 e 3, e 47, commi da 1 a 7, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 22 agosto 2014, depositato in cancelleria il 28 agosto 2014 ed iscritto al n. 66 del registro ricorsi 2014.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2016 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− La Regione siciliana, con ricorso notificato il 21 agosto 2014 presso l’Avvocatura generale dello Stato e, in data 22 agosto 2014, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, poi depositato nella cancelleria di questa Corte il 28 agosto 2014 (reg. ric. n. 66 del 2014), ha impugnato, tra gli altri, gli artt. 46, commi 1, 2 e 3, e 47, commi da 1 a 7, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89.

La ricorrente, in particolare, evidenzia che il comma 2 dell’art. 46 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, nel ridefinire, per le Regioni speciali e le Province autonome, l’obiettivo del patto di stabilità, ha aggiunto – a modifica della disciplina dettata dall’art. 1, comma 454, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013) – ulteriori oneri a carico della Regione siciliana, elevandone il contributo a 222 milioni di euro per l’anno 2014 e a 311 milioni di euro per il triennio 2015-2017.

I commi 1 e 2 dell’art. 46 violerebbero così gli artt. 8 (rectius: 81), ultimo comma, e 119 della Costituzione, nonché gli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e l’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).

La norma citata, infatti, metterebbe in crisi il raggiungimento dell’equilibrio finanziario del bilancio regionale e sarebbe stata adottata senza alcuna preventiva intesa, in violazione del principio di leale collaborazione fra Stato e Regione.

Gli stessi vizi inficerebbero il comma 3 del citato art. 46, il quale – nel modificare l’art. 1, comma 526, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014) – dispone un altro concorso delle autonomie speciali alla finanza pubblica, onerando ulteriormente la Regione siciliana di circa 194 milioni di euro per il 2014 e di circa 132 milioni di euro per il triennio 2015-2017.

I commi da 1 a 7 dell’art. 47, invece, nel prevedere che il mancato versamento, da parte di Province e Città metropolitane, del contributo alla finanza pubblica posto a loro carico, venga recuperato dall’Agenzia delle entrate a valere sui versamenti per imposte sull’assicurazione contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, violerebbero l’art. 36 dello statuto siciliano e l’art. 2, primo comma, delle relative norme di attuazione, in quanto i proventi di tale imposta, in Sicilia, spettano alla Regione.

1.2.− È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale, con memoria depositata il 30 settembre 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato.

Secondo la difesa statale, in via preliminare, tutte le disposizioni censurate ricadrebbero sotto il disposto dell’art. 50-bis, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, contenente una apposita clausola di salvaguardia, a tenore della quale le disposizioni del decreto «si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano secondo le procedure previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione». In considerazione di tale clausola, che assicurerebbe il pieno rispetto delle norme statutarie asseritamente lese, alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia, il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile.

La stessa conseguenza processuale deriverebbe anche dal fatto che le disposizioni censurate, in ragione del loro contenuto, costituirebbero principi fondamentali della finanza pubblica, come tali valide per tutti i livelli di governo.

Ulteriore ragione di inammissibilità si rinverrebbe nella genericità delle censure avanzate.

Infine, sempre in via preliminare, la difesa statale ha sottolineato che in data 9 giugno 2014 è stato siglato un accordo tra il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Presidente della Regione siciliana, con la definizione dei reciproci impegni finanziari per il periodo 2014-2017, sicché, in ordine ai rilievi mossi con il ricorso introduttivo, sarebbe cessata la materia del contendere.

Nel merito, quanto alle censure mosse ai commi da 1 a 3 dell’art. 46 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, la difesa statale deduce che l’autonomia finanziaria delle Regioni, anche di quelle a statuto speciale, deve essere considerata nell’ambito di una valutazione comparativa delle esigenze dell’intera Nazione, alla luce del momento congiunturale e della peculiarità della materia. Da questo punto di vista, anche norme puntuali adottate per realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario possono essere ricondotte nell’ambito dei principi di coordinamento della finanza pubblica, e in ogni caso le disposizioni orientate al contenimento della spesa pubblica rappresentano un legittimo esercizio della potestà statale concorrente in materia, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Le misure che fissano un ulteriore contributo delle autonomie speciali alla finanza pubblica, dunque, sarebbero anch’esse riferibili al coordinamento spettante allo Stato in materia. Si tratterebbe altresì di considerare la valenza costituzionale assunta – nell’art. 119 Cost., come modificato dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) – dal principio del pareggio di bilancio, che impone a tutti gli enti di concorrere ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, pur con la salvaguardia degli ambiti di autonomia costituzionalmente garantiti.

