SENTENZA N. 141
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 138, 141, 142, 143 e 146 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), promossi dalle Regioni autonome Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e Friuli-Venezia Giulia con ricorsi notificati il 19-22 e il 27 febbraio 2013, depositati in cancelleria il 25 febbraio e il 4 marzo 2013, rispettivamente iscritti ai nn. 24 e 32 del registro ricorsi 2013.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 marzo 2015 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Alcune Regioni ad autonomia speciale e le Province autonome dubitano della legittimità costituzionale di alcune disposizioni dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013); in particolare hanno impugnato, tra gli altri, i commi 138, 141 e 143 (la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste); i commi 138, 141, 142, 143 e 146 (la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e Bolzano); i commi 138, 141, 142, 143, 145 e 146 (la Regione Sardegna), denunciandone il contrasto con i rispettivi statuti nonché con gli artt. 3, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.
2.− La Regione Sardegna, la Regione Trentino-Alto Adig/Südtirol e le Province autonome di Trento e Bolzano, con atti depositati in cancelleria, rispettivamente, in data 23, 28, 27 gennaio e 3 marzo 2015, hanno rinunciato, ciascuna, al proprio ricorso. A seguito di accettazione delle rinunce da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, con atti depositati in cancelleria in data 5, 17 e 19 marzo 2015, previa riunione dei predetti ricorsi, questa Corte ha dichiarato estinto il processo con ordinanza n. 68 del 2015.
3.− La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha proposto questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto, tra gli altri, i commi 138, 141 e 143 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e degli artt. 2, comma 1, lettera a), e 3, comma 1, lettera f), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta).
A parere della ricorrente, le censurate disposizioni si spingerebbero a disciplinare in modo specifico singole voci di spesa regionale, eccedendo la competenza statale e violando gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., i quali garantiscono, in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, la sfera di autonomia finanziaria della Regione. Del resto, questa Corte avrebbe in più occasioni ribadito che non possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica le norme statali che intervengono, come nel caso di specie, a fissare vincoli puntuali a singole voci di spesa dei bilanci delle Regioni. A tal proposito si rimanda altresì all’affermazione del principio secondo cui la legge dello Stato potrebbe legittimamente fissare solo un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. Le disposizioni censurate, lungi dal fissare un limite complessivo alla spesa regionale, vincolerebbero in modo stringente la Regione, privandola illegittimamente della libertà di allocazione delle proprie risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. Rispetto a tale prospettiva – prosegue la ricorrente – non assumerebbe alcun rilievo il fatto che le previsioni oggetto di gravame si presentino come temporalmente limitate.
Stante l’incidenza della disciplina statale su ambiti competenziali riservati, la ricorrente lamenta la violazione della propria potestà legislativa nelle materie «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione» e «finanze regionali e comunali», tutelate in capo alla medesima Regione, rispettivamente dall’art. 2, comma l, lettera a), e dall’art. 3, comma l, lettera f), dello statuto.
3.1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito con atto depositato il 2 aprile 2013 deducendo l’infondatezza delle censure prospettate.
Si argomenta che le norme impugnate recherebbero misure di contenimento di talune spese delle Amministrazioni pubbliche e che tali misure, nel complesso, sarebbero strumentali al perseguimento di obiettivi di finanza pubblica tesi a garantire anche una maggior riqualificazione della spesa pubblica complessiva.
Si sostiene che la normativa statale potrebbe considerarsi espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica nel senso di limite globale e complessivo, al punto che ciascuna Regione dovrebbe ritenersi libera di darvi attuazione, nelle varie leggi di spesa, relativamente ai diversi comparti, in modo graduato e differenziato, purché il risultato complessivo sia pari a quello indicato nella legge statale.
