SENTENZA N. 155
ANNO 2015
Commenti alla decisione di
I. Carlo Padula, Dove
va il bilanciamento degli interessi? Osservazioni sulle sentenze 10 e 155 del
2015, per g.c.
di Federalismi.it
II. Giacomo D’Amico, La
finanza delle Regioni speciali tra mancata attuazione degli statuti e accordi
“riparatori”. Nota a commento della sent.
n. 155 del 2015, per g.c. di Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO
Presidente
- Paolo
Maria NAPOLITANO
Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de
PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli
artt. 13 e 14, comma 13-bis, del decreto-
legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214
e dell’art. 1, commi 380, 383 e 387, della legge
24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), promossi
nell’ordine dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste,
dalla Regione siciliana, dalla Regione autonoma Sardegna, dalla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, e poi ancora dalla Regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla
Regione autonoma Sardegna, con ricorsi notificati il 23-28, il 25, il 24, il 25
febbraio 2012, il 19-22, il 27 e il 26 febbraio 2013, depositati in cancelleria
il 29 febbraio, il 1°, il 2 e il 5 marzo 2012, il 25 febbraio, il 4 e
l’8 marzo 2013, rispettivamente iscritti ai nn.
38,
39,
47
e 50
del registro ricorsi 2012 ed ai nn. 24, 32 e 41 del
registro ricorsi 2013.
Visti gli atti di costituzione (di cui due fuori termine)
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 12 maggio 2015 il
Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Marina Valli per la Regione siciliana, Massimo Luciani
per la Regione autonoma Sardegna, Giandomenico Falcon
per la Regione autonoma Friul-Venezia Giulia
nonché gli avvocati dello Stato Maria Elena Scaramucci e Stefano Varone
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con quattro
distinti ricorsi, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (reg. ric. n. 38 del 2012), la Regione
siciliana (reg. ric. n. 39 del 2012), la Regione autonoma Sardegna (reg. ric.
n. 47 del 2012) e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. n. 50
del 2012) hanno impugnato, tra le altre disposizioni, gli artt. 13 e 14, comma
13-bis, del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Con ricorsi successivi, la Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste (reg. ric. n. 24 del 2013), la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. n. 32 del 2013) e la Regione
autonoma Sardegna (reg. ric. n. 41 del 2013) hanno impugnato, tra le altre
disposizioni, l’art. 1, commi 380, 383 e 387, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – Legge di stabilità 2013), che hanno parzialmente
modificato o ribadito le disposizioni oggetto di impugnazione con i primi
ricorsi.
2.– L’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, dopo aver stabilito
al comma 1 che «L’istituzione dell’imposta municipale propria
è anticipata, in via sperimentale, a decorrere dall’anno 2012, ed
è applicata in tutti i comuni del territorio nazionale fino al 2014 in
base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in
quanto compatibili, ed alle disposizioni che seguono. Conseguentemente
l’applicazione a regime dell’imposta municipale propria è
fissata al 2015.», dispone che: a)
«È riservata allo Stato la quota di imposta pari alla metà
dell’importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli
immobili, ad eccezione dell’abitazione principale e delle relative
pertinenze di cui al comma 7, nonché dei fabbricati rurali ad uso
strumentale di cui al comma 8, l’aliquota di base di cui al comma 6,
primo periodo […]. La quota di imposta risultante è versata allo
Stato contestualmente all’imposta municipale propria. Le detrazioni
previste dal presente articolo, nonché le detrazioni e le riduzioni di
aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota di imposta riservata
allo Stato di cui al periodo precedente. Per l’accertamento, la
riscossione, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso si
applicano le disposizioni vigenti in materia di imposta municipale propria. Le
attività di accertamento e riscossione dell’imposta erariale sono
svolte dal comune al quale spettano le maggiori somme derivanti dallo
svolgimento delle suddette attività a titolo di imposta, interessi e
sanzioni» (comma 11); b) «Sono abrogate, a decorrere dal 1º
gennaio 2012, le seguenti disposizioni: a. l’articolo 1 del decreto-legge
27 maggio 2008, n. 93, convertito con modificazioni, dalla legge 24 luglio
2008, n. 126» (comma 14, lettera a);
c) «Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi
dell’articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il fondo perequativo,
come determinato ai sensi dell’articolo 13 del medesimo decreto
legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della
Regione Siciliana e della Regione Sardegna variano in ragione delle differenze
del gettito stimato ad aliquota di base derivanti dalle disposizioni di cui al
presente articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa all’entrata
del bilancio dello Stato le somme residue. Con le procedure previste
dall’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta, nonché le Province autonome
di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto
maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio territorio. Fino
all’emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso articolo 27,
a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, è
accantonato un importo pari al maggior gettito stimato di cui al precedente
periodo. L’importo complessivo della riduzione del recupero di cui al presente
comma è pari per l’anno 2012 a 1.627 milioni di euro, per
l’anno 2013 a 1.762,4 milioni di euro e per l’anno 2014 a 2.162
milioni di euro» (comma 17).
L’art. 13, comma 11, è
stato dapprima modificato dall’art. 4, comma 5, lettera g), del decreto-legge 2 marzo 2012, n.
16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di
accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 26 aprile 2012, n. 44 – nel senso che per gli immobili posseduti
dai Comuni nel loro territorio non è dovuta la quota di imposta
riservata allo Stato e non si applica il successivo comma 17 – e poi
abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2013 dall’art. 1, comma 380, lettera
h), della legge n. 228 del 2012,
mentre la lettera a) del medesimo
comma ha specificamente soppresso la riserva erariale.
L’art. 14 del d.l.
n. 201 del 2011, dopo aver disposto che «A decorrere dal 1° gennaio
2013 è istituito in tutti i comuni del territorio nazionale il tributo
comunale sui rifiuti e sui servizi, a copertura dei costi relativi al servizio
di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo
smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni, e dei costi relativi ai
servizi indivisibili dei comuni» (comma 1) e che «Alla tariffa
determinata in base alle disposizioni di cui ai commi da 8 a 12, si applica una
maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato, a copertura dei costi
relativi ai servizi indivisibili dei comuni, i quali possono, con deliberazione
del consiglio comunale, modificare in aumento la misura della maggiorazione
fino a 0,40 euro, anche graduandola in ragione della tipologia
dell’immobile e della zona ove è ubicato» (comma 13),
stabilisce che «A decorrere dall’anno 2013 il fondo sperimentale di
riequilibrio, come determinato ai sensi dell’articolo 2 del decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il fondo perequativo, come determinato ai
sensi dell’articolo 13 del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed
i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della
Regione Sardegna sono ridotti in misura corrispondente al gettito derivante
dalla maggiorazione standard di cui al comma 13 del presente articolo. In caso
di incapienza ciascun comune versa all’entrata del bilancio dello Stato
le somme residue. Con le procedure previste dall’articolo 27 della legge
5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta,
nonché le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il
recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito dei comuni ricadenti
nel proprio territorio. Fino all’emanazione delle norme di attuazione di
cui allo stesso articolo 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai
tributi erariali, è accantonato un importo pari al maggior gettito di
cui al precedente periodo» (comma 13-bis).
L’art. 14 del d.l.
n. 201 del 2011 ha subito dapprima delle modifiche – ma non nel censurato
comma 13-bis – e poi è
stato abrogato dall’art. 1, comma 704, della legge 27 dicembre 2013, n.
147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – legge di stabilità 2014), con decorrenza dal 1°
gennaio 2014.
Per l’anno 2013 e per le Regioni
ordinarie ed insulari la riduzione dei Fondi e dei trasferimenti prevista dalla
norma impugnata è stata sostituita da una diretta riserva erariale del
maggior gettito TARES ad opera dell’art. 10, comma 2, del decreto-legge 8
aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti
della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti
territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti
locali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
6 giugno 2013, n. 64.
L’art. 1, comma 380, della legge
n. 228 del 2012, «Al fine di assicurare la spettanza ai Comuni del
gettito dell’imposta municipale propria, di cui all’articolo 13 del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla
legge 22 dicembre 2011, n. 214, per gli anni 2013 e 2014», a decorrere
dal 1° gennaio 2013: a) ha soppresso (lettera a) la riserva erariale della metà del gettito
dell’imposta municipale propria (IMU), abrogando anche l’art. 13,
comma 11, del d.l. n. 201 del 2011, che la prevedeva
(lettera h); b) ha istituito il Fondo
di solidarietà comunale (lettera b),
al contempo sopprimendo (lettera e)
il Fondo sperimentale di riequilibrio – con contestuale abrogazione
(lettera h) dell’art. 2, comma
3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo
Fiscale Municipale), che lo prevedeva – ed i trasferimenti erariali ai
Comuni della Regione siciliana e della Regione autonoma Sardegna; c) ha
riservato allo Stato il gettito IMU derivante dagli immobili ad uso produttivo,
calcolato all’aliquota standard dello 0,76 per cento (lettera f); d) ha ribadito
l’applicabilità dell’art. 13, comma 17, del d.l. n. 201 del 2011, ma limitatamente alle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta nonché alle
Province autonome (lettera h); e) ha
previsto che gli importi relativi, tra l’altro, alla lettera f) possano essere modificati a seguito
della verifica del gettito IMU per il 2012, da effettuarsi presso la Conferenza
Stato-città ed autonomie locali (lettera i).
L’art. 1, comma 380, della legge n.
228 del 2012 è stato dapprima modificato dall’art. 10, comma 4-quater, lettera a), del d.l. n. 35 del 2013, che ha
inciso sulla lettera f),
sostanzialmente escludendo dalla riserva alcune tipologie di immobili ed
attribuendo le attività di accertamento e riscossione relative agli
immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D ai Comuni, ai
quali spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette
attività a titolo di imposta, interessi e sanzioni. In seguito, il
medesimo comma 380 ha subito marginali modificazioni ad opera dell’art.
1, comma 729, della legge n. 147 del 2013.
Il successivo comma 383 del medesimo
articolo della legge n. 228 del 2012 prevede che la verifica del gettito IMU
dell’anno 2012, «di cui al comma 6-bis dell’articolo 9 del
decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174», avviene utilizzando anche i dati
relativi alle aliquote e ai regimi agevolativi deliberati dai singoli Comuni e
raccolti dall’Istituto per la finanza e l’economia locale (IFEL)
nell’ambito dei propri compiti istituzionali sulla base di una
metodologia concordata con il Ministero dell’economia e delle finanze.
Infine, l’art. 1, comma 387, della
legge n. 228 del 2012 ha apportato delle modifiche all’art. 14 del d.l. n. 201 del 2011, ma non nel meccanismo previsto dal
comma 13-bis ivi contenuto.
3.– La Regione autonoma Valle
d’ Aosta /Vallée
d’Aoste ha impugnato gli artt. 13, commi
11 e 17, quarto periodo, e 14, comma 13-bis,
quarto periodo, del d.l. n. 201 del 2001 in riferimento agli artt. 3, comma 1,
lettera f), 12, 48-bis e 50, quinto comma, della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle
d’Aosta) ed in relazione all’art. 1 del decreto
legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale
della regione Valle d’Aosta) ed agli articoli da 2 a 8 della legge
26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell’ordinamento finanziario della
regione Valle d’Aosta), nonché in riferimento agli artt. 117, comma terzo, Cost. e 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione), ed al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
3.1.– In primo luogo, sul
presupposto che l’IMU sostituisca l’imposta sul reddito delle
persone fisiche (IRPEF), per la componente immobiliare, e le relative
addizionali e che l’art. 2, comma 1, della legge n. 690 del 1981
attribuisca alla Regione autonoma Valle d’Aosta il gettito
dell’imposta di nuova istituzione, riservandone una quota
all’erario, l’art. 13, comma 11, del d.l.
n. 201 del 2011 violerebbe gli artt. 48-bis
e 50, quinto comma, dello statuto e l’art. 1 del d.lgs. n. 320 del 1994,
in quanto inciderebbe sull’ordinamento finanziario regionale
unilateralmente e non con il procedimento regolato dallo statuto, ponendosi
altresì in contrasto con l’art. 8, secondo comma, della legge n.
690 del 1981 che, in tema di possibile riserva erariale del gettito di tributi
devoluti alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, esige l’intesa con il Presidente
della stessa.
La norma, infine, violerebbe il
principio di leale collaborazione, espresso dagli artt. 5 e 120 Cost., che dovrebbe sovraintendere i rapporti tra lo Stato
e le autonomie regionali, non essendo previsto alcun coinvolgimento della
ricorrente nella definizione dell’ammontare della quota di riserva.
In secondo luogo, la ricorrente censura
gli artt. 13, comma 17, e 14, comma 13-bis,
del d.l. n. 201 del 2011, in quanto
l’accantonamento da essi previsto avrebbe determinato unilateralmente una
riduzione delle entrate che segnatamente gli articoli da 2 a 7 della legge n.
690 del 1981 le garantiscono, con ciò violando gli artt. 48-bis e 50, quinto comma, dello statuto ed
1 del d.lgs. n. 320 del 1994, così come dedotto in merito all’art.
13, comma 11, del medesimo decreto-legge. Inoltre, risulterebbe violato il
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.,
il cui rispetto sarebbe tanto più necessario nell’ambito materiale
del «coordinamento della finanza pubblica» di cui agli artt. 117,
terzo comma, Cost. e 10 della legge cost. n. 3 del 2001 a tutela dell’autonomia
finanziaria che deriva alla Regione dagli artt. 3, primo comma, lettera f), 12, 48-bis e 50 dello statuto e dalla normativa di attuazione. La
violazione risulterebbe enfatizzata dal fatto che, sebbene
l’accantonamento previsto operi fino all’emanazione delle norme di
attuazione di cui all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al
Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo
119 della Costituzione), l’art. 28, comma 4, del d.l.
n. 201 del 2011 ha abrogato il termine per l’adozione della normativa
d’attuazione.
3.2.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri si è costituto in giudizio, deducendo preliminarmente
l’inammissibilità del ricorso, in quanto non verrebbe offerta una
precisa interpretazione delle disposizioni censurate e mancherebbe uno
specifico riferimento delle stesse ai parametri costituzionali indicati,
evocati promiscuamente.
Nel merito, ad avviso del resistente,
l’IMU, sostituendosi all’imposta comunale sugli immobili (ICI), ne
avrebbe la medesima natura e non intercetterebbe l’autonomia finanziaria
delle Regioni, afferendo ai rapporti tra Stato e Comuni. Inoltre, la riserva di
una quota – così come l’accantonamento di cui agli artt. 13,
comma 17, e 14, comma 13-bis, del d.l. n. 201 del 2011 – sarebbe giustificata dalle
esigenze di risanamento della finanza pubblica, che consentirebbero la
temporanea compressione dell’autonomia finanziaria regionale.
3.3.– In data 11 giugno 2013, la
Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste ha depositato una memoria, reiterando
le censure mosse con l’atto introduttivo, ed evidenziando che la
sussistenza delle esigenze prioritarie indicate dallo Stato non consentirebbe
comunque di derogare alle condizioni previste dall’art. 8 della legge n.
690 del 1981; inoltre, il meccanismo introdotto dalle norme censurate sarebbe
stato reiterato in più riprese, nonché rafforzato da successive
disposizioni statali, il che dimostrerebbe come le misure non abbiano carattere
temporaneo.