Ne conseguirebbe che anche le autonomie speciali, al di là delle regole del patto di stabilità interno, sono obbligate ad adeguare la loro legislazione ai principi di coordinamento della finanza pubblica, con la possibilità di adottare specifiche misure di recepimento della normativa statale, alla luce delle proprie peculiarità.

Quanto alle censure afferenti ai commi da 1 a 7 dell’art. 47 – che determinano la misura del contributo alla finanza pubblica delle Province e delle Città metropolitane, nelle more dell’individuazione dei beni e delle risorse connesse all’esercizio delle funzioni che devono essere trasferite dalle Province agli enti subentranti ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni) –, l’Avvocatura statale ha richiamato le difese già spiegate nel ricorso (reg. ric. n. 50 del 2014) promosso dalla Regione siciliana nei confronti dell’art. 10 del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 2 maggio 2014, n. 68, contenente norme di analogo tenore.

Ha precisato, in particolare, che il meccanismo di rivalsa fa leva sull’estensione a tutto il territorio nazionale delle disposizioni di cui all’art. 17 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), relativo all’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore ed alla attribuzione del relativo gettito alle Province.

Ha aggiunto che, con legge regionale 26 marzo 2002, n. 2 (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002), la Regione siciliana ha stabilito di devolvere alle Province regionali il gettito del tributo in esame e, con successiva legge regionale 5 dicembre 2013, n. 21 (Disposizioni finanziarie urgenti per l’anno 2013. Disposizioni varie), ha ribadito tale attribuzione, precisando che essa avviene nella misura e con le modalità stabilite dal comma 2 del citato art. 17 del d.lgs. n. 68 del 2011.

Osserva, tuttavia, che le censure sarebbero, in via preliminare, inammissibili per carenza di interesse concreto ed attuale a ricorrere. La Regione, infatti, non patirebbe alcun pregiudizio finanziario in termini di minori entrate, non soltanto perché si è spogliata preventivamente del gettito di cui si tratta, ma anche perché ha disposto l’attribuzione di esso alle Province, assicurando, al contempo, l’invarianza del saldo con riferimento all’insieme dei trasferimenti regionali in favore delle Province beneficiarie, attraverso il rinvio all’art. 10, comma 3, della legge regionale n. 2 del 2002, che stabilisce una riduzione dei trasferimenti della Regione alle Province regionali, per un importo pari al «gettito riscosso» per l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. A nulla perciò servirebbe, per la Regione, accertare se quel gettito venga riversato o meno alle Province da parte degli apparati riscossori.

Infine, non si rileverebbe alcuna lesione delle prerogative statutarie, in quanto il legislatore statale non interferisce nella disciplina della spettanza del gettito, ma procede ad una mera rivalsa creditoria sotto forma di accantonamento contabile o minore trasferimento di somme che la Regione siciliana ha attribuito legislativamente alle Province (ed alle quali, per ragioni contabili, affluirebbero a queste ultime attraverso le strutture finanziarie erariali): le norme impugnate non esproprierebbero le Province dal gettito loro spettante, ma, al contrario, proprio sul presupposto di tale legittima entrata tributaria, procederebbero a trattenere le somme dovute allo Stato ad altro titolo.

Considerato in diritto

1.– La Regione siciliana ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 46, commi 1, 2 e 3, e 47, commi da 1 a 7, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89.