4.− La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha proposto in via principale questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto, tra gli altri, i commi 138, 141, 142, 143 e 146 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, per violazione (con riferimento al comma 138) dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che dell’autonomia finanziaria della Regione delineata dal Titolo IV della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e dal d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale) e dell’autonomia organizzativa fissata dall’art. 4, numero l, dello statuto (o dall’art. 117, quarto comma, Cost., se ritenuto più favorevole) e della competenza regionale in materia di finanza locale, risultante dall’art. 4, numero l-bis, dello statuto e dall’art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), nonché della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2011) e del relativo principio dell’accordo in materia finanziaria; e per violazione (con riferimento ai restanti commi) dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. oltre che degli artt. 4, 5 e 49 dello statuto, dell’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997 e della legge n. 220 del 2010.
La Regione si sofferma su una preliminare riflessione sulla portata della clausola di salvaguardia di cui al comma 554 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, rimettendo alla Corte il dubbio sull’effettiva applicabilità delle disposizioni censurate alle Regioni ad autonomia speciale.
Argomenta, poi, le specifiche censure con riferimento alle disposizioni impugnate, per l’ipotesi in cui la Corte affermi la non operatività della predetta clausola di salvaguardia.
Quanto al comma 138, a parere della ricorrente esso violerebbe i parametri costituzionali e statutari sopra ricordati e lederebbe il principio dell’accordo in materia finanziaria, in quanto la legge n. 220 del 2010, adottata sulla base di un accordo tra Stato e Regione Friuli-Venezia Giulia, regola (con le disposizioni dell’art. l, commi 154 e 155) in modo esaustivo le modalità di concorso della Regione al risanamento della finanza pubblica e le procedure di definizione del patto di stabilità interno e attribuisce poteri di coordinamento della finanza pubblica alla Regione in relazione alle aziende sanitarie locali e agli enti locali che costituiscono il «sistema regionale integrato». In particolare, poi, la previsione della necessità che l’Agenzia del demanio attesti la congruità del prezzo, «previo rimborso delle spese», lederebbe sia l’autonomia amministrativa che l’autonomia finanziaria regionale.
Con riferimento ai commi 141, 143 e 146, la ricorrente sostiene che essi conterrebbero norme dettagliate di coordinamento finanziario, atte a disciplinare «voci ultra-minute di spesa», direttamente applicabili e, nel caso del comma 146, non temporanee. Essi sarebbero, quindi, illegittimi per le medesime ragioni esposte con riferimento al comma 138.
In ordine al comma 142, la Regione valorizza il dettato normativo, che ne esclude l’applicazione «agli enti e agli organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali», per dedurne, anche alla luce della clausola di salvaguardia contenuta nel citato comma 554, l’inapplicabilità alla Regione Friuli-Venezia Giulia e agli enti locali del suo territorio. Nel caso in cui, invece, tale comma venisse inteso come rivolto anche ad essi, si dovrebbe censurare l’obbligo di versare «le somme derivanti dalle riduzioni di spesa di cui al comma 141 […] ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato», in quanto esso si tradurrebbe in un ulteriore contributo a carico dei bilanci della Regione e degli enti locali. La previsione di tale contributo contrasterebbe, da un lato, con l’art. 49 dello statuto, in quanto parte delle risorse affluite alla Regione in base a tale norma statutaria sarebbe unilateralmente avocata dal legislatore statale; dall’altro lato, con la legge n. 220 del 2010, che regola in modo compiuto i modi in cui la Regione concorre agli obiettivi di finanza pubblica, e con il principio dell’accordo in materia finanziaria. Inoltre, sarebbe violata l’autonomia regionale di spesa in quanto il comma 142 verrebbe ad impedire alla Regione di utilizzare liberamente le risorse frutto dei risparmi per altri scopi, da essa individuati nell’esercizio della propria autonomia organizzativa e delle proprie competenze di settore. Quanto agli enti locali, poi, la previsione del contributo ne violerebbe l’autonomia finanziaria e lederebbe la competenza della Regione in materia di finanza locale, in quanto le risorse risparmiate, affluite agli enti locali dalla Regione, non tornerebbero alla Regione o non sarebbero spese nell’ambito della propria autonomia dagli enti locali ma dovrebbero essere versate al bilancio statale. Ciò rappresenterebbe anche violazione del principio di ragionevolezza, con evidente ripercussione di tale vizio sulla competenza regionale. Inoltre, il comma 142 violerebbe l’art. l, commi 154 e 155, della legge n. 220 del 2010, che attribuisce alla Regione poteri di coordinamento della finanza pubblica in relazione agli enti locali.