3.4.– In data 18 marzo 2014, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, in cui
evidenzia l’avvenuta abrogazione dell’art. 13, comma 11, del d.l. n. 201 del 2011 – che avrebbe trovato
applicazione nell’anno 2012 – ad opera dell’art. 1, comma
380, lettera h), della legge n. 228
del 2012.
Le questioni proposte andrebbero dichiarate
inammissibili o infondate, in quanto la ricorrente non avrebbe chiarito come le
norme censurate si coordinino con l’art. 14, commi 2, 3 e 4, del d.lgs.
n. 23 del 2011, istitutivo dell’IMU, disposizioni che prevedono una
clausola di salvaguardia per le autonomie speciali che esercitano le funzioni
di finanza locale – espressamente richiamata dagli artt. 13, comma 17, e
14, comma 13-bis – e che,
comunque, garantirebbero alle Regioni a statuto speciale la neutralità
finanziaria della sostituzione dei precedenti tributi. Peraltro,
l’applicazione dell’art. 14, comma 13-bis, del d.l. n. 201 del 2011 sarebbe
stata confermata dall’art. 10, comma 2, lettera d), del d.l. n 35 del 2013, che, non
essendo stato impugnato, renderebbe la relativa questione inammissibile.
3.5.– In data 21 aprile 2015, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato un’ulteriore memoria
in cui, oltre a ribadire le ragioni di inammissibilità e, comunque, di
infondatezza del ricorso, sostiene che l’IMU non sia un’imposta
sostitutiva dell’IRPEF nel senso inteso dall’art. 2, primo comma,
della legge n. 690 del 1981, configurando un presupposto d’imposta del
tutto nuovo ed al contempo attenuando quello dell’IRPEF per la componente
immobiliare restrittivamente selezionata. Da ciò conseguirebbe
l’infondatezza delle censure mosse all’art. 13, comma 11, del d.l. n. 201 del 2011 nonché, in via derivata, di
quelle relative al successivo comma 17, in cui il recupero mediante
accantonamento riguarderebbe il maggior gettito IMU di cui la Regione,
responsabile della finanza locale, indirettamente beneficerebbe, legittimando
la compensazione con le quote di compartecipazione al gettito degli altri
tributi erariali. Analogo argomento varrebbe per l’art. 14, comma 13-bis, del medesimo d.l.
n. 201 del 2011, relativo al gettito del tributo comunale sui rifiuti e sui
servizi (TARES).
4.– La Regione siciliana ha
impugnato gli artt. 13 e 14 del d.l. n. 201 del 2011
in riferimento agli artt. 14, lettera o),
36, 37 – in relazione all’art. 2 del decreto
del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione
dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria) – e 43
del regio decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione
siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2,
nonché in riferimento agli artt. 81, 119, quarto comma, Cost. e 10 della legge
cost. n. 3 del 2001 ed al principio di leale
collaborazione.
4.1.– In primo luogo, contrastando
con gli obbiettivi di attuazione statutaria, gli artt. 13 e 14 del d.l. n. 201 del 2011, globalmente considerati, in quanto
immediatamente applicabili alla Regione siciliana, violerebbero l’art. 43
dello statuto – che attribuisce ad una commissione paritetica la
determinazione delle norme di attuazione – ed il principio di leale
collaborazione esplicitato dalle procedure di cui all’art. 27 della legge
n. 42 del 2009, il cui previo esperimento non è stato previsto.
Inoltre, l’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 violerebbe gli artt. 36 e 37 dello
statuto e 2 delle norme di attuazione in materia finanziaria, in quanto
l’IMU, entrata asseritamente priva del
carattere della novità, è imposta in parte sostitutiva di tributi
di spettanza regionale mentre il suo gettito, anche per detta parte, viene
attribuito ai Comuni e, pro quota,
riservato allo Stato, con conseguente depauperamento delle finanze della
ricorrente e squilibrio tra i complessivi bisogni regionali ed i mezzi per farvi
fronte. Risulterebbe altresì violato il principio di leale
collaborazione.
Nel prevedere e disciplinare –
anche in presenza di modifiche in aumento o in diminuzione disposte dai Comuni
– la riserva all’erario di una quota del gettito dell’IMU, il
comma 11 del citato art. 13 determinerebbe altresì un depauperamento
delle casse comunali, con conseguenti oneri per la Regione siciliana, che
dovrebbe assumere ulteriori e diverse competenze rispetto a quelle di cui
all’art. 14, lettera o), dello
statuto senza esperimento della procedura di cui all’art. 43 dello
stesso. Di qui la violazione di detti parametri. Inoltre, risulterebbe violato
l’art. 119, quarto comma, Cost., in quanto lo
Stato, dopo aver trasferito ai Comuni risorse regionali, finirebbe per riappropriarsene,
sottraendole loro senza prevedere misure idonee a far fronte agli ammanchi,
onerando la Regione della contribuzione alla finanza degli enti locali.
Analoghe censure vengono mosse
all’art. 13, comma 17, del d.l. n. 201 del
2011, salvo precisarsi che gli artt. 81, 119, quarto comma, Cost.
e 10 della legge cost. n. 3 del 2001 sarebbero
violati in quanto né la Regione né i Comuni potrebbero esercitare
le proprie funzioni in ragione della carenza di risorse finanziarie determinata
dalla disposizione.
Infine, l’art. 14, comma 13-bis, del d.l.
n. 201 del 2011 violerebbe gli artt. 119, quarto comma, e 81 Cost. nonché l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, in quanto la riduzione dei trasferimenti
determinata dalla norma lederebbe le attribuzioni degli enti locali, gravati
dall’onere di fornire un contributo all’erario, con riverbero
negativo sulla Regione, che dovrebbe farsene corrispondentemente carico.
Inoltre, sarebbero violati gli artt. 14, lettera o), e 43 dello statuto, in mancanza di vaglio della Commissione
paritetica sulle nuove funzioni attribuite ai Comuni siciliani.
4.2.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri si è costituito in giudizio – con memoria depositata
fuori termine – deducendo
preliminarmente l’inammissibilità delle questioni, in quanto la
ricorrente non avrebbe dimostrato che le norme abbiano determinato una
complessiva insufficienza dei mezzi finanziari a sua disposizione per
l’adempimento dei propri compiti istituzionali.
Nel merito, ad avviso del resistente,
nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia tributaria
il legislatore statale ben potrebbe porre in essere interventi che comportino
un minor gettito per le Regioni senza per questo dover prevedere misure
compensative. Peraltro, l’art. 13, comma 17, ridurrebbe i trasferimenti
erariali ai Comuni – la cui finanza sarebbe ancora a carico dello Stato,
diversamente dalle altre autonomie speciali – in misura corrispondente al
maggior gettito IMU, con la conseguenza che non vi sarebbe alcuno squilibrio,
considerato anche che i Comuni trattengono anche i frutti
dell’attività di accertamento e riscossione dell’imposta
erariale.
Inoltre, l’entrata prevista dalla
normativa censurata avrebbe il carattere della novità, atteso che non si
realizzerebbe senza l’intervento legislativo in esame che, riconducibile
anche all’armonizzazione dei bilanci pubblici ed al coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario, giustificherebbe una temporanea
compressione dell’autonomia delle Regioni, anche a statuto speciale, in
nome del risanamento finanziario dello Stato in armonia con i principi di
solidarietà nazionale. Tali considerazioni varrebbero anche quanto
all’art. 14, comma 13-bis, del d.l. n. 201 del 2011.
5.– La Regione autonoma Sardegna
ha impugnato gli artt. 13 e 14, comma 13-bis,
del d.l. n. 201 del 2011 in riferimento agli artt. 3,
7 e 8 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
ed agli artt. 3, 5, 117 e 119 Cost.
(in combinato disposto con l’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001), nonché in relazione
all’art. 8 del decreto
del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 348 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla legge 22 luglio
1975, n. 382 e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.
616).
5.1.– Anzitutto la Regione
autonoma Sardegna censura l’art. 13 del d.l. n.
201 del 2011 nella sua interezza, in quanto, stabilendo l’applicazione
immediata dell’IMU in tutti i Comuni del territorio nazionale senza
rispettare – come originariamente previsto dall’art. 14, commi 2 e
3, del d.lgs. n. 23 del 2011 – le peculiarità dei sistemi
finanziari delle autonomie speciali e l’invarianza di gettito delle loro
entrate, violerebbe gli artt. 7 e 8 dello statuto, che garantiscono alla
Regione un’adeguata autonomia finanziaria, e gli artt. 117 e 119 Cost. (in combinato disposto con l’art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001), che ne confermerebbero la
tutela ed attribuirebbero alla ricorrente competenza legislativa concorrente in
materia di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario». Inoltre, la disposizione violerebbe gli artt. 3, primo
comma, lettera b), e 7 dello statuto
– che assegnerebbero alla Regione competenza legislativa esclusiva in
materia di finanza locale – nonché l’art. 8 del d.P.R. n. 348 del 1979 di attuazione statutaria – che
attribuirebbe alla Regione un consistente margine di autonomia nella materia
interessata dall’art. 13 – in quanto non lascerebbe alcun ambito di
autonoma regolamentazione di un tipico tributo locale. Ancora, l’art. 13
violerebbe l’art. 3, primo comma, lettera b), dello statuto – in quanto determinerebbe una lesione
dell’autonomia finanziaria degli enti locali, cui corrisponderebbe quella
della relativa competenza normativa regionale – e gli artt. 7 e 8 dello
statuto, in quanto l’inadeguato finanziamento delle autonomie locali
– conseguente al mancato rispetto delle procedure previste dalla legge n.
42 del 2009 e dal d.lgs. n. 23 del 2011 nonché all’esclusione
della compensazione statale per la soppressione dell’ICI – comprometterebbe
l’autonomia finanziaria regionale, costretta a far fronte al
depauperamento delle risorse comunali. Infine, l’anticipazione
dell’IMU escluderebbe la compensazione statale ai Comuni per la
soppressione dell’ICI sull’abitazione principale, così
pregiudicando i bilanci delle autonomie speciali e dei rispettivi enti locali
in violazione, oltre che dei parametri precedenti per i profili dedotti, anche
degli artt. 5 e 117, terzo e quarto comma, Cost. (in
combinato disposto con l’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001), che riconoscono e promuovono le autonomie locali ed
attribuiscono alle Regioni competenza legislativa concorrente in materia di
armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica.
Inoltre, la Regione censura
specificamente l’art. 13, comma 11, del d.l. n.
201 del 2011 in quanto, essendosi sostituita un’imposta (l’IRPEF
per la componente immobiliare) al cui gettito la Regione compartecipava per i
sette decimi con una di analogo presupposto impositivo dal cui gettito la
ricorrente è esclusa, violerebbe l’art. 8 dello statuto, che
attribuisce alla Regione una partecipazione maggioritaria alle entrate che lo
Stato intenderebbe riservarsi con la norma censurata, e l’art. 7 dello
statuto, in quanto la compartecipazione alle entrate sarebbe elemento
consustanziale e necessario all’autonomia finanziaria. In tal modo
risulterebbero violati anche gli artt. 117 e 119 Cost.
(in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001), che confermano l’autonomia finanziaria delle Regioni ed
attribuiscono loro competenza concorrente in materia di «coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario». Inoltre, l’art.
13, comma 11, del d.l. n. 201 del 2011, nella parte
in cui prevede che «accertamento e riscossione dell’imposta
erariale sono svolte dal comune al quale spettano le maggiori somme derivanti
dallo svolgimento delle suddette attività a titolo di imposta, interessi
e sanzioni», violerebbe l’art. 8 dello statuto, in quanto la
Regione sarebbe esclusa dal relativo gettito senza che sia integrata
l’eccezione alla compartecipazione regionale alle entrate erariali di
spettanza di altri enti pubblici (art. 8, primo comma, lettera m, dello statuto), atteso che la
spettanza allo Stato della metà del gettito dell’IMU non potrebbe
venir meno sol perché l’amministrazione non riesce ad incassare
l’importo in via ordinaria e deve attivare un successivo procedimento di
recupero del credito.
La ricorrente censura specificamente
anche l’art. 13, comma 17, del d.l. n. 201 del
2011 – oltre che per violazione dei parametri (e sotto i profili) evocati
a proposito dell’art. 13 nella sua interezza – anche per contrasto
con l’art. 3 Cost. in combinato disposto con
gli artt. 3, 7 e 8 dello statuto, in quanto discriminerebbe gli enti locali
sardi (e siciliani) rispetto a quelli delle altre Regioni, che continuerebbero
a beneficiare, oltre che del gettito dell’IMU, anche dei trasferimenti
statali eventualmente previsti da altre norme.
Infine, la Regione censura l’art.
14, comma 13-bis, del d.l. n. 201 del 2011. La norma violerebbe anzitutto gli
artt. 3, primo comma, lettera b), e 7
dello statuto, attributivi alla ricorrente della competenza legislativa
esclusiva in materia di finanza locale, sia perché inciderebbe in un
ambito competenziale che non apparterrebbe al
legislatore statale sia perché il meccanismo normativamente previsto non
verrebbe attuato attraverso il procedimento collaborativo previsto
dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e dal d.lgs. n. 23 del 2011. La
disposizione impugnata, inoltre, contrasterebbe con l’art. 3, primo
comma, lettera b), dello statuto, in
quanto determinerebbe una lesione dell’autonomia finanziaria degli enti
locali, cui corrisponderebbe quella della relativa competenza normativa
regionale. Infine, la norma censurata violerebbe gli artt. 3, 117, 119 Cost. (anche in combinato disposto con l’art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001) e 7 e 8 dello
statuto, sia in quanto il ridotto finanziamento delle autonomie locali relativo
al maggior gettito derivante dalla TARES si riverbererebbe sull’autonomia
finanziaria regionale, costretta a far fronte al mancato incremento delle
risorse comunali con uno specifico sostegno finanziario sia perché
discriminerebbe ingiustificatamente gli enti locali sardi (e siciliani) –
gli unici direttamente attinti dal meccanismo compensativo introdotto dalla
norma, a differenza delle altre autonomie speciali – rispetto a quelli
delle altre Regioni, anche a statuto ordinario, le quali continuerebbero a
beneficiare, oltre che del gettito della maggiorazione tariffaria prevista dal
comma 13 del medesimo art. 14, anche dei trasferimenti statali previsti da
altre norme.
5.2.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito in giudizio, eccependo preliminarmente
l’inammissibilità del ricorso perché la Regione non
dimostrerebbe che l’intervento statale abbia comportato una complessiva
insufficienza dei mezzi finanziari della Regione. Le censure sarebbero poi
infondate per le medesime argomentazioni illustrate nella difesa avverso il
ricorso n. 39 del 2012 della Regione siciliana.
5.3.– In data 16 ottobre 2012, la
Regione autonoma Sardegna ha depositato due memorie di identico contenuto, in
cui, dopo aver negato che l’emergenza finanziaria consenta di derogare
all’ordinamento costituzionale, sostiene di non essersi doluta della
complessiva insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione né della
disciplina dell’IMU da parte del legislatore statale nell’esercizio
della competenza attribuitagli dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., ma
della violazione di ambiti competenziali esclusivi o
concorrenti da parte dell’art. 13 del d.l. n.