La ricorrente sottolinea che l’art. 46, comma 2, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, ha ridefinito, per le Regioni speciali e le Province autonome, l’obiettivo del patto di stabilità, e ha aggiunto – a modifica della disciplina dettata dall’art. 1, comma 454, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013) – ulteriori oneri a carico della Regione, elevandone il contributo a 222 milioni di euro per l’anno 2014 e a 311 milioni di euro per il triennio 2015-2017. Così facendo, la disposizione impugnata e il comma 1 dell’art. 46 avrebbero violato gli artt. 8 (rectius: 81), ultimo comma, e 119 della Costituzione, nonché gli artt. 36 e 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).

Tali ulteriori oneri, infatti, metterebbero in crisi il raggiungimento dell’equilibrio finanziario del bilancio regionale, oltre ad essere stati adottati senza alcuna preventiva intesa, in violazione del principio di leale collaborazione fra Stato e Regione.

Gli stessi vizi inficerebbero il comma 3 del citato art. 46, il quale – nel modificare l’art. 1, comma 526, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014) – dispone un altro concorso delle autonomie speciali alla finanza pubblica, onerando ulteriormente la Regione siciliana di circa 194 milioni di euro per il 2014 e di circa 132 milioni di euro per il triennio 2015-2017.

I commi da 1 a 7 dell’art. 47, infine, nel prevedere che il mancato versamento, da parte di Province e Città metropolitane, del contributo alla finanza pubblica posto a loro carico venga recuperato dall’Agenzia delle entrate a valere sui versamenti per imposte sull’assicurazione contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, violerebbero l’art. 36 dello statuto siciliano e l’art. 2, primo comma, delle relative norme di attuazione, in quanto i proventi di tale imposta, in Sicilia, spettano alla Regione.

2.– Riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni promosse dalla ricorrente con il medesimo ricorso, va preliminarmente rilevato che le disposizioni impugnate sono state modificate nella pendenza del giudizio dinnanzi a questa Corte.

Infatti, l’art. 46, comma 2, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito (e qui impugnato), recava modifica all’art. 1, comma 454, lettera d), della legge n. 228 del 2012, e quest’ultima disposizione è stata ulteriormente modificata dall’art. 1, comma 415, lettera b), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), che ha esteso temporalmente, fino all’anno 2018, il contributo imposto alle autonomie speciali.

A sua volta, l’art. 1, comma 526, della legge n. 147 del 2013, modificato dall’art. 46, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito (impugnato nel presente giudizio), è stato ulteriormente modificato dall’art. 1, comma 416, lettere a) e b), della legge n. 190 del 2014, che ha esteso il concorso ulteriore delle autonomie speciali anche all’anno 2018.

Entrambe le modifiche sono state autonomamente impugnate dalla Regione siciliana con ricorsi distinti e successivi a quello ora in esame. Lo scrutinio di questa Corte deve pertanto limitarsi al contenuto precettivo delle disposizioni impugnate in questa sede, senza necessità di valutare il trasferimento delle attuali questioni di legittimità costituzionale alle modifiche normative sopravvenute (da ultimo, sentenze n. 239 e n. 77 del 2015).

Quanto all’art. 47 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, il testo originario era stato già modificato, prima della proposizione del ricorso della Regione siciliana – che dunque ha già tenuto conto della novella – dal decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114.

Successivamente alla proposizione del ricorso, ulteriori modifiche sono state disposte dall’articolo 1, comma 451, della legge n. 190 del 2014.

In particolare, la lettera a) del comma appena citato ha modificato il comma 1 dell’art. 47 del d.l. 66 del 2014, come convertito, estendendo l’orizzonte temporale del contributo alla finanza pubblica all’anno 2018.

La lettera b) del medesimo comma 451 ha modificato la lettera c) del comma 2 dell’art. 47 del d.l. 66 del 2014, come convertito, anche in tal caso estendendo all’anno 2018 la riduzione di spesa ivi prevista.

La ricorrente non ha autonomamente impugnato le due disposizioni di modifica, sicché va verificata la necessità del trasferimento a queste ultime delle questioni di legittimità costituzionale proposte sulle norme originarie.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che, in caso di ius superveniens, la questione di legittimità costituzionale deve essere trasferita quando la disposizione impugnata sia stata modificata marginalmente (sentenza n. 30 del 2012), senza che ne sia conseguita l’alterazione della sua portata precettiva (sentenza n. 193 del 2012) e la modifica risulti comunque orientata in senso non satisfattivo alle richieste della ricorrente (da ultimo, sentenze n. 155 e n. 46 del 2015).