4.1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito con atto depositato l’8 aprile 2013 deducendo l’infondatezza delle censure prospettate.
Con riferimento al comma 138 viene evidenziato che le disposizioni impugnate, nell’introdurre specifici vincoli alle autonomie territoriali in ordine ad operazioni immobiliari a titolo oneroso, si configurerebbero, al pari delle altre disposizioni contenute nella legge di stabilità, quali misure di contenimento della spesa pubblica che legittimamente il legislatore statale può imporre agli enti autonomi al fine di garantire l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, sia per il perseguimento di obiettivi nazionali (riduzione del debito), sia per il perseguimento di obblighi comunitari. Con la conseguenza che lo spessore finanziario sarebbe destinato a prevalere – tanto più nell’attuale contesto economico finanziario emergenziale, improntato ad assoluto rigore – anche su profili più prettamente «patrimoniali», consentendo al legislatore statale di dettare previsioni, più o meno puntuali, anche sulla gestione di beni di proprietà delle Regioni, in un’ottica di necessaria uniformità sull’intero territorio nazionale.
Con riferimento ai commi 141, 142, 143 e 146, si rileva che il complesso di norme in esame sarebbe strumentale al perseguimento di obiettivi di finanza pubblica e alla riqualificazione della spesa pubblica complessiva.
Si segnala altresì che le disposizioni in esame potrebbero essere qualificate norme di principio e ben potrebbero, quindi, in quanto disposizioni statali di principio adottate in materia di coordinamento della finanza pubblica, incidere su una o più materie di competenza regionale, anche di tipo residuale, e determinare una, sia pure parziale, compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze legislative e amministrative delle Regioni. Viene ricordato che, come precisato dalla Corte, con la sentenza n. 430 del 2007, la specificità delle previsioni, di per sé, non esclude il carattere e la natura di principio di una norma, qualora essa risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione. D’altro canto, il legislatore statale potrebbe imporre vincoli alle politiche regionali di bilancio – anche se questi ultimi, indirettamente, vengono a incidere sull’autonomia regionale di spesa – per ragioni di coordinamento finanziario volte a salvaguardare, proprio attraverso il contenimento della spesa corrente, l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari.
La legittimità costituzionale delle disposizioni censurate sarebbe confermata dalla recente giurisprudenza della Corte (da ultimo con la sentenza n. 36 del 2013), la quale avrebbe chiarito che l’indicazione, da parte del legislatore nazionale di puntuali misure di riduzione parziale o totale di singole voci di spesa non esclude che da esse possa desumersi un limite complessivo, nell’ambito del quale le Regioni restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. In altri termini la normativa statale potrebbe considerarsi espressione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica nel senso di limite globale e complessivo, al punto che ciascuna Regione deve ritenersi libera di darvi attuazione, nelle varie leggi di spesa, relativamente ai diversi comparti, in modo graduato e differenziato, purché il risultato complessivo sia pari a quello indicato nella legge statale.
4.2.− In data 23 dicembre 2013, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato memoria, ribadendo le argomentazioni già svolte nel ricorso ed evidenziando l’irrilevanza dello jus superveniens per le disposizioni modificate nel corso del giudizio.
Quanto a quest’ultimo profilo, in particolare viene segnalato che il comma 141 è stato solo marginalmente modificato dall’art. 18, comma 8-septies, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, legge 9 agosto 2013, n. 98 (dal limite di spesa fissato dalla norma sono esclusi gli arredi «destinati all’uso scolastico e dei servizi all’infanzia»), rilevando come tale modifica non faccia cessare la materia del contendere, e che il comma 143 è stato modificato dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125, con la proroga del divieto di acquisto di autovetture dal 31 dicembre 2014 al 31 dicembre 2015, con conseguente aggravamento della lesione arrecata dalla norma.