201 del 2011, che non avrebbe lasciato alla Regione alcun ambito di autonoma
regolamentazione di un tipico tributo locale. La ricorrente, inoltre, ribadisce
che la riserva allo Stato della metà del gettito dell’IMU –
non essendo destinata ai Comuni – rientrerebbe nel generale regime di
compartecipazione alle entrate erariali, così come gli interessi e le
sanzioni derivanti dalla relativa attività di accertamento e
riscossione. La Regione, inoltre, a proposito degli artt. 13, comma 17, e 14,
comma 13-bis, del d.l.
n. 201 del 2011 evidenzia come
l’assunto del resistente – secondo cui la diversa disciplina
dettata per i Comuni sardi e siciliani si giustificherebbe in ragione del fatto
che per essi, diversamente che nelle altre Regioni autonome, la finanza locale
è ancora a carico dell’erario – non spiegherebbe la
discriminazione rispetto ai Comuni delle Regioni a statuto ordinario. Inoltre,
i Comuni sardi vedrebbero ridotti i finanziamenti diversamente dalle altre
Regioni a statuto speciale, che potrebbero mantenerli al medesimo livello.
5.4.– In data 16 ottobre 2012, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria dove sostiene
che l’IMU sperimentale rappresenterebbe un’imposta diversa da
quella «a regime» prevista dagli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 23 del
2011 e svincolata dalle procedure di cui al successivo art. 14, il cui comma 3
– secondo il quale «Nelle regioni a statuto speciale e nelle
province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, le
modalità di applicazione delle disposizioni relative alle imposte
comunali istituite con il presente decreto sono stabilite dalle predette
autonomie speciali in conformità con i rispettivi statuti e le relative
norme di attuazione» – peraltro non sarebbe stato applicabile alla
ricorrente, che in concreto non eserciterebbe funzioni in materia di finanza
locale. L’IMU, inoltre, costituirebbe, analogamente all’ICI –
il cui rimborso continua ad essere operato a beneficio dei Comuni delle
autonomie speciali in virtù di quanto disposto dall’art. 4, comma
5, lettera m), del decreto-legge 2
marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni
tributarie, di efficientamento e potenziamento delle
procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44, secondo diverse modalità in
ragione del concreto esercizio delle funzioni in materia di finanza locale
– un tributo proprio derivato la cui disciplina sarebbe esercizio della
competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost. Peraltro, la manovra sarebbe a saldi invariati per gli
enti locali con riferimento sia al gettito dell’IMU che a quello della
TARES. Infine, non avrebbero pregio le doglianze relative
all’attività di accertamento e riscossione dei Comuni, vertendosi
in materia di imposte comunali proprie.
5.5.– In data 18 marzo 2014, la
Regione autonoma Sardegna ha depositato una memoria, in cui ribadisce di essere
titolare di competenza legislativa esclusiva in materia di «finanza
locale», con la conseguenza che avrebbe trovato applicazione anche nei
suoi confronti, oltre alla clausola di salvaguardia di cui all’art. 14,
comma 2 (sulla neutralità finanziaria), del d.lgs. n. 23 del 2011,
istitutivo dell’IMU, anche quella di cui al successivo comma 3 (sulle
modalità applicative). Nell’esercizio della propria competenza
legislativa in materia di «sistema tributario» (ex art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.) e di
«coordinamento del sistema tributario» (ex art. 117, terzo comma, Cost.) il
legislatore non avrebbe potuto sopprimere gli spazi di autonomia già riconosciuti
con le citate disposizioni, con la conseguenza che l’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 violerebbe i parametri statutari
(artt. 7 e 8 dello statuto) e costituzionali (art. 119 Cost.)
che presidiano l’autonomia finanziaria regionale. Detti spazi di
autonomia non sarebbero sufficientemente salvaguardati dal ripristino della
compensazione per il gettito dell’ICI sull’abitazione principale.
Né la pretesa equivalenza di gettito per i Comuni garantirebbe quella
per la Regione, che perderebbe la compartecipazione all’IRPEF per la
componente immobiliare.
A proposito dell’art. 14, comma
13-bis, la Regione evidenzia che il
recupero del maggior gettito non avverrebbe attraverso le procedure previste
dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, come per le altre autonomie
speciali (esclusa la Regione siciliana), ma attraverso la riduzione dei
trasferimenti ai Comuni, nonostante la competenza legislativa esclusiva in
materia di «finanza locale». Inoltre, la ricorrente patirebbe anche
gli effetti della diminuzione del Fondo sperimentale di riequilibrio e del
Fondo perequativo comunale, i quali opererebbero anche a vantaggio degli enti
locali sardi, come desumibile dall’indistinta clausola di salvaguardia
contenuta nell’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011 che ha istituito detti
fondi.
5.6.– In data 21 aprile 2015, la
Regione autonoma Sardegna ha depositato un’ulteriore memoria, in cui,
oltre a riepilogare gli argomenti già spesi a sostegno
dell’impugnativa ed a ribattere alle difese erariali, si sofferma in particolare
sull’assenza di spazi di manovra rimessi all’autonomia regionale in
un settore di diretta incidenza sulla finanza locale e sulla pretesa
discriminazione realizzata in danno dei Comuni sardi (e siciliani) rispetto a
quelli delle altre Regioni.
6.– La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia ha impugnato l’art. 13, commi 11, 14, lettera a), e 17, terzo, quarto e quinto
periodo, e l’art. 14, comma 13-bis,
in riferimento agli artt. 48, 49, 51, 53, 63 e 65 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale per la Regione
Friuli-Venezia Giulia) ed in relazione all’art. 4 del decreto
del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione
dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di
finanza regionale), ed all’art. 6, comma 2, del decreto
legislativo 2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per la regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al
decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la
finanza regionale), nonché in riferimento agli artt. 3 e 119, primo, secondo e
quarto comma, Cost., al principio di
neutralità finanziaria espresso dall’art. 1, comma 159, della legge
13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011)», ed
al principio consensuale.
6.1.– Poiché l’IMU
sostituisce l’IRPEF per la componente immobiliare e le relative
addizionali, la riserva allo Stato della metà del gettito disposta
dall’art. 13, comma 11, del d.l. n. 201 del
2011 sarebbe elusiva della spettanza alla Regione dei sei decimi del gettito
dell’IRPEF, prevista dall’art. 49, primo comma, numero 1), dello
statuto, e della spettanza delle addizionali sui tributi erariali che le leggi
statali attribuiscano agli enti locali, prevista dall’art. 51, secondo
comma, dello statuto. Detti parametri risulterebbero violati a seguito
dell’avocazione allo Stato di risorse riscosse a titolo di tributo
erariale corrispondenti al gettito di tributi spettanti alla Regione pro quota o interamente. Ove si
valorizzasse la natura di tributo locale dell’IMU, l’art. 51,
secondo comma, dello statuto risulterebbe comunque violato, in quanto anche il
gettito dei tributi propri che le leggi statali attribuiscono agli enti locali
spetta alla Regione, mentre per metà viene riservato allo Stato senza
che ne sussistano gli estremi ai sensi dell’art. 4 del d.P.R. n. 114 del 1965 – la destinazione a spese che
siano nuove e specifiche – e dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 8
del 1997, ossia l’accordo tra Governo e Regione.
Inoltre, poiché l’art. 13,
comma 11, del d.l. n. 201 del 2011 dispone che
«accertamento e riscossione dell’imposta erariale sono svolte dal
comune al quale spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle
suddette attività a titolo di imposta, interessi e sanzioni», esso
violerebbe l’art. 53, quarto comma, dello statuto – secondo cui
intese tra Regione e Ministro dell’economia e delle finanze
«definiscono i necessari indirizzi e obiettivi strategici relativi
all’attività di accertamento dei tributi nel territorio della
Regione, la quale è svolta attraverso i conseguenti accordi operativi
con le Agenzie fiscali» – in quanto la norma censurata regolerebbe
direttamente l’accertamento nel territorio provinciale. Sotto un
ulteriore profilo, la norma contrasterebbe altresì con gli artt. 49 e
51, secondo comma, dello statuto, in quanto, non trattandosi del gettito di
nuove entrate, ma di quello derivante da un più rigoroso accertamento
degli obblighi tributari preesistenti, esso spetterebbe alla Regione, sia che
si valorizzi la corrispondenza dell’IMU con l’IRPEF per la
componente immobiliare e con le addizionali sia che si valorizzi la natura di
tributo locale.
La Regione censura anche l’art.
13, comma 14, lettera a), del d.l. n. 201 del 2011, in quanto, abrogando l’art. 1
del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 (Disposizioni urgenti per salvaguardare
il potere di acquisto delle famiglie), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 126, escluderebbe il
rimborso ai Comuni – tramite la Regione – del minor gettito
dell’ICI dovuto all’esclusione dell’imposta
sull’abitazione principale, infliggendo così un ulteriore taglio
delle risorse del sistema regionale necessarie per il finanziamento delle
«funzioni normali» dei Comuni. Ne risulterebbe pregiudicata
l’autonomia finanziaria della Regione, con conseguente violazione degli
artt. 48 e 49 dello statuto e dell’art. 119, primo, secondo e quarto
comma, Cost., che tale autonomia assicurano.
Ciò avverrebbe senza compensazione alcuna, violando il principio di
«neutralità finanziaria» espresso dall’art. 1, comma
159, della legge n. 220 del 2010, cui andrebbe riconosciuto valore
interpretativo dello statuto, ed il principio consensuale che informerebbe di
sé i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali. Queste ultime
risulterebbero trattate in maniera deteriore rispetto a quelle ordinarie
– i cui Comuni non perderebbero la compensazione dell’ICI
sull’abitazione principale, confluita nel fondo sperimentale di
riequilibrio – con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.
La ricorrente censura inoltre
l’art. 13, comma 17, del d.l. n. 201 del 2011,
che determinerebbe l’acquisizione allo Stato dalla Regione
dell’importo pari alla differenza tra la quota IMU di spettanza comunale
e le previgenti entrate comunali. Tale importo sarebbe maggiore ove tra queste
ultime si includesse solo il gettito dei tributi comunali (l’ICI) e non
anche delle altre entrate tributarie sostituite dall’IMU (sei decimi
dell’IRPEF sui redditi immobiliari ed addizionali regionale e comunale) e
delle risorse che pervenivano ai Comuni tramite la Regione (art. 1, comma 4,
del d.l. n. 93 del 2008). In tal modo la norma
violerebbe gli artt. 49 dello statuto e 4 del d.P.R.
n. 114 del 1965 e 6, comma 2, del d.lgs. n 8 del 1997, in quanto verrebbero
avocate allo Stato risorse di spettanza provinciale al di fuori dei casi previsti.
Ciò sia ove si consideri la sottrazione delle risorse regionali frutto
di compartecipazione all’IRPEF fondiaria e di addizionale sia ove si
consideri che la Regione debba assicurare allo Stato il recupero del maggior
gettito attraverso le proprie risorse ordinarie. Analogo vulnus all’art. 49 dello statuto ed all’intero sistema
finanziario regionale determinerebbe l’accantonamento previsto dal quarto
periodo della disposizione impugnata, incidendo
sull’utilizzabilità delle risorse. Ancora, la norma violerebbe gli
artt. 63 e 65 dello statuto, perché si pretenderebbe di derogare ai
precedenti artt. 49 e 51 con una fonte primaria ordinaria. Infine, sarebbe
violato l’art. 65 dello statuto, perché l’art. 13, comma 17,
terzo periodo, pretenderebbe di vincolare unilateralmente il contenuto delle
norme di attuazione.
Uno specifico profilo di
illegittimità interesserebbe l’art. 13, comma 17, quinto periodo,
irragionevole nell’aprioristica stima del recupero per un importo fisso
senza meccanismi di conguaglio o rimborso e contrario al principio consensuale
in materia di finanza delle Regioni a statuto speciale.
In ultimo, la ricorrente impugna
l’art. 14, comma 13-bis, terzo
e quarto periodo, del d.l. n. 201 del 2011 il quale
prevedendo – in ragione di un incremento di gettito della TARES –
un meccanismo di acquisizione al bilancio dello Stato analogo a quello
contemplato dall’impugnato art. 13, comma 17, terzo e quarto periodo,
viene fatto oggetto dei medesimi motivi di censura in riferimento agli stessi
parametri.
6.2.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito in giudizio – con memoria depositata fuori
termine – chiedendo il rigetto
delle censure proposte dalla ricorrente.
Ad avviso del resistente, l’IMU
sperimentale rappresenterebbe un’imposta diversa da quella «a
regime» prevista dagli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 23 del 2011 che
costituirebbe, analogamente all’ICI, un tributo proprio derivato la cui
disciplina sarebbe esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato
ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
La manovra – che determinerebbe
saldi invariati per gli enti locali con riferimento sia al gettito
dell’IMU che a quello della TARES – non sarebbe lesiva, in quanto
ben potrebbe determinare la riduzione nelle disponibilità finanziarie
della Regione con il limite di non renderle insufficienti per
l’adempimento dei suoi compiti; limite il cui superamento dovrebbe essere
dimostrato dalla Regione, che, nonostante i mezzi per farlo, non avrebbe
assolto al relativo onere. Infine, non avrebbero pregio le doglianze relative
all’attività di accertamento e riscossione dei Comuni, vertendosi
in materia di imposte comunali proprie.
Il Presidente del Consiglio evidenzia inoltre
che la compensazione statale per la soppressione dell’ICI
sull’abitazione principale è stata ripristinata a beneficio dei
Comuni delle autonomie speciali in virtù di quanto disposto
dall’art. 4, comma 5, lettera m),
del d.l. n. 16 del 2012, secondo diverse
modalità in ragione del concreto esercizio delle funzioni in materia di
finanza locale.
6.3.– In data 16 ottobre 2012, la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato una memoria in cui
evidenzia che l’art. 13, comma 14, lettera a), del d.l. n. 201 del 2011 è
stato modificato in modo rilevante dall’art. 4, comma 5, lettera m), del d.l.
n. 16 del 2012, modifica che farebbe venire meno la materia del contendere in
relazione a questa specifica disposizione impugnata.
6.4.– In data 17 marzo 2014, la
Regione ha depositato una memoria in cui, evidenzia che l’art. 13, comma
11 – già modificato dall’art. 4, comma 5, lettera g), del d.l.
n. 16 del 2012 – è stato abrogato dall’art. 1, comma 380,
lettera h), della legge n. 228 del
2012. Ciò, tuttavia, non comporterebbe la cessazione della materia del
contendere, in quanto la norma impugnata avrebbe trovato applicazione nel 2012.
Secondo la Regione, anche l’abrogazione dell’art. 14 del d.l. n. 201 del 2011, da parte dell’art. 1, comma
704, della legge n. 147 del 2013, non inciderebbe sui termini della questione,
in quanto la norma avrebbe trovato applicazione nel 2013.
6.5.– In data 21 aprile 2015, la
Regione ha depositato un’ulteriore memoria, ribadendo
l’intangibilità – neppure mediante accantonamento –
della compartecipazione al gettito dei tributi erariali garantita dallo statuto
di autonomia e l’avvenuta applicazione, nell’anno 2013, del
censurato art. 14, comma 13-bis, del d.l. n. 201 del 2011.