In definitiva, se dalla disposizione legislativa sopravvenuta sia desumibile una norma sostanzialmente coincidente con quella impugnata, la questione – in forza del principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via d’azione – deve intendersi trasferita sulla nuova norma (sentenza n. 326 del 2010 e da ultimo sentenze n. 155, n. 77 e n. 46 del 2015).

Se, invece, a seguito della modifica, la norma appaia dotata «di un contenuto radicalmente innovativo rispetto alla norma originaria» (sentenza n. 219 del 2013), si deve concludere per la portata innovativa della modifica stessa, che va impugnata con autonomo ricorso, poiché il trasferimento «supplirebbe impropriamente all’onere di impugnazione» (sentenze n. 17 del 2015, n. 138 del 2014, n. 300 e n. 32 del 2012).

Orbene, quanto alla modifica operata dall’art. 1, comma 451, lettera a), della legge n. 190 del 2014, essa ha esteso anche all’anno 2018 il contributo alla finanza pubblica delle Province e Città metropolitane, previsto dal comma 1 dell’art. 47 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, per l’importo complessivo di 585,7 milioni di euro.

Quanto alla modifica recata dall’art. 1, comma 451, lettera b), della legge n. 190 del 2014, essa, a sua volta, ha esteso anche all’anno 2018 l’obbligo per le Province e per le Città metropolitane – previsto dal comma 2, lettera c), dell’art. 47 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito – di ridurre la spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, in proporzione alla spesa comunicata al Ministero dell’interno dal Dipartimento della funzione pubblica.

Le modifiche non sono certamente satisfattive per la ricorrente, ma non presentano carattere marginale, determinando, entrambe, sia una diversa portata precettiva delle disposizioni modificate, sia un’autonoma incisione, nei due casi, sugli interessi della ricorrente.

Non può, infatti, dubitarsi che in tal senso siano da valutare l’estensione di un anno, successivo all’iniziale quadriennio contemplato, del concorso alla finanza pubblica delle Province e delle Città metropolitane, nonché l’analoga estensione di un anno, rispetto all’originario triennio, del loro obbligo di ridurre la spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

L’autonomia precettiva di disposizioni che estendono il confine temporale di applicazione di norme riduttive della spesa comporta l’onere di separate impugnative. A tale onere, gravante sulle parti, supplirebbe invece impropriamente il trasferimento delle questioni, che, perciò, devono restare limitate al contenuto precettivo originario dei commi 1 e 2 dell’art. 47 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito.

3.– L’Avvocatura generale dello Stato solleva plurime eccezioni d’inammissibilità.

3.1.– La difesa statale, in via preliminare, ha invocato la declaratoria di «cessazione della materia del contendere», allegando che, in data 9 giugno 2014, è stato siglato un accordo tra il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Presidente della Regione siciliana, con la definizione dei reciproci impegni finanziari per il periodo 2014-2017.

Tale richiesta non può essere accolta.

Ben vero che la Regione siciliana ha sottoscritto, il 9 giugno 2014, un accordo in materia di finanza pubblica con lo Stato, parzialmente trasfuso nell’art. 42 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164.

Nell’accordo, tuttavia, la Regione siciliana si è impegnata «a ritirare, entro il 30 giugno 2014, tutti i ricorsi contro lo Stato pendenti dinanzi alle diverse giurisdizioni relativi alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in materia di finanza pubblica, promossi prima del presente accordo, o, comunque, a rinunciare per gli anni 2014-17 agli effetti positivi sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto che dovessero derivare da eventuali pronunce di accoglimento».

Come risulta chiaramente dal testo appena citato, l’impegno regionale è nel senso del ritiro di tutti i ricorsi presentati prima dell’accordo in questione, mentre il ricorso ora in esame è stato presentato in data successiva alla stipulazione di tale accordo.