Nel merito si ribadisce la natura di dettaglio delle norme censurate e la loro conseguente illegittimità costituzionale, in quanto solo le norme di principio adottate in materia di coordinamento della finanza pubblica possono incidere su una o più materie di competenza regionale. Si reputa, inoltre, non percorribile la lettura adeguatrice offerta dal Presidente del Consiglio dei ministri, secondo la quale le disposizioni impugnate vincolerebbero non singolarmente considerate ma in relazione al «limite complessivo» da esse ricavabile. E ciò in quanto tale tentativo, da un lato, è impedito dalla natura puntuale e di dettaglio delle disposizioni e, dall’altro lato, è in contraddizione con la sostenuta natura di principio delle stesse.
4.3.− In data 24 settembre 2014, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato nuova memoria sostanzialmente ricognitiva delle modifiche normative intervenute nel corso del giudizio con riferimento alla legge n. 228 del 2012, estranee ai commi qui esaminati, relativamente ai quali vi è un rinvio alle argomentazioni già svolte nel ricorso e nella memoria integrativa.
4.4.− In data 3 marzo 2015, la medesima Regione ha depositato ulteriore memoria, evidenziando che alcune delle disposizioni censurate sono state modificate nel periodo successivo alla memoria da ultimo depositata.
In particolare, viene segnalato che l’art. 10, comma 6, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2015, n. 11, in data successiva al deposito della memoria, ha modificato il comma 141, prevedendo che il limite posto da tale disposizione riguarda anche il 2015, e si insiste per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
1.− Le Regioni autonome Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (reg. ric. n. 24 del 2013), Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. n. 32 del 2013), Trentino-Alto Adige/Südtirol (reg. ric. n. 33 del 2013) e Sardegna (reg. ric. n. 41 del 2013), nonché le Province autonome di Trento (reg. ric. n. 35 del 2013) e di Bolzano (reg. ric. n. 30 del 2013), con distinti ricorsi, hanno impugnato, tra gli altri, i commi 138, 141, 142, 143, 145 e 146 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), denunciandone il contrasto con i rispettivi statuti nonché con gli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione.
2.− A seguito di rinuncia al ricorso ad opera delle Regioni autonome Sardegna e Trentino-Alto Adige/Südtirol e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e relativa accettazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, previa riunione dei ricorsi medesimi, è stato dichiarato estinto il processo con ordinanza n. 68 del 2015.
3.− L’esame della Corte è quindi limitato alle censure mosse dalle Regioni Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e Friuli-Venezia Giulia.
4.− Le prime hanno ad oggetto il comma 138 – nella parte in cui introduce il comma 1-quater nell’art. 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111 – e i commi 141 e 143 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e degli artt. 2, comma 1, lettera a) e 3, comma 1, lettera f), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta).
In particolare la ricorrente lamenta che ciascuna delle disposizioni censurate – che vietano l’acquisto a titolo oneroso e la stipula di contratti di locazione passiva aventi ad oggetto beni immobili (comma 138), limitano le spese per l’acquisto di mobili e arredi (comma 141) e impediscono l’acquisto e la stipula di contratti di locazione finanziaria aventi ad oggetto autovetture (comma 143) – disciplina in modo specifico singole voci di spesa regionale, eccedendo la competenza statale e violando gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., i quali garantiscono, in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, la sfera di autonomia finanziaria della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste.
La Regione rammenta che questa Corte ha in più occasioni ribadito che non possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica le norme statali che intervengono, come nel caso di specie, a fissare vincoli puntuali a singole voci di spesa dei bilanci delle Regioni e ha fissato il principio secondo cui la legge dello Stato può legittimamente fissare solo un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
La ricorrente reputa violata altresì – stante l’incidenza della disciplina statale su ambiti competenziali riservati – la propria potestà legislativa nelle materie «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione» e «finanze regionali e comunali», tutelate in capo alla medesima Regione rispettivamente dall’art. 2, comma l, lettera a), e dall’art. 3, comma l, lettera f), dello statuto.