7.– Con ricorso n. 24 del 2013, la
Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste ha impugnato l’art. 1, comma 380,
lettera h), della legge n. 228 del
2012, in riferimento agli artt. 3, primo comma, lettera f), 48-bis, e 50, quinto
comma, dello statuto
ed in relazione agli articoli da 2 a 7 della legge
n. 690 del 1981, nonché in riferimento agli artt. 5, 117, terzo comma, 119 e 120 Cost.,
in combinato disposto con l’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001.
7.1.– Sul presupposto di essere
tenuta a tempo indeterminato (nelle more dell’emanazione della normativa
attuativa di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009) ad accantonare
importi, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, corrispondenti
al maggior gettito IMU ad aliquota base percepito dai Comuni valdostani, la
ricorrente lamenta la violazione degli artt. 48-bis, 50, quinto comma, dello statuto e da 2 a 7 della legge n. 690
del 1981, perché, ribadendo l’applicabilità dell’art.
13, comma 17, del d.l. n. 201 del 2011, l’art.
1, comma 380, lettera h), della legge
n. 228 del 2012 determinerebbe, in via unilaterale e senza il rispetto dello
speciale procedimento statutario, una riduzione delle quote di
compartecipazione regionale ai tributi erariali. Risulterebbe così
violata altresì l’autonomia finanziaria regionale, garantita,
oltre che dai parametri menzionati, anche dall’art. 3, primo comma,
lettera f), dello statuto e dagli
artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., in combinato
disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001. Infine, prescindendo dalla «tecnica dell’accordo»
nei rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni a statuto speciale, la norma
violerebbe il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
7.2.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito in giudizio, sostenendo l’infondatezza
delle censure proposte dalla ricorrente. Dopo aver evidenziato che l’art.
1, comma 380, della legge n. 228 del 2012 avrebbe eliminato la quota di riserva
erariale sul gettito IMU – con conseguente devoluzione dell’intero
gettito ai Comuni, eccetto quello derivante dagli immobili ad uso produttivo,
mantenuto allo Stato – e soppresso il Fondo sperimentale di riequilibrio
nonché i trasferimenti erariali alla Regione siciliana ed alla Regione
autonoma Sardegna, il resistente sostiene che simili innovazioni sarebbero
irrilevanti per le autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di
finanza locale. In particolare, esse non sarebbero riguardate dal Fondo di
solidarietà comunale, sostitutivo di quello di riequilibrio
nonché dei citati trasferimenti erariali ed alimentato con una quota del
gettito IMU comunale, stabilita con accordo in sede di Conferenza
Stato-città ed autonomie locali recepito in apposito decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri. Viceversa, per le autonomie speciali che
esercitano le funzioni in materia di finanza locale continuerebbe ad operare il
meccanismo dell’accantonamento provvisorio del maggior gettito IMU
– al netto dell’IRPEF per la componente immobiliare e delle
relative addizionali – rispetto alla previgente ICI, con recupero da
attuarsi attraverso una procedura legittima in quanto realizzata con le modalità
previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 ed a fronte di maggiori
entrate comunali, dunque senza depauperamento del sistema finanziario
regionale. La riserva allo Stato del gettito derivante dagli immobili ad uso
produttivo non necessiterebbe dei presupposti richiesti dalle norme di
attuazione statutaria, essendo riconducibile ad un meccanismo di compensazione
della rinuncia alla quota erariale del gettito IMU, analogamente alla
soppressione del Fondo sperimentale di riequilibrio e dei trasferimenti
erariali alla Regione siciliana ed alla Regione autonoma Sardegna.
8.– Con ricorso n. 32 del 2013, la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha impugnato i commi 380, lettere b), f),
h) ed i), e 383 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, in riferimento
agli artt. 4, numero 1-bis), 48, 49,
51, secondo comma, 54, 63 e 65 dello statuto
speciale; in relazione all’art. 9 del decreto
legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti
locali e delle relative circoscrizioni), all’art. 4 del d.P.R. n. 114 del 1965, all’art. 6, comma 2, del d.lgs.
n. 8 del 1997, al principio di «neutralità finanziaria»
di cui all’art. 1, comma 159, della legge
n. 220 del 2010; nonché in riferimento al principio di leale
collaborazione, a quello di certezza ed agli artt. 3, 97, 119, primo, secondo e
quarto comma, Cost.
8.1.– Sul presupposto che
l’art. 1, comma 554, delle legge n. 228 del 2012 non ne escluda
l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale, le lettere b) – solo in via cautelativa, per
il caso in cui il Fondo di solidarietà comunale sia alimentato anche con
una quota del gettito IMU spettante ai Comuni friulani, esclusi dalla relativa
ripartizione ai sensi del successivo comma 382 – f) ed h), cui sarebbe
collegata la lettera i),
dell’art. 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012 violerebbero
anzitutto gli artt. 4, numero 1-bis),
49, 51, secondo comma, e 54 dello statuto nonché l’art. 9 del
d.lgs. n. 9 del 1997, in quanto, poiché l’IMU sostituisce
l’IRPEF per la componente immobiliare e le addizionali regionali o
comunali, attribuirebbero allo Stato risorse di spettanza regionale (pro quota, ex art. 49 dello statuto, o interamente, ex art. 51, secondo comma, dello statuto) o che rappresentano una
componente essenziale della finanza comunale, con ripercussioni sulla
responsabilità regionale in materia (ex
artt. 54 dello statuto e 9 del d.lgs. n. 9 del 1997). Inoltre, le stesse
norme contrasterebbero con il principio dell’accordo che regolerebbe i
rapporti finanziari tra Stato e Regioni a statuto speciale. Le lettere f) ed h) del citato comma 380 violerebbero altresì il principio di
«neutralità finanziaria» espresso dall’art. 1, comma
159, della legge n. 220 del 2010 – cui andrebbe riconosciuto valore
interpretativo dello statuto – in quanto regolerebbero un nuovo tributo,
sostituendolo ad altri preesistenti, con il risultato di spostare risorse dal
sistema regionale allo Stato.
Le lettere b) ed h) del comma 380
violerebbero l’art. 3 Cost. perché solo
i Comuni di alcune Regioni ad autonomia speciale, tra cui la ricorrente
(legittimata ad evocare il parametro in quanto responsabile della finanza
locale), subirebbero l’esclusione dalla ripartizione del fondo di solidarietà
e l’avocazione allo Stato del maggior gettito tributario ad essi
destinato.
La lettera f) del comma 380, segnatamente, violerebbe gli artt. 49, primo
comma, numero 1), e 51, secondo comma, dello statuto – perché avocherebbe
allo Stato risorse riscosse a titolo di tributo erariale corrispondenti a
tributi spettanti in parte o integralmente alla Regione – o il solo art.
51, secondo comma, dello statuto, ove si valorizzasse la natura di tributo
locale dell’IMU, il cui gettito, quale tributo proprio, spetterebbe
comunque alla Regione. Peraltro, non sussisterebbero gli estremi per la riserva
erariale del gettito ai sensi dell’art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 114 del 1965 – mancando il requisito della
destinazione alla copertura di spese, tantomeno nuove e specifiche – o
dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 8 del 1997, norma che non avrebbe
portata generale e che, comunque, presupporrebbe un accordo con la Regione. La
norma violerebbe altresì il principio di leale collaborazione ed, in
particolare, quello consensuale che domina le relazioni finanziarie tra lo
Stato e le Regioni a statuto speciale. In via subordinata, la disposizione,
prevedendo una riserva erariale del gettito tributario derivante dalla
particolare categoria degli immobili produttivi, determinerebbe forti
sperequazioni tra i Comuni a seconda della tipologia di immobili presenti nel
loro territorio, in violazione del principio di ragionevolezza di cui
all’art. 3 Cost., ed effetti negativi sui
bilanci comunali, in contrasto con il principio del buon andamento
dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.,
profili deducibili dalla Regione in quanto competente in materia di finanza
locale.
La lettera i) del comma 380, consentendo la modifica dell’importo relativo
alla lettera f), renderebbe incerto
il contenuto di quest’ultima, in violazione del principio della certezza
del diritto – profilo di illegittimità costituzionale che la
Regione potrebbe lamentare in ragione della sua competenza in materia di finanza
locale – ed, in virtù del collegamento, sarebbe affetta dai
medesimi vizi di incostituzionalità denunciati con riguardo alla lettera
f).
La lettera h) del comma 380, segnatamente, violerebbe il principio di
ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. –
con riverbero sull’autonomia finanziaria locale e regionale – in
quanto, non chiarendo a quali entrate comunali raffrontare il gettito IMU, al
fine del calcolo del maggior gettito previsto dal richiamato art. 13, comma 17,
del d.l. n. 201 del 2011, renderebbe incerte le
risorse disponibili ed impossibile un’adeguata programmazione. La norma
violerebbe inoltre gli artt. 49 e 51, secondo comma, dello statuto, 4 del d.P.R. n. 114 del 1965 e 6, comma 2, del d.lgs. n. 8 del
1997, sia che il meccanismo di cui al citato art. 13, comma 17, determini
l’avocazione allo Stato di risorse di spettanza regionale a titolo di
compartecipazione all’IRPEF per la componente immobiliare e di
addizionali, sia che esso imponga alla Regione di assicurare all’erario
il recupero del maggior gettito con le risorse ad essa affluite in applicazione
delle disposizioni statutarie e di attuazione. La deroga che la norma
pretenderebbe di realizzare ai citati parametri la porrebbe in contrasto anche
con gli artt. 63 e 65 dello statuto, quest’ultimo anche per la pretesa
normativa di vincolare unilateralmente il contenuto delle disposizioni
d’attuazione. Ancora, il meccanismo di cui al citato art. 13, comma 17,
violerebbe gli artt. 48 e 49 dello statuto e l’art. 119, primo, secondo e
quarto comma, Cost., infliggendo un rilevante taglio
di risorse al sistema finanziario regionale – ossia quelle rappresentate
dalla componente immobiliare dell’IRPEF, le relative addizionali e la
compensazione dell’esenzione dall’ICI per l’abitazione
principale – destinate al finanziamento delle «funzioni
normali» dei Comuni, anche in violazione del principio di
«neutralità finanziaria» ed il principio consensuale nei
rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni a statuto speciale. Inoltre, risulterebbe
violato l’art. 3 Cost., sia in quanto il
meccanismo in considerazione colpirebbe compartecipazioni ed addizionali di cui
solo le Regioni a statuto speciale disporrebbero sia perché i Comuni di
quelle ordinarie non perderebbero la compensazione dell’ICI sull’abitazione
principale, confluita nel fondo sperimentale di riequilibrio. Anche
l’accantonamento previsto dall’art. 13, comma 17, del d.l. n. 201 del 2011 violerebbe l’art. 49 dello
statuto, in quanto le risorse regionali sarebbero previste per essere
effettivamente impiegate nello svolgimento delle funzioni costituzionali.
Infine, sarebbe irragionevole la quantificazione in un importo fisso, senza
possibilità di conguaglio o rimborso, del recupero che la Regione
sarebbe chiamata ad assicurare, in contrasto, altresì, con il già
evocato principio consensuale.
La ricorrente censura anche l’art.
1, comma 383, della legge n. 228 del 2012, in quanto la prevista verifica del
gettito dell’IMU del 2012, utilizzando anche i dati relativi alle
aliquote ed ai regimi agevolativi deliberati dai singoli Comuni, produrrebbe
una rideterminazione, a posteriori e con diverse modalità di calcolo
rispetto alla stima ad aliquota base, del maggior gettito, che potrebbe
comportare minori disponibilità rispetto a quelle valutate nell’impostazione
dei bilanci degli enti interessati, violando il principio di certezza e
l’autonomia finanziaria degli enti locali e, di conseguenza, della
Regione, competente in materia di finanza locale.
8.2.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso
proposto dalla ricorrente.
Anzitutto il resistente nega che la
lettera b) del citato comma 380 sia
applicabile alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, atteso che, ai sensi
dell’art. 1, comma 380, lettera d),
numero 5), i criteri di formazione e riparto del fondo, da definirsi con
successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dovrebbero tener
conto della diversa incidenza delle risorse soppresse dalla lettera e) sulle risorse complessive per
l’anno 2012, ossia del Fondo sperimentale di riequilibrio, destinato ai
soli Comuni delle Regioni a statuto ordinario, e dei trasferimenti erariali ai
Comuni siciliani e sardi, con conseguente esclusione delle autonomie speciali
che esercitano le funzioni in materia di finanza locale.
Evidenziato, poi, come l’IMU sia
un tributo proprio derivato, istituito e regolato dalla legge statale
nell’esercizio della competenza esclusiva di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost. che consentirebbe allo Stato di modificare il proprio
sistema tributario, anche sopprimendo o sostituendo tributi esistenti, il
resistente nega che la lettera f) del
comma 380 dia luogo ad una riserva erariale che debba rispettare i requisiti
richiesti al riguardo dalle norme di attuazione statutaria, atteso che, da un
lato, si tratterebbe di un meccanismo di compensazione degli effetti negativi
della rinuncia alla quota di metà del gettito IMU precedentemente
prevista dall’art. 13, comma 11, del d.l. n.
201 del 2011 e, dall’altro, essa inciderebbe su risorse che, altrimenti,
sarebbero state di spettanza dei Comuni e non attribuite alla Regione, come
presupposto dalle norme che disciplinano le ipotesi di riserva erariale.
Quanto alla lettera h) del comma 380, il resistente nega che essa abbia determinato un
depauperamento delle risorse delle autonomie speciali – circostanza che,
peraltro, la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare – in quanto,
nell’ambito di una manovra con effetto finanziario neutrale cui è
seguito il ripristino dei trasferimenti compensativi ai Comuni delle Regioni a
statuto speciale correlati all’esenzione dell’ICI
sull’abitazione principale, l’accantonamento provvisorio dovrebbe
avvenire al netto dei tributi assorbiti dall’IMU ed il successivo
recupero verrebbe eseguito secondo importi, tempi e modalità decise
dalle autonomie medesime. Ciò senza alcuna disparità di
trattamento rispetto alle altre Regioni, il meccanismo di recupero ed accantonamento
essendo stato semplicemente adeguato alla circostanza che alcune autonomie
speciali, diversamente da altre, esercitano concretamente le funzioni di
finanza locale e potrebbero rivalersi, con le modalità preferite, nei
confronti dei Comuni.
Quanto all’art. 1, comma 383,
della legge n. 228 del 2012, il resistente sostiene che esso mira a scorporare
dal gettito riscosso dai Comuni la quota dovuta alla manovrabilità sulle
aliquote da parte dei medesimi, in modo da far sì che detta quota non
incida su trasferimenti o accantonamenti.
8.3.– In data 17 marzo 2014, la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, sottolineata l’irrilevanza delle
modifiche apportate al comma 380 dall’art. 1, comma 729, della legge n.
147 del 2013 e ribadite le censure svolte in ricorso, evidenzia come la riserva
erariale di una parte del gettito IMU incida su risorse di spettanza regionale
sia perché essa sostituisce tributi compartecipati sia perché la
Regione ha la responsabilità complessiva della finanza locale.
8.4.– In data 18 marzo 2014, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, in cui,
sottolineate le modifiche apportate alla lettera f) del comma 380 dall’art. 10, comma 4-quater, lettera a), del d.l. n. 35 del 2013, evidenzia come il decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri 13 novembre 2013 (Fondo di
solidarietà comunale in attuazione dell’articolo 1, comma 380,
della legge 24 dicembre 2012, n. 228), abbia espressamente limitato
l’applicabilità del fondo sperimentale di riequilibrio ai Comuni delle
Regioni ordinarie, della Regione siciliana e della Regione autonoma Sardegna.