Pertanto – e a prescindere dalla considerazione che nemmeno la conclusione di un accordo che contenga l’impegno della Regione alla rinuncia a tutti i ricorsi pendenti potrebbe spiegare effetti nel giudizio in via principale, in mancanza di espressa rinuncia del ricorrente (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 28 del 2016, n. 263, n. 249, n. 239 e n. 19 del 2015) – il ricorso deve essere trattato, non essendo venuto meno l’interesse della ricorrente alla decisione.

3.2.– In secondo luogo, per la difesa erariale, il ricorso sarebbe inammissibile poiché tutte le disposizioni censurate ricadrebbero sotto il disposto della clausola di salvaguardia prevista all’art. 50-bis, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, secondo cui le disposizioni del decreto «si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano secondo le procedure previste dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione». L’operatività di tale clausola assicurerebbe il pieno rispetto delle norme statutarie asseritamente violate.

Tale eccezione non è fondata.

Le norme contenute nei primi tre commi dell’art. 46 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, recano prescrizioni specificamente ed esclusivamente rivolte alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome. Deve farsi perciò applicazione del principio, già affermato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui l’illegittimità costituzionale di una previsione legislativa non è esclusa dalla presenza di una clausola di salvaguardia, allorquando tale clausola entri in contraddizione con quanto testualmente affermato dalle norme impugnate, che facciano esplicito riferimento alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome (da ultimo, sentenze n. 156 e n. 77 del 2015).

Quanto al resto delle disposizioni impugnate, cioè ai commi da 1 a 7 dell’art. 47 del decreto-legge in esame, se anche si ritenesse operativa la clausola di salvaguardia, la conseguenza non potrebbe essere la declaratoria di inammissibilità richiesta dalla difesa statale. L’applicabilità nei confronti della Regione siciliana della normativa statale impugnata implica una valutazione circa il rispetto delle norme statutarie da parte di tale normativa, e ciò non incide sulla ammissibilità delle questioni sollevate, ma sulla loro fondatezza. Per essere applicabile alle Regioni ad autonomia speciale, quella disciplina richiede infatti il recepimento tramite le apposite procedure prescritte dalla normativa statutaria e di attuazione statutaria, e il giudizio sulla circostanza se tali procedure siano state seguite comporta una valutazione sul merito delle censure proposte (sentenze n. 141 del 2015, n. 236 del 2013, n. 178 del 2012 e n. 145 del 2008).

3.3.– Secondo la difesa statale, il ricorso sarebbe, ancora, inammissibile in quanto «tutte le disposizioni censurate, in ragione del loro contenuto, costituiscono principi fondamentali della finanza pubblica che, come tali, non possono non imporsi a tutti i livelli di governo».

Anche tale eccezione non è fondata.

Come da ultimo ricordato nella sentenza n. 273 del 2015, è ben vero che la giurisprudenza costituzionale ha più volte precisato che i principi di coordinamento della finanza pubblica recati dalla legislazione statale si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale (ex plurimis, tra le più recenti, sentenze n. 273, n. 263, n. 239, n. 238, n. 176 e n. 82 del 2015). Tuttavia, dalla qualificazione delle disposizioni impugnate in termini di principi di coordinamento della finanza pubblica discende – secondo quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, proprio con riguardo alla Regione siciliana – «semmai, l’infondatezza e non già l’inammissibilità del ricorso» (sentenze n. 273 e n. 176 del 2015).

3.4.– L’Avvocatura generale dello Stato ritiene, altresì, inammissibili tutte le questioni prospettate per genericità delle censure.

Tale eccezione va senz’altro accolta con riferimento alla questione di legittimità promossa sull’art. 47, commi da 1 a 3 e da 5 a 7, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, risultando invece priva di fondamento con riferimento all’impugnativa degli artt. 46, commi da 1 a 3, e 47, comma 4, del medesimo testo normativo.

Nel ricorso in esame, infatti, in relazione alle questioni promosse sull’art. 46, commi da 1 a 3, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, risultano spese – assai sinteticamente ma non apoditticamente – argomentazioni incentrate sull’impossibilità di raggiungere l’equilibrio finanziario del bilancio regionale e sulla violazione del principio di leale collaborazione fra Stato e Regione, alla luce dell’adozione di misure finanziarie senza alcuna preventiva intesa.