5.− Le censure mosse dalla Regione autonome Friuli-Venezia Giulia hanno ad oggetto il comma 138 – nella parte in cui introduce i commi 1-ter e 1-quater nell’art. 12 del decreto-legge n. 98 del 2011 – e i commi 141, 142, 143 e 146 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, per violazione (con riferimento al comma 138) dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che dell’autonomia finanziaria della Regione delineata dal Titolo IV della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e dal d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), dell’autonomia organizzativa fissata dall’art. 4, numero l, dello statuto (o dall’art. 117, quarto comma, Cost., se ritenuto più favorevole) e della competenza regionale in materia di finanza locale, risultante dall’art. 4, numero l-bis, dello statuto e dall’art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), nonché della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2011) e del relativo principio dell’accordo in materia finanziaria; e (con riferimento ai restanti commi) dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., oltre che degli artt. 4, 5 e 49 dello statuto, dell’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997 e della legge n. 220 del 2010.
5.1.− La Regione, preliminarmente alla trattazione delle censure mosse avverso le singole diposizioni della legge n. 228 del 2012, argomenta sulla clausola di salvaguardia prevista dal comma 554 dell’art. 1 della medesima legge. La ricorrente sostiene che tale clausola possa essere intesa nel senso di «un generale rinvio al meccanismo delle norme di attuazione – quale meccanismo generale previsto dagli Statuti speciali – e ad eventuali meccanismi differenziati previsti dalle stesse norme di attuazione per specifici ambiti», con la conseguente non lesività delle disposizioni censurate.
5.2.− Tuttavia, per l’ipotesi in cui non si dovesse condividere tale conclusione, ritenendo quindi applicabili le impugnate disposizioni anche alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, vengono avanzate specifiche censure suddivisibili sotto due distinti profili: il contrasto con i parametri costituzionali, statutari e interposti, invocati a garanzia della propria autonomia finanziaria, della propria autonomia organizzativa e della propria competenza in materia di finanza locale e la lesione del principio dell’accordo in materia finanziaria.
Con specifico riferimento al comma 138, la ricorrente rileva che esso violerebbe i parametri costituzionali e statutari sopra ricordati e che lederebbe il principio dell’accordo in materia finanziaria, in quanto la legge n. 220 del 2010, adottata sulla base di un accordo tra Stato e Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, regolerebbe (con le disposizioni dell’art. l, commi 154 e 155) in modo esaustivo le modalità di concorso della Regione al risanamento della finanza pubblica e le procedure di definizione del patto di stabilità interno, e attribuirebbe poteri di coordinamento della finanza pubblica alla Regione in relazione alle aziende sanitarie locali e agli enti locali che costituiscono il «sistema regionale integrato».
Oggetto di censura è, poi, in particolare la previsione della necessità che l’Agenzia del demanio attesti la congruità del prezzo, «previo rimborso delle spese», in considerazione della correlata violazione sia dell’autonomia amministrativa che dell’autonomia finanziaria regionale.
Quanto alle restanti norme impugnate, la ricorrente evidenzia che i commi 141, 143 e 146 conterrebbero disposizioni dettagliate di coordinamento finanziario che disciplinano «voci ultra-minute di spesa», direttamente applicabili e, nel caso del comma 146, non temporanee. Essi sarebbero, quindi, illegittimi per le medesime ragioni esposte con riferimento al comma 138.
Con riferimento al comma 142, la Regione, ricordando che, secondo quanto previsto nello stesso comma, esso «non si applica agli enti e agli organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali», deduce che, a maggior ragione, tenendo conto anche della clausola di salvaguardia contenuta nel citato comma 554, non dovrebbe applicarsi alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e agli enti locali del suo territorio.