Il resistente sostiene inoltre che, in un contesto di grave crisi economica, il
legislatore possa discostarsi dal modello consensualistico
nella determinazione delle modalità di concorso delle autonomie speciali
alle manovre di finanza pubblica.
8.5.– In data 21 aprile 2015, la
Regione ha depositato un’ulteriore memoria in cui: prende atto di quanto
affermato dalla controparte circa l’inapplicabilità alla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia della lettera b) del censurato comma 380; sostiene l’ammissibilità
della censura rivolta alle successive lettere f) ed h), ribadendo
quanto già dedotto ed evidenziando l’intangibilità –
neppure mediante accantonamento – della compartecipazione al gettito dei
tributi erariali garantita dallo statuto di autonomia; richiama le
considerazioni svolte a sostegno dell’impugnativa dell’art. 1,
comma 383, della legge n. 228 del 2012.
9.– Con ricorso n. 41 del 2013, la
Regione autonoma Sardegna ha impugnato l’art. 1, commi 380 e 387, della
legge n. 228 del 2012 in riferimento agli artt. 3, comma 1, lettera b), 7 e 8 dello statuto
ed agli artt. 117
e 119 Cost.
9.1.– La Regione impugna
l’art. 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012 in quanto, seppur
modificando il regime precedente, già censurato con il ricorso di cui al
reg. ric. n. 47 del 2012, lo confermerebbe. La disposizione violerebbe gli
artt. 3, primo comma, lettera b)
– che attribuirebbe alla ricorrente competenza esclusiva in materia di
finanza locale – 7 e 8 dello statuto – che garantirebbero alla
Regione un’adeguata autonomia finanziaria – e 117 e 119 Cost. – che, oltre a confermarla, attribuirebbero
alla ricorrente la competenza legislativa concorrente in materia di
«coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»
– in quanto non lascerebbe alcun margine di autonoma regolamentazione del
tributo per adattarlo alle particolarità regionali.
La lettera f) del citato comma 380, in particolare, contrasterebbe con
l’art. 8, primo comma, lettera m),
dello statuto, in quanto prevederebbe una riserva erariale del gettito
tributario, per sette decimi spettante alla Regione.
Quest’ultima censura
altresì il successivo comma 387, in quanto, modificando i criteri di
calcolo e le modalità di pagamento e di riscossione della TARES,
lascerebbe intatto il meccanismo disciplinato dall’art. 14 del d.l. n. 201 del 2011 – anch’esso impugnato
dalla ricorrente con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 47 del 2012 –
per cui le modifiche non risulterebbero satisfattive. La nuova disposizione violerebbe
gli artt. 3, primo comma, lettera b),
e 7 dello statuto, in quanto sarebbe dettata in una materia (finanza locale) di
competenza esclusiva della Regione, escludendone ogni forma di intervento, e,
con riferimento al maggior gettito della TARES, determinerebbe una riduzione
nel finanziamento comunale, con riverbero sull’autonomia finanziaria
regionale, costretta a far fronte al mancato incremento delle risorse degli
enti locali.
Infine, risulterebbe altresì
violato l’art. 117, terzo comma, Cost., in
quanto la disciplina del tributo non lascerebbe alla ricorrente margini di
adattamento alle particolarità regionali.
9.2.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso con
argomentazioni difensive analoghe a quelle formulate con riguardo al ricorso
iscritto al reg. ric. n. 24 del 2013 proposto dalla Regione autonoma Valle
d’Aosta. Con specifico riferimento al comma 387, il resistente si limita
a rilevare come esso non sarebbe oggetto di autonome censure e la competenza
legislativa concorrente in materia di «coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario» legittimerebbe la norma censurata.
9.3.– In data 18 marzo 2014, la Regione
autonoma Sardegna ha depositato una memoria, in cui ribadisce di essere
titolare di potestà legislativa esclusiva in materia di finanza locale,
sebbene non abbia beneficiato dell’attribuzione di ulteriori spazi di
autonomia in detto ambito competenziale, diversamente
da altre autonomie speciali. La ricorrente, inoltre, nega che la riserva
erariale del gettito IMU derivante dagli immobili produttivi serva a compensare
l’esclusione di quella precedentemente prevista dall’art. 13, comma
11, del d.l. n. 201 del 2011, a tal fine essendo
stata ridotta la dotazione del Fondo sperimentale di riequilibrio
dall’art. 1, comma 119, della legge n. 228 del 2012.
Tale riduzione, peraltro, a suo avviso
potrebbe pregiudicare anche gli enti locali sardi e, di conseguenza, la Regione
autonoma Sardegna – che avrebbe già perso, con la Regione
siciliana, i trasferimenti erariali – in quanto nulla escluderebbe che il
fondo in questione debba operare anche nei confronti delle autonomie speciali.
9.4.– In data 21 aprile 2015, la
Regione autonoma Sardegna ha depositato un’ulteriore memoria dal tenore
parzialmente coincidente con quello della memoria depositata in pari data con
riferimento all’impugnativa degli artt. 13 e 14 del d.l.
n. 201 del 2011, ribadendo altresì gli argomenti già svolti a
sostegno delle censure specificamente rivolte all’art. 1, commi 380 e
387, della legge n. 228 del 2012.
Considerato
in diritto
1.– Con un primo gruppo di ricorsi
la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste (reg. ric. n. 38 del 2012), la Regione
siciliana (reg. ric. n. 39 del 2012), la Regione autonoma Sardegna (reg. ric.
n. 47 del 2012) e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. n. 50
del 2012) hanno impugnato, tra le altre disposizioni, gli artt. 13 e 14, comma
13-bis, del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214.
1.1.– In particolare, la Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha impugnato gli artt. 13, commi 11 e 17, quarto
periodo, e 14, comma 13-bis, quarto
periodo, del d.l.
n. 201 del 2001 in riferimento agli artt. 3, comma 1, lettera f), 12, 48-bis e 50, quinto comma, della legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta) ed in relazione
all’art. 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di
attuazione dello statuto speciale della Regione Valle d’Aosta), ed agli
articoli da 2 a 8 della legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione
dell’ordinamento finanziario della regione Valle d’Aosta); in
riferimento agli artt. 117, comma terzo, della Costituzione e 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione), ed al principio di leale collaborazione di cui agli artt.
5 e 120 Cost.
La Regione siciliana ha impugnato gli
artt. 13 e 14 del d.l. n. 201 del 2011 in riferimento
agli artt. 14, lettera o), 36, 37
– in relazione all’art. 2 del decreto del Presidente della
Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della
Regione siciliana in materia finanziaria) – e 43 del regio decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione
siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2; agli
artt. 81 e 119, quarto comma, Cost. e 10 della legge cost. n. 3 del 2001 ed al principio di leale
collaborazione.
La Regione autonoma Sardegna ha
impugnato gli artt. 13 e 14, comma 13-bis,
del d.l. n. 201 del 2011, in riferimento agli artt.
3, 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale
per la Sardegna), ed agli artt. 3, 5, 117 e 119 Cost.
(in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001), nonché in relazione all’art. 8 del decreto del
Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 348 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n.
382 e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616).
La Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia ha impugnato l’art. 13, commi 11, 14, lettera a), e 17, terzo, quarto e quinto periodo, e l’art. 14, comma
13-bis, del d.l.
n. 201 del 2011 in riferimento agli artt. 48, 49, 51, 53, 63 e 65 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale per la Regione
Friuli-Venezia Giulia); in relazione all’art. 4 del decreto del
Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello
Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza
regionale), ed all’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 2 gennaio
1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione
Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente
della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la finanza regionale); in
riferimento agli artt. 3 e 119, primo, secondo e quarto comma, Cost., nonché al principio di neutralità
finanziaria espresso dall’art. 1, comma 159, della legge 13 dicembre 2010,
n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – Legge di stabilità 2011) ed al principio consensuale.
1.1.1.– L’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 ha anticipato in via sperimentale, a
decorrere dall’anno 2012, l’istituzione dell’Imposta
municipale propria (IMU) – prevista dall’art. 8, comma 1, del
decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di
federalismo Fiscale Municipale), in sostituzione dell’imposta comunale
sugli immobili (ICI) e dell’imposta sul reddito delle persone fisiche
(IRPEF) e delle relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari
relativi ai beni non locati – apportandovi significative modifiche.
1.1.2.– Alcune ricorrenti
censurano anzitutto l’art. 13 nella sua interezza, in quanto adottato
senza il loro coinvolgimento (Regione siciliana e Regione autonoma Sardegna) e
senza lasciare alcun margine di intervento, nonostante si ricada, secondo la
prospettazione, in ambiti materiali in cui sussisterebbe una competenza legislativa
regionale, quantomeno concorrente (Regione autonoma Sardegna).
1.1.3.– Le censure di cui ai
ricorsi si appuntano poi sul comma 11 di detto articolo, in base al quale, tra
l’altro, è riservata allo Stato la quota di imposta pari alla
metà dell’importo calcolato applicando alla base imponibile di
tutti gli immobili l’aliquota dello 0,76 per cento (salvo alcune
eccezioni) e le attività di accertamento e riscossione della quota
erariale sono svolte dal Comune al quale spettano le maggiori somme derivanti
dallo svolgimento delle suddette attività a titolo di imposta, interessi
e sanzioni. Il citato comma 11, dapprima marginalmente modificato
dall’art. 4, comma 5, lettera g),
del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di
semplificazioni tributarie, di efficientamento e
potenziamento delle procedure di accertamento) – convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44
– è stato abrogato, con decorrenza dal 1° gennaio 2013, ad
opera dell’art. 1, comma 380, lettera h),
della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità
2013), avendo trovato applicazione solo nell’anno 2012.
Tutte le ricorrenti lamentano segnatamente
l’illegittimità della riserva, asseritamente
prevista in violazione delle prescrizioni statutarie relative alle
compartecipazioni regionali al gettito dei tributi erariali e senza che
sussistano i requisiti che consentono di derogare all’ordinario regime di
devoluzione.
Più in particolare: la Regione
autonoma Valle d’Aosta assume la violazione dell’art. 2, comma 1,
lettera a), della legge n. 690 del
1981, secondo cui «È attribuito alla regione Valle d’Aosta
il gettito delle sotto indicate imposte erariali sul reddito e sul patrimonio
percette nel territorio regionale, nonché delle imposte sostitutive: a)
imposta sul reddito delle persone fisiche»; la Regione siciliana deduce
la violazione dell’art. 2, primo comma, del d.P.R.
n. 1074 del 1965, secondo cui «Ai sensi del primo comma
dell’articolo 36 dello Statuto della Regione siciliana, spettano alla
Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate,
tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo
territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove
entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla
copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti
o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime»; la Regione
autonoma Sardegna lamenta il contrasto con l’art. 8, primo comma, dello
statuto, alla cui stregua «Le entrate della regione sono costituite: a) dai sette decimi del gettito delle
imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone
giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove decimi del gettito delle imposte sul bollo, di
registro, ipotecarie, sul consumo dell'energia elettrica e delle tasse sulle
concessioni governative percette nel territorio della regione; c) dai cinque decimi delle imposte sulle
successioni e donazioni riscosse nel territorio della regione; d) dai nove decimi dell’imposta di
fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel territorio
della regione; e) dai nove decimi
della quota fiscale dell’imposta erariale di consumo relativa ai prodotti
dei monopoli dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del gettito dell’imposta sul valore
aggiunto generata sul territorio regionale da determinare sulla base dei
consumi regionali delle famiglie rilevati annualmente dall'ISTAT; g) dai canoni per le concessioni
idroelettriche; h) da imposte e tasse
sul turismo e da altri tributi propri che la regione ha facoltà di
istituire con legge in armonia con i princìpi del sistema tributario
dello Stato; i) dai redditi derivanti
dal proprio patrimonio e dal proprio demanio; l) da contributi straordinari dello Stato per particolari piani di
opere pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o
indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza di altri
enti pubblici»; la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia assume la
violazione dell’art. 49 dello statuto, secondo cui «Spettano alla
Regione le seguenti quote fisse delle sottoindicate
entrate tributarie erariali riscosse nel territorio della Regione stessa: 1)
sei decimi del gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche; 2)
quattro decimi e mezzo del gettito dell’imposta sul reddito delle persone
giuridiche; 3) sei decimi del gettito delle ritenute alla fonte di cui agli
artt. 23, 24, 25 e 29 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ed all’art.
25-bis aggiunto allo stesso decreto
del Presidente della Repubblica con l’art. 2, primo comma, del D.L. 30
dicembre 1982, n. 953, come modificato con legge di conversione 28 febbraio
1983, n. 53; 4) 9,1 decimi del gettito dell’imposta sul valore aggiunto,
esclusa quella relativa all’importazione, al netto dei rimborsi
effettuati ai sensi dell’articolo 38-bis
del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni; 5) nove decimi
del gettito dell’imposta erariale sull’energia elettrica, consumata
nella regione; 6) nove decimi del gettito dei canoni per le concessioni
idroelettriche; 7) 9,19 decimi del gettito della quota fiscale
dell’imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli dei
tabacchi consumati nella regione; 7-bis)
il 29,75 per cento del gettito dell’accisa sulle benzine ed il 30,34 per
cento del gettito dell’accisa sul gasolio consumati nella regione per uso
autotrazione. La devoluzione alla regione Friuli-Venezia Giulia delle quote dei
proventi erariali indicati nel presente articolo viene effettuata al netto
delle quote devolute ad altri enti ed istituti».
Risulterebbe quindi pregiudicata –
unilateralmente e senza il rispetto delle procedure di modifica statutaria
– l’autonomia finanziaria delle autonomie speciali, chiamate
altresì a sopperire al depauperamento delle risorse a disposizione dei
Comuni, anche in violazione dei parametri statutari che sottraggono allo Stato
la responsabilità della finanza locale, affidata agli enti ad autonomia
differenziata.
La Regione autonoma Sardegna e la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia censurano il comma 11 anche nella parte
in cui, direttamente ed unilateralmente, coinvolge il Comune
nell’attività di accertamento e riscossione della quota del
tributo riservata allo Stato, attribuendogli il ricavato, al contempo sottratto
alla devoluzione impressa dallo statuto.
1.1.4.– La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, inoltre, censura specificamente il comma 14, lettera a), del citato art. 13, in quanto,
abrogando l’art. 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 (Disposizioni
urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), convertito,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n.
126 – il quale, a fronte dell’esclusione dell’ICI
sull’abitazione principale, prevedeva che ai singoli Comuni fosse
rimborsato il relativo minor gettito – avrebbe concorso a ridurre le
risorse destinate al finanziamento delle funzioni comunali, con pregiudizio
dell’autonomia finanziaria regionale ed in contrasto con il cosiddetto
principio di neutralità e con quello consensualistico,
che presidierebbe ai rapporti tra Stato e Regioni autonome. Queste ultime,
inoltre, riceverebbero un trattamento deteriore rispetto a quelle ordinarie,
che non perderebbero la compensazione del minor gettito ICI, con conseguente
violazione dell’art. 3 Cost.