In relazione al comma 4 dell’art. 47 del decreto-legge in esame, risulta una contestazione della previsione del meccanismo di recupero, ad opera dell’Agenzia delle entrate, del mancato versamento, da parte di Province e Città metropolitane, del contributo alla finanza pubblica posto a carico di queste ultime.

Invece, con riferimento ai commi da 1 a 3 e da 5 a 7 dell’art. 47 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, non è rinvenibile alcuna, benché minima, illustrazione dei profili di contrasto di tali disposizioni con i parametri costituzionali e statutari evocati: sicché, per questa parte del ricorso, l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa statale va accolta.

3.5.– Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, infine, le censure relative al comma 4 dell’art. 47 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, sarebbero ulteriormente inammissibili per carenza di interesse concreto ed attuale a ricorrere. Infatti, dall’applicazione di questa disposizione, la Regione non patirebbe alcun pregiudizio finanziario in termini di minori entrate, non soltanto perché si è spogliata preventivamente del gettito dell’imposta di cui si tratta, ma anche perché ha disposto l’attribuzione di essa alle Province, assicurando, al contempo, l’invarianza del saldo con riferimento all’insieme dei trasferimenti regionali in favore delle Province beneficiarie. A nulla gioverebbe, perciò, alla Regione, accertare se quel gettito venga riversato o meno alle Province da parte degli apparati riscossori.

Anche tale eccezione non è fondata.

È vero, infatti, che, ai sensi della normativa dettata dalla stessa Regione siciliana, i trasferimenti alle Province regionali sono ridotti per un importo pari al gettito riscosso per l’imposta di cui si tratta, ma è evidente che la riduzione di liquidità a disposizione delle Province, come conseguenza dell’applicazione del meccanismo compensatorio previsto dalla norma impugnata, potrebbe determinare effetti indiretti sulle finanze regionali, per l’eventuale necessità di ulteriori trasferimenti che si renderebbero necessari al fine di assicurare il regolare svolgimento delle funzioni affidate alle Province. Tanto basta per giustificare l’interesse processuale al ricorso ed il rigetto dell’eccezione (sentenza n. 97 del 2013), salva ovviamente la verifica, nel merito, della fondatezza della censura in ordine alla contestata legittimità dell’intervento legislativo statale, in relazione ai parametri statutari invocati.

4.– In via ancora preliminare, ed in relazione alle censure mosse all’art. 46, commi 1 e 2, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, questa Corte ritiene di dover distinguere il destino dell’impugnativa a seconda dei parametri di riferimento evocati dalla ricorrente, rilevando d’ufficio l’inammissibilità del ricorso, per incertezza ed oscurità della censura (sentenza n. 238 del 2015), per la parte in cui asserisce la violazione degli artt. 81, ultimo comma, e 119 Cost., nonché dell’art. 36 dello statuto siciliano e dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, i termini delle questioni di legittimità costituzionale debbono essere ben identificati, dovendo il ricorrente individuare le disposizioni impugnate, i parametri evocati e le ragioni dei dubbi di legittimità costituzionale (ex multis, tra le più recenti, sentenze n. 3 del 2016, n. 273, n. 176 e n. 131 del 2015). Si è, infatti, più volte chiarito che l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale (ex plurimis, sentenze n. 251, n. 233, n. 218, n. 142, n. 82 e n. 32 del 2015).