Nel caso in cui dovesse ritenersi rivolto anche a questa Regione e agli enti locali situati nel suo territorio, viene comunque rilevato che l’obbligo di versare «le somme derivanti dalle riduzioni di spesa di cui al comma 141 [...] ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato» si tradurrebbe in un ulteriore contributo a carico dei bilanci della Regione e degli enti locali, da reputarsi, da un lato, lesivo dell’art. 49 dello statuto, in quanto parte delle risorse affluite alla Regione in base a tale norma statutaria sarebbe unilateralmente avocata dal legislatore statale; dall’altro lato, in contrasto con la legge n. 220 del 2010, che regola in modo compiuto i modi in cui la Regione concorre agli obiettivi di finanza pubblica, e con il principio dell’accordo in materia finanziaria. Inoltre, sarebbe violata l’autonomia regionale di spesa in quanto il comma 142 verrebbe ad impedire alla Regione di utilizzare liberamente le risorse frutto dei risparmi per altri scopi, da essa individuati nell’esercizio della propria autonomia organizzativa e delle proprie competenze di settore. In relazione agli enti locali, poi, la previsione del contributo violerebbe la loro autonomia finanziaria oltre che la competenza della Regione in materia di finanza locale, perché le risorse risparmiate, affluite agli enti locali dalla Regione, non tornerebbero alla Regione o non sarebbero spese nell’ambito della propria autonomia dagli enti locali ma dovrebbero essere versate al bilancio statale. Ciò rappresenterebbe anche violazione del principio di ragionevolezza, con evidente ripercussione di tale vizio sulla competenza regionale. Inoltre, il comma 142 violerebbe l’art. l, commi 154 e 155, della legge n. 220 del 2010, il quale attribuisce alla Regione poteri di coordinamento della finanza pubblica in relazione agli enti locali.
6.− In considerazione della parziale identità delle norme impugnate e delle censure proposte, i giudizi possono essere riuniti per essere decisi congiuntamente.
7.− Come giustamente rilevato dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la loro trattazione comporta l’esame in via preliminare della clausola di salvaguardia presente nel comma 554 dell’art. 1 della medesima legge n. 228 del 2012, a norma del quale «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano attuano le disposizioni di cui alla presente legge nelle forme stabilite dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione». L’esito delle questioni in oggetto dipende, infatti, dai margini di operatività della clausola de qua e dal valore che ad essa si attribuisce.
7.1.− Questa Corte si è già più volte pronunciata su clausole di analogo tenore, affermando che escludono l’immediata efficacia delle disposizioni da esse presidiate.
Secondo la pacifica interpretazione della clausola «[l]a previsione di una procedura “garantita” al fine di applicare agli enti ad autonomia speciale la normativa introdotta esclude […] l’automatica efficacia della disciplina prevista […] per le Regioni a statuto ordinario (sentenza n. 178 del 2012). Le norme […], dunque, non sono immediatamente applicabili alle Regioni ad autonomia speciale, ma richiedono il recepimento tramite le apposite procedure prescritte dalla normativa statutaria e di attuazione statutaria. La partecipazione delle Regioni e delle Province autonome alla procedura impedisce che possano introdursi norme lesive degli statuti e determina l’infondatezza delle questioni sollevate […] (sentenze n. 178 del 2012 e n. 145 del 2008).» (sentenza n. 236 del 2013).
7.2.− Tali affermazioni di principio, se sono state sufficienti a concludere per l’infondatezza delle questioni sottoposte al vaglio di costituzionalità, richiedono tuttavia un approfondimento in casi come quello in esame, nei quali la mancata attuazione comporta il prodursi di conseguenze negative in capo alla Regione. La vicenda, che è stata già presa in considerazione da questa Corte (ci si riferisce alla sentenza n. 23 del 2014), ricorre, anche nel caso di specie, in cui l’attuazione di alcune delle disposizioni citate (i commi 141, 142, 143 e 144) è, ai sensi del comma 145 dello stesso articolo, «condizione per l’erogazione da parte dello Stato dei trasferimenti erariali di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174» (norma non impugnata dalle Regioni).
7.3.− Emerge dalla giurisprudenza costituzionale che le clausole di salvaguardia costituiscono una garanzia del rispetto del sistema delle fonti e, in particolare, del potere legislativo delle Regioni a statuto speciale. Si tratta di un’esigenza incontestabile, essendo espressione di un principio fondante del rapporto Stato - Regioni a statuto speciale, alla cui stregua è da escludere l’esistenza, in capo alle Regioni, di una situazione di doverosità di attuazione di norme puntuali quali quelle in esame.