Poiché l’art. 4, comma 5,
lettera m), del d.l.
n. 16 del 2012 ha ripristinato il rimborso in questione – così
come evidenziato dall’Avvocatura generale dello Stato – la
ricorrente ritiene essere sopravvenuta la cessazione della materia del
contendere.
1.1.5.– Tutte le ricorrenti censurano inoltre il comma 17 del citato
art. 13. Esso prevede che il Fondo sperimentale di riequilibrio ed il Fondo
perequativo – fondi il cui riparto alimenta i Comuni delle Regioni a
statuto ordinario – nonché i trasferimenti erariali dovuti ai Comuni
della Regione siciliana e della Regione autonoma Sardegna vengano ridotti in
misura corrispondente al maggior gettito IMU ad aliquota di base attribuito ai
Comuni medesimi e che, in caso di insufficienza, ciascuno di essi versi
all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue. Per le Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta nonché per le
Province autonome la disposizione prevede che, con le procedure di cui
all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della
Costituzione), esse assicurino il recupero al bilancio statale del predetto
maggior gettito dei Comuni ricadenti nel proprio territorio e, fino
all’emanazione delle norme di attuazione di cui all’art. 27, che
sia accantonato un pari importo a valere sulle quote di compartecipazione ai
tributi erariali. La disposizione in considerazione quantifica infine il
maggior gettito oggetto di recupero.
L’art. 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012 ha soppresso i
trasferimenti erariali ai Comuni della Regione siciliana e della Regione
autonoma Sardegna ed il Fondo sperimentale di riequilibrio, abrogando anche la
norma che lo istituiva.
1.1.6.– Tutte le ricorrenti
sostanzialmente deducono che il meccanismo, unilateralmente previsto,
determinerebbe l’avocazione allo Stato di risorse loro spettanti per
prescrizione statutaria al di fuori delle ipotesi di legittima riserva
erariale, anche in violazione delle previsioni dello statuto che contemplano le
procedure di modifica del regime finanziario ivi stabilito.
Al riguardo, i parametri che si assumono
violati coincidono con quelli evocati a proposito dell’impugnazione del
comma 11 del medesimo art. 13, con la precisazione che la Regione autonoma
Valle d’Aosta richiama l’intero art. 2 della legge n. 690 del 1981
– secondo cui «È attribuito alla regione Valle d’Aosta
il gettito delle sotto indicate imposte erariali sul reddito e sul patrimonio
percette nel territorio regionale, nonché delle imposte sostitutive: a) imposta sul reddito delle persone
fisiche; b) imposta sul reddito delle
società; c) ritenute su
interessi e redditi da capitale; d)
ritenute d’acconto sui dividendi; e)
ritenute sui premi e sulle vincite; f)
imposta sulle successioni e donazioni» – nonché le altre
disposizioni della medesima legge che contemplano le compartecipazioni
regionali al gettito di tributi erariali. Tra di esse, vengono in rilievo, in
particolare, l’art. 3 della legge n. 690 del 1981, secondo cui «1.
Sono attribuite alla regione Valle d’Aosta le quote di gettito delle
sotto indicate tasse e imposte erariali sugli affari percette nel territorio
regionale: a) i nove decimi
dell’imposta di registro; b) i
nove decimi dell’imposta di bollo; c)
i nove decimi delle imposte ipotecarie; d)
i nove decimi delle tasse sulle concessioni governative. 2. È
altresì attribuito alla regione Valle d’Aosta l’intero
gettito dell’imposta sul valore aggiunto, compresa quella relativa
all’importazione, al netto dei rimborsi effettuati ai sensi
dell’articolo 38-bis del
decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive
modificazioni, determinato assumendo a riferimento i consumi finali rilevati
nell’ultimo triennio disponibile. […] 4. Sono, altresì,
attribuiti alla regione Valle d’Aosta i nove decimi dei canoni, qualora
riscossi dallo Stato, per le concessioni di derivazione di acque pubbliche a
scopo idroelettrico di cui all’ultimo comma dell’articolo 12 della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, recante lo Statuto
speciale», e l’art. 4 della medesima legge, secondo cui «1.
Sono attribuite alla regione Valle d’Aosta le quote di gettito delle
sotto indicate imposte percette nel territorio regionale: a) l’intero gettito dell’accisa sull’energia
elettrica; b) i nove decimi delle
accise sugli spiriti e sulla birra; c)
i nove decimi della sovrimposta di confine, inclusa quella sugli oli minerali.
2. Sono inoltre attribuite alla regione Valle d’Aosta le quote di gettito
delle sotto indicate imposte e proventi erariali afferenti il territorio
regionale: a) l’intero gettito
dell’accisa sulla benzina, sugli oli da gas, sui gas petroliferi
liquefatti e sul gas naturale per autotrazione, erogati dagli impianti di
distribuzione situati nel territorio della Regione, e dell’accisa sugli
stessi per uso combustibile da riscaldamento, nonché delle accise sugli
altri prodotti energetici immessi in consumo da depositi fiscali ubicati nella
Regione per qualunque uso; b)
l’intero gettito delle imposte sulle assicurazioni diverse da quelle
corrisposte sui premi per la responsabilità civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore; c)
l’intero gettito delle imposte sugli intrattenimenti; d) i nove decimi dei proventi del lotto,
al netto delle vincite e delle somme necessarie alle spese di organizzazione e
gestione del gioco; e) l’intero
gettito dell’accisa sui tabacchi. 3. Sono, altresì, attribuiti
alla regione Valle d’Aosta i nove decimi di tutte le altre entrate
tributarie erariali, comunque denominate, percette nel territorio regionale, ad
eccezione di quelle relative ai giochi pubblici. […]».
La Regione autonoma Sardegna lamenta
altresì l’ingiustificata discriminazione che essa subirebbe sia
rispetto alle autonomie speciali del nord sia rispetto alle Regioni a statuto
ordinario, che continuerebbero a beneficiare di altri eventuali trasferimenti.
Secondo la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, inoltre, anche la quantificazione del maggior gettito da
recuperare sarebbe illegittima, in quanto irragionevole e contraria al
principio consensualistico.
1.1.7.– Infine, con il primo
gruppo di ricorsi, le medesime autonomie speciali censurano l’art. 14,
comma 13-bis, del d.l.
n. 201 del 2011. L’art. 14 del citato decreto-legge istituisce, a
decorrere dal 1° gennaio 2013, in tutti i Comuni del territorio nazionale,
il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi
relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati
avviati allo smaltimento.
Il comma 13-bis dell’art. 14 prevedeva un meccanismo del tutto analogo a quello
previsto dal precedente art. 13, comma 17, con la precisazione che il maggior
gettito TARES cui parametrare rispettivamente la riduzione dei Fondi e dei
trasferimenti e l’ammontare dell’accantonamento e del recupero
è quello derivante dalla maggiorazione standard (di euro 0,30) della
tariffa da applicare, maggiorazione prevista dal comma 13 dello stesso
articolo. Per l’anno 2013 e per le autonomie ordinarie ed insulari la
riduzione dei Fondi e dei trasferimenti è stata sostituita da una
diretta riserva erariale del maggior gettito TARES ad opera dell’art. 10,
comma 2, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il
pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il
riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di
versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 6 giugno 2013, n. 64.
L’intero art. 14 è stato
successivamente abrogato dall’art. 1, comma 704, della legge 27 dicembre
2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge di stabilità 2014), con decorrenza dal 1°
gennaio 2014, avendo trovato applicazione solo nell’anno 2013 nei termini
di cui all’art. 10, comma 2, del d.l. n. 35 del
2013.
Le ricorrenti propongono avverso il
citato art. 14, comma 13-bis, censure
analoghe a quelle mosse all’art. 13, comma 17, del medesimo
decreto-legge.
2.– Con un ulteriore gruppo di
ricorsi, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste (reg. ric. n. 24 del 2013), la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. n. 32 del 2013) e la Regione autonoma
Sardegna (reg. ric. n. 41 del 2013) hanno impugnato, tra le altre disposizioni,
l’art. 1, commi 380, 383 e 387, della legge n. 228 del 2012.
2.1.– In particolare, la Regione
autonoma Valle d’Aosta ha impugnato l’art. 1, comma 380, lettera h), della legge n. 228 del 2012, in
riferimento agli artt. 3, primo comma, lettera f), 48-bis e 50, quinto
comma, dello statuto ed in relazione agli articoli da 2 a 7 della legge n. 690
del 1981, nonché in riferimento agli articoli 5, 117, comma terzo, 119 e
120 Cost., in combinato disposto con l’art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001.
La Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia ha impugnato i commi 380, lettere b),
f), h) ed i), e 383
dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012, in riferimento agli artt. 4,
numero 1-bis), 48, 49, 51, secondo
comma, 54, 63 e 65 dello statuto speciale; in relazione all’art. 9 del
decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto
speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli
enti locali e delle relative circoscrizioni), all’art. 4 del d.P.R. n. 114 del 1965, all’art. 6, comma 2, del
d.lgs. n. 8 del 1997, al principio di «neutralità finanziaria»
di cui all’art. 1, comma 159, della legge n. 220 del 2010; nonché
in riferimento al principio di leale collaborazione, a quello di certezza ed
agli artt. 3, 97, 119, primo, secondo e quarto comma, Cost.
La Regione autonoma Sardegna ha
impugnato l’art. 1, commi 380 e 387, della legge n. 228 del 2012 in
riferimento agli artt. 3, comma 1, lettera b),
7 e 8 dello statuto speciale della Regione autonoma Sardegna ed agli artt. 117
e 119 Cost.
2.1.1.– L’art. 1, comma 380,
della legge n. 228 del 2012 ha soppresso (lettera a) la riserva erariale della metà del gettito IMU di cui
all’art. 13, comma 11, del d.l. n. 201 del
2011; ha istituito il Fondo di solidarietà comunale (lettera b), al contempo sopprimendo (lettera e) il Fondo sperimentale di riequilibrio
ed i trasferimenti erariali ai Comuni della Regione siciliana e della Regione
autonoma Sardegna; ha riservato allo Stato il gettito IMU derivante dagli
immobili ad uso produttivo, calcolato all’aliquota standard dello 0,76
per cento (lettera f); ha ribadito
l’applicabilità dell’art. 13, comma 17, del d.l. n. 201 del 2011, ma limitatamente alle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta nonché alle
Province autonome di Trento e di Bolzano (lettera h); ha previsto che gli importi relativi, tra l’altro, alla
lettera f) possono essere modificati
a seguito della verifica del gettito IMU per il 2012, da effettuarsi presso la
Conferenza Stato, città e autonomie locali (lettera i). Il censurato comma 380 ha subito marginali modifiche ad opera
dell’art. 10, comma 4-quater,
lettera a), del d.l.
n. 35 del 2013 e successivamente ad opera dell’art. 1, comma 729, della
legge n. 147 del 2013.
2.1.2.– Le censure delle
ricorrenti, per motivi analoghi a quelli precedentemente indicati, si appuntano
prevalentemente sulla nuova riserva erariale di cui alla lettera f) e sulla conferma, alla lettera h), del meccanismo di accantonamento e
recupero già previsto dall’art. 13, comma 17, del d.l. n. 201 del 2011. La Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia censura altresì in via cautelativa la lettera b), ove si ritenesse che essa debba
contribuire all’alimentazione del Fondo di nuova istituzione senza
partecipare al relativo riparto, nonché le lettere f) ed i) in ragione della
sperequazione tra Comuni e con le altre Regioni e delle incertezze in ordine
alle concrete disponibilità finanziarie che determinerebbero.
2.1.3.– La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia censura anche l’art. 1, comma 383, della legge n.
228 del 2012, che indica ulteriori criteri da impiegare nella verifica del
gettito IMU dell’anno 2012, in quanto potrebbe determinare a posteriori
una minore disponibilità di risorse per la finanza locale, in violazione
dei principi di certezza del diritto e dell’autonomia finanziaria locale.
2.1.4.– La Regione autonoma
Sardegna, infine, censura anche l’art. 1, comma 387, della legge n. 228
del 2012, in quanto modificherebbe solo criteri di calcolo e modalità di
pagamento e riscossione della TARES e non anche il meccanismo contemplato
dall’art. 14, comma 13-bis, del
d.l. n. 201 del 2011, autonomamente censurato, onde
l’asserita necessità di impugnare la norma non satisfattiva per le
medesime ragioni dedotte a sostegno del precedente ricorso.
3.– I ricorsi vertono sulle
medesime disposizioni e pongono problematiche analoghe, sicché ne appare
opportuna la riunione ai fini di una decisione congiunta, riservando a separate
pronunce la decisione delle questioni vertenti sulle altre norme con essi
impugnate.
4.– Preliminarmente, deve essere
dichiarata cessata la materia del contendere sulla questione di
legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 14, lettera a), del d.l.
n. 201 del 2011, proposta dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in
quanto, abrogando l’art. 1 del d.l. n. 93 del
2008 – il quale, a fronte dell’esclusione dell’ICI
sull’abitazione principale, prevedeva (comma 4) che ai singoli Comuni
fosse rimborsato il relativo minor gettito – avrebbe concorso a ridurre
ulteriormente le risorse destinate al finanziamento delle funzioni comunali,
con pregiudizio dell’autonomia finanziaria regionale ed in contrasto con
il cosiddetto principio di neutralità e con quello consensualistico,
che presidierebbe ai rapporti tra Stato e Regioni autonome.
Relativamente alle autonomie speciali, i rimborsi in considerazione sono stati
ripristinati, a distanza di circa due mesi dalla soppressione, dall’art.
4, comma 5, lettera m), del d.l. n. 16 del 2012, il quale ha modificato l’art.
13, comma 14, lettera a),
introducendo un’eccezione all’abrogazione ivi prevista:
l’art. 1, comma 4, del d.l. n. 93 del 2008,
«che continua ad applicarsi per i soli comuni ricadenti nei territori
delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di
Bolzano».
La
modifica, intervenuta dopo un breve lasso temporale, è pienamente satisfattiva
delle pretese della ricorrente e l’affermazione del venir meno della
materia del contendere (contenuta nella memoria illustrativa depositata dalla
Regione il 16 ottobre 2012), «in quanto proveniente dalla stessa parte,
titolare dell’interesse ad impugnare la norma in sede di giudizio in via
di azione» (sentenza
n. 144 del 2014), risulta sufficiente a determinare detto esito processuale
in ordine alla questione proposta dalla predetta Regione.
5.–
Come in precedenza evidenziato, nelle more del giudizio alcune delle
disposizioni impugnate sono state modificate.
Si
tratta di modificazioni marginali, che non incidono sulle censure svolte dalle
ricorrenti ed, in forza del principio di effettività della tutela
costituzionale delle parti nei giudizi in via di azione (da ultimo, sentenza n. 77 del
2015), impongono di trasferire le originarie questioni sul testo modificato.
L’art.
13, comma 11, e l’art. 14, comma 13-bis,
sono stati abrogati dopo aver trovato applicazione rispettivamente negli anni
2012 e 2013, circostanza che impedisce una declaratoria di cessazione della
materia del contendere con riferimento alle relative questioni di
legittimità costituzionale.
6.– Al fine di un migliore
inquadramento delle censure proposte dalle ricorrenti nel presente giudizio,
è opportuno premettere alcune considerazioni circa la novità
delle stesse con riferimento alle precedenti questioni venute all’esame
di questa Corte in tema di relazioni finanziarie tra Stato ed autonomie
speciali, nonché una sintetica ricognizione dello specifico contesto
normativo e giurisprudenziale afferente alle stesse.