Orbene, con specifico riferimento all’impugnativa dell’art. 46, commi 1 e 2, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, prospettata con riferimento alla violazione degli artt. 81, ultimo comma, e 119 Cost., nonché dell’art. 36 dello statuto siciliano e dell’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, va ribadita l’inammissibilità della questione, già stabilita, in riferimento a censura del tutto analoga, con la sentenza n. 238 del 2015 di questa Corte. In tale pronuncia – resa a fronte di un ricorso della stessa Regione siciliana, che impugnava (peraltro con apparato argomentativo ben più diffuso di quello speso dalla ricorrente in questa sede) una disposizione modificativa proprio dell’art. 1, comma 454, della legge n. 228 del 2012, ovvero della stessa disposizione ora analogamente modificata dall’art. 46, comma 2, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito e qui censurato – si era rilevato che il motivo di ricorso risultava particolarmente oscuro, in quanto pareva presupporre, senza alcun sostegno argomentativo, che i contributi alla finanza pubblica stabiliti dalla norma allora censurata a carico della ricorrente comportassero un trasferimento di risorse dalla Regione allo Stato. Si trattava, invece, come emergeva dal loro inquadramento nell’ambito dell’art. 1, comma 454, della legge n. 228 del 2012, di una riduzione della spesa regionale, che avrebbe dovuto agevolare, e non compromettere, come lamentato dalla ricorrente, il raggiungimento dell’equilibrio di bilancio.

Le stesse considerazioni vanno ribadite in questo caso, tra l’altro a fronte, si ripete, di un apparato argomentativo assai più sintetico e ridotto, che tuttavia replica – dinnanzi ad analoghe misure di contenimento di spesa – i medesimi argomenti di sostanza.

5.– Nel merito, tutte le residue questioni proposte non sono fondate.

5.1.– Non fondata, innanzitutto, è la questione di legittimità costituzionale prospettata sull’art. 46, commi 1 e 2, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, per il superstite profilo di violazione dell’art. 43 dello statuto di autonomia siciliano, in quanto prevederebbe una misura di finanza pubblica senza previa intesa con la Regione.

Nella ricordata sentenza n. 238 del 2015, analoga censura della Regione siciliana proposta avverso una disposizione dai contenuti sovrapponibili a quelle ora in esame (l’art. 1, comma 499, della legge n. 147 del 2013), è già stata dichiarata non fondata. Ciò, sul presupposto per cui, di regola, i principi di coordinamento della finanza pubblica recati dalla legislazione statale si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale (ex multis, da ultimo, sentenze n. 273, n. 263, n. 239, n. 238, n. 176 e n. 82 del 2015). Rispetto a questi ultimi, merita certo di essere privilegiata la via dell’accordo, ma, in casi particolari, il principio desunto dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), può essere derogato dal legislatore statale (ex plurimis, tra le più recenti, sentenze n. 263, n. 239, n. 238, n. 82, n. 77 e n. 46 del 2015) in quanto non recepito dallo statuto di autonomia siciliano o dalle norme di attuazione di esso.

Nel ricorso ora in esame, peraltro caratterizzato da una forte riduzione dell’apparato argomentativo rispetto a quello deciso dalla sentenza di questa Corte n. 238 del 2015, la Regione siciliana non fornisce alcuna ragione per discostarsi da tali assunti.

5.2.– Non fondate, inoltre, sono le questioni proposte avverso l’art. 46, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito.

Tale comma modifica l’art. 1, comma 526, della legge n. 147 del 2013, prevedendo un ulteriore concorso delle autonomie speciali alla finanza pubblica, con oneri specifici a carico della Regione siciliana.

Nella sentenza n. 239 del 2015, questa Corte, scrutinando l’appena citato art. 1, comma 526, della legge n. 147 del 2013, ha rigettato analoghe censure prospettate dalla stessa Regione siciliana, anche in quell’occasione incentrate sulla violazione degli artt. 81 e 119 Cost., nonché degli artt. 36 e 43 dello statuto speciale, e dell’art. 2, primo comma, delle relative norme di attuazione.

In particolare, è stata allora rigettata la censura, riproposta nel ricorso ora in esame, che lamentava un’asserita determinazione unilaterale, da parte dello Stato, del concorso delle autonomie speciali al risanamento della finanza pubblica, in violazione del principio dell’accordo. Ed è stato ribadito che, in un contesto di grave crisi economica, il legislatore, nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica, può discostarsi dal modello consensualistico prefigurato dal citato art. 27 della legge n. 42 del 2009, fermo restando il necessario rispetto della sovraordinata fonte statutaria (nello stesso senso anche la sentenza n. 77 del 2015).