Questo, tuttavia, non toglie che sia ravvisabile, comunque, un vincolo comportamentale, atteso che, come è dato desumere dalla stessa giurisprudenza sopra richiamata, il fatto che le disposizioni statali non siano “immediatamente applicabili” non comporta che esse non si rivolgano anche a queste Regioni “mediatamente”.
Del rispetto di tale vincolo è garante lo Stato, a cui compete il potere di avvio delle procedure di attuazione alle quali le Regioni non possono sottrarsi: e il dialogo che anche in questo caso deve svilupparsi tra le istituzioni si basa su di un rapporto tra soggetti che non sono in posizione di assoluta parità, sicché, sperimentati inutilmente tutti i tentativi per pervenire alla stesura di un testo condiviso, alla mancata attuazione può far seguito la perdita di finanziamenti, di cui ovviamente lo Stato abbia la disponibilità (sentenza n. 23 del 2014), come appunto è previsto nella fattispecie in esame.
7.4.− Le disposizioni statali della cui attuazione si tratta manifestano, infatti, la necessità che, in un momento difficile per la finanza pubblica, l’attenzione sia rivolta, oltre che alla quantità, alla qualità della spesa; e non si vede perché solo i cittadini delle Regioni a statuto speciale dovrebbero sottrarsi ad una responsabilità che incombe su tutti gli italiani, a prescindere dalle istituzioni che li rappresentano, nel rispetto delle previste garanzie e forme costituzionali.
Del resto, una tale pretesa non trova giustificazione nella clausola di salvaguardia, la cui formulazione letterale induce, anzi, alla conclusione opposta: l’uso del presente indicativo riferito al comportamento dei soggetti destinatari della norma («attuano»), secondo le ordinarie regole ermeneutiche, esprime, infatti, un «dover essere», e quindi un vincolo ad adeguare la disciplina regionale della materia a quella nazionale.
7.5.− Ciò potrebbe apparire contraddittorio rispetto al dato acquisito, e già evidenziato, che si è in presenza di un potere regionale, anzi del potere per antonomasia, quale è quello legislativo, non suscettibile in quanto tale di coercizione, ma va invece considerato che questa situazione soggettiva non è ontologicamente incompatibile con il carattere “necessitato” del suo esercizio.
Questa Corte ha affermato in proposito, in una fattispecie pressoché identica, che «[o]ccorre, però, tenere presente la struttura della norma censurata, che è ispirata alla logica premiale e sanzionatoria […]. Il censurato art. 2, comma 1, infatti, pur contenendo alcune previsioni puntuali, le configura non come obblighi bensì come oneri. Esso non utilizza, dunque, la tecnica tradizionale d’imposizione di vincoli alla spesa ma un meccanismo indiretto che lascia alle Regioni la scelta se adeguarsi o meno, prevedendo, in caso negativo, la conseguenza sanzionatoria del taglio dei trasferimenti erariali.» (sentenza n. 23 del 2014, cit.).
Ebbene, la definizione della situazione soggettiva come «onere» si attaglia in modo particolare al caso di specie in cui l’esercizio del potere, nei sensi indicati dal legislatore, è «condizione» (come si esprime il comma 145) per evitare il danno della perdita dei trasferimenti statali, ma vale più in generale a qualificare una situazione che, se non è definibile in termini di doverosità, espone tuttavia la Regione a subire, o rischiare di subire, gli effetti negativi della sua scelta.
8.− Nei sensi fin qui precisati, deve quindi concludersi per la non fondatezza della questione per erroneità della premessa interpretativa da cui muovono le ricorrenti, affermando l’idoneità della clausola di salvaguardia di cui al comma 554 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012 a garantire le competenze costituzionali delle Regioni a statuto speciale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 138, 141, 142, 143 e 146, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), promosse per violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione, nonché dei rispettivi statuti, dalle Regioni autonome Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e Friuli-Venezia Giulia, con i ricorsi, rispettivamente, n. 24 e n. 32 del 2013.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 giugno 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2015.