6.1.– Con riguardo alla peculiarità delle fattispecie in esame occorre anzitutto precisare che le
norme impugnate non attengono al
concorso delle autonomie speciali al patto di stabilità ed al
perseguimento degli obiettivi finanziari di matrice comunitaria. Infatti, i
punti da dirimere nella presente controversia non riguardano «la
legittimità della determinazione unilaterale da parte dello Stato del
contributo di ciascuna autonomia speciale [alla finanza pubblica],
l’oggetto dell’accordo in relazione alla pretesa predeterminazione
unilaterale, l’assenza o il mancato rispetto di criteri obiettivi ed
imparziali per il riparto del concorso tra gli enti territoriali» (sentenza n. 19 del
2015). Le questioni in esame, d’altro canto, non possono neppure
essere semplicemente inquadrate nell’ambito del contenzioso di natura
tributaria che concerne la riserva allo Stato del maggior gettito derivante da
episodici interventi normativi operati su tributi erariali oggetto di compartecipazione,
per i quali il giudizio di costituzionalità si limita a verificare se la
singola disposizione sia o meno rispettosa degli statuti speciali e delle norme
di attuazione (ex plurimis,
sentenza n. 241
del 2012).
Nei presenti giudizi, come di seguito meglio evidenziato, le
norme censurate, pur sprovviste dell’adeguato reciproco coordinamento e
dell’organicità propria delle riforme ordinamentali, producono un
risultato incidente sul nucleo del sistema della fiscalità locale in
ragione della sommatoria dei loro effetti e dell’impatto finanziario che
realizzano.
6.2.– È opportuno poi sottolineare
come un rapido esame della disciplina finanziaria delle autonomie speciali sia
sufficiente ad individuare, quale connotato tipico della stessa, la
compartecipazione ai tributi erariali afferenti al proprio territorio. Ogni
statuto elenca i tributi erariali dei quali una quota percentuale è
attribuita alla Regione, le aliquote eventualmente differenziate per ciascun
tipo di tributo, il criterio di computo, le modalità di attribuzione.
Talune specificazioni di dettaglio sono rimesse, poi, alle norme di attuazione.
Le compartecipazioni possono essere considerate tributi regionali solo ai fini
della devoluzione del gettito. Non sono regionali, invece, per quanto riguarda
struttura e fonti normative di regolazione: istituzione, soggetti passivi, base
imponibile, sanzioni, contenzioso sono disciplinati dalla legislazione statale.
In ogni caso, si può dire che il
tratto distintivo più rilevante dell’autonomia speciale sta
proprio nell’entità della devoluzione del gettito delle entrate
tributarie che risponde al principio secondo il quale i tributi erariali
rimangono per la maggior parte sul territorio a cui sono riferibili.
Proprio in conformità a tale
assunto, disposizioni di carattere generale – nel caso della Regione
siciliana (art. 2, primo comma, del d.P.R. n. 1074
del 1965) – o “residuali” – nel caso delle altre
autonomie speciali (con l’eccezione della Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia) – attribuiscono alle Province autonome di Trento e di Bolzano
(art. 75, comma 1, lettera g, del
decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, recante
«Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo
statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige», nella misura di
nove decimi), alla Regione autonoma Valle d’Aosta (art. 4, terzo comma,
della legge n. 690 del 1981, nella misura di nove decimi) ed alla Regione autonoma
Sardegna (art. 8, primo comma, lettera m,
dello statuto, nella misura di sette decimi) la compartecipazione a tutte le
altre entrate tributarie erariali non altrimenti indicate nello statuto o nelle
relative norme di attuazione.
Ben quattro dei cinque statuti speciali
vigenti (art. 63, quinto comma, dello statuto speciale della regione
Friuli-Venezia Giulia, art. 54, quinto comma, dello statuto speciale per la
Sardegna; art. 50, quinto comma, dello statuto speciale per la Valle d’Aosta;
art. 104, primo comma, del testo unico delle leggi costituzionali concernenti
lo statuto speciale per il Trentino Alto Adige) prevedono – per le
disposizioni in materia finanziaria – una particolare disciplina, la
quale consente che le norme statutarie possano essere modificate attraverso una
legge ordinaria statale, il cui contenuto sia stato oggetto di accordo tra lo
Stato e l’autonomia speciale. Detta procedura pattizia è ormai
diventata parte integrante della dimensione costituzionale dello Stato riguardo
ai rapporti finanziari con le autonomie speciali, in ragione delle semplificate
e spedite modalità che rendono flessibile la dinamica delle fonti
costituzionali in un settore fortemente influenzato dall’intrinseca
mutevolezza della materia. A questo specifico profilo delle fonti normative
statutarie si è ispirato, come di seguito meglio specificato,
l’art. 27 della legge n. 42 del 2009 nell’individuare i criteri per
porre in essere una revisione delle norme finanziarie uniforme e coerente con
la generale riforma della fiscalità territoriale.
6.3.– Nel corso della XVI
legislatura sono intervenute modifiche all’ordinamento degli enti
territoriali che hanno riguardato – tra l’altro –
l’attuazione dei principi del federalismo fiscale nelle Regioni a statuto
speciale e nelle Province autonome. Le procedure e i criteri di modifica sono
in particolare, fissati dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009.
Quest’ultimo dispone, tra
l’altro, che «1. Le regioni a statuto speciale e le province
autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali,
concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di
solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi
derivanti […] secondo criteri e modalità stabiliti da norme di
attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli
statuti medesimi, e secondo il principio del graduale superamento del criterio
della spesa storica di cui all’articolo 2, comma 2, lettera m). 2. Le norme di attuazione di cui al
comma 1 tengono conto della dimensione della finanza delle predette regioni e
province autonome rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da
esse effettivamente esercitate e dei relativi oneri, anche in considerazione
degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, dei costi
dell’insularità e dei livelli di reddito pro capite che
caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi, rispetto a quelli
corrispondentemente sostenuti per le medesime funzioni dallo Stato, dal
complesso delle regioni e, per le regioni e province autonome che esercitano le
funzioni in materia di finanza locale, dagli enti locali. Le medesime norme di
attuazione disciplinano altresì le specifiche modalità attraverso
le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di
perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale i cui
livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media nazionale, ferma
restando la copertura del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui
all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione,
conformemente a quanto previsto dall’articolo 8, comma 1, lettera b), della presente legge. […]
Inoltre, le predette norme, per la parte di propria competenza: a) disciplinano il coordinamento tra le
leggi statali in materia di finanza pubblica e le corrispondenti leggi
regionali e provinciali in materia, rispettivamente, di finanza regionale e
provinciale, nonché di finanza locale nei casi in cui questa rientri
nella competenza della regione a statuto speciale o provincia autonoma; b) definiscono i princìpi
fondamentali di coordinamento del sistema tributario con riferimento alla
potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti alle regioni a
statuto speciale e alle province autonome in materia di tributi regionali,
provinciali e locali […]. 7. Al fine di assicurare il rispetto delle
norme fondamentali della presente legge e dei princìpi che da essa
derivano, nel rispetto delle peculiarità di ciascuna regione a statuto
speciale e di ciascuna provincia autonoma, è istituito presso la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collaborazione,
un tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale e
ciascuna provincia autonoma, costituito dai Ministri per i rapporti con le
regioni, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa,
dell’economia e delle finanze e per le politiche europee nonché
dai Presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome. Il
tavolo individua linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare il concorso
delle regioni a statuto speciale e delle province autonome agli obiettivi di
perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle
attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente
all’entrata in vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i
princìpi di cui alla presente legge e con i nuovi assetti della finanza
pubblica […]».
L’art. 14 del d.lgs. n. 23 del
2011 – recante «Disposizioni in materia di federalismo Fiscale
Municipale» – aggiunge, tra l’altro, ai precetti della legge
di delega i seguenti: «[…] 2. Al fine di assicurare la
neutralità finanziaria del presente decreto, nei confronti delle regioni
a statuto speciale il presente decreto si applica nel rispetto dei rispettivi
statuti e in conformità con le procedure previste dall’articolo 27
della citata legge n. 42 del 2009, e in particolare: a) nei casi in cui, in base alla legislazione vigente, alle regioni
a statuto speciale spetta una compartecipazione al gettito dell’imposta
sul reddito delle persone fisiche ovvero al gettito degli altri tributi
erariali, questa si intende riferita anche al gettito della cedolare secca di
cui all’articolo 3; b) sono
stabilite la decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni
di cui all’articolo 2 nei confronti dei comuni ubicati nelle regioni a
statuto speciale, nonché le percentuali delle compartecipazioni di cui
alla lettera a); con riferimento
all’imposta municipale propria di cui all’articolo 8 si tiene conto
anche dei tributi da essa sostituiti. 3. […]. Alle [Regioni a statuto
speciale e alle province autonome] spettano le devoluzioni e le
compartecipazioni al gettito delle entrate tributarie erariali previste dal
presente decreto nelle misure e con le modalità definite dai rispettivi
statuti speciali e dalle relative norme di attuazione per i medesimi tributi
erariali o per quelli da essi sostituiti. […] In materia di limite
massimo della pressione fiscale complessiva, la Conferenza permanente per il
coordinamento della finanza pubblica […] monitora gli effetti finanziari
del presente decreto legislativo al fine di garantire il rispetto del predetto
limite, anche con riferimento alle tariffe, e propone al Governo le eventuali
misure correttive».
Dalla lettura della legge n. 42 del 2009
e del decreto attuativo in tema di federalismo fiscale municipale testé
richiamato si evincono elementi importanti ai fini della presente decisione: a) conferma del metodo pattizio quale
strumento indefettibile, anche sotto il profilo procedurale, nella disciplina
delle relazioni finanziarie tra Stato e autonomie speciali; b) principio di neutralità nella
rideterminazione delle attribuzioni fiscali alle autonomie speciali da attuare
secondo il canone della leale collaborazione; c) finalità di razionalizzazione e perequazione del
meccanismo rideterminativo del riparto fiscale; d) criterio guida della
“sostituzione” dei tributi per assicurare il nuovo riparto della
fiscalità territoriale.
In definitiva, si tratta di criteri
guida per realizzare il necessario bilanciamento tra le ragioni di salvaguardia
delle autonomie speciali, quelle di realizzazione del federalismo solidale e
quelle di tutela degli equilibri di bilancio, intesi questi ultimi come
riferiti sia alle singole autonomie che al sistema della finanza pubblica
allargata.
Quanto al profilo sub a), occorre poi precisare
che, anche alla luce di quanto argomentato a proposito della dinamica delle
fonti delle autonomie speciali,
l’art. 27 della legge n. 42 del 2009 – ancorché non goda di
rango costituzionale – è disposizione assolutamente coerente con l’ordinamento finanziario di queste
ultime. In definitiva esso dispone «una vera e propria
“riserva di competenza alle norme di attuazione degli statuti”
speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia
differenziata (sentenza
n. 71 del 2012), così da configurarsi quale autentico presidio
procedurale della specialità finanziaria di tali enti» (sentenza n. 241 del
2012).
Quanto al profilo sub b), è da sottolineare come il principio di
neutralità finanziaria operi all’interno delle relazioni tra Stato
e Regioni in due direzioni: da un lato, comporta che la riforma fiscale non
modifichi gli assetti della finanza pubblica allargata e la coerenza con i
limiti della pressione fiscale complessivamente stabiliti; dall’altro,
impone che la rideterminazione dei tributi oggetto di compartecipazione da
parte delle autonomie speciali non riduca le risorse disponibili in modo da
pregiudicare assetti organizzativi ed esercizio delle funzioni consolidatisi
all’interno delle autonomie stesse. Per quel che riguarda il canone della
leale collaborazione, il legislatore ne prevede l’attuazione attraverso
un apposito tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna Regione a statuto
speciale e Provincia autonoma presso la Conferenza Stato-Regioni (tavolo
istituito con d.P.C.m. 6 agosto 2009) con il compito
di individuare le linee guida per la partecipazione delle autonomie speciali,
secondo le norme attuative dei rispettivi statuti, agli obiettivi della legge
di delega sul federalismo fiscale.
Infine, per quel che riguarda
l’obiettivo di razionalizzazione e perequazione del riparto del gettito
fiscale, il legislatore prevede la possibilità, ad invarianza
finanziaria complessiva, di una riduzione della porzione di spettanza delle
autonomie speciali – peraltro accompagnata da un’opposta
possibilità di incremento nel caso di autonomie speciali svantaggiate
–, la quale, tuttavia, non può pregiudicare, attraverso un
decremento sproporzionato e sostanzialmente ablativo, il principio della
“sostituzione” dei tributi erariali nuovi rispetto ai vecchi.
6.4.– A ben vedere, l’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e
l’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011, individuando criteri procedimentali
e sostanziali per una proporzionata modificazione dell’assetto delle
relazioni finanziarie inerenti al riparto fiscale – necessaria per
effetto della riforma avviata dalla stessa legge n. 42 del 2009 che,
modificando ed innovando importanti fattispecie tributarie oggetto di tali
relazioni, fa sì che dette fattispecie non trovino più automatico
riscontro con le vigenti prescrizioni degli statuti – realizzano, nella
loro combinazione, un bilanciamento dei principi costituzionali di tutela della
autonomia finanziaria degli enti territoriali a statuto speciale con
l’equilibrio finanziario di cui agli articoli 81 e 97, primo comma, Cost., come introdotto dalla sopravvenuta novella.
7.– Alla luce delle esposte
considerazioni, e malgrado lo Stato si sia discostato dal procedimento
pattizio, tutte le questioni sono inammissibili.
Premesso che non è in dubbio la
vigenza della parte finanziaria degli Statuti delle autonomie ricorrenti, in
relazione alla quale sono formulate tutte le censure, la mancata specificazione
dei criteri attraverso cui determinare la titolarità dei nuovi tributi
non consente di enucleare parametri utili per una pronuncia a rime obbligate.
Infatti, le riforme in materia fiscale
oggetto del presente giudizio, le quali si sono rapidamente succedute in breve
periodo, non sono contrassegnate da caratteri del tutto omogenei con le
fattispecie tributarie evocate negli statuti e nelle norme di attuazione
bensì da elementi nuovi, solo in parte sovrapponibili o confrontabili (si
pensi – ad esempio – ai rapporti tra IMU ed IRPEF per quel che
riguarda la componente patrimoniale). Senza una mediazione legislativa capace
di assicurare un confronto idoneo a verificare l’applicazione dei criteri
di neutralità, perequazione e sostituzione sanciti dall’art. 27
della legge n. 42 del 2009 ai fini del bilanciamento dei rapporti finanziari
sopravvenuti alla riforma, lo scrutinio di legittimità delle norme
impugnate non potrebbe essere svolto in modo proficuo. Esso può essere indirizzato
solo al procedimento legislativo adottato ma non alle modalità con cui
avrebbero dovuto essere bilanciati i dialettici interessi della
neutralità finanziaria, della sostituzione, della perequazione e del
dimensionamento delle entrate fiscali di competenza delle autonomie speciali.