Alla luce delle questioni ora proposte in relazione alle impugnate disposizioni del d.l. n. 66 del 2014, come convertito – sulla base, oltretutto, di un apparato argomentativo anche in tal caso fortemente ridotto e sintetico – questa Corte non vede ragioni per discostarsi dalle medesime conclusioni.

5.3.– Non fondate, infine, sono le questioni proposte avverso l’art. 47, comma 4, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, ovvero l’unica parte del citato articolo rispetto alla quale la Regione siciliana abbia proposto argomentate censure.

Secondo la ricorrente, nel prevedere che il mancato versamento, da parte di Province e Città metropolitane, del contributo alla finanza pubblica posto a loro carico, venga recuperato dall’Agenzia delle entrate a valere sui versamenti per imposte sull’assicurazione contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, tale disposizione violerebbe l’art. 36 dello statuto siciliano e l’art. 2, primo comma, delle relative norme di attuazione, in quanto i proventi di tale imposta, in Sicilia, spettano alla Regione.

Il ricorso regionale è stato depositato in data antecedente alla sentenza n. 67 del 2015 di questa Corte, che, scrutinando analoga questione prospettata dalla Regione siciliana (con riferimento ad un analogo meccanismo, disegnato dall’art. 16, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135), ha chiarito gli esatti termini del sistema di recupero oggetto delle odierne censure.

Come risulta dalla ricostruzione offerta dalla pronuncia appena ricordata, l’intervento statale si è mosso in uno spazio in cui l’autonomia statutaria ha avuto modo di dispiegarsi.

Istituita e disciplinata dal legislatore statale, l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore ha conservato la natura di tributo erariale, pur dopo la riqualificazione – in termini di «tributo proprio derivato» delle Province – effettuata dal legislatore con l’art. 17, comma 1, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario). In tal senso è la costante giurisprudenza costituzionale (ex multis, sentenze n. 67 del 2015, n. 97 del 2013, n. 123 del 2010 e n. 216 del 2009).

Pertanto, tale imposta rientra nel novero delle entrate che, ai sensi dell’art. 36 dello statuto siciliano e delle relative norme di attuazione, spettano alla Regione, nella misura in cui sono riscosse nell’ambito del suo territorio.

Ne consegue che le previsioni di cui all’art. 47, comma 4, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, intanto possono trovare applicazione per la Regione siciliana, in quanto la stessa Regione provveda con propria normativa a dare attuazione alla legislazione statale, nel rispetto della sua autonomia speciale.

Ebbene – come pure chiarito dalla sentenza n. 67 del 2015 – la Regione siciliana ha adottato la legge regionale 5 dicembre 2013, n. 21 (Disposizioni finanziarie urgenti per l’anno 2013. Disposizioni varie), con la quale ha esattamente provveduto in tal senso.

Con tale legge, infatti, la Regione siciliana non si è limitata a trasferire alle proprie Province il gettito fiscale relativo all’imposta di cui si tratta, ma ha inteso attribuire loro l’imposta stessa, in esplicita attuazione dell’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011. Non si pone, perciò, alcun problema di riserva (altrimenti illegittima) allo Stato di tributi spettanti alla Regione siciliana.

E poiché la legge regionale ha attribuito all’imposta in questione il carattere di tributo proprio derivato delle Province, è realizzato il presupposto che legittima il meccanismo di recupero previsto dalla norma impugnata, della cui applicazione nei suoi confronti la Regione non può dolersi.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 46, commi 1 e 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, promosse, in riferimento all’art. 36 del regio decreto legislativo 5 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), e all’art. 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché in riferimento agli artt. 81, ultimo comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47, commi da 1 a 3 e da 5 a 7, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, promosse, in riferimento all’art. 36 del r.d.lgs. n. 455 del 1946 e all’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 46, commi 1 e 2, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, promossa, in riferimento all’art. 43 del r.d.lgs. n. 455 del 1946, dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 46, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, promosse, in riferimento agli artt. 36 e 43 del r.d.lgs. n. 455 del 1946 e all’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, nonché in riferimento agli artt. 81, ultimo comma, e 119 Cost., dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47, comma 4, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, promosse, in riferimento all’art. 36 del r.d.lgs. n. 455 del 1946 e all’art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2016.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 febbraio 2016.