In assenza di un procedimento di
riequilibrio in grado di assicurare la proporzione tra risorse fiscali
attribuite e funzioni effettivamente esercitate ed il raggiungimento degli
altri obiettivi fissati dalla riforma fiscale, uno scrutinio meramente formale svolto in riferimento ai parametri
statutari vigenti condurrebbe a
risultati non appropriati in relazione al
bilanciamento tra i valori costituzionali potenzialmente antagonisti, fermo
rimanendo che le norme statutarie devono costituire un indefettibile parametro
di riferimento per la composizione degli interessi coinvolti dall’impatto
della riforma fiscale.
Valutare le censure senza tener conto
del mancato percorso normativo previsto dall’art. 27 della legge n. 42
del 2009 comporterebbe peraltro, anche in caso di parziale accoglimento delle
stesse, non solo un potenziale effetto irragionevolmente discriminante tra le
stesse autonomie interessate, ma anche uno squilibrio nell’ambito della
finanza pubblica allargata in quanto lo Stato – sia pure violando lo
schema legislativo presupposto – ha riallocato nel proprio bilancio le
somme in contestazione per un arco temporale che, complessivamente inteso,
supera ormai il triennio. Se, come di seguito meglio precisato, questa
violazione del canone procedimentale non può sottrarre in modo
definitivo alle autonomie speciali risorse eventualmente necessarie per
assicurare l’equilibrio tra entrate fiscali e funzioni esercitate,
nondimeno il rimedio a tale violazione non può consistere nel diretto
accoglimento o nel potenziale rigetto, conseguente al raffronto tra le norme
impugnate ed i parametri statutari, poiché, tra l’altro, esso
investirebbe risorse già impiegate dallo Stato per la copertura di spese
afferenti ai decorsi esercizi.
Tuttavia il procedimento legislativo
unilaterale adottato dallo Stato non è rispettoso del principio di leale
collaborazione come espresso dall’art.
27, che prevede «una permanente interlocuzione […] tra lo Stato e
le autonomie speciali per quanto attiene ai profili perequativi e finanziari
del federalismo fiscale […] secondo il principio di leale
collaborazione» (sentenza n. 201 del
2010), dettando a tal fine un percorso di indefettibili relazioni
bilaterali e multilaterali.
7.1.– In definitiva, la ritenuta
inammissibilità delle questioni deriva dall’impossibilità
per questa Corte di esercitare una supplenza, dettando relazioni finanziarie
alternative a quelle adottate dallo Stato in difformità dallo schema costituzionale
precedentemente richiamato, considerato che il compito del bilanciamento tra i
valori contrapposti della tutela delle autonomie speciali e
dell’equilibrio di bilancio grava direttamente sul legislatore, mentre a
questa Corte spetta valutarne a posteriori la correttezza.
Ciò non comporta tuttavia che gli
effetti distorsivi conseguenti al mancato rispetto dello schema pattizio
possano consolidarsi in un contesto non conforme né alla salvaguardia
delle autonomie speciali né agli equilibri della finanza pubblica.
A differenza di quanto accaduto, sempre
con riferimento alle autonomie speciali, per il concorso al rispetto del patto
di stabilità e degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede
europea nell’ambito della manovra di stabilità, la cui unilaterale
determinazione trova ragione nella tempistica della manovra stessa e nella
temporaneità di tale soluzione (sentenza n. 19 del
2015), nel caso in esame il riassetto fiscale generale ed il susseguirsi di
norme mutevoli e non sufficientemente coordinate tra loro viene a determinare
uno scenario che non costituisce né una manovra provvisoria suscettibile
di consolidamento, come nel caso precedentemente evocato, né
un’operazione servente agli equilibri complessivi di finanza pubblica.
Infatti, il mancato rispetto del principio di leale
collaborazione ha prodotto una
situazione di potenziale squilibrio tra le entrate così unilateralmente
rideterminate ed il fabbisogno di spesa storicamente consolidato delle
autonomie speciali. In sostanza, il mancato aggiornamento secondo i canoni di
legge delle norme riguardanti le entrate fiscali delle autonomie speciali ha
finito per indebolire le ragioni della specialità nel loro complesso.
Se l’art. 27 della legge n. 42 del
2009 prevede che le entrate tributarie, fermo restando il principio di
tendenziale assegnazione del gettito su base territoriale, non siano esonerate
da un ragionevole dimensionamento in conformità a criteri di utilizzazione
ispirati all’economicità ed alla solidarietà finanziaria e
se è già stato affermato che gli statuti non assicurano alle
autonomie speciali «una garanzia quantitativa di entrate, cosicché
il legislatore statale può sempre modificare, diminuire o persino sopprimere
i tributi erariali, senza che ciò comporti [automaticamente] una violazione dell’autonomia
finanziaria regionale» (sentenza n. 97 del
2013), le possibilità di dimensionamento incontrano tuttavia dei limiti.
Vale in proposito il principio,
già affermato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale
«nel caso di abolizione di tributi erariali il cui gettito era devoluto
alla Regione, o di complesse operazioni di riforma e di sostituzione di tributi
[…] possono aversi, senza violazione costituzionale, anche riduzioni di
risorse per la Regione, purché non tali da rendere impossibile lo
svolgimento delle sue funzioni. Ciò vale tanto più in presenza di
un sistema di finanziamento che non è mai stato interamente e
organicamente coordinato con il riparto delle funzioni, così da far
corrispondere il più possibile, come sarebbe necessario, esercizio di
funzioni e relativi oneri finanziari da un lato, disponibilità di
risorse, in termini di potestà impositiva (correlata alla
capacità fiscale della collettività regionale), o di devoluzione
di gettito tributario, o di altri meccanismi di finanziamento,
dall’altro» (sentenza n. 138 del
1999 e, più di recente, sentenza n. 241 del
2012).
Ne consegue che il principio di
proporzionalità tra risorse delle autonomie speciali e funzioni da esse
esercitate deve essere tenuto al riparo da mutamenti legislativi – come
quelli in esame – strutturati in modo tale da turbare l’equilibrio
di bilancio delle singole autonomie speciali.
Quest’ultimo può essere
realizzato solo attraverso un consapevole contraddittorio tra Stato ed
autonomie, in modo da consentire che l’eventuale riallocazione delle
risorse fiscali non provochi squilibrio o grave compressione delle funzioni
regionali, ma si realizzi nel modo più efficace in relazione agli
interessi dialettici della valorizzazione degli enti a statuto speciale e
dell’equilibrio della finanza pubblica.
7.2.– In ogni caso, non risulta
rispettato da parte dello Stato il metodo pattizio sotto il profilo sia
procedurale che sostanziale, per effetto dell’adozione di norme, tendenzialmente
dirette a sottrarre una parte delle competenze tributarie spettanti alle
ricorrenti senza correlate misure riequilibratrici.
È opportuno in proposito
evidenziare come – conformemente al costante orientamento di questa Corte
– solo il metodo paritetico (da cui scaturiscono le norme finanziarie
degli statuti e le relative norme di attuazione) determini «i contenuti
storico-concreti dell’autonomia regionale» e quindi ponga «un
limite superato il quale si determinerebbero conseguenze non controllabili
relativamente a quell’equilibrio complessivo dell’ordinamento cui
le norme di attuazione [e l’autonomia speciale che le giustifica] sono
preordinate» (sentenza n. 213 del
1998). Per questo motivo, la riforma in materia di federalismo fiscale non
può – attraverso la concatenazione di norme potenzialmente
riduttive delle risorse di spettanza delle autonomie speciali –
comprimere, con modalità indirette e senza contraddittorio in ordine
alla sostenibilità delle stesse, le condizioni particolari di autonomia
previste dai rispettivi statuti.
Le stesse autonomie speciali sono,
comunque, titolari di un potere di iniziativa per un esame partecipe, insieme allo Stato, delle questioni di comune
rilevanza in tema di relazioni finanziarie ed alla conseguente evoluzione
normativa in senso conforme ai canoni costituzionali.
Nel descritto contesto, infatti, la
dialettica degli interessi in rilievo non può limitarsi al confronto
bilaterale in quanto, se è vero che le autonomie speciali sono
caratterizzate anche da una specialità interna al loro genere e che
quest’ultima può comportare diversi criteri qualitativi e
quantitativi di attribuzione delle risorse fiscali, le categorie economico-finanziarie
di riferimento per un eventuale processo di riequilibrio devono essere
necessariamente omogenee ed il più possibile condivise, in modo da
perseguire un armonico processo di composizione, idoneo a mantenere gli
standard funzionali già raggiunti, senza pregiudicare i bilanci pubblici
con una pressione fiscale e di spesa non tollerabile per la collettività
intesa nel suo complesso.
7.3.– È infine da
sottolineare come lo stesso principio dell’equilibrio di bilancio
comporti che le parti – anzitutto lo Stato – debbano concordare
relazioni finanziarie nelle quali sia tenuto conto anche degli eventuali vulnera causati alle finanze regionali
da un riparto delle risorse stesse non ponderato nelle forme costituzionalmente
corrette.
Detto principio impone «al legislatore
di provvedere tempestivamente al fine di rispettare il vincolo costituzionale
dell’equilibrio di bilancio, anche in senso dinamico (sentenze n. 40 del 2014,
n. 266 del 2013,
n. 250 del 2013,
n. 213 del 2008,
n. 384 del 1991
e n. 1 del 1966)
[…] ciò anche eventualmente rimediando ai rilevati vizi della
disciplina tributaria in esame» (sentenza n. 10 del
2015). Essendo strettamente connesso al principio di continuità del
bilancio, essenziale per garantire nel tempo l’equilibrio economico,
finanziario e patrimoniale, esso può essere applicato anche ai fini
della tutela della finanza pubblica allargata, consentendo in sede pattizia di
rimodulare in modo più appropriato le relazioni finanziarie anche con
riguardo ai decorsi esercizi.
Questa Corte ha, infatti, precisato che
«lo strumento dell’accordo serve a determinare nel loro complesso
punti controversi o indefiniti delle relazioni finanziarie tra Stato e Regioni,
sia ai fini del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica […],
sia al fine di evitare che il necessario concorso delle Regioni comprima oltre
i limiti consentiti l’autonomia finanziaria ad esse spettante. Ciò
anche modulando le regole di evoluzione dei flussi finanziari dei singoli enti,
in relazione alla diversità delle situazioni esistenti nelle varie
realtà territoriali. […] Il contenuto degli accordi […]
può e deve riguardare anche altri profili di natura contabile quali, a
titolo esemplificativo, le fonti di entrata fiscale, la cui compartecipazione
sia quantitativamente controversa, […] la ricognizione globale o parziale
dei rapporti finanziari tra i due livelli di governo e di adeguatezza delle
risorse rispetto alle funzioni svolte o di nuova attribuzione, la verifica di
congruità di dati e basi informative finanziarie e tributarie, eventualmente
conciliandole quando risultino palesemente difformi, ed altri elementi
finalizzati al percorso di necessaria convergenza verso gli obiettivi [di
finanza pubblica]» (sentenza n. 19 del
2015).
In conformità a tale assunto,
peraltro, la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome
di Trento e di Bolzano hanno sottoscritto – seppur in epoca successiva
all’introduzione delle norme censurate – un accordo plurilaterale
in data 28 ottobre 2014. Tale accordo – che al punto 5 prevede
espressamente l’attribuzione provinciale del maggior gettito IMU
contemplato dall’impugnato art. 13, comma 17, del d.l.
n. 201 del 2011 – è stato recepito, ai sensi e per gli effetti di
cui all’art. 104 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto
1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dall’art. 1,
commi 407 – 413, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di
stabilità 2015). In tal modo, come espressamente indicato dal citato
comma 407, la nuova disciplina delle relazioni finanziarie tra lo Stato e le predette
autonomie è stata trasfusa nello statuto speciale ed in particolare, con
riferimento alla statuizione relativa all’art. 13, comma 17, del d.l. n. 201 del 2011, nell’art. 79, comma 4-bis, dello statuto Trentino-Alto Adige.
8.– L’inerzia del
legislatore statale nella ricerca di un quadro complessivo di relazioni
finanziarie conforme al dettato costituzionale ed allo stesso disegno della
legge n. 42 del 2009 ha determinato una situazione che può pregiudicare l’assetto
economico-finanziario delle autonomie speciali nella misura in cui non assicuri
la congruenza tra l’attribuzione di risorse fiscali successivamente alla
riforma del 2011 e le funzioni effettivamente attribuite ed esercitate dalle
stesse autonomie speciali.
L’indefettibile urgenza che
l’ordinamento si doti di disposizioni legislative idonee ad assicurare
l’armonizzazione di tale dialettico contesto, se non consente di superare
– per le ragioni già esposte – la ritenuta
inammissibilità delle questioni, in quanto non pregiudica la
«priorità di valutazione da parte del legislatore sulla
congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente
necessario» (sentenza n. 23 del
2013), impone tuttavia di sottolineare l’esigenza che le parti, e lo
Stato in particolare, diano tempestiva soluzione al problema individuato nella
presente pronuncia attraverso un comportamento leale in sede pattizia,
concretamente diretto ad assicurare regole appropriate per il futuro.
Ciò nel rispetto dei vincoli di sistema, assicurando in tal modo un
ottimale riparto delle risorse fiscali.
Vale in proposito, ancor più che
per il concorso delle Regioni a statuto speciale agli obiettivi del patto di
stabilità, il vincolo di metodo già richiamato nella sentenza n. 19 del
2015. Infatti, se l’adozione unilaterale in via provvisoria dei
criteri per la disciplina delle pertinenti relazioni finanziarie può
essere giustificata in quel caso dalla tempistica della manovra di
stabilità, in quello di specie il protrarsi dell’anomala
situazione precedentemente illustrata pone in essere un ingiustificato
sacrificio «della sfera di competenza costituzionalmente attribuita alla
Regione e [la] violazione, per l’effetto, del principio di leale
collaborazione (sentenza
n. 179 del 2012)» (sentenza n. 39 del
2013), al quale va posto immediato rimedio.
9.– Alla luce delle considerazioni
che precedono, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13
e 14 del d.l. n. 201 del 2011 e 1, commi 380, 383 e
387, della legge n. 228 del 2012 devono essere dichiarate inammissibili.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la
decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse
con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara
cessata la materia del contendere sulla questione di legittimità
costituzionale dell’art. 13, comma 14, lettera a), del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti
per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22
dicembre 2011, n. 214, promossa dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
13, commi 11 e 17, quarto periodo, e 14, comma 13-bis, quarto periodo, del d.l. n. 201 del 2001, promosse dalla Regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
13 e 14 del d.l.
n. 201 del 2001, promosse dalla Regione siciliana con il ricorso indicato in
epigrafe;
4) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
13 e 14, comma 13-bis, del d.l. n. 201 del 2001, promosse dalla Regione autonoma
Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 11 e
17, terzo, quarto e quinto periodo, e l’art. 14, comma 13-bis, del d.l.
n. 201 del 2001, promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con il
ricorso indicato in epigrafe;
6)
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 380, lettera h),
della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità
2013), promossa dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1, commi 380, lettere b),
f), h) ed i), e 383, della
legge n. 228 del 2012, promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
con il ricorso indicato in epigrafe;
8) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 1, commi 380 e 387, della legge n. 228 del 2012, promosse dalla
Regione autonoma Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 maggio 2015.
F.to:
Alessandro
CRISCUOLO, Presidente
Aldo
CAROSI, Redattore
Gabriella
Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 15 luglio 2